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Racconti di DominazioneRacconti Erotici

Prigionia, Capitolo 8

By 17 Giugno 2021No Comments

Fuoco.

La città andava a fuoco.

Il castello di Thorgul era su una delle colline attorno alla città, torreggiava lontano e, assieme ai pochi eletti del consiglio, era uno dei posti più ambiti nei dintorni delle mura. Difficile da attaccare, in un posto privilegiato, lussuoso ma allo stesso tempo facile da difendere. Thorgul era al centro di una delle torri d’osservazione, guardava la città che iniziava a cadere. Lo sapevano tutti che stava per succedere, troppe scorribande da quando gli elfi iniziavano ad andare di moda tra chi se li poteva permettere. Troppi predoni che rapivano giovani soldati, elfi, pensava Thorgul, come Evrilith.

Sapeva di non poter restare, e sapeva anche che lui, a differenza degli altri zotici che avevano fatto quel macello, era l’unico in gradi di andarsene dal quel pandemonio. La città stava venendo distrutta, era chiaro, ormai, che avevano mobilitato l’intero esercito.

“Maledette orecchie a punta” Brontolo Thorgul.

Impartì qualche altro ordine alla guardia, dovevano provare a dargli tempo, avrebbe dovuto provare a salvare il salvabile, portando con se gli averi che erano davvero importanti. E poi pensò, naturalmente come fa una persona del suo genere, alle altre proprietà, ai suoi servi.

Krozan, Evrilith, qualche apprendista. Doveva scegliere, aveva pochissimo tempo e non avrebbe fatto in tempo a portare tutto e tutti.

Iniziò a muoversi, sbraitando ordini, le difese del castello gli avrebbero dato abbastanza tempo per riuscire a sistemare i suoi ultimi affari su quella terre oramai maledette dagli sporchi Elfi. Convocò Krozan e lo schierò a difesa del castello, la sua guarnigione, anche se in parte riluttante, rispose ai suoi ordini durante questo ultimo assedio, i pochi sopravvissuti lo chiamarono il giorno del giudizio.

Gli elfi erano tornati a riprendersi ciò che gli avevano portato via con la forza i predoni. I loro fratelli.

E, come stavano sperimentando le creature che facevano parte della città, un elfo determinato a liberare qualcuno dalla schiavitù è una macchina da combattimento tale che da creatura delicata ed aggraziata diviene una macchina da morte e distruzione.

In tutto questo Evrilith era terribilmente combattuta. Dalle finestre del castello vedeva il suo popolo che era venuta a salvarla. Ma dopo mesi di prigionia, doveva ammettere a sè stessa, iniziava a viverla sempre più come il posto nel mondo che non aveva mai ammesso di voler vivere. Vedeva da lontano gli elfi, pensava a cosa aveva, a cosa avrebbe perso. Pensava al suo nuovo Padrone, alle emzioni, al fatto di non poter fare una passeggiata nei boschi da tempo, a dover vivere relegata in una prigione di sesso, punizioni e di amore. A dover portare un collare in ferro. Alla voglia che aveva di sentire il profumo degli alberi, le farfalle che la riconoscevano come una creatura pura…

Una creatura pura. No lei non lo era più.

La verità era che lei amava sentirsi come veniva usata. Amava sentire quel calore e quelle emozioni che salivano dal basso ventre ogni volta che sentiva la Sua voce, il Suo tocco, il Suo sguardo. La verità è che la sua indole da elfa era stata domata, vuoi per la magia, vuoi per il fatto che lei voleva sentirsi così. Ma alla fine, la nostra piccola Evrilith era in un combattimento perenne tra ciò che aveva, e che la faceva sentire così…Si così schiava.

E quello che aveva perduto, il suo mondo come lo conosceva prima.

Un boato la fece rinsavire dai suoi pensieri.

Le mura del castello erano state attaccate. Un mago aveva appena cercato di fare breccia cercando di far esplodere la porta d’ingresso con un incantesimo, il fuoco stava sfiatando seguendo un invisibile linea di difesa che proteggeva, disegnando una cupola invisibile, il castello.

Da quel momento in poi Evrilith ricordò solo la corsa. Ricevava ordini da suoi superiori, altri servitori, non schiavi o più anziani, che le dicevano di spostare oggetti, portare acqua, frecce, inscatolare oggetti. Alla fine, di passaggio, riuscì perfino a vederLo. Era in ginocchio che cantilenava qualcosa, solo in una stanza.

Non ebbe modo di passare più tempo o parlargli dato che, purtroppo, la magia richiede non solo uno sforzo fisico ma anche mentale.

Non accaddè subito, ci vollero quasi due ore. Ma poi, poi gli abitanti del castello sentirono tutti, in maniera indistinta, quel momento. La cupola di protezione non resse più, La difesa del castello ora era in mano alla piccola guardia che lo difendeva, Krozan ruggì ordini, e tutta la servitù sentì il rumore sordo ed indistinto di un esercito alle porte di casa tua.

Molti ebbero paura, alcuni iniziarono a darsi alla macchia temendo di venir uccisi, gran parte di loro non sapevano nemmeno che, in realtà, alle porte di quella che oramai definivano casa, non vi era un nemico pronto a volersi vendicare del loro Padrone e, quindi, delle sue proprietà. Ma erano arrivati dei salvatori, l’esatto opposto di quelle figure che, tempo addietro, vi ho narrato quando Evrilith era stata venduta.

La difesa del castello iniziò lentamente a vacillare, le guardie avevano dalla loro la magia ed erano temibili avversari. Caddero vari elfi, ma la realtà è che lo sparuto numero di difensori non poteva reggere la rabbia e la furia omicida di un reggimento di elfi pronto a distruggere chiunque si volesse opporre alla loro vendetta.

Nella confusione della fuga Thorgul ebbe poco tempo. Riuscì a prendere tutti i suoi averi, la realtà è che si aspettava da tempo questa resa dei conti, ed era pronto a fuggire. Ma la realtà è che la magia è una scienza, e nei suoi calcoli, come temeva, non sarebbe riuscito a trasportare entrambi i suoi prediletti. Aveva scelto, anche se, sperava che la battaglia sarebbe stata la vera fautrice delle sue scelte.

In realtà aveva già pianificato la fuga e, per assurdo, se tutto sarebbe andato secondo i piani, Krozan sarebbe fuggito con Lui. Evrilith, beh, Evrilith.

Evrilith sarebbe stata messa alla prova. Evrilith sarebbe stata lasciata libera, libera di ritornare alla sua terra natale. Il collare non pensava sarebbe stato tolto tanto facilmente, e avrebbe continuato il suo effetto, la magia avrebbe continuato a piegare la volontà della giovane elfa portando a galla, tutto il tempo, la sua natura introversa, sottomessa e remissiva. E le avrebbe fatto ricordare, giorno dopo giorno, il suo vecchio Padrone.

Thorgul temeva di non rivederla nè avere più sue notizie. Ma era un rischio che doveva correre in una situazione delicata come quella. Forse, un giorno, Lei sarebbe tornata da Lui.

Oltrepassata l’entrata e oramai barricati ai piani superiori, i pochi sopravvissuti si rendevano conto che oramai la resa dei conti era vicina.

Thorgul entrò nella stanza. Il silenzio era già presente come un’ombra maligna che resta dietro ogni singolo uomo che sa di dover affrontare una prova dalla quale, se non per miracolo, ne sarebbe uscito vivo.

“La difesa non piò reggere, siete liberi di scappare, conoscete bene il castello, vi lascio dei collari se volete invece tentare la sorte come schiavi. Siete liberi.” La voce austera di un preoccupato Thorgul mostrò loro cosa gli attendeva.

Krozan lo guardava sporco di sangue, fece un passo avanti. Non disse nulla per qualche secondo.

“La mia vita, per servirti mio Signore.” E si mise su un ginocchio porgendogli il suo spadone che teneva sui palmi delle mani.

Thorgul lo prese, e guardandolo negli occhi, con fare serio scrutò il suo servo.

“Mi hai sempre obbedito in questi anni, Krozan, sei stato portato a subire di tutto, dolore, patimenti, rabbia, torture. Eppure, alla resa dei conti, sei l’unico pronto a darmi tutto.”

Dopo una breve pausa Thorgul decise.

“Alzati Krozan, alzati da orco libero e, se lo desideri, diventa il mio braccio destro. D’ora in poi sarai Krozan e non mi chiamerai più Padrone, ma se vorrai mi chiamerai con il titolo dovuto a colui che ti da in dono le sue terre.”

Krozan, fiero, si erse in tutta la sua stazza. sovrastava l’elfo nero, ma, entrambi, sapevano che era solo un illusione visiva. Era l’elfo quello che dominava la scena anche se dal basso.

“Continuerò a servirvi se me lo concederete. Mi avete donato una nuova vita, ed è una vita che io voglio avere al vostro fianco.”. I due poi si guardarono per qualche momento, finchè, da uno dei muri della stanza, sul quale vi era l’ingresso dal piano sottostante, si iniziarono a sentire i primi colpi esterni che cercavano di abbattere la porta d’entrata. Gli elfi stavano arrivando.

Evrilith vide la scena, sperò che Thorgul si girasse verso di lei, che prendesse anche lei con sè. Lo guardò ardentemente, sperava di poter essere anche lei una prescelta, la prescelta dal Padrone.

E mentre il fiume di emozioni, paura e timori le ronzavano in testa, mentre si sentiva persa accadde che la porta inizio a scricchiolare sotto i colpi.

Thorgul la guardò, sorrise triste.

“Un giorno forse, deciderai di volermi indietro.”

Booooooooooooom. Due guardie corserò a puntellare la porta seguite da altre quattro in rapida successione.

“Se mi troverai, da allora, sarai per sempre mia perchè lo vorrai.”

BOOOOOM. Cadderò tutti a terra. Evrilith urlò un lungo NO mentre veniva afferrata per la vita da un suo fratello.

Thorgul prese per mano Krozan e disse una parola. E mnetre le lacrime scorrevano sul viso di Evrilith, lo vide, lentamente, svanire.

Le ultime cose che Thorgul vide furono i suoi uomini che venivano trucidati e la Sua schiava che veniva presa e portata lontano da lui.

Anche un uomo del suo genere, anche un uomo senza cuore, come lui stesso si era sempre definito. Anche un arcimago tra i più temuti al mondo, pianse.

Pianse perchè, non voleva ammetterlo, ma aveva perso qualcosa.

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