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Racconti di Dominazione

Miriam

By 12 Novembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Questo è un remake del racconto “l’umiliazione di Miriam”, scritto da LadyPassion.
L’ho trovato interessante come soggetto (mi ricordava tantissimo le storie che scrivo io) ed era scritto anche abbastanza bene per essere di un autore nuovo (si tratta del primo racconto in assoluto di LadyPassion) e così, con il suo permesso, ho pensato di rivisitarlo, pensando anche ad un possibile seguito, magari con la sua collaborazione.

La sveglia, maledetta sveglia!
Miriam era sempre stata pigra ad alzarsi la mattina, ma non poteva farci nulla, doveva andare all’università, assolutamente.
Una doccia veloce, fatta più per svegliarsi che per altro, una pettinata ai suoi lunghi capelli castani e poi, via di corsa.
Si guardò allo specchio.
Miriam si piaceva.
Anche se non aveva il fisico per le sfilate in passerella, con il suo uno e settanta non sfigurava affatto, facendo passare in secondo piano i suoi fianchi forse un po’ troppo larghi.
Si guardò il seno mentre indossava un reggiseno nero un po’ scollato.
Le piacevano le sue tette, grandi e sode, ed era orgogliosa quando i ragazzi, all’università, sbirciavano nella scollatura della camicetta un po’ sbottonata.
‘Che mi metto?’
Scelse una camicetta beige ed una gonna marrone poco sopra al ginocchio.
Prese dal cassetto un collant un po’ rovinato su una caviglia, tanto avrebbe messo gli stivali, e completò il tutto con una giacca bianca un po’ aderente.
‘Accidenti, è tardissimo.’
Doveva fare parecchia strada per arrivare all’università, ma era stata costretta a scegliere quel monolocale un po’ fuori mano, per ragioni di costo.
L’unico problema era il cantiere.
Lungo la strada c’era un cantiere edile e, tutti i giorni, passandoci davanti, doveva subire i commenti pesanti e rozzi degli operai.
Un paio di volte si erano pure avvicinati, ma era stato sufficiente allungare il passo, per scoraggiarli.
Avrebbe potuto cambiare marciapiede?
Certo, però non l’aveva mai fatto, un po’ per abitudine, un po’ per comodità, perché poi, per arrivare all’università, avrebbe dovuto traversare di nuovo e forse, perché tutto sommato, quegli apprezzamenti, anche se volgari, non le dispiacevano.
‘Ehi, bella gnocca, dove vai?’
Eccoli, si erano accorti di lei.
‘Fermati un attimo, dai, faccela vedere!’
‘Però, c’ha un gran culo.’
‘Vieni qua che ti facciamo un bel servizietto.’
I soliti commenti.
Miriam accelerò il passo, finché le voci degli operai non furono sovrastate dai rumori del traffico mattutino.
Sorrise, mentre riprendeva la sua andatura normale.
Sapeva benissimo che quando camminava veloce, con i tacchi alti, il suo culo tendeva ad ondeggiare.
Era troppo grande?
A lei piaceva e, evidentemente, piaceva anche a quegli operai.
Li aveva un po’ provocati?
Beh, sì!
Una piccola ed innocente provocazione, passare davanti ad un branco di maschi, ondeggiando il culo, e poi la gonna, appena sopra al ginocchio, aveva un bello spacco, che si apriva vistosamente quando lei allungava la falcata.
Era stata una giornata lunga e pesante, all’università, e quando finalmente aveva preso la via del ritorno, stava facendo buio.
A quell’ora il cantiere era chiuso, non avrebbe sentito di nuovo i commenti degli operai.
La strada era deserta e Miriam camminava veloce, non vedeva l’ora di togliersi gli stivali e sdraiarsi un po’ sul divano.
Stava costeggiando la recinzione di lamiera grecata del cantiere, quando sentì un rumore.
Le era caduto qualcosa dalla borsa.
Un oggetto scuro era finito in terra ed era scivolato sotto la recinzione, che in quel punto era rialzata da terra di un palmo buono.
Si rese conto che aveva la tasca laterale della borsa aperta, e l’oggetto in terra era il suo portafogli.
Per fortuna se ne era accorta.
Beh, il cantiere era chiuso, sarebbe bastato inchinarsi e raccogliere il portafogli caduto.
Proprio mentre si abbassava, lo vide sparire, portato via rapidamente da una mano spuntata improvvisamente.
Fu allora che capì perché solo in quel punto la recinzione non arrivava fino a terra: in quel tratto c’era un’apertura, un uscita di servizio del cantiere.
Quella porsione di lamiera ruotò cigolando e Miriam si trovò davanti un giovane con un giubbotto di pelle sdrucito.
Uno degli operai, sicuramente, trattenutosi chissà per quale motivo.
Teneva in mano il suo portafogli e sorrideva.
‘Guarda guarda chi si vede’.
‘Per favore mi ridia il portafogli’.
‘E tu in cambio che mi dai?’
Miriam iniziò ad aver paura. La faccenda stava prendendo una brutta piega.
Sola, con uno degli operai, con il buio che si avvicinava e la strada deserta.
Per un attimo fu tentata di squagliarsela, ma non poteva lasciargli il portafogli, con i soldi, i documenti e la carta di credito.
‘Ho trovato un oggetto smarrito, ho diritto ad una ricompensa.’
‘Va bene, ha ragione, le darò dei soldi, adesso, per favore me lo ridia.’
‘Soldi? Puoi fare molto meglio, lo sai, vero?’
Accidenti, si metteva male.
Miriam, lascia perdere, mettiti a correre, non ti verrà dietro per strada, pazienza per il portafogli.
L’uomo, prima che lei riuscisse a decidere, la scansò di lato e spinse il pezzo di recinzione che si richiuse con un fragore metallico.
Era dentro al cantiere, con la notte che si avvicinava, in balia di uno sconosciuto.
La prese per un polso e le torse forte il braccio, costringendola a girarsi.
Era robusto e la sua grande mano riusciva a tener bloccati, dietro la schiena, entrambi i polsi di Miriam.
La costrinse a camminare spingendola, con la mano libera, piazzata sul sedere, approfittando così per palparle bene le chiappe.
Le fece fare solo pochi metri, fino ad una piccola baracca prefabbricata.
La ragazza era come paralizzata dalla paura e neanche si rese conto di quello che stava accadendo.
Fu questione di pochi attimi, tirò fuori da una tasca del giubbotto un paio di manette e le fece scattare sui polsi di Miriam.
Poi si allontanò di un passo per osservare la scena.
La ragazza era bloccata, con la braccia dietro la schiena, dalle manette che passavano intorno al tubo della grondaia che scendeva dal tetto della baracca.
Libera di muoversi, in parte, ma impossibilitata ad andar via.
‘Sorpresa? Questa non te l’aspettavi vero?’
‘Per favore, mi lasci andare. Si prenda i soldi, il portafogli, ma mi lasci andare.’
Stava per mettersi a piangere.
‘Ma non eri tu quella che era passata stamattina, come tutte le mattine, sculettando, con le tette che facevano hop hop al ritmo dei tuoi passi, manco fossero ammaestrate?
Ti diverti a sfotterci vero?
Pensavi guarda questi operai sfigati, a farsi il culo sul ponteggio, mentre io porto a spasso la mia bella fichetta.
Cosa pensi tutte le mattine? Magari che ce lo fai diventare bello duro e poi ‘ via, sparita all’orizzonte, e questi poveri fessi ad aspettare il tuo nuovo passaggio, magari la mattina dopo?’
‘Per favore, la prego, mi lasci andare, non lo farò più …’
‘… oh, di questo ne sono sicuro, dopo il servizietto che ti farò.’
Le sbottonò la giacca bianca e Miriam cominciò a gridare mentre tentava di tenerlo lontano scalciando.
L’uomo fece un balzo di lato e si mise fuori della portata dei piedi della ragazza.
‘Stammi a sentire, puttanella, se fai la brava, dopo ti faccio tornare a casa, ma se non la pianti subito, quando avrò finito con te, ti lascio tutta la notte ammanettata al tubo, con le tette di fuori e la fica all’aria, ad aspettare l’arrivo, domani mattina, dei miei compagni, che saranno felicissimi da fare la tua conoscenza.
A proposito io mi chiamo Ivan ‘ e tu?’
‘Miriam.’ Rispose lei con un filo di voce, mentre pensava all’assurdità della scena: una giovane donna ammanettata al tubo di una grondaia, che si scambiava le presentazioni con un uomo che si apprestava a violentarla.
In ogni caso si era calmata. Non poteva far nulla per impedire quello che sarebbe avvenuto tra poco e, una sua reazione, avrebbe solo peggiorato la situazione.
Ivan finì di sbottonarle la giacca poi si dedicò alla camicetta.
Andò per le spicce, prese i due lembi di stoffa e tirò forte verso fuori.
I bottoni schizzarono via e Miriam rimase con il solo reggiseno, con i capelli che le ricadevano sulle spalle nude.
‘Belle tette. Così, a occhio, direi che porti la terza, vero Miriam?’
La ragazza annuì e lui infilò le mani dentro le coppe.
‘Dai, che adesso le liberiamo.’
Aveva afferrato con forza i suoi seni e, tirandoli verso l’alto, li aveva fatti uscire dal reggiseno.
Miriam sentiva l’aria fredda della notte sulla pelle nuda mentre i capezzoli si erano induriti.
Effetto del freddo o si stava eccitando?
Anche Ivan se ne era accorto.
‘Ti piace vero? Si vede che sei proprio una puttanella.’
Le prese i capezzoli tra le dita, li strinse forte e poi li torse.
Miriam gridò.
‘Fa male? Però ti piace, te lo leggo negli occhi.’
Quando vide spuntare tra le mani dell’uomo un grosso taglierino ebbe veramente paura.
Guardava paralizzata dal terrore la lama affilata che si avvicinava ai suoi seni nudi.
Era un pazzo, l’avrebbe sfregiata, forse uccisa.
Invece infilò la lama sotto la stoffa nera del reggiseno, proprio in mezzo alle coppe e tirò.
L’indumento si aprì liberando del tutto il suo contenuto.
‘Ah, Miriam, avevi paura che ti rovinassi le tue belle tette. Non mi dire. Non farei mai una cosa simile ‘ a meno che tu non decidessi di fare la preziosa con me.’
Cominciò a toccarle, poi ci tuffò dentro la faccia.
Miriam sentiva i capezzoli che si facevano sempre più duri e le scappò un gemito.
‘Puttana, sei proprio una puttana.’
Cominciò a schiaffeggiarla sui seni.
Vedeva le sue tette sballottate di qua e di là. La stava colpendo abbastanza forte da farle male, ma non così tanto da farla gridare.
Erano diventate rosse e si vedevano qua e la i segni delle dita.
‘Vediamo se sei già in calore.’
Le infilò una mano in mezzo alle cosce e Miriam, istintivamente, chiuse le gambe.
Solo allora si accorse di essere completamente bagnata.
‘Ma sei proprio una troia! La tua fica si sta sbrodolando addosso.
Vedrai che ‘sta sera ci divertiremo.’
Le disse mentre le abbassava il collant scuro fin sotto le ginocchia.
Miriam cercò di impedirglielo, ma con poca convinzione e, poco dopo anche lo slip nero segui la stessa strada.
L’aria fredda che le passava in mezzo alle gambe la risvegliò, ed ebbe un ultimo sussulto, prima di cedere definitivamente.
Riprese a scalciare, ma quando lui riuscì ad infilarle due dita in mezzo ai peli del pube bagnati fradici, lei allargò definitivamente le cosce e lo lasciò fare.
La stuzzicò a lungo a quando lei proprio non ne poteva più, si aprì i pantaloni.
‘Scommetto che muori dalla voglia di succhiarmelo, vero?’
E mentre diceva questo le aveva preso il clitoride tra due dita e glie lo stava letteralmente strizzando.
‘Sei proprio una troia, una grandissima troia.’
La stava umiliando ma aveva ragione, si sentiva proprio una troia.
Il suo sesso, sempre più eccitato continuava a colare, si sentiva le gambe zuppe e l’aria fredda della notte che le colpiva le cosce nude e bagnate, le dava una sensazione stranissima: freddo fuori e caldo rovente dentro.
Stava per venire, legata e spogliata di fronte ad un uomo sconosciuto che si apprestava a ficcarglielo in bocca.
No questo no, il pompino non glie lo avrebbe fatto. Era troppo.
‘Dai su, da brava, adesso ti inginocchi ed apri bene la bocca.’
‘No per favore, questo no, la prego.’
Lui neanche le rispose, le posò le mani sulle spalle e cominciò a spingerla verso il basso.
Era forte e lei era stanca morta.
Le manette che la bloccavano al tubo della grondaia le impedivano di allontanarsi ma la lasciavano libera di abbassarsi, così, sotto la spinta della mani di Ivan, Miriam piegò le ginocchia e le poggiò a terra.
Glie lo stava strofinando sul viso.
Era grande e duro e lui continuava a passarglielo di punta sulle labbra cose se fosse stato un tubetto di rossetto, ma la ragazza teneva la bocca ostinatamente chiusa, finché Ivan, spazientito, le chiuse le narici con due dita.
Quando Miriam fu costretta ad aprire la bocca per respirare gli lo ficcò dentro.
‘Dai troia, che ci sei, adesso succhialo bene, fammi vedere che sai fare.’
Le muoveva la testa avanti ed indietro e lei prese subito il ritmo.
‘Tutto, fino in fondo, devi prenderlo tutto, fino alle palle, ecco brava così, ti piace vero?
Non vedi l’ora di farti una bella bevuta, eh?’
Miriam rallentò un attimo, la prospettiva di ingoiare le sperma di quell’uomo, non l’attirava per niente, ma si rendeva conto di non avere scelta e poi ‘ stava per venire anche lei.
Avrebbe voluto toccarsi, ma le sue mani erano irrimediabilmente bloccate dalle manette.
‘Ah! ‘ Sì! ‘dai ‘ ancora …’ e poi minaccioso ‘… guai a te se sputi, troia.
Non ne devi sprecare neanche una goccia.’
Le era venuto in bocca. L’aveva riempita e lei, ubbidiente stava cercando di inghiottire quella roba densa ed appiccicosa, aiutandosi con la lingua e la saliva, mentre sentiva il suo orgasmo che finalmente aveva via libera.
Era stanchissima e le facevano male le ginocchia, poggiate sulla terra bagnata del cantiere.
‘Ne stai perdendo un po’, guarda ti cola dalla bocca.’
E Miriam, ormai completamente sottomessa, raccolse con la lingua una goccia di sperma prima che le finisse sul mento, fuori della sua portata.
Passarono cinque minuti.
Miriam era sempre inginocchiata a terra, con il capo chino ed i capelli davanti agli occhi.
‘Miriam, tira su la testa, che facciamo un altro giochino.’
Lo teneva saldamente con una mano e si stava masturbando vigorosamente.
‘Apri bene la tua boccuccia che ti faccio bere a garganella.’
Ubbidì prontamente e si bloccò con la bocca spalancata, davanti a lui, che si masturbava con sempre maggiore foga.
Ci mise pochi minuti ed il primo schizzo mancò il bersaglio prendendola in pieno in un occhio, poi aggiustò il tiro e sentì lo sperma caldo che le colpiva la parte superiore del palato, per poi ricaderle sulla lingua.
Infine si divertì a schizzarle la faccia, prendendola sulle guance, sulla fronte, un po’ dappertutto.
Finì ripulendosi la punta del suo cazzo in mezze alle tette di Miriam, poi lei si accorse che aveva in mano una piccola macchina fotografica.
‘Troietta, fai vedere bene la tua fica bagnata.’
Le tirò su la gonna e glie l’arrotolò in vita.
Miriam cercò di immaginarsi come sarebbe venuta in fotografia, inginocchiata, con le calze e le mutandine calate, la gonna sollevata, ed il suo sesso, rosso, bagnato fradicio e completamente aperto.
Per non parlare della camicetta slacciata, con i bottoni strappati, le tette all’aria, e la faccia ed i capelli ricoperti di sperma.
Vide il flash scattare molte volte, nel buoi ormai fitto della notte.
‘Sei stata veramente brava. Ora mi dai una ripulitina all’uccello, così non mi sporco le mutande quando lo rimetto dentro e te ne puoi tornare a casa, ho finito con te, per oggi.’
Miriam succhiò per bene il suo cazzo, stando attenta a non esagerare, perché era stanca e non voleva ricominciare da capo, e, quando Ivan ritenne che fosse adeguatamente pulito, le tolse le manette e le restituì il portafogli.
Prima di uscire dal cantiere, Miriam cercò di risistemarsi, per quanto poteva.
Si tirò su lo slip ed il collant, risistemò la gonna e si richiuse la giacca.
Con i fazzolettini che aveva in borsa, si ripulì alla meglio il viso ed i capelli, Poi Ivan aprì la recinzione e la spinse fuori, sul marciapiede.
Era notte fonda e Miriam si diresse con passo incerto verso casa, piena di pensieri e sensazioni contrastanti.
Il mattino dopo, nella cassetta delle lettere, trovò una busta con dentro delle foto.
Indovinò il soggetto ed il mittente prima ancora di sfogliarle.
Ivan non aveva finito con lei,. Forse aveva solo iniziato.

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