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Racconti di Dominazione

Mai fidarsi degli sconosciuti

By 21 Settembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Eleonora si svegliò intorpidita.
Era a casa sua, sdraiata sul divano del soggiorno.
Aveva la bocca impastata, era confusa, stordita.
Lorenzo la stava osservando. Sorrideva.
Lorenzo ‘ Lorenzo ‘
Lo aveva conosciuto due settimane prima, in una grande libreria del centro, affollatissima.
Il loro, più che un incontro, era stato un scontro: lui stava consultando dei libri ed era indietreggiato maldestramente, calpestandola, quasi travolgendola.
Si era subito scusato, educatamente e, per rimediare, aveva insistito per offrirle qualcosa al bar della libreria.
Lorenzo aveva un bel viso, con due profondi occhi verdi, che sembravano sempre sorridere.
Era alto, slanciato, aveva un’aria sana ed atletica.
Le era piaciuto subito, con quei modi cortesi ed educati. Certo era parecchio più giovane di lei, aveva più o meno una trentina di anni, mentre Eleonora aveva passato da poco la cinquantina.
Anche lui sembrava mostrare interesse per Eleonora, se ne era accorta da come la guardava, mentre sorseggiavano una tazza di te, seduti nel piccolo bar della libreria.
Aveva sentito il suo sguardo soffermarsi sulle sue mani dalle dita sottili ed affusolate, si era accorta dell’attenzione con cui lui studiava i particolari del suo abbigliamento elegante e raffinato.
Sicuramente stava apprezzando anche il suo fisico snello, mantenutosi miracolosamente intatto attraverso gli anni.
Poi, quando i suoi occhi verdi avevano incontrato quelli grandi e scuri di lei, Eleonora aveva sentito una profonda emozione, ed era sicura che anche lui, in quel momento, provasse qualcosa di simile.
Nelle due settimane successive si erano visti altre tre volte.
La prima lui si era presentato con un mazzo di fiori di campo, avevano fatto una passeggiata per il centro, parlando a lungo. Aveva così appreso che Lorenzo lavorava all’università come ricercatore. Era una persona colta, educata ed un po’ timida.
La seconda volta, alla fine di un’altra lunga passeggiata, l’aveva baciata e Eleonora si era sentita rinascere. Le sembrava di essere tornata indietro, agli anni della sua gioventù, quando era bella e desiderata da tutti. Non che non avesse più ‘ammiratori’, era una donna ancora attraente, dimostrava meno della sua età, ma, con il passare del tempo, si era un po’ chiusa in se stessa.
Certo, aveva riflettuto su che futuro potesse avere una storia con un uomo molto più giovane di lei, ma poi aveva deciso di non pensarci e, una volta tanto, di prendere la vita come veniva.
Quella sera lui, dopo una romantica passeggiata lungo il fiume, l’aveva portata a cena in un ristorante delizioso, piccolo ed intimo.
Lei aveva fatto un’eccezione ed aveva bevuto anche un po’ di vino.
Normalmente non beveva alcolici, ma Lorenzo aveva insistito, con molto garbo, e le era sembrato scortese rifiutare. E poi, forse, qualche bicchiere di vino l’avrebbe aiutata a lasciarsi un po’ andare.
Avevano passato una serata bellissima, poi ‘
Lorenzo sorrideva, ma c’era qualcosa che non andava.
Non sembrava il suo solito sorriso buono. Aveva l’impressione che ci fosse nella sua espressione qualcosa di ironico, peggio, di beffardo.
Il vino. Il sapore strano.
Verso la fine della cena Eleonora era andata in bagno a rifarsi il trucco.
Al suo ritorno avevano bevuto un ultimo sorso di vino e lui aveva fatto un brindisi alla sua ‘bellissima principessa’.
Ricordava perfettamente queste parole, perché ne era rimasta molto lusingata, ma, stranamente, ora le collegava ad una spiacevole sensazione: un retrogusto strano, amaro, in quell’ultimo bicchiere di vino.
Lì per lì non ci aveva fatto troppo caso.
Si rese conto che a quel punto i suoi ricordi si facevano confusi, per poi interrompersi di colpo.
C’era sicuramente qualcosa che non andava.

Allungò lo sguardo verso il basso. Quella sera aveva indossato un vestito nero, molto attillato.
Lo aveva scelto con cura, cercando qualcosa che mettesse in risalto la sua figura snella e le sue belle gambe.
Osservò con soddisfazione le ginocchia sottili, foderate dal collant appena velato, poi lo sguardo scese più giù.
Era orgogliosa delle sue gambe, erano sempre stato il suo pezzo forte, ed anche ora, alla sua non più giovanissima età, continuavano ad attirare gli sguardi degli uomini.
Era scalza e le sue caviglie erano state legate insieme da una fascetta di plastica bianca, che risaltava, sulle calze scure, come uno strano braccialetto.
La fascetta era serrata così strettamente che poteva vedere le calze, in corrispondenza del nastro di plastica, fare delle piccole grinze. Ora che l’aveva notata, riusciva ad avvertire anche la pressione sulla pelle ed una spiacevole sensazione di costrizione.
Si rese conto che anche le sue braccia erano immobilizzate dietro la schiena, probabilmente da un oggetto identico.
Stava lentamente riprendendo possesso delle sue facoltà; la sua vista era un po’ annebbiata e le girava la testa, ma l’effetto del vino drogato stava scemando rapidamente.
Per terra, sul pavimento del soggiorno, c’erano le sue scarpe, quelle eleganti, con il tacco alto, più in là due grandi valigie aperte e vicino un mucchio di roba.
Erano le sue cose: argenteria, quadri, la videocamera, il computer portatile, le pellicce e tanti altri oggetti.
Lorenzo stava riempendo le valigie con cura, cercando di disporre il tutto in maniera ordinata.
Ladro.
Sì, un lurido ladro che approfittava della stupidità delle cinquantenni smaniose, convinte di essere ancora irresistibili.
Se lei si fosse sposata a diciotto o venti anni, Lorenzo avrebbe potuto addirittura essere suo figlio.
Stupida. Aveva pensato che fosse sufficiente avere ancora un corpo da adolescente, per far cadere tutti gli uomini ai suoi piedi.
Ora cosa le avrebbe fatto?
Si sarebbe accontentato di derubarla, oppure l’avrebbe violentata, o peggio, uccisa, per non lasciare testimoni?
Lui si allontanò. Lo sentì rovistare nella sua stanza da letto. Tornò con il portagioie, ne rovesciò il contenuto sul tavolinetto del salotto e cominciò a selezionare i suoi gioielli, come se Eleonora neanche esistesse.
L’indifferenza dell’uomo nei suoi confronti la stava irritando. Aveva creduto fino ad ora, di aver fatto colpo su quel bel ragazzo atletico, aveva pensato che il suo fascino e la sua bellezza non avevano tempo, che bastava un po’ di trucco ed un paio di occhiali scuri per mascherare le prime rughe.
Si era illusa che i suoi capelli scuri, lunghi e sciolti sulle spalle, l’avrebbero fatta passare per una ragazza.
Probabilmente Lorenzo aveva riso di lei sin dall’inizio, si era divertito alle sue spalle, magari pensava che era solo una vecchia befana in cerca di avventure ed aveva impersonato la parte del giovane educato ed un po’ timido, per sedurla e derubarla meglio.
Ci mise pochi secondi a separare i pezzi di bigiotteria dal resto.
‘La cassaforte, la combinazione della cassaforte.’
Le aveva detto solo queste parole, le sembrava impossibile che quella stessa voce, che Eleonora aveva fino ad ora trovato affabile, gentile, piena di affetto, potesse improvvisamente apparirle così fredda e distaccata.
‘Non ho una cassaforte.’
La frase le era uscita istintiva. Non era vero, da qualche mese aveva una piccola cassaforte a muro, nascosta dietro un calendario in cucina. Lui, però, non poteva saperlo, Eleonora non ne aveva mai parlato con nessuno. Sicuramente, aveva tirato ad indovinare, perché una donna ricca come lei, era facile che avesse una cassaforte.
‘Bugia, mia piccola principessina …’ Nel tono della sua voce non c’era più traccia della gentilezza affettuosa usata fino ad ora. Anche al ristorante l’aveva chiamata principessa, ma mentre prima le sembrava di sentire ammirazione per lei, per il suo corpo, per la sua persona, ora avvertiva solo la gelida indifferenza di chi stava facendo il proprio lavoro, era intralciato da uno stupido contrattempo ed aveva fretta di concludere.
E poi quel diminutivo, suonava così falso e beffardo.
‘…in cucina, dietro il calendario appeso al muro, c’è una cassaforte’. Le disse con il tono paziente che si potrebbe usare nei confronti di una bambina capricciosa. ‘L’hai fatta mettere cinque mesi fa, quando hai ereditato un mucchio di gioielli da una tua vecchia zia.
La combinazione della cassaforte, principessa, ORA’.
La sua voce, apparentemente calma, aveva assunto una sfumatura minacciosa, nel finire la frase, calcando l’accento sull’ultima parola.
Eleonora era una donna decisa, per niente remissiva. Forse era anche per quello che non si era mai sposata. Il suo carattere puntiglioso, a volte capriccioso, nonostante la sua bellezza e la sua intelligenza, alla lunga aveva scoraggiato i numerosissimi ammiratori e pretendenti.
‘NO!’
Le uscì istintivo, deciso. Lei non si era mai assoggettata al volere di nessuno, da quando aveva abbandonato la sua famiglia, che, invece, aveva sempre cercato di tenerla sottomessa.
Alla fine aveva deciso di stare da sola, proprio per essere libera.
Non non avrebbe certo dato retta all’ultimo arrivato.
Lorenzo non disse nulla.
Le passò le braccia sotto il corpo e la sollevò dal divano.
Eleonora era alta, ma aveva un corpo snello, sottile e leggero, così, per quell’uomo giovane e robusto, non fu un gran fatica sollevarla di peso.
Un’ora prima, ad essere sostenuta da quelle braccia forti, Eleonora avrebbe provato chissà quali emozioni, ora, invece, era solo spaventata.
Si rendeva conto che quell’uomo avrebbe potuto farle qualsiasi cosa, perché lei era sola ed indifesa.
La depositò sul tavolo del soggiorno, a pancia in giù, con il busto sul piano di legno e le gambe a penzoloni.
Lo fece senza violenza, ma con decisione e distacco, come se lei fosse un pacco qualsiasi.
La prese per le caviglie, legate insieme dalla fascetta, e poi, rapidamente, spinse i suoi piedi verso sinistra, fino alla base della zampa del tavolo.
Eleonora sentì una fascetta che veniva fatta passare tra il legno del tavolo e la sua caviglia sinistra.
Lui serrò la fascetta, poi tagliò quella vecchia, che teneva insieme le due caviglie.
A questo punto le spostò la gamba destra fino all’altra zampa del tavolo e la bloccò con un’altra fascetta.
Era immobilizzata, sdraiata sul tavolo, con le gambe fortemente divaricate ed il sedere proteso all’indietro, in una posizione scomoda ed imbarazzante.
Il tavolo, un vecchio mobile di famiglia, aveva le zampe intagliate e l’uomo aveva fatto in modo di serrare le fascette in corrispondenza di un restringimento, per cui i suoi piedi non toccavano terra. Infatti, anche spingendo verso il basso con tutte le sue forze, le strisce di plastica non potevano scorrere lungo le zampe del tavolo.
Le arrotolò il vestito nero fino a scoprirle completamente il sedere.
Eleonora era rimasta impietrita, sorpresa dalla velocità con cui erano cambiate la situazione e la sua posizione: un attimo prima era sdraiata sul divano ed ora era legata ad un tavolo con un uomo che la stava spogliando.
‘Però! Che bel culetto, principessa! Sodo, rotondo e carnoso. Sarà un vero piacere’.
Aveva il tono allegro di un bambino che ha appena scoperto un piccolo ed inaspettato tesoro, un giocattolo nuovo con cui divertirsi.
Aveva però la spiacevole sensazione che si sarebbe divertito solo lui.
Eleonora era sempre stata consapevole di avere un didietro favoloso, abbastanza sporgente da notarsi, ma non eccessivo da apparire volgare. Avvertiva spesso lo sguardo ammirato, quasi ipnotizzato, degli uomini, quando lei gli camminava davanti, ancheggiando leggermente, con un pizzico di malizia.
Anche Lorenzo, o come diavolo si chiamava realmente, doveva averlo notato.
In un’altra situazione, questo l’avrebbe lusingata, ma in questo frangente, legata mani e piedi, piegata a novanta gradi, denudata ed in balia di un uomo evidentemente male intenzionato, tutta la faccenda assumeva un significato inquietante.
E poi c’erano le sue ultime parole, che non promettevano nulla di buono.
Lui le arrotolò verso il basso il collant velato, facendolo scendere fino a metà delle cosce lunghe e snelle.
L’aria fresca che colpì la sua pelle nuda finì di svegliarla.
Poteva immaginare come sarebbe continuata la faccenda: le avrebbe abbassato o addirittura strappato le mutandine e poi l’avrebbe violentata, ne era sicura. In quella posizione e strettamente legata, lei non avrebbe potuto opporre la minima resistenza.
Il commento ammirato riferito al suo sedere, poi, le dava quasi la certezza che l’uomo l’avrebbe penetrata di dietro.
Era un’esperienza che aveva già provato, o meglio, aveva tentato, molti anni prima, con il suo primo ragazzo. Avevano deciso di provare a farlo ‘in quell’altra maniera’. Forse era stata la loro inesperienza, ma erano soltanto riusciti a farsi abbastanza male. Alla fine, dopo ripetuti ed infruttuosi tentativi, il ragazzo aveva sentenziato che lei aveva ‘il culo troppo stretto’, e la cosa era finita lì.
Da allora, per paura di provare dolore, aveva sempre accuratamente evitato questo tipo di rapporto sessuale, con gran dispiacere dei suoi partner, che, apprezzando particolarmente quella parte di lei, gli lo avevano chiesto più volte, insistendo pure.
La differenza era che lei, pur non volendo assolutamente, in questo caso, avrebbe potuto fare ben poco per impedirlo.
Pensò che, al massimo, avrebbe potuto provare a far ribaltare il tavolo, ma si rese conto di non avere alcun punto di appoggio, perché i suoi piedi legati, per quanti sforzi facesse, non sarebbero mai arrivati a toccare terra.
Poteva solo aspettare.
Aspettare i suoi comodi.
Aspettare che decidesse come e quando abusare di lei.
Aspettare senza minimamente riuscire a vedere quello che stava accadendo alle sue spalle.
Attese così, pazientemente, che le mani di lui finissero di denudarla. Doveva rimanere tranquilla, impassibile, perché non aveva nessuna possibilità di opporsi.
Lorenzo invece, inaspettatamente, prese una sedia, la sistemò di fronte a lei e si sedette a cavalcioni.
‘Allora, principessina, ce la siamo ricordata questa combinazione?
Principessina ‘ principessina ‘ forse una volta.
Sei solo una vecchia befana rinsecchita. Ti credi bella e irresistibile vero?
è stato un gioco da ragazzi perché sei talmente sicura del tuo fascino che non hai dubitato neanche un momento di me.’
‘Ma perché ‘?’
‘Semplice. è il mio lavoro. Coltivo le illusioni di donne sul viale del tramonto in cambio dei loro soldi.
Non ti credere che sia facile farselo drizzare nonostante la vista di rughe, tette cadenti, e cosce piene di cellulite. Il tutto in cambio di qualche regalo costoso da rivendere in fretta, magari su eBay.
Così ultimamente ho deciso di non aspettare l’elemosina, e di prendermi direttamente tutta la cassetta delle offerte.
Un paio di colpetti al mese e riesco a campare bene, oltretutto con pochi rischi, perché quasi sempre le befane si vergognano e neanche vanno in commissariato.
Beh, che fai ora? La mia principessina si mette a piangere?
Credevi di aver trovato il principe azzurro?
Adesso ti asciugo gli occhioni e tu mi dici la combinazione, così te ne puoi andare buona buona a dormire.’
‘Vaffanculo!’
Glie lo aveva gridato in faccia ed era stata lei la prima a stupirsi, di quell’espressione volgare, che non faceva parte del suo linguaggio usuale.
Negli occhi di Lorenzo era passato un bagliore sinistro, poi si era alzato di scatto, facendo rovesciare la sedia, ed era sparito nuovamente alla vista di Eleonora.
Cominciò ad accarezzarle dolcemente il sedere. Faceva scorrere le dita sui ricami delle sue mutandine, quasi si trattasse di un gioco innocente tra innamorati.
La palpeggiò con soddisfazione stringendo tra le dita quelle che definì ‘due belle chiappette sode’.
Le diede anche un bacio sul sedere, dopo averle sollevato delicatamente il bordo inferiore dello slip.
‘Quelle come te’, le disse, ‘sai come si possono definire? Dietro liceo e davanti museo. Da dietro non sei niente male: due belle gambe ed un culetto invitante, ma davanti sei un disastro, una befana secca e rugosa, con le tette piccole e, probabilmente, anche un po’ mosce.
Così, questa notte, mi occuperò del tuo lato migliore.’
Le accarezzò le cosce nude.
Poi scese più in basso. Sentiva le mani di Lorenzo che la toccavano attraverso la sottile stoffa del collant. Esplorò le ginocchia piccole e rotonde, i polpacci ben modellati, le caviglie sottili, i suoi piedi piccoli e delicati, facendole anche il solletico sotto le piante, tenute sollevate da terra dalle fascette che la legavano alle zampe del tavolo. Le sue mani scendevano e poi risalivano, dolcemente, non tralasciando neanche un centimetro della sua pelle morbida.
In una situazione differente, anche lei avrebbe apprezzato questo trattamento, ma il fatto di essere immobilizzata e la scoperta dei reali motivi per cui Lorenzo si era interessato a lei, la tenevano in apprensione.
Sicuramente lui si stava eccitando. Non poteva vederlo in faccia ma ne avvertiva il respiro leggermente affannoso e poi le sembrava che, con il passare dei minuti, il modo con cui la toccava, si fosse fatto più intenso, più profondo.
Si sorprese a pensare, che, tutto sommato, non le dispiaceva affatto essere toccata così da lui.
In fin dei conti, pensò, dovendo scegliere, meglio essere violentata da un uomo giovane ed attraente, piuttosto che essere uccisa da un rapinatore.
E poi, doveva ammettere che, probabilmente, anche senza l’utilizzo del vino drogato, la serata sarebbe finita a casa sua e, se lui si fosse fatto avanti, sarebbero andati a letto insieme. In fin dei conti, fin dal loro primo incontro, aveva desiderato fare l’amore con lui.
Già, però non legata, spogliata e violentata. C’era una certa differenza.
‘Principessa, la combinazione’.
La voce di Lorenzo le sembrò lontana, quasi un sussurro.
‘No’.
Questa volta lo disse a voce bassa.
Sentì il rumore delle mutandine che si strappavano, poi lui uscì dalla stanza.
Lo sentì trafficare in cucina, aprire il frigorifero, armeggiare con stoviglie e posate.
Tornò con un piattino con dentro una grossa fetta di burro.
All’inizio Eleonora non capì. Pensò che le volesse far mangiare qualcosa, ma in tal caso avrebbe dovuto portare anche una fetta di pane e della marmellata, per esempio.
Poi sentì qualcosa di freddo che le veniva bruscamente inserito nell’ano.
Ebbe un sussulto.
Sentiva le mani di Lorenzo che le strofinavano intorno e dentro il burro, che si scioglieva rapidamente a contatto del calore del suo corpo.
La sensazione di freddo svanì. Il burro si era sciolto.
Di nuovo.
Lo stava usando un po’ alla volta.
Pezzetto dopo pezzetto, l’uomo utilizzò tutta la fetta, lubrificandola con cura meticolosa, sia fuori che in profondità.
Sembrava quasi un rituale, una cerimonia di qualche strano culto esoterico.
Alla fine le infilò dentro due dita e le fece scorrere più volte avanti ed indietro, cercando anche di allargare il foro, mentre lei gridava.
Faceva male e Eleonora pensò con paura a cosa avrebbe provato quando ci avrebbe conficcato quell’altra cosa.
Lo senti bofonchiare qualcosa come ‘bene, bene’.
Se prima poteva avere qualche dubbio, ora era assolutamente certa di come sarebbe andata a finire.
Doveva fare qualcosa. Non voleva. Lo avrebbe impedito con tutte le forze.
Si sentì allargare a forza le natiche.
Qualcosa le si appoggiò contro.
Non era fredda e morbida come prima, non era più burro.
Era calda e decisamente più solida e più grande.
Si ritrasse bruscamente in avanti, o meglio, cercò di farlo.
Il bordo del tavolo le si conficcò nella pancia ma, nonostante i suoi sforzi, riuscì a spostarsi solo di pochi, inutili, centimetri.
Trattenne il respiro e contrasse il ventre più che poteva, guadagnando altro prezioso spazio, ma la cosa era sempre lì, che premeva, e più lei si ritraeva e più questa si avvicinava e spingeva.
Cercò di dimenarsi, inarcando la schiena e muovendosi da sinistra a destra ma, i piedi legati alle zampe del tavolo rendevano la cosa impossibile.
Alla fine dovette desistere e riassunse la posizione iniziale.
Nel fare ciò fu costretta a spostarsi indietro di quel tanto che aveva guadagnato all’inizio, spingendo contro il tavolo e contraendo la pancia.
Sentì il pene dell’uomo che le entrava dentro, mentre lui, nel frattempo, ne approfittava per spingere maggiormente.
‘Brava, principessa, hai fatto tutto da sola’.
Eleonora cacciò un grido strozzato.
Era entrato.
Faceva male nonostante il burro. Il suo pene era grande e lui l’aveva penetrata con decisione e rudezza, come per farle pagare la sua resistenza di prima: lei lo aveva sfidato e lui le stava facendo vedere chi comandava.
Ora si muoveva ritmicamente avanti ed indietro, come se stesse cercando di farsi strada meglio, incoraggiandosi con la voce.
Lo sentiva, mentre ridacchiando, canticchiava, a ritmo del suo movimento: ‘hop, hop, hop …’
Eleonora urlava per il dolore, mentre lui continuava imperterrito.
Aveva l’impressione che, ad ogni ‘hop’, entrasse più in profondità.
Con il passare dei minuti il suo pene si era fatto più grande e la sensazione di dolore aumentava, mentre sentiva i pantaloni sbottonati sfregare contro il suo sedere.
Lo sentì irrigidirsi per un attimo, poi aumentò l’intensità del movimento, le sue grandi mani le si posarono fermamente sulle spalle, avvertì i testicoli di lui che premevano con forza sulle sue natiche, infine arrivò la colata calda dello sperma.
Rimase ostentatamente dentro di lei, in piedi, anche dopo aver raggiunto l’orgasmo, per un paio di minuti, poi, una volta estratto il pene, lo ripulì strofinandolo sulle sue cosce nude.
Eleonora era distrutta. Stordita dal dolore, ma era l’umiliazione della violenza appena subita ed il terrore per quello che le sarebbe potuto accadere in seguito, a farla stare peggio.
In mezzo al velo creato dalle lacrime, impastate con i resti del suo trucco, scorse gli occhi verdi di Lorenzo che la fissavano.
Si era piazzato ancora sulla sedia di fronte a lei e la guardava con freddo distacco.
‘La combinazione, la combinazione, mia bella principessa dal culetto d’oro’.
Fu presa da una rabbia sorda. Non si sarebbe assoggettata, a nessun costo.
‘No,no,no!’.
Lorenzo si mise di nuovo alle sue spalle.
‘Come vuoi, principessa’.
Provò ad abbassarle ancora il collant, ma le gambe divaricate impedivano questo movimento. Lei sentì allora qualcosa, probabilmente un coltello, che incideva il tessuto vicino alla sua coscia sinistra.
Eleonora sentì il rumore della stoffa lacerata poi avvertì che le sue gambe erano più libere di muoversi. A questo punto lui arrotolò le due parti del collant, ormai separate, fino alle caviglie della donna.
Ora avvertiva nettamente il freddo sulla sue gambe ormai completamente nude.
La penetrò ancora.
Sempre di dietro. Di colpo e senza nessun preavviso.
Anche questa volta Eleonora cercò di resistere. Non aveva usato nuovamente il burro, ma lo sperma che ancora continuava ad uscirle, aveva ben lubrificato la parte.
Non poteva muoversi, non poteva né fuggire né colpirlo, ma poteva provare a ‘sbarrargli la porta’, cercando di chiudere.
Sentendo che lei cercava di opporsi, di non farlo entrare, allungò una mano in mezzo alle sue gambe, ficcandole due dita nella vagina.
Lei, presa alla sprovvista, gridò e, allo stesso tempo, mollò un attimo.
Lorenzo ne approfittò per spingere dentro il suo pene.
Ora Eleonora singhiozzava disperatamente, le sue difese stavano cedendo.
Lui si muoveva ritmicamente, avanti e indietro, con veemenza, scuotendo il corpo di Eleonora, e, ogni volta che spingeva in avanti, lei emetteva un gemito di dolore.
Sembrava non finire più. Lei avrebbe voluto riposare, sdraiarsi, abbandonare questa scomoda posizione, ma le fascette che le bloccavano le caviglie le impedivano ogni movimento.
Un po’ di pace. Una serie di scossoni più forti degli altri le fece capire che l’uomo aveva raggiunto l’orgasmo.
Si addormentò dopo che lui ebbe sfilato il suo pene, mentre le sperma defluiva lentamente dal suo ano dilatato ed indolenzito.
Fu svegliata dalla voce dell’uomo.
‘Allora, mia bella principessa ex culetto d’oro, te la ricordi questa combinazione?’
La fece riposare un po’, poi la penetrò ancora.
Questa volta Eleonora non fece in tempo a reagire, perché era troppo stanca. Prima ancora di capire cosa stesse succedendo, il pene di Lorenzo le era entrato fino in fondo, dolorosamente.
La storia si ripeteva, sembrava un incubo senza fine. Non si sarebbe mai stancato.
Anzi, sembrava che più passava il tempo e più lui trovava nuove energie.
Questa volta lo tirò fuori proprio sul più bello, forse lo aveva fatto apposta. Sentì gli schizzi dello sperma caldo che finivano sulle sue natiche, poi la colata appiccicosa che scendeva lungo le gambe. Si addormentò ancora.
Fu svegliata dalle sue carezze sul sedere.
Con sorpresa, sentì le dita di lui che da dietro cercavano la sua vagina, facendosi strada tra i peli del pube. Cercò di ritrarsi ma era immobilizzata su quel dannato tavolo.
La allargò bruscamente, causandole una fitta dolorosa, poi, di colpo, inserì il pene.
Eleonora urlava, mentre lui la possedeva con foga violenta, al punto che il tavolo si sollevava sobbalzando.
Si accorse che stava iniziando a provare piacere. Si vergognava, ma non poteva farci nulla e non sarebbe riuscita a nasconderlo.
Quanto avrebbe resistito ancora?
E perché resistere? Se non poteva impedirlo, tanto valeva prendersi un po’ di piacere.
Lui si era accorto del cambiamento e sembrava maggiormente eccitato.
Ora non faceva più male perché il suo sesso, completamente bagnato, si era aperto ed aveva accettato l’intruso, che entrava ed usciva dentro di lei.
Lei respirava profondamente a bocca aperta, mentre sentiva l’eccitazione che la prendeva sempre di più.
Era come se dentro di lei ci fossero due persone: una Eleonora sofferente, spaventata ed umiliata che stava subendo uno stupro brutale e violento, ed un’altra Eleonora che invece partecipava a quell’atto sessuale e sentiva il piacere che cresceva dentro di lei, fino a diventare incontenibile.
La combinazione. Glie l’avrebbe detta.
Forse così l’avrebbe lasciata sola. Umiliata, violentata, derubata, ma viva.
No! se glie la diceva avrebbe smesso e se ne sarebbe andato, non voleva che se ne andasse proprio ora.
‘Basta! Basta! Te la dico, la combinazione…’.
‘… quattro ‘ sette …’.
Ma lui non l’ascoltava. Avrebbe prima finito quello che stava facendo, poi si sarebbe dedicato alla cassaforte.
‘… sette ‘ otto …’.
Arrivò l’orgasmo, mentre lei diceva gridando, tutto d’un fiato, gli ultimi numeri.
‘… uno ‘ uno ‘ tre ‘ otto’.
La lasciò sola e continuò a trafficare per l’appartamento, mentre lei singhiozzava, i lunghi capelli scuri scompigliati. La Eleonora che aveva goduto di quel rapporto inaspettato e violento era scomparsa.
‘Brava, hai visto che poi non è andata così male. Alla fine ti sei pure divertita. Non dire di no, ti ho vista, sai.
Sono sicuro che ti andrebbe di rifarlo, ma ora è tardi, devo andare.’
Chiuse le valige e, prima di andarsene, le liberò polsi e caviglie dalle fascette, mettendola a sedere sul divano.
Eleonora lo vide sparire attraverso la porta di casa e si addormentò sul divano.
Quando si svegliò il sole era già alto.
Avrebbe telefonato in ufficio dicendo che non si sentiva bene, poi si sarebbe fatta una doccia, infine avrebbe prenotato un appuntamento dal suo parrucchiere: forse era venuto il momento di tagliare i capelli.
Mentre sotto il getto tiepido della doccia toglieva le ultime tracce di quella notte, le tornò in mente una raccomandazione di sua madre, di quando era bambina: ‘mai fidarsi degli sconosciuti.

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