Skip to main content
Racconti di Dominazione

Tacchi alti

By 28 Agosto 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Era stata previdente e, aspettandosi che la riunione sarebbe finita tardi, aveva sistemato nel bagagliaio dell’auto, già dal mattino, il borsone con quanto le sarebbe servito per il fine settimana, in modo da non perdere tempo a ripassare per casa.
Clara rimase un attimo seduta in macchina, prima di inserire la chiave di accensione.
Le piaceva da matti la sua nuova auto, in particolare la pelle nera e morbida dei sedili.
Le sue dita affusolate e curate si soffermarono a lungo sulla superficie sagomata, scorrendo lentamente sulle cuciture, poi girò la chiave ed il potente turbodiesel si mise prontamente in moto, con un borbottio cupo e sommesso.
Era la macchina ideale per lei: alta e massiccia da farla sentire ‘dominatrice del traffico’, ma non così ingombrante da risultare poco maneggevole e difficile da parcheggiare.
Non si dovrebbe guidare con i tacchi alti, pensò, ma non aveva tempo per cambiarsi, avrebbe indossato qualcosa di più sportivo del vestito elegante e scollato con cui uscita dalla riunione e, naturalmente avrebbe cambiato anche le scarpe, ma non ora, non aveva tempo, voleva raggiungere la sua amica in campagna prima che facesse buio.
Certo un ‘tacco 12′ non è il massimo per guidare, avrebbe avuto grossi problemi a dosare il pedale della frizione, ma la sua nuova auto, per fortuna, era automatica, doveva solo stare attenta a non farsi scivolare il piede destro, per evitare brusche frenate e/o accelerate.
Uscì dal parcheggio e dopo un paio di rotonde si trovò sulla statale.
Mentre aspettava ad un semaforo rosso, abbassò l’aletta parasole e controllò il suo aspetto. Tutto O.K., i suoi capelli lunghi, ondulati e ramati, freschi di parrucchiere, erano in ordine, il trucco non aveva sbavature ed il vestito rosso era perfetto.
Clara sei perfetta, si disse: bella, ricca e sicura di te, che altro vuoi chiedere alla vita?
Ora aveva davanti una vecchia utilitaria che procedeva piano.
Si affacciò un po’ oltre la mezzeria, c’era spazio per superare.
Il suo piede destro, dentro la scarpa tacco 12 premette con decisione l’acceleratore.
Sentì per un attimo il rombo del motore che si faceva più forte, dopo aver scalato marcia da solo, poi l’auto schizzò in avanti lasciandosi alla spalle l’utilitaria.
è proprio favolosa questa macchina, basta solo sfiorare i comandi, sembra quasi che capisca le mie intenzioni, e poi, ABS, antislittamento e mille diavolerie elettroniche che correggono un eventuale errore di guida.
Guardò l’orologio, tra dieci, massimo quindici minuti, sarebbe arrivata a casa di Luisa, la sua amica.
Ed ora, che succede?
La statale era interrotta da una frana.
Accidenti, finirà che faccio tardi.
I cartelli la dirottarono su una via secondaria e dovette rallentare un po’, perché la nuova strada era molto più stretta e tortuosa.
Altro cartello ed altra svolta, poi un’altra, poi un’altra ancora, sembrava una specie di caccia al tesoro, se avesse portato il navigatore sarebbe stato meglio, ma non aveva senso, perché sapeva benissimo arrivare da Luisa con la statale, non poteva certo prevedere questo inconveniente.
Un’altra svolta, questa volta senza cartello, poi una biforcazione, poi un quadrivio.
Si era persa, forse aveva mancato un cartello, oppure semplicemente qualcuno lo aveva tolto per fare uno stupido scherzo.
Il tornante la prese di sorpresa, perché era troppo occupata a cercare un cartello che la riportasse sulla retta via.
Sterzò e frenò bruscamente per non uscire di strada ed il piede le scivolò, premendo più di quello che avrebbe voluto.
Sentì il colpo sul pedale causato dall’ABS che alleggeriva la pressione del freno per evitare il bloccaggio della ruota, ma l’elettronica non bastò a scongiurare completamente la sbandata.
L’auto uscì di strada di fianco, sobbalzando sul prato che costeggiava lo stretto nastro di asfalto, Clara frenò ancora e la macchina si arrestò con il muso puntato in alto, verso la montagna.
Accidenti, che guaio, pensò, mentre scendeva dall’auto.
Le ruote erano affondate nella terra ammorbidita dalle piogge dei giorni precedenti ed il pianale dell’auto era a contatto del terreno, rendendole impossibile riguadagnare la strada asfaltata.
Ci vorrebbe un bel trattore, per tirarmi fuori dal fango, pensò Clara, mentre avanzava faticosamente nella terra morbida, con i tacchi che sprofondavano ad ogni passo.
Ed il trattore, come un miraggio nel deserto era proprio lì, di fronte a lei, tra una vecchia casa in pietra ed una baracca di legno.
C’era anche il proprietario, o almeno aveva l’aria di esserlo, nella sfortuna era stata fortunata, pensò.
Era un uomo alto e magro, con le braccia nodose ed un aspetto trasandato e senza tempo, nel senso che era difficile attribuirgli un’età precisa, e stava avanzando verso di lei a grandi passi.
Sopra una camicia a quadri ed un paio di jeans sdruciti, portava un grembiule da lavoro scuro e pieno di macchie.
‘Presto, vada a prendere il trattore e mi tiri fuori di lì la macchina. Si sbrighi.’
Clara era una donna decisa ed abituata ad impartire ordini, però, mentre parlava, ebbe la spiacevole sensazione che le suo parole fossero fuori posto.
Era come se la sua voce suonasse, falsa, quasi ridicola.
Errore di comunicazione?
Lei era un’esperta di comunicazione e forse, nella concitazione e nella eccezionalità dell’evento, aveva commesso un errore.
Lo sguardo dell’uomo era freddo e niente affatto amichevole, fu attraversata da un brivido di paura.
Non sei la manager decisa, volitiva e stimata, in questo momento sei una donna sola, che si è perduta e si trova davanti ad un uomo che non sembra certo un campione di buone maniere.
Doveva mantenere l’iniziativa e tentare con un secondo approccio, meno arrogante, prima che lui agisse.
Non ne ebbe il tempo perché l’uomo le piazzò una manona sudicia sulla spalla e la strattonò violentemente.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma riuscì solo a gridare, allora lui la spinse con forza indietro.
Clara cercò di spostare la gamba destra per non perdere l’equilibrio ma il tacco, profondamente conficcato nel terreno, glie lo impedì.
Sentì il crack del tacco che si spezzava, mentre la mano dell’uomo mollava la presa.
La donna cadde all’indietro, finendo con il sedere nel fango, a gambe larghe, mentre il vestito rosso le risaliva, scoprendole completamente le cosce.
Diversi pensieri attraversarono la sua mente: aveva appena rotto un paio di scarpe da 600 ‘, aveva macchiato e forse anche strappato uno dei più bei vestiti che possedeva ‘
Smise di pensare e si concentrò sullo sguardo dell’uomo, fisso in un punto in basso davanti a sé.
Stava fissando le sue gambe lunghe ed abbronzate e, probabilmente anche quello che c’era in mezzo.
Lentamente iniziò a richiudere le cosce mentre l’uomo si chinava su di lei. Clara, zoppicante a causa del tacco rotto, fu trascinata dentro la baracca di legno.
Il tanfo forte di sterco ed urina le fece capire che si trattava di una specie di stalla.
Era sola, l’uomo, dopo averla trascinata dentro, aveva chiuso la porta da fuori e se ne era andato.
Dopo qualche minuto la porta si aprì di nuovo ed entrò una pecora, poi un’altra, poi un’altra ancora.
Alla fine si trovò stretta tra decine di animali ricoperti di lana grigiastra, che si muovevano intorno a lei.
Per ultimo entrò l’uomo e richiuse la porta dietro di sé, con il catenaccio.
‘Mettiti comoda che devo mungere le pecore, dopo mi occuperò di te.’
Aveva parlato, per la prima volta l’uomo aveva parlato. Una voce forte e decisa, tipica di chi che non è abituato a discutere.
Clara si appoggiò alla parete di legno, pensando che non era certo il caso di sedersi in terra, data la sporcizia del luogo.
L’uomo prese un bidone di ferro vuoto per sedersi e la prima pecora si avvicinò.
Le sue mani si muovevano sicure e veloci, il latte zampillava in un grosso contenitore d’acciaio e le pecore, che nel frattempo si erano messe in fila, venivano alleggerite del loro latte.
‘Vieni qui’, disse quando anche l’ultima pecora si era allontanata da lui.
Clara si mosse lentamente, cercando di non inciampare negli animali che aveva intorno.
Il tacco rotto le rendeva difficile camminare, per un attimo pensò di togliersi la scarpe, ma l’idea di andare a piedi nudi sugli escrementi delle pecore le faceva troppo schifo.
Teneva in mano un grosso collare di cuoio.
‘Era di uno dei miei cani, per te andrà benissimo’.
Era stupita di sé stessa, non stava tentando la minima opposizione, quell’uomo la stava dominando completamente, senza che lei abbozzasse una qualche reazione.
Le sollevò bruscamente i capelli dietro la nuca, le infilò il collare e lo strinse forte.
La paura, mista ad una strana eccitazione si stava impadronendo di lei: era totalmente soggiogata, incapace di parlare o di fare il minimo movimento.
La costrinse ad abbassarsi, prima facendola piegare in avanti, poi la spinse sulla schiena, e Clara si ritrovò a quattro zampe, con mani e ginocchia affondate in quella fanghiglia puzzolente.
Era vicina alla parete, l’uomo la fece accostare con il collo, poi sentì che le passava una corda intorno al collare.
‘Bene, adesso pensiamo a te, se vuoi che tiri fuori dal fango la tua macchina mi devi pagare.’
‘Ma certo, signore, la pagherò, naturalmente ‘ la pagherò molto bene per il favore.’
Si sentiva sollevata, era riuscita a stabilire un contatto, le avrebbe dato dei soldi e sarebbe potuta arrivare a destinazione, dalla sua amica.
‘Ma io non voglio soldi, non mi interessano, hai qualcosa di molto meglio per pagarmi.’
Le parole dell’uomo e la mano che, contemporaneamente, si intrufolava sotto il vestito rosso e le carezzava le cosce, la fecero ripiombare nell’angoscia.
Immobilizzata con il collare, come se fosse un animale, inginocchiata in mezzo agli escrementi di decine di pecore, stava per pagare il soccorso del trattore con ‘
No, accidenti, non è possibile!
Si alzò, o meglio provo a drizzare le gambe, perché il busto era bloccato dal collare legato alla parete, rimanendo in una posizione ridicola, con la schiena piegata ed il sedere che sporgeva all’indietro.
‘Che cazzo combini, stronza! Sta’ giù!’
Le diede una violenta sculacciata e la spinse di nuovo a terra.
Il pastore non perse tempo, le abbassò le mutandine e cominciò a massaggiarle il sedere.
Era chiaro quello che le stava per accadere: stava per essere violentata da un pastore sudicio, in cambio del suo intervento con il trattore.
‘Signore, per favore …’, stava supplicando e lo chiamava pure signore, quel lurido bastardo, ‘le darò molti soldi, cento, anzi di più, cinquecento Euro, ma non mi faccia questo, la prego …’
‘Non mi servono i tuoi soldi …’
Non aggiunse altro, Clara sentì che le allargava le natiche e capì dove l’avrebbe penetrata.
Cercò di divincolarsi, ma l’uomo era molto più robusto di lei.
Smise di fare resistenza solo quando lo sentì entrare.
Pensò che quell’uomo, le altre sere, magari lo faceva con una delle sue pecore, sì certo, tutte stupidaggini, luoghi comuni assurdi, però l’idea che il suo pene sudicio, che ora le stava entrando lentamente e dolorosamente nell’ano, potesse essere normalmente usato con quegli animali, le aumentava l’angoscia e lo schifo.
‘Vedrai che ti divertirai anche tu’, le disse mentre dopo averlo infilato completamente, cercava una posizione più stabile.
Le sembrò una cosa interminabile, almeno all’inizio, poi invece si abituò, le sembrava quasi che il movimento che imprimeva al suo corpo la cullasse e lentamente si tranquillizzò.
Quell’uomo rozzo, appiccicato alle sue chiappe nude stava lentamente spezzando ogni sua resistenza.
La strinse più forte, sentì le mani di lui che le afferravano i seni attraverso il vestito e si accorse che cominciava ad eccitarsi, giusto in tempo per avvertire le contrazioni e lo sperma che la riempiva.
Dietro le bruciava forte ed ora, che era calata la notte, cominciava a sentire freddo, con il suo vestito leggero.
Il pastore si avvicinò tenendo in mano una fetta di pane spalmata di ricotta, e solo allora Clara si rese conto di avere fame.
Non poteva usare le mani, che erano impiastrate di sterco di pecora, ma lui le tenne la fetta davanti al viso, finché Clara non l’ebbe finita.
Le avvicinò un bicchiere pieno di vino rosso e lei lo bevve.
Era una mezza schifezza, dal sapore aspro e con un leggero retrogusto di aceto, ma pensò che era meglio non fare storie.
Il pastore posò il bicchiere, ormai vuoto e le sollevò di nuovo il vestito.
Lo sentì dire qualcosa riguardo al fatto che era troppo secca ma aveva comunque un bel culo, poi la penetrò ancora, sempre dietro.
‘Ti piace prenderlo in culo? Vero?’
Clara mormorò un sì stentato e sommesso, mentre lui lo spingeva dentro con decisione.
Si chiese se la sua risposta fosse stata dettata dalla paura di contraddire quell’uomo, oppure se realmente le stesse piacendo tutto ciò.
Le mani callose del pastore le abbrancarono le cosce costringendola ad allargare le gambe e le scappò un sospiro.
‘Bene, vedo che ti piace’, disse mentre con una mano le carezzava l’inguine.
Le dita si intrufolarono nel suo sesso e Clara iniziò a gemere.
Andò avanti per qualche minuto, poi tolse la mano ed inarcò la schiena.
Lo sentì venire prepotentemente dentro di lei, poi si scostò di colpo.
Allora lo sentì armeggiare con la corda che passava attraverso il collare e poté finalmente rialzare la testa.
‘Cerca di dormire, continueremo domani mattina.’
Clara sentì la porta che sbatteva ed il rumore di una serratura che si chiudeva.
Era completamente scombussolata, in balia di sensazioni contrastanti: il dolore sordo del suo ano brutalmente violato, il freddo della notte che passava attraverso il suo vestito leggero ed il caldo che sentiva in mezzo alle gambe dove quell’uomo aveva a lungo giocato con il suo sesso, fin quasi a farle raggiungere l’orgasmo.
Attraversò la baracca e si mise a sedere sul bidone che il pastore aveva usato per mungere le pecore.
Aveva voglia di godere. Si guardò le mani sporche e si rese conto che non avrebbe mai potuto masturbarsi in quelle condizioni, allora allargò leggermente le gambe e cominciò a toccarsi attraverso la stoffa del vestito.
Raggiunge quasi subito l’orgasmo, poi si rialzò in piedi, si rimise a posto le mutandine che erano rimaste abbassate fino alle ginocchia e si rincantucciò in un angolo che le sembrava meno sporco.
Dormì tutta la notte come un sasso e fu svegliata all’alba dal rumore della porta che si apriva.
Il pastore le portò una tazza di caffè ed una fetta di pane.
Clara bevve avidamente il caffè e divorò la fetta di pane raffermo, le sembrava di essere diventata una specie di animale.
Lui la costrinse ad alzarsi prendendola per il collare.
Solo allora si rese conto di averlo ancora, avrebbe potuto toglierlo durante la notte, invece era ancora lì, a sancire la sua sottomissione, la sua schiavitù.
La trascinò al centro della stanza e la costrinse ad inginocchiarsi, poi si aprì i pantaloni.
Non c’era bisogno di parlare per immaginare cosa volesse da lei.
Infilò le dita nel collare e la costrinse ad avvicinarsi.
‘Su, apri la bocca.’
Clara ubbidì e lui prese il pene con due dita e glie lo infilò dentro.
Lei iniziò a succhiarlo e sentì che prima lentamente, poi sempre più rapidamente, si induriva e si ingrandiva.
Aspettò che fosse bello duro per costringerla a muoversi.
La testa ed il collo di Clara si muovevano avanti ed indietro sotto la spinta della mano di lui, che stringeva forte il collare.
Sentì lo sperma che le inondava la bocca, finendole parte in gola, poi l’uomo mollò la presa lasciandola in ginocchio, con la testa china.
‘Se questa notte ti comporti bene, domani mattina puoi tornare a casa con la bella macchina.’
Di nuovo la porta che si chiudeva.
Clara passò tutta la giornata sola, chiusa nell’ovile, aspettando il pastore, che si presentò puntualmente, preceduto dalle pecore.
Dovette aspettare la mungitura di tutti gli animali.
‘Spogliati, questa notte ti faccio dormire in casa’.
Clara, completamente nuda e scalza varcò la soglia dell’ovile, tirata dal pastore che le aveva fatto passare una corda attraverso il collare.
Un vento gelido spazzava la strada che separava il ricovero degli animali dalla vecchia casa in pietra del pastore e, quando finalmente la porta si chiuse alle sue spalle, lei apprezzò il tepore che c’era in casa.
La condusse in bagno.
‘Ficcati nella vasca, ‘che puzzi peggio delle pecore, e non voglio che mi sporchi il letto.’
Aprì il rubinetto ed un getto d’acqua gelata investì la schiena di Clara che cominciò a gridare.
‘Lo scaldabagno è rotto, ma non ti preoccupare, avrai tempo per riscaldarti.’
La tenne a lungo sotto l’acqua, finché ogni traccia di sporco non fu eliminata dal suo corpo, poi le porse un asciugamano vecchio e sdrucito e Clara, intirizzita, si affrettò ad asciugarsi.
Sempre tenendola per il collare la trascinò in cucina.
‘Prima di andare a letto devi fare un lavoretto per me’, le disse indicandole la montagna di piatti sporchi che ingombrava il lavello.
Le fece pure indossare un grembiule e Clara pensò che era ridicolo far mettere un grembiule ad una donna completamente nuda.
Cominciò a strofinare i piatti incrostati, che dovevano essere lì da molti giorni.
Era una vita che non lavava i piatti, l’ultima volta doveva essere stato ai tempi dell’università, d’estate in campeggio.
Il pastore aprì il frigorifero e lei, senza smettere il suo lavoro, girò lo sguardo per capire cosa stesse facendo.
Aveva in mano una zucchina, no, doveva essere un cetriolo, di proporzioni ragguardevoli, e lo stava accuratamente strofinando su un panetto di burro che aveva preso dal frigo.
‘Lo sai cosa succede quando casca un cetriolo?’, le chiese brandendo l’ortaggio.
Non le diede neanche il tempo di rispondere.
‘In genere finisce in culo all’ortolano, ma questa sera, invece, finirà nel tuo.’
La costrinse a piegarsi sul lavello.
La punta del cetriolo, accuratamente imburrata, si fece strada facilmente, poi lui lo spinse in profondità e Clara gridò di dolore.
Lo spinse ancora più a fondo, facendolo ruotare, poi lasciò la presa sul suo collo e la donna, lentamente, si tirò su.
‘Dai sbrigati a fare i piatti, prima finisci e prima te lo tolgo.’
Clara con le lacrime agli occhi, riprese il suo lavoro, ma quando ebbe risciacquato l’ultimo piatto, il pastore le portò una pila di pentole sporche.
Allora scoppiò in un pianto dirotto, lo supplicò, ma lui, per tutta risposta, le spinse il cetriolo ancora più in profondità.
Quando anche l’ultima pentola e l’ultimo coperchio furono perfettamente puliti, le tolse il grembiule e, sempre tenendola per il collare, la trascinò nella sua stanza da letto.
La fece sdraiare a pancia in giù, il dolore, dopo la breve camminata dalla cucina alla camera da letto, era aumentato.
Clara, incapace di muoversi, lo osservò mentre si toglieva lentamente i vestiti.
‘Sta tranquilla, adesso te lo tolgo e ci metto dentro qualcosa di molto meglio.
Non vedi l’ora di essere inculata, vero?’
Clara non disse nulla.
‘Vero?’, ripeté ad alta voce, e lei disse sì.
Sentì il cetriolo che lentamente usciva dal suo corpo, poi il peso dell’uomo che premeva su di lei.
Il suo ano, profondamente dilatato e lubrificato dal burro, non si oppose minimamente quando il pastore la penetrò.
Cambiò posizione e lo spinse ancora più in profondità, poi cominciò a muoversi.
Il letto era piccolo e molto vecchio e scricchiolava sinistramente, mentre l’uomo aumentava il ritmo.
Clara si rilassò aspettando la fine che giunse molto presto.
Lo sentì uscire mentre l’ano, lentamente si rilassava e tendeva a richiudersi.
‘Ehi, datti da fare, che non è ora di dormire!’
La costrinse a sedersi sul letto.
‘Dagli una bella pulita’, le ordinò e lei si chinò prontamente.
Lo prese in bocca e subito si staccò. Aveva un sapore pessimo, eh già, bastava pensare a dove era stato fino ad un minuto prima.
‘Beh, che fai, ti devo riportare nell’ovile e magari liberare il montone? Sarebbe poco divertente per te.’
Clara, vincendo lo schifo lo riprese in bocca ed iniziò a succhiarlo.
Dopo un minuto, il sapore cattivo era svanito e lei stava facendo uno dei migliori pompini della sua vita, almeno Clara pensò così.
‘Basta così’, disse lui ad un certo punto e la scostò bruscamente.
‘Girati,’ le ordinò, e Clara si rimise nella posizione di prima, pensando che l’avrebbe inculata di nuovo, invece sentì il pene duro dell’uomo che, dopo averle sfiorato le chiappe nude, si spostava più in giù.
Si infilò dritto nella sua vagina bagnata.
‘Bene, bene, vedo che ti piace.’
Ad un certo punto si scostò e lei fece un mugolio di disappunto.
‘Ti sei così affezionata al mio cazzo che non vuoi lasciarlo andare, vero?’
La girò sulla schiena e le salì sopra.
Clara allargò prontamente le cosce e lui le entrò dentro nuovamente.
Raggiunse l’orgasmo quando il pastore iniziò a strizzarle i capezzoli e allora gli piantò le unghie nella schiena, poi sentì le contrazioni e lo sperma che le entrava dentro.
Pensò solo per un attimo che aveva appena scopato senza alcuna precauzione, con uno sconosciuto che aveva più o meno l’età di suo padre; avrebbe pensato in seguito a risolvere eventuali problemi.
L’uomo uscì dal suo corpo e, senza dire una parola, si tirò addosso la coperta, spense la luce e si mise a dormire.
Il letto era piccolo e Clara aveva a sua disposizione solo un piccolo spazio, così dovette sistemarsi attaccata al pastore, che intanto aveva preso a russare rumorosamente.
Sfiorò con le dita quel corpo forte ma segnato dal tempo e dalla fatica, poi le sue mani presero a carezzargli i peli del petto ormai grigi.
Clara si addormentò sul petto del pastore.
Quando si svegliò era sola in casa ed il sole era alto.
A fianco al letto c’era il borsone con i vestiti che le sarebbero dovuti servire per il fine settimana da trascorrere dalla sua amica.
Uscì dalla casa con indosso un paio di jeans ed una maglietta.
Ai piedi aveva delle scarpe da ginnastica, molto più adatte a guidare, pensò.
L’auto, la sua auto nuova, era regolarmente parcheggiata a fianco al trattore.
Clara riprese la strada di casa, pensando che prima di andare in ufficio, si sarebbe dovuta cambiare, e magari darsi pure una bella lavata.

Leave a Reply