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Ci sono delle volte durante le quali vorrei semplicemente dimenticare.
Non andare avanti, non rimediare, semplicemente dimenticare. Per sentirmi meno stronza, meno merda.
Questa notte &egrave una di quelle volte.
Son le 4 del mattino mentre scrivo queste righe e ancora non so se saranno poche, tante o se premerò “aggiungi storia”.
Non so se il suono dei tasti della tastiera possa arrivare alle sue orecchie, in camera da letto.
Di sicuro arriva alle mie e sembra quasi che ogni tic, ogni tac delle unghie sulla plastica dei tasti, scavi un po’ di più, grattando via la scorza d’insensibilità che credevo essermi costruita dentro.
Sarà il silenzio della notte, sarà il vuoto che sento dentro, ma questo suono &egrave quasi snervante.
Eppure.
Eppure non riesco a smettere di scrivere, di muovere le dita a ritmo.
Tic tac tac tac tac pausa tac tac tic tic.

Come ogni mercoledì son uscita con le amiche.
Cinque giovani donne che, tra impegni di lavoro e vita familiare, riescono a ritagliarsi almeno una sera da passare in tranquillità.
La vita e le mie decisioni -soprattutto queste, a dirla tutta. Mai voluto un marmocchio, io- non mi hanno resa madre, ma moglie si. Ormai son 3 anni che son sposata e non mi son mai pentita d’avergli detto si.

&egrave un matrimonio felice? Si, con alti e bassi ma si, &egrave felice.
Ci siamo mai traditi? Che io sappia, fino a ieri, no, nessun tradimento.
Si, come avrete intuito, ieri ho sbagliato, non son riuscita ad evitarlo.
E si, ora, nel silenzio della notte, nella solitudine e con il solo monitor come fonte d’illuminazione, lo vedo come un errore. Come uno stupidissimo errore.

Dopo la cena ci siamo fermate a bere qualcosa, giusto per non tornare a casa troppo presto, giusto per non trovar i compagni e i mariti svegli e dover raccontare loro per filo e per segno come &egrave andata la serata, ripetendo ogni volta la stessa storia, raccontando sempre le stesse cose.
Beh, questa sera ne avrei avute, da raccontare.
Però preferisco tirar fuori tutto e lasciarlo qua, in forma scritta, piuttosto che dirlo a lui.
In fondo, non vogliatemene, voi siete degli sconosciuti.

Tic tac tac tic tac tac tac questo suono mi tirerà scema ed un po’ lo spero.

Al bancone ho scambiato due parole con un uomo, sulla quarantina, forse cinquantina.
Oh, dieci/quindici o venti anni di differenza non sono poi così tanti, non iniziate con quello sguardo.

Curato nell’aspetto, dalla buona parlantina.
Probabilmente un libero professionista.
Probabilmente ha barato ma, visti i tatuaggi ed il vestiario, &egrave sempre stato facile indovinare il mio genere musicale preferito.
Ha parlato un po’ di quando ascoltava i sex pistols, da giovane e, se devo essere onesta, mentre me ne parlava mi son ritrovata a pendere dalle sue labbra.
Certo, i bicchierini di Zacapa che giacevano sul ripiano del bancone devono aver dato il loro valido contributo, ma una buona capacità oratoria devo concedergliela.

Quando le amiche son andate via, son rimasta da sola con lui e non mi son fatta problemi ad accettare di farmi riaccompagnare da lui.
Abbiamo parlato del più e del meno, in auto. Della sua ex, delle nostre vite e, quando ha posato la mano destra sulla mia coscia, non me ne son curata.
Anzi, in quel momento, mi son sentita lusingata.
Ho preso in mano lo smartphone per guardare l’orario, mentre accostava con l’auto, puntando alla piazzola.
Il viso di mio marito mi &egrave comparso, sul display, sorridendomi poco sotto l’orario.

-me lo fai un pompino?

Così, lo ha chiesto così, senza girarci attorno, rendendo una situazione che poteva anche essere -ed era, almeno per me- intrigante, patetica.
Quando mi son girata per guardarlo, lui lo aveva già tirato fuori dalla patta dei pantaloni.
Una nuova occhiata al sorriso di mio marito, sul display, prima di chinarmi sul suo membro.

Tac tac tac tic

Per un attimo, mentre sentivo il suo pene pulsare tra le labbra, il glande liscio che scorreva contro la lingua, ho pensato che forse era il caso di finirla.
Ma &egrave stato solo un attimo, perch&egrave il mio corpo aveva già deciso per me, portando la mano a slacciare la cintura dei jeans prima, i jeans stessi poi.

Abbiamo scopato?
Si, e farlo in auto &egrave ancora scomodo come ricordavo.
Gli son salita sopra dopo essermi sfilata i pantaloni e, con le sue mani che mi artigliavano il sedere, mi son lasciata andare.
L’abbiamo fatto come due animali, mordendolo io, insultandomi lui.
E in quel momento, in quel momento ero felice, felice di tradire il mio uomo, di farmi scopare da uno sconosciuto.
Di farmi chiamare “la mia troia”.

Ed ora, in casa, con il solo ticchettio delle dita della mano sinistra sulla tastiera a farmi da accompagnamento, non riesco a non muovere le dita della destra, sfiorandomi sotto l’intimo, nell’intimità.
Guardo l’immagine di mio marito sul display del cellulare e lo immagino guardarmi mentre mi lascio scopare, mentre mi lascio usare.
Mi mordo le labbra, con forza, mentre sento l’orgasmo avvicinarsi.
E smetto d’opporre resistenza, abbandonandomi al piacere che le mie dita ed il ricordo di quanto appena accaduto mi donano.

Forse non voglio dimenticare.

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