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OrgiaRacconti di DominazioneTrio

La trasformazione di Jennifer – Cap.12

By 18 Aprile 2020No Comments

Alle 10 Marco chiamò Jennifer all’interfono e le disse di avviarsi verso l’ufficio di Amilcare carponi. E di muoversi. Lei si avviò seguita dagli sguardi libidinosi di tutti quelli dello studio, che videro passare il suo bel culo, e sapevano cosa sarebbe successo durante la pausa pranzo. E tutti non vedevano l’ora.

Arrivò all’ufficio del capo, bussò e sentì aprirsi la porta. La scena che si prospettò davanti a lei era terrificante. I due maschi, Giovanni e Michele, erano legati per le mani a un palo ed erano seduti entrambi su un asse di legno. I testicoli fuoriuscivano da un buco, non capiva bene perché in realtà sopra quelli c’era Carla, che li schiacciava e più i due urlavano, più lei calpestava con forza e sadismo. Osservava quella scena da pochi secondi che una mano secca la prese per i capelli e la trascinò dentro. Marco non c’era. Era Amilcare. Le disse di muoversi e dare immediatamente il cambio a Carla. Non se lo fece ripetere. Corse verso la tortura, e mentre Carla scendeva, salì lei sui testicoli dei due. Carla fu presa in carico dal suo padrone, che cominciò a dilettarsi con il suo seno. La mise in ginocchio e mise il suo seno in una pressa di legno, e cominciò a frustarlo. Carla non urlava, piangeva e basta. Arrivò alla cinquantesima frustata e girò la chiave della pressa così che il seno fosse ancora più schiacciato. Le lacrime di Carla sgorgavano abbondanti. Le prese la testa, glielo mise in bocca e lei lo dovette succhiare mentre lui si divertiva a vederla soffocare, oppure le tirava e girava i capezzoli per infliggerle più dolore. Quando fu soddisfatto, disse a Jennifer di scendere e slegare i due ragazzi. Così lei fece, e questi caddero per terra, rotolandosi e tenendosi i testicoli. Il dolore che stavano provando era mostruoso e terribile. Vide anche Carla, con quell’arnese che le pressava le tette, e il suo padrone che aveva i suoi capezzoli in mano e si divertiva a rigirarli. Chissà cose sarebbe successo ora a lei.

        Giovanni Michele in posizione

I due si misero di scatto in piedi con le mani alzate.

        Guai a voi se vi muovete

Non dissero nulla. Amilcare si avvicinò e rifilò il primo calcio nei testicoli di Michele, che urlò ma non si mosse. Poi toccò a Giovanni che non si mosse. Entrambi erano paonazzi. Jennifer non sapeva cosa pensare. La violenza di quell’uomo era inaudita ed ebbe paura per se.

        Adesso inculate Jennifer, subito!

I due corsero da Jennifer che fu spaventata dalla furia con cui si avventarono su di lei. Giovanni si mise sdraiato a terra e la obbligarono a salire sopra il suo uccello che era abbastanza duro. Alzarono la minigonna. Lo infilarono dentro. Michele le fu dietro e cercò pure lui di metterlo ma non riusciva. Dopo un po’ di sforzi anche il suo fu dentro. Ma dopo il trattamento dei russi, questi due erano poca roba. Si avvicinò Amilcare con il suo uccello moscio penzoloni, lo mise vicino alle labbra di Jennifer che lo prese in bocca e lo succhiò. Finalmente venne inondando la bocca di Jennifer del suo liquido giallastro e maleodorante. Quando venne erano le 10,55 mentre i due invece non ci erano riusciti. Il padrone li fece uscire e rifilò a ognuno un calcio nei testicoli, come punizione. Poi disse:

        Pausa caffè, ognuno nella propria stanza, voi due latrine, voi due nella stanza di ieri, che oggi sarà diversa. Voi due cagne nel vostro spazio e in posizione

Carla sapeva bene quello che sarebbe successo. Quando entrarono si misero ognuna in posizione. Ogni dipendente aveva i soliti 10 minuti per sfruttare il loro pertugio anale. Solo che ora Jennifer lo sapeva. I ragazzi che andavano da lei, perla voglia che avevano, o per la sua bellezza prorompente, venivano tra i 9 e gli 11 minuti dopo essere entrati. Tutti la incularono con forza selvaggia, perchè tutti la volevano possedere. Alla fine accumulò solo 31 frustate. Per Carla andò peggio, perché fin dai primi ci mise molto tempo, perché questi volevano solo Jennifer. Ma dopo che erano andati con lei ed erano svuotati, dentro Carla ci stavano ancora più a lungo. Accumulò alla fine 116 frustate. A entrambe il culo bruciava, ma non sapevano ancora quante frustate totali avevano accumulato e un po’ di paura l’avevano. Carla era terrorizzata. Arrivò Amilcare che sentenziò:

        31 frustate a Jennifer e 116 a Carla, Carla frusterà il seno di Jennifer per prima

Jennifer fu fatta mettere in piedi, le fu ordinato da Carla di prendersi i capezzoli e tirarli verso l’alto e di non lasciarli mai. Così fece e fu colpita dal primo feroce colpo. Il dolore le diede la nausea, stava per vomitare ma non lasciò i capezzoli. I colpi si susseguirono senza pietà sempre più forti. Carla voleva distruggerla perché sapeva che dopo sarebbe toccato a lei, e voleva toglierle ogni forza. Al 31 esimo colpo, Jennifer lasciò andare il seno, che ricadendo le diede una ulteriore fitta di dolore. Odiava con tutte le sue forze Carla, e quell’odio le diede forza. Prese la pressa, la mise sul seno di Carla, con Amilcare che gongolava e lanciava occhiate saettanti di puro sadismo. Strinse il più possibile le viti. Le ordinò di non muoversi mai da quel punto. E quando il seno di Carla era bello schiacciato e rosso, cominciò a colpirlo con tutte le sue forze con la frusta. Carla urlò, pianse ma non si mosse e ricevette quasi tutti i suoi colpi. Al centesimo piegò un ginocchio per il dolore, non ce la faceva più. Intervenne sadicamente il suo padrone che disse:

        Si ricomincia da 50, se ti muovi ancora lurida puttana, si ricomincia, hai capito inutile cagna? E dopo ti vendo al mio cliente indiano, che ti usa nei postriboli di Calcutta.

E le diede un ceffone in faccia.

Jennifer ricominciò e gli urli erano sempre più forti, ma Carla non si mosse più fino al colpo numero 116. Rimase anche dopo in piedi mentre Jennifer le toglieva la pressa. L’odio di Carla le sfigurava il viso.

Entrò Marco, che andò dalla sua schiava, la fece mettere carponi, le mise collare e guinzaglio e la portò nel suo ufficio. Voleva scoparla ancora più della sera prima ma si trattenne. Prese le varie pomate lenitive e le spalmò delicatamente sull’ano e sul seno. Jennifer in cuor suo lo ringraziò e fu felice di avere lui come padrone. Marco la fece riposare nella sua cuccia e le diede da mangiare. Jennifer si sfamò e si appisolò.

Alle 15 Marco, con un calcetto la svegliò, le mise collare e guinzaglio e andarono nell’ufficio di Amilcare. Quando entrarono videro una scena di puro sadismo e dolore. Jennifer vide Amilcare seduto su una poltrona, con il suo bel gessato grigio e le sue scarpe di pelle inglesi. Di fianco a lui a distanza di due o tre metri una donna magra, con un tailleur grigio, di spalle rispetto a Jennifer, con delle scarpe con un tacco a spillo di una decina di centimetri, e con il tacco ricoperto di una placca metallica. Stava eretta e usava come tappetino Carla, che era sotto di lei e aveva posizionato i tacchi sui capezzoli. Davanti a lei i due maschi erano seduti a gambe larghe su uno sgabello e avevano legato con della corda i testicoli, e la donna dondolandosi andava a colpire con il suo frustino da cavallerizza i testicoli dei due uomini. Il dondolio provocava ancor più dolore a Carla, e si dava forza per colpire. I gemiti di dolore riempivano la stanza. La donna si chiamava Sabine, era una virago di origine francese, ricchissima, il padre era proprietario di alcuni marchi di alta moda. Il suo divertimento maggiore era umiliare i maschi.

Quando sentì la porta Sabine si voltò e osservò attentamente la nuova entrata. Jennifer vide il viso osceno di questa Sabine. Era sfigurata, aveva mezza faccia orrendamente deturpata. Jennifer ne ebbe paura.

Sabine aprì bocca e disse ad Amilcare:

        Questa sarebbe il nuovo acquisto?

        Si Sabine

        Posso usarla un po’?

        Certamente, hai 2 ore

        Bene

Scese dallo zerbino, senza alcuna cura, calpestandole la pancia e camminando anche un po’ sulle cosce. Si avviò a passo svelto verso Jennifer, e una volta vicina, la squadrò, e poi le disse:

        Spogliati

La ragazza si mise in piedi, e si spogliò. Sabine la portò con il guinzaglio vicino alla sua borsa. Estrasse una pressa di acciaio per le tette. Gliela mise. Poi le mise un collare con delle punte, in modo tale che non potesse mai piegare il collo. Il dolore era già acuto. Poi cominciò a stringere la pressa. Una volta finito di chiudere la pressa, vide che la fanciulla non aveva emesso nessun grido, nessuna lacrima. La guardò e le disse:

        Brava cagnolina, così dimostri di essere una femmina coraggiosa, vediamo se arrivi alla fine così o come quella cosa là…

E indicò Carla che non si era mossa dal pavimento. La fece inginocchiare e diede 50 frustate sul seno. Il dolore era acuto. Ma non emise nulla se non dei sospiri. Qualche lacrima cadde. Ma tenne lo sguardo fiero. Sabine le tolse la pressa e il collare, poi disse di seguirla. Quando furono vicine a Carla, Sabine le diede qualche calcio per farla spostare, e mise Jennifer al posto di Carla. Salì su di lei. Posizionò i tacchi sui capezzoli. E cominciò a colpire i due maschi. Il dolore faceva impazzire Jennifer, che aveva il seno dolente per la pressa e per i colpi subiti. Ma resistette. Dopo un’ora Sabine le fece subire la violenza peggiore. Voleva vederla urlare e piangere. Chiese a Amilcare di farsi portare la sua sedia. Dopo un po’ entrò un addetto con una sedia speciale. Era alta da terra, tipo sgabello, ma con lo schienale. Non si poteva toccare per terra con i piedi che rimanevano obbligatoriamente penzoloni. In mezzo alla sedia c’era un fallo, di dimensioni generose. Era inchiodato alla sedia ed era duro come il marmo. Fece alzare Jennifer, ordinò ai due maschi di prenderla e metterla sul fallo, ovviamente dalla parte dell’ano. I due eseguirono e una volta appoggiata, questo entrò solo della punta talmente era grosso. La poverina si sentì lacerata e il bruciore della mattina lasciò spazio a una sensazione di lacerazione, ma riuscì a non dire nulla. Sabine ordinò ai due maschi di spingere con forza verso il basso e così i due fecero godendo del dolore che stavano infliggendo. Entrò tutto e Jennifer pianse, ma non disse nulla. Alla fine le due ore passarono, con Sabine che si divertì a seviziare ancora un po’ Carla e i due maschi mentre Jennifer era sulla sedia della tortura. A quel punto, Amilcare disse:

        Tempo scaduto

        Di già? Peccato

E Sabine discese, senza pietà e cura dal corpo di Carla. Jennifer era stata brava. Fu tirata su dal suo padrone dalla sedia. Si le lacrime scendevano, ma non aveva emesso alcun suono. Si girò, si mise carponi, ma le arrivò un tremendo calcio a una tetta da parte di Sabine, così solo per il gusto sadico di farlo. Un lieve guaito uscì dalle labbra di Jennifer ma resistette anche a quel colpo.

Il suo padrone le mise collare e guinzaglio e la portò via. La fece vestire e andarono a casa. Una volta a casa, Marco spedì la sua serva a in bagno. Jennifer si lavò e si truccò. Andò in cucina preparò la cena e il suo padrone arrivò e mangiò. Le diede la ciotola con la sua cena.

Andarono in salotto, e Marco le disse:

        In posizione, comincia l’allenamento

Lei eseguì e cominciò, 1- sono una cosa tua-2- sono una cosa tua…Marco era eccitatissimo, esplodeva nei pantaloni e decise di farsela. Era solo a dieci, che Marco le fu dietro e la penetrò, la scopò selvaggiamente, prima nella sua fessura anteriore dove lei ebbe un travolgente orgasmo e poi nel suo bel culetto, ci stette più tempo possibile e poi glielo mise in bocca fino a riempirla del proprio seme. Era talmente abbondante che Jennifer rischiò di soffocare e un po’ uscì dal naso, ma riuscì comunque a inghiottirlo. Marco si sedette un attimo in poltrona e Jennifer stanca, spossata e dolorante si accasciò da un lato. Lui la osservò e ebbe ancora voglia di possederla. Non riusciva a farne a meno. Si alzò si avvicinò e le disse di mettersi in posizione. La poveretta eseguì e sentì lui scendere e entrare dentro lei. Appena dentro Jennifer ebbe un orgasmo pieno, totale e assoluto. Marco la sentì gridare di piacere ed ebbe un moto di rabbia sadica, prese la frusta dal tavolino, e ad ogni colpo di bacino dentro lei corrispose una frustata alle natiche, sempre più forte e sempre più dura. Il dolore per la povera schiava era indicibile, sommato a tutte le angherie subite e le lacrime le sgorgavano copiosamente, fino a quando lui la girò le aprì le gambe e si inserì nel suo buco posteriore, aprendolo con tutta la sua forza e il suo peso. Intanto sollevato su di lei, brandiva la sua frusta sul suo povero seno. Jennifer vedeva il suo padrone che la pompava e frustava e il dolore, le lacrime e l’annullamento riempivano il suo povero cervello.

Poi uscì dal buco posteriore e glielo mise in bocca. Ogni tre stantuffate, Marco le spingeva la testa e glielo infilava in gola, e la colpiva rudemente sul corpo o sul seno, per farla urlare mentre stava soffocando. Gli dava piacere e potere. Finalmente il suo padrone uscì e inondò il suo bel viso del suo seme. La guardò soddisfatto e brandì un ultimo colpo sul seno. Il più forte. Il più doloroso. Si alzò e si sedette in poltrona. Jennifer rantolò esausta e disse solo:

        Perché?

E il suo padrone rispose senza pietà:

        Perché ne avevo voglia, e tu sei solo una cosa mia

Poi si alzò, la prese per i capelli, e la trascinò in camera da letto. La mise dentro la cuccia. Si sdraiò e si addormentò. Jennifer dormì poco per i dolori che aveva in tutto il corpo e per una domanda: cosa sarebbe successo mercoledì?

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