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Racconti di Dominazione

TERESA L’INDOMITA

By 27 Aprile 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Buoi, freddo, umido, quando aprii gli occhi non riuscivo a capire dove mi trovassi, le pupille si abituarono piano piano a quello che le circondava, muri di pietra di una grande stanza quadrata, nessuna finestra se non per un lucernario ad almeno quattro metri di altezza, c’era il sole di fuori ma da quel piccolo pertugio pochi erano i raggi che riuscivano a filtrare in quell’ambiente permeato da odore di muffa. Avevo i piedi nudi gelati e anche il corpo non se la passava meglio, la sudicia tunica grezza che mi vestiva, poco poteva contro il freddo che mi circondava. Mi guardai attorno, una specie di letto in legno marcio senza alcun materasso, un buco in terra in un angolo da cui arrivava un odore disgustoso e una porta di pesante legno rinforzata in metallo. Null’altro. Mi sedetti sul letto ancora frastornata a guardare il sole sparire mentre non riuscivo a mettere ordine nei miei pensieri.
Ci vollero ore o forse minuti, il tempo distorto dalla mancanza di ogni punto di riferimento ma poi la porta cominciò a cigolare, si aprì facendo entrare una lama di luce che mi ferì gli occhi. Entrarono due uomini, alti, robusti, vestiti di rozza pelle e dalle facce inquietanti. Trasportavano un grosso braciere di ferro, dal suo interno, intensa e pulsante la luce della fiamma, un manico lungo ne usciva da un lato. Lo posarono a terra e uno dei due si avvicinò a me che lo guardavo impassibile, non mi sarei lasciata sottrarre anche il coraggio. Mi prese all’improvviso per i capelli, la mano, come una morsa d’acciaio mi alzò di peso e mentre l’altra mi strappo di netto il vestito di dosso come fosse fatto di carta bagnata. Mi lasciò e feci un passo indietro sconvolta, completamente nuda, lui puzzava come un’animale mentre guardava il mio rigoglioso seno con un ghigno. La furia divampò dentro di me, l’orgoglio leso da quel trattamento mi fece salire il sangue al cervello e scattai, mi lancia su di lui come una gazzella che attacca un leone, le mani tese a cercare il suo volto per lacerarlo ma non si fece cogliere impreparato. Un ceffone mi colpì in pieno, la pesante mano guantata di pelle secca impattò sul mio viso avvolgendolo, colpì l’orecchio, l’occhio, il naso, mi spazzò via come un fuscello e caracollai a terra, priva di forze mentre le orecchie fischiavano piene del rimbombo del mio cuore che batteva all’impazzata, sapore di metallo mi arrivò alla bocca dal labbro lacerato profondamente, la vista si offuscò e il corpo smise di rispondere ai miei ordini.
In modo ovattato mi sentii trascinare, le pietre del pavimento che graffiavano la pancia, il seno, i capezzoli, lo sentivo come se si trattasse del corpo di un’altra tanto ero stordita. L’uomo che mi aveva colpito mi si mise davanti e si calò di peso sopra di me, in ginocchio, in modo che le sue gambe scendessero ad incrociare le mie braccia divaricate. Era un bisonte, sentii le ossa flettersi per il peso e il dolore atroce mi risvegliò, urlai, urlai dannandoli e insultandoli nel misto di sofferenza e rabbia che mi riempiva al che lui si sedette pesantemente sulla mia testa, dovetti girarla da un lato per evitare che mi spappolasse il naso mentre le mie urla venivano soffocate fra la sua carne e il pavimento.
Sbattevo le gambe furiosamente fino a che il secondo uomo non ripeté la stessa tecnica dietro di me mettendosi in ginocchio sui miei polpacci e raddoppiando il peso e il dolore sulle mie povere ossa. Non potevo muovermi in alcun modo, l’unica cosa che mi era concessa era raspare il pavimento con le unghie che in poco cominciarono a sanguinare.
Sentivo i ghigni dei due giganti che mi avevano sottomessa mentre si guardavano seduti comodi sul mio corpo, il peso da sostenere era enorme e il mio seno abbondante sembrava stare per esplodere per la pressione con il pavimento ma poi sentii un rumore, ferro che striscia sul ferro, non potevo vedere, non potevo capire fino a che la disperazione non prese possesso di me. Il ferro rovente stava mangiando la mia carne proprio sotto la spalla sinistra, sulla schiena, il calore era talmente forte che mi sentivo bruciare fino al petto, il ferro venne tenuto a lungo e spinto forte, in profondità, la carne si consumava sfrigolando mentre l’odore di pelle bruciata, della mia pelle bruciata mi arrivava alle narici. Urlai, anche in quella posizione urlai tanto che l’eco mi ferì le orecchi mentre i due carnefici ridevano di me sopprimendo con il loro peso ogni mio sobbalzo. Non sentii mai il ferro abbandonarmi, l’aria mi mancò prima, miriadi di puntini luminosi mi apparvero davanti agli occhi illuminandosi sempre più poi il buoi e solo il mio urlo incessante a farmi compagnia ma sempre più lontano. Svenni prima di smettere di sgolarmi per l’atroce sofferenza.

Nel buio in cui mi trovavo sogni angoscianti mi raggiunsero, lavoravo nel campo vicino alla piccola casa dei miei genitori quando vidi passare quel tizio ammantato seguito da molti uomini, raggiunse mio padre distante da me, non potevo sentire cosa dicevano ma l’uomo puntava l’indice verso di lui che indietreggiava, sembrava spaventato’
La notte venni svegliata dalla voce dei miei, arrivava da lontano, dal piano di sotto, capivo poco:
‘non possiamo’
‘non abbiamo scelta, non vogliono lasciarsi dietro una scia di sangue ma se dovranno ci ammazzeranno e prenderanno comunque quello che vogliono’
‘non è giusto (singhiozzi), perché lei ?’
Il sonno ebbe la meglio su di me e, ingenuamente, tornai nell’oscurità.

Non so per quanto restai svenuta ma, al mio risveglio, il sole era tornato a far filtrare qualche raggio nella cella, ero sdraiata a terra, nuda, esattamente nella posizione in cui mi avevano bloccato, il freddo intenso si era impadronito delle mie ossa e non mi fece rendere conto del mio stato ma appena provai a muovermi tutto esplose, braccia, gambe e collo su cui si vedevano distintamente grossi lividi violacei mi facevano un male atroce, non riuscivo ad alzarmi e le mani mi tremavano convulsamente ma questo era nulla in confronto al dolore alla schiena dove la sensazione era quella che mancasse un grosso pezzo di carne come se qualcuno si fosse preso una grossa cucchiaiata di me con un cucchiaio rovente. Spezzata nel dolore ma non nello spirito mi trascinai lentamente verso il letto e mi ci issai, non potevo girarmi e mi accontentai di essermi almeno liberata del pavimento gelido. Dovette sparire il sole prima che riuscissi a riacquistare la capacità di muovermi, i lividi davano meno fastidio ma la schiena non mi lasciava pace. Ero debole, due giorni in quella cella lugubre senza mangiare e bere. Mi trovai costretta ad urinare in quel buco fetido trattenendo il fiato per tutto il tempo. Studiai attentamente la porta alla ricerca di punto debole ma i cardini erano robusti e inattaccabili. Non vi era via d’uscita da li, tornai sul letto azzannata dai morsi della fame e della sete, nel silenzio più totale spezzato solo da un’intermittente battere dietro un muro.
Era notte già da un po’ quando la porta si aprì, ne entrò uno dei due che mi avevano marchiato a fuoco, in mano aveva un vassoio con cibo, acqua e una pesante coperta. Non volevo dargli soddisfazione ma alla vista del pane, di un piatto fumante il mio stomaco fece un forte rumore ma feci finta di niente. L’uomo appoggiò tutto in uno scanso nella roccia e poi, mentre lo guardavo stupita si tolse pantaloni e mutande restando davanti a me con un grosso cazzo in tiro. Non ne avevo mai visto uno ma sapevo cosa voleva fare, scattai in piedi incurante dei vari dolori urlando furibonda:
‘non osare, schifoso bastardo maledetto, non ti avvicinare a me, non mi avrai mai, preferisco la morte’
Stavo per urlargli che ero vergine ma poi mi trattenni e giocai il tutto per tutto, scattai verso la porta lasciata aperta, ero già al suo fianco, lo avevo quasi sorpassato e cominciavo a crederci quando il suo pugno colpì, affondandoci dentro, il mio stomaco, in pieno. L’aria venne aspirata in me con un rumore sordo mentre le gambe subito cedettero, riuscivo solo a stare piegata tenendomi lo stomaco dove la sua mano era ancora conficcata, non avevo la forza per muovere un muscolo. Lui mi alzò con quell’unica mano e praticamente mi lanciò contro il letto. Le ginocchia cozzarono il pavimento mentre lo spigolo del mobile sferrava un altro colpo al mio addome ferito. Ero immobilizzata dal dolore mentre lo sentivo avvicinarsi dietro di me, volevo reagire, volevo sfuggire a quella condanna ma il corpo non rispondeva. Lui si piazzò alle mie spalle e lo sentii sputare più volte poi le possenti mani mi afferrarono le chiappe e le aprirono con forza, quasi a strapparle, incapace anche di urlare sentii la punta del cazzo appoggiarsi e iniziare a spingere e quasi sorpresa mi resi conto che non stava puntando alla mia virtù, quel bastardo voleva sodomizzarmi. La paura, la furia e l’incapacità di accettare quel destino mi fecero riprendere un po’, cercai di divincolarmi e quasi ci riuscii, ero sgattaiolata un po’ su un fianco mentre il duro terreno mi lacerava le ginocchia ma la sua enorme mano mi afferrò per il collo ributtandomi in posizione, il divario di forza era troppo enorme ma non avevo la minima intenzione di stare li ferma a farmi infilare quello schifoso pezzo di carne maleodorante nel culo. Mi dimenavo freneticamente riuscendo a rendergli impossibile prendere la mira ma poi arrivò un altro pugno, su un rene, che mi spezzo il fiato e stroncò ogni mia velleità. Per essere certo di non essere disturbato quel mostro mi mise la mano che mi teneva il collo proprio sopra il punto in cui ero stata ustionata e vinta dal dolore lo sentii farsi strada brutalmente nel mio sfintere. Spingeva in modo brutale fregandosene delle mie carni, sentivo il mio forellino mai violato allargarsi e lacerarsi mentre quella carne putrida vi strideva dentro. La mancanza di fiato non mi permetteva neanche di urlare e lui riuscì, affondo dopo affondo, grugnito dopo grugnito ad inserire tutta la sua mazza dentro il mio culo. A quel punto mi prese i fianchi con tutte e due le mani, riusciva quasi a cingermi tutta la vita, mi fece sollevare un po’ il busto come fossi una bambola e iniziò a sfondarmi, lo estraeva e riaffondava di colpo, i suoi fianchi sbattevano sul mio culo tanto forte che le tette, libere in aria, sobbalzavano fino a sbattermi sul mento. Era poco lubrificato e il dolore per lo sfregare, per le improvvise dilatazioni del mio canale mi fece ritrovare la forza di urlare la mia disperazione. Continuò ad affondare dentro il mio deretano a lungo, grugnito dopo grugnito, alla fine fui costretta ad allungare le mani per puntellarmi al muro o mi ci avrebbe sbattuta contro, ad ogni affondo le mie dita si stringevano convulsamente graffiando i mattoni e strappando un po’ della fanghiglia che li univa insieme, presto le unghie sanguinarono ma finì, un ultimo lungo affondo, un ultimo lungo grugnito e qualcosa di caldo che si riversava a fiotti nelle mie viscere.
Estrasse la sua mazza dalle mie interiora e si rivestì con calma mentre io restavo immobile ansimando per quella peculiare iniziazione al sesso, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era quel misto di malta e sabbia che avevo scavato fra mattone e mattone con la disperazione delle mie unghie insanguinate. Prima di andarsene riprese il vassoio con il cibo e la coperta lasciando solo l’acqua e oltrepassando la porta mi disse:
‘queste me le porto via, vediamo se impari a non fare la difficile, ci vediamo domani sera’
Dopo qualche minuto mi trascinai verso lo scanso nella pietra dove c’era l’acqua, presi la brocca lasciata davanti ai mattoni che in quel punto erano più sottili e mi dissetai con la compagnia di quel solito clangore ritmico che mi arrivava proprio da dietro quel muro.

Ero sfinita, distrutta nel corpo dallo stupro e dalle botte e distrutta nello spirito dalla fame e dal freddo. Dormii un sonno inquieto popolato dal ricordo di come ero stata strappata dal mio letto, incappucciata e portata via dalla casa dei miei genitori, le grida di mia madre che chiedeva perdono, il silenzio di mio padre e la mia incapacità di capire cosa stesse succedendo.
Ben poco avevo da fare se non osservare il sole cambiare tonalità, passeggiare non era piacevole, il dolore alla schiena per l’ustione era ancora aggressivo e il culo deflorato con brutalità per fortuna non sanguinava ma non era certo uscito illeso dal trattamento della sera prima e i vari lividi per le botte prese facevano da contorno al mio corpo martoriato. Mi costrinsi comunque a non arrendermi e misi in pratica un’idea che mi era venuta proprio mentre venivo sodomizzata, le mie mani che scavavano involontariamente le mura della mia cella mentre il mio canale anale veniva dilatato mi fecero riflettere e allora, avvicinatami alla nicchia dove mi avevano lasciato l’acqua, provai a scavare fra mattone e mattone con le unghie. L’argilla mista a sabbia che faceva da collante era morbida a causa della forte umidità, riuscivo e scalfirla appena ma in breve mi trovai ad immolare, dolorosamente, un unghia in quell’infruttuosa impresa e dovetti desistere.
Il lento scorrere del tempo ozioso mi condusse comunque all’ora in cui arrivava il mio carnefice, la porta si aprì, stesso uomo, stesso vassoio e stessa coperta ma una differenza c’era, era arrivato anche l’altro tizio che mi aveva marchiato, aveva in mano un robusto manganello, grosso quasi quanto il mio polso e lungo come il mio avambraccio, nell’altra mano una fiaschetta. Il tizio che si era divertito alle mie spalle la sera prima, dopo aver appoggiato vassoio e coperta nel solito scanso, mentre iniziava a spogliarsi dei pantaloni imitato dal degno compare mi disse:
‘hai deciso di collaborare ? perché siamo in due e non abbiamo tempo da perdere’
‘provate ad avvicinarvi e vi cavo gli occhi stronzi’
Dissi, insensatamente, questo mentre avanzavo ma l’unica cosa che ottenni e che uno mi scivolò alle spalle bloccandomi le braccia mentre l’altro mi afferrò per le tette indifese, strinse forte, le dita che affondavano nelle morbide carni che andavano deformandosi, mi alzò da terra di peso lasciandomi appesa alle mammelle che sembravano volersi staccare. Per il dolore mi morsi così forti le labbra che cominciarono a sanguinare. Da quella posizione rialzata vedevo perfettamente il vassoio con le cibarie, una brocca d’acqua, un tozzo di pane raffermo, una ciotola piena di brodaglia e un cucchiaio, avevo bisogno di quel vassoio. Mi lasciò cadere a terra dove mi accasciai subito raggiunta da un calcione su un fianco che mi fece volare un metro più in la, le costole che urlavano, offese, nella mia testa. Mi afferrò per i capelli e per la fica immacolata e mi mise a quattro zampe, alzandomi le testa per fissarmi negli occhi scuri mi disse:
‘e vedi di non mordere o ti strappo tutti i denti con delle tenaglie arroventate’
Non sembrava una minaccia vana e lui intuì la mia paura perché mi infilò subito il cazzo in bocca, il sapore era peggio dell’odore, sudore di giorni misto ad un’inesistente igiene personale, se avessi avuto qualcosa nello stomaco avrei vomitato. Il compare intanto si era messo alle mie spalle e stava versando qualcosa dalla fiaschetta sul manganello, lo lubrificò bene con la mano e poi iniziò a spingerlo nel mio culo indifeso. Quell’arnese era veramente troppo grosso e i muscoli del mio sfintere facevano resistenza ma l’immane forza dell’energumeno unita all’abbondante lubrificazione ebbero presto la meglio sul mio buchetto che cedette allargandosi a dismisura. I tessuti divaricati inumanamente lanciarono fitte di dolore acuto verso il mio cervello e l’urlo lancinante che avrei voluto fare si strozzo sulla cappella dell’uomo che mi stava scavando la gola mentre la mazza di legno veniva fatta scendere nelle mie viscere per quasi tutta la sua lunghezza. Uno mi scavava la bocca alla ricerca della mia gola mentre l’altro muoveva il manganello all’interno del mio corpo, terribili crampi si impossessarono di me mentre sentivo la pelle dello stomaco tirare. L’uccello nelle mie labbra riuscì infine a forzare la lingua e ad iniziare a soffocarmi. Sapeva fare il suo lavoro, mi privava completamente del respiro stantuffando in profondità ma mai abbastanza da farmi perdere i sensi, mi lasciava quel minimo di aria che mi permetteva di non sfuggire alla tortura. Violenti colpi dati da mani pesanti colpirono le mie chiappe, tanto forte che solo il palo che avevo profondamente nel culo mi impediva di cadere su un fianco. Mugoli di disperazione uscivano dalla mia bocca straziata. Durò tanto che, quando sentii i primi fiotti invadermi la gola, le mie chiappe sembravano andare a fuoco per i colpi subiti e il mio stomaco era diventato insensibile. Il sapore salato dello sperma mi avvolse la bocca e dovetti deglutirlo tutto avendo la gola serrata dal cazzo del carnefice che lo teneva infilzato fino alla base per ostruire il passaggio. Infine uscirono tutti e due da me lasciandomi li tremante, portarono via tutto tranne l’acqua chiedendomi se domani avrei avuto abbastanza fame.

Passai la giornata praticamente immobile ad osservare il sole e a riflettere. Non volersi arrendere era una cosa ma farsi picchiare oltre che violentare non aveva senso.
Arrivò la sera e i due energumeni si presentarono puntuali, solito vassoio, solita coperta e mi chiesero se avrei collaborato. Non dissi nulla ma abbassai la testa, lo presero come un si ridendo sguaiatamente poi mi chiesero se ero vergine, alzai per un attimo la testa inferocita ma poi la riabbassai, non aveva senso, presero anche questo per un si e in coro dissero:
‘bene, questa sera ti svergineremo per bene’
Si spogliarono completamente tutti e due, stesero la coperta per terra e uno vi si sdraiò sopra, pancia in su, latro mi diede una fiaschetta e mi spiegarono che se volevo mangiare e coprirmi dovevo ungere ben bene i loro due cazzi e poi sedermi, sverginandomi da sola, su quello sdraiato, al resto avrebbero pensato loro.
Ormai avevo preso la mia decisione, oppormi sarebbe stato inutile, avrebbero preso quello che volevano con la forza in ogni caso. Mi unsi le mani e inizia a segare quei due luridi cazzi, sicuramente ero maldestra ma a loro interessava poco. Mi arrivò una botta sulla testa come segno che era ora di impalarmi, mi misi in posizione e inizia a puntare il cazzo di quello a terra sul mio sesso, feci fatica a trovare la stretta entrata ma poi sentii la cappella indovinare la strada e inizia a scendere, all’inizio non fu neanche doloroso, il bastone nel culo della sera prima non aveva paragoni, poi incontrai un ostacolo ma per quanto fossi vergine sapevo cosa stava per succedere, presi coraggio e mi lascia andare di peso, il cazzone finì tutto dentro la mia fica e sentii la sottile pelle strapparsi, fece male ma in confronto al male degli ultimi cinque giorni era nulla, mi sentii quasi sollevata ma una mano mi spinse la schiena da dietro facendomi stendere sul puzzolente aguzzino e impreparata sentii l’uomo dietro di me dire:
‘non penserai che sia così facile, ti ho detto che ti avremmo sverginata, tutti e due, manco ancora io’
Bloccata per le braccia da quello che mi stava già impalando potei solo urlare mentre l’altro spingeva per entrare contemporaneamente nella mia stretta fica, non ero mai stata penetrata e i tessuti non erano in grado di dilatarsi così tanto. Fu come se mi avessero legato le gambe a due cavalli e li avessero fatti tirare in due direzioni diverse. Ci volle un’eternità perché il secondo riuscisse ad entrare completamente. La mia fica si stava squarciando letteralmente e io non smettevo di urlare disperata mentre mi dimenavo inutilmente fra le mani forti di quello che mi tratteneva.
Una volta trovato spazio dentro di me cominciarono a scoparmi in modo meticoloso, entravano e usciva in modo alternato poi contemporaneamente e poi uno si fermava per evitare di venire mentre l’altro continuava a stantuffarmi. Dandosi il cambio nel muoversi dentro la mia fica continuarono a fottermi per un tempo che mi sembrò infinito mentre io non smettevo mai di urlare e piangere. Mi ritrovai, incredula di me, a chiedere pietà cosa che servì solo a farli concentrare di più per allungare il mio supplizio. Alla fine quello dietro di me mi afferrò i capezzoli con le dite e cominciò a stringerli con tutta la forza mentre si scaricava nel mio sesso. I miei urli divennero assurdi, mi sentivo mancare e la vista mi si era offuscata. Quello sotto, eccitato a dismisura dalla mia sofferenza non resistette e si scaricò anche lui. Si ripulirono sul mio corpo insanguinato e mi lasciarono li praticamente esanime.
Continuai a vagare fra lucidità e disperazione a lungo ma alla fine mi ripresi, subito alzai gli occhi per controllare, questa volta mi avevano lasciato viveri e coperta. Mi trascinai fra atroci dolori e finalmente sfamai una fame di giorni e giorni, non sentii neanche il sapore tanta era la necessità di nutrirmi. Alla fine mia avvolsi il più possibile nella pesante coperta macchiata del sangue della mia virtù presa in modo inumano e trovato un debole riparo dal freddo glaciale con cui ormai convivevo caddi addormentata nel letto duro.
Tempo dopo sentii la porta aprirsi, feci finta di non essermi svegliata sperando che mi lasciassero in pace e così fu, qualcuno prese il vassoio e subito se ne andò. Aspettai che si chiudesse la porta prima di guardare la mia ricompensa per tanta sofferenza. Per la prima volta in giorni sorrisi guardando, stretto nella mia mano, il cucchiaio di duro metallo’

CONTINUA’
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glorfindel@email.com
Correva l’anno 1037dc, le guerre intestine che avevano colpito la regione in cui si svolge il nostro racconto quasi venti anni prima avevano lasciato la zona priva di una vera guida e in balia di piccoli signorotti e dei malviventi che spadroneggiavano sul popolo indifeso. In mezzo al bosco, non molto distante da una strada di collegamento vi era un palazzo antico, al suo interno, in profondità, in una cella fatiscente, prigioniera da un paio di settimane, Teresa’
‘.
Sentivo le piccole pietre infilzarsi nella pelle delle ginocchia mentre con quella lunga asta di carne mi scavavano la bocca in profondità, era solo il primo e ne dovevo prendere un altro per aver finito e sperare di essere lasciata in pace.
I miei due aguzzini, puntuali come ogni giorno, avevano inventato un nuovo gioco per me. Si erano presentati portando un grosso sacco assieme al mio pranzo. Era ormai chiaro che mi sarei dovuta guadagnare ogni cena usando il mio corpo e mi ero ormai rassegnata a sottostare a questa condizione ma non mi rendevano la cosa facile. I miei carcerieri non mancavano certo di sadismo e spesso inventavano nuovi giochi che li distraessero dal loro continuo scoparmi e incularmi nei modi più fantasiosi.
Per quella serata avevano pensato bene di spargere al suolo uno strato di piccolo pietrisco, denudatisi mi avevano avvertito che li avrei dovuti far venire tutti e due con la mia bocca, senza usare le mani e inginocchiandomi su quell’aguzzo tappeto. Non mi sarei dovuta alzare per nessun motivo prima di aver finito o si sarebbero portati via ogni pietanza e, nella mia testa, non potei fare a meno di pensare che mi avrebbero anche riempito di botte.
Si misero uno di fianco all’altro, un po’ distanziati, ad aspettarmi, rassegnata mi diressi verso il mio calvario, mi inginocchia di fronte al primo uomo appoggiando le ginocchia lentamente e mentre cercavo ancora di riprendermi dal dolore della carne perforata mi ritrovai la bocca occupata. Quel grosso uccello era come sempre disgustoso, lercio e cosparso di una sgradevole patina bianca, l’odore dell’uomo, sudore stantio e sporcizia, era ancora più intenso nei peli del pube che mi ritrovavo proprio sotto il naso, non mi ero ancora abituata a quel trattamento e resistere allo stimolo di vomitare era veramente difficile. Il bestione incominciò a stantuffarmi la bocca con lenti ma robusti affondi in modo da far sobbalzare il mio morbido e abbondante seno da tutte le parti in modo doloroso, provai ad afferrarmi le mammelle per tenerle ferme ma, com’era ovvio che fosse, mi fu subito ordinato di portare le braccia dietro la schiena. I continui affondi facevano lavorare il pietrisco sulle mie ginocchia e sulle piante dei piedi, sentivo i sassolini entrare sempre più in profondità e il dolore era atroce ma poco potevo fare per sottrarmi e non volevo dare la soddisfazione ai miei torturatori di sentirmi urlare.
Alla fine il possente pene riuscì a forzare la mia gola e, affondo dopo affondo, ad entrare per tutta la sua lunghezza tra le mie labbra. La mancanza d’aria unita ai peli pubici che ora ricoprivano totalmente il mio naso mi fecero quasi perdere i sensi ma il lavoro dell’uomo su di me non mi dava la possibilità di stare ferma un secondo e quindi quei sassolini ormai simili ad aghi appuntiti riuscivano a tenermi presente senza problemi. La massa che mi ingombrava la gola si ritrasse di quasi metà della sua lunghezza per poi riaffondare di nuovo in profondità, questo movimento ripetuto sempre più rapidamente mi faceva sentire come un rospo a cui si gonfia la gola spasmodicamente. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che in quel modo presto mi sarebbe venuto in gola, la cosa forse mi faceva più schifo dell’odore in cui ero immersa ma almeno avrebbe voluto dire che ero a metà. I grugniti dell’uomo andavano aumentando e il compagno mi passò il piatto che conteneva la mia cena dicendomi:
‘quando ti esce dalla bocca continua a segarlo con una mano e fallo venire nella tua cena, poi farai lo stesso con me, vedrai, sarà più saporita’
Mentre lo sconquassamento delle mie vie respiratorie continuava i due si godettero una lunga risata per la nuova umiliazione che mi stavano imponendo.
Con l’aumentare dei respiri dell’uomo che mi stava lavorando aumentarono anche i suoi affondi sia in lunghezza che in brutalità, colpi violenti mi arrivavano sul naso dai muscoli del suo addome mentre trattenevo a stento gli sforzi di stomaco dovuti a quella grossa cappella che mi invadeva la gola. Erano aumentati anche i movimenti impressi al mio corpo e mi sembrava che qualche sassolino avesse raggiunto le ossa mentre tenevo in equilibrio il piatto con il mio unico sostentamento. In fine uscì dalla mia bocca urlando:
‘segalo stronza, segalo e fammi venire nel piatto puttana’
Esegui e guardai mentre una delle poche cose che mi erano rimasta da persona normale veniva lordata, ora anche il mio cibo era cosparso dell’abuso che veniva perpetrato su di me.
Non feci neanche in tempo a finire che subito l’altro mi disse:
‘forza troia, ora trascinati da me che sei ancora a metà del lavoro e sta attenta a non rovesciare la tua saporita cena o avrai fatto tutto per nulla’
Le loro risate fecero da coro al mio lento trascinarmi verso l’altro uomo che era almeno a un metro di distanza, nuovi spuntoni si andavano ad aggiungere a quelli già presenti nella mia carne ed altri andavano a spingere in profondità dove la pelle era già occupata da altra ghiaia. Quando arrivai mi sembrò di aver percorso dieci miglia ma il mio pasto era ancora nel piatto. Mi venne chiesto prima di leccare bene il cazzo fino a farlo lindo e a coprirlo di saliva e poi di fare tutta da sola in modo da poter fare attenzione a non rovesciare il piatto. Leccare ed ingoiare tutto lo smegma urinario che ricopriva il pene fu un’esperienza terribile, il sapore disgustose prese possesso del mio palato in modo aggressivo ma alla fine quel membro fu lucido e mi venne dato il permesso di iniziare il mio lavoro. Negli ultimi giorni avevo avuto occasione di lavorare di bocca molte volte e per necessità avevo appreso come farlo in modo da arrivare al godimento di lui il più rapidamente possibile. Purtroppo lo stronzo se ne accorse e mi intimò di non provare a farlo venire prima di averlo ingoiato fino in fondo. Questo cazzo era un po’ più corto dell’altro ma molto più largo, mi faceva male la mascella per lo sforzo di divaricarla tanto da ospitare quell’ingombro ma almeno la mia gola ormai allenata aveva vita più facile. Lo feci affondare tutto fino ad immergere il viso nel suo pube e li incomincia a muovermi ritmicamente facendolo uscire e rientrare di poco. Per il movimento veloce sentii colare un po’ di zuppa a lordarmi il corpo ma continua ed ottenni l’effetto voluto. Il bestione mi grugni di farlo venire, lo feci arretrare dalla mia gola ed inizia a lavorarlo di lingua sul glande mentre succhiavo rumorosamente. Non ci volle molto perché potessi scaricare l’abbondante e denso sperma nel piatto.
I due, soddisfatti, si rivestirono e se ne andarono augurandomi buona cene. Restai a fissare il piatto per un po’, lo sperma raggrumato si era andato a mischiare ovunque, toglierlo era impossibile e a malincuore dissi addio anche a quel frammento di dignità, mi nutrii, avevo bisogno di forze, avevo un lavoro da portare avanti.

Ci vollero delle ore perché riuscissi a togliere tutto il pietrisco dalla mia carne ma la situazione era meno grave di quanto sembrasse mentre la subivo.
No riuscivo a pensare ad altro che a portare avanti il mio progetto, dopo aver rubato il cucchiaio, come prima cosa, dovetti scavare una nicchia sotto il letto e dovetti farla in modo che si incastrasse a perfezione ed in modo solido, avevo paura che potesse cadere a terra vista la violenza con cui venivo violentata spesso su quel letto. Fu un lavoro lungo perché non era certo un oggetto affilato ma grazie al legno marcio alla fine riuscii nel mio intento. Dopo quel preparativo mi dedicai al lavoro vero e proprio, con il manico del cucchiaio riuscivo, molto lentamente, ad avere la meglio sulla malta che teneva i mattoni uniti fra loro e sfruttando la parte di muro sottile sopra la nicchia in cui mi lasciavano il vitto, riuscivo a scavare per tutta la profondità fra mattone e mattone, il lavoro procedeva lento perché dovevo liberarmi del materiale scavato e visto che la fossa che mi era stata assegnata come toilette non era in grado di ospitare tutto quel materiale mi trovai costretta e ricacciarlo, con le mani, tra mattone e mattone nelle parti di muro che non mi interessavano, capii subito che si sarebbe trattato di un lavoro di mesi ma non è che avessi molto altro da fare quindi mi aggrappai a quella speranza.

Il tempo scorreva lento mentre il mio progetto andava avanti millimetricamente, come prezzo per ogni mio pasto il mio corpo veniva straziato dalle fantasie dei miei aguzzini, più volte mi fecero rifare il gioco della ghiaia che sembrava dargli una particolare soddisfazione ma quando invece di venire in coppia ne arrivava uno solo forse era anche peggio. Uno aveva una vera passione per il mio culo in cui si divertiva ad infilare oggetti di varia natura e dimensione, a dilatarlo infilando due dita di una mano e due dell’altra per poi allargare l’apertura al massimo che riusciva mentre io urlavo disperata, una volta tentò di infilarci l’intera mano ma il dolore era tanto forte che non riuscivo a stare ferma e starnazzavo talmente tanto che alla fine desistette accontentandosi di sodomizzarmi mentre mi riempiva di sculacciate con quelle mani nerborute che sembravano scavarmi le morbide carni.
Il secondo, invece, preferiva le mie tette. Mi faceva impalare la fica mentre lui stava sdraiato per terra e poi inveiva sulle mie grosse mammelle con forti sberle e stringendole nelle mani con tutta la forza che poteva. Si aggrappava spesso ai capezzoli con i denti facendomi contorcere come una pazza per il dolore. Il gioco finiva solo quando riuscivo a farlo venire ma farlo in quel modo era veramente un impresa, il dolore mi toglieva la capacità di muovermi a piacere quindi la tortura durava un tempo che io percepivo come ore.
Quello che era certo è che ogni mia cena era sempre condita con la sborra di quei due sadici.
Tenevo il conto delle albe grazie all’apertura in cima alla mia cella e dopo quello che contavo come un mese ci fu un cambiamento. Venni completamente abbandonata, passarono quattro giorni senza che vedessi nessuno e senza che ricevessi ne cibo ne acqua.
Il quarto giorno la porta si aprì, avevo la gola riarsa tanto che nella disperazione avevo provato a leccare l’umidità dai muri, già dalla fine del terzo giorno non lavoravo più ai miei scavi, facevo fatica a respirare quasi come se l’aria che passava nelle mia gola secca fosse sabbia. Forti dolori erano comparsi in tutti il corpo durante le ultime ore quindi, quando vidi qualcuno entrare dalla porta, riuscii solo a chiedere acqua disperata. Acqua ebbi, era una donna di mezza età quella giunta in mio soccorso e mi fece subito dissetare, il senso di sollievo fu indicibile e continua a bere avidamente mentre nella cella venivano sistemati una vasca da bagno che fu riempita di acqua calda e vari contenitori.
La donna mi spiegò che il padrone voleva vedermi quindi ero stata lasciata sola perché mi purificassi dai residui che i miei compiti normali lasciavano su di me, in pratica dovevo pulirmi delle violenze che subivo normalmente. Ora sarei dovuto essere lavata, profumata e preparata per il mio padrone e dopo aver indossato una vestaglia lei mia avrebbe condotto al suo cospetto.
Fu molto scrupolosa nel suo lavoro, mi liberò di ogni pelo sul corpo, mi lavò con attenzione senza tralasciare gli angoli più nascosti e pulì approfonditamente i miei orifizi penetrandoli con le dita per lustrare anche l’interno. Fu scrupolosa anche con la bocca, i denti e perfino la lingua chiedendomi di farle sentire l’alito e continuando fino alla completa soddisfazione del risultato.
Alla fine mi vestì con una sottile stoffa, mi fece mettere dei sandali ai piedi perché non si sporcassero durante il tragitto, mi bendò con attenzione e mi disse di andare.
Per la strada provai a dirle che dopo quattro giorni morivo di fame e lei mi spiegò che c’erano delle regole.
Non avrei dovuto per nessun motivo togliermi la benda, non dovevo parlare per nessuna ragione, se lui avesse parlato io dovevo solo eseguire e mai e poi mai rispondere, ogni cosa che mi veniva chiesta dovevo eseguirla all’istante senza indecisione. Se non avessi fatto una di queste cose sarei stata abbandonata nella mia cella a morire di sete. Se avessi eseguito alla lettera, al mio ritorno, avrei trovato del cibo e sarei tornata alla mia vita normale fino a quando il padrone non avesse richiesto di me.
Il percorso che dovetti fare nell’assoluta cecità fu lungo e dopo le prime svolte non riuscii più a memorizzarlo, alla fine arrivammo e la mia guida mi disse:
‘ora entriamo, ricorda bene quello che ti ho detto, con lui non sono ammessi errori, ne va della tua vita’
Entrammo e dopo pochi passi ci fermammo e subito sentii il vestito che mi veniva sfilato lasciandomi completamente nuda e indifesa.
Sentii i suoi occhi che mi osservavano penetranti, 1,55 centimetri, capelli scuri, lisci che mi arrivavano fino all’altezza del seno prosperoso e sodo che svettava indomito sul mio vitino stretto ornato da capezzoli con grosse aureole, non propriamente magra neanche dopo la dieta forzata ma semplicemente morbida quanto basta. Labbra carnose incastonato in un viso adolescente che sembrava voler sfidare il mondo. Un culo sodo, prepotente ed invitante sorretto da cosce morbide che promettevano beata comodità nel possedermi.
Restai li in piedi per svariati minuti, immobile ed in assoluto silenzio mentre godevo finalmente di aria fresca e pulita che accarezzava il mio corpo facendo inturgidire i mie capezzoli.
Mi sentii prendere da mani femminili per un braccio e fui accompagnata verso quello che sembrava un tavolo, mi fece sdraiare a pancia in su, il tavolo era corto, mi lasciava la testa e parte del culo fuori, sentii la mia accompagnatrice prendermi le braccia e allungarle gentilmente verso il basso per poi legarle alle gambe del tavolo, dopo mi legò la vita al piano che mi sosteneva e fu poi la volta delle gambe che furono rannicchiate sul mio ventre, allargate in modo che non coprissero il seno e così bloccate, in breve, per la mancanza di qualcosa che sorreggesse il collo, dovetti abbandonare la testa indietro. Sentivo passi pesanti intorno a me mentre immaginavo l’uomo che di fatto e contro la mia volontà era ormai il mio padrone. Sentii in contemporanea mani forti sfiorarmi il corpo ovunque e qualcosa di non molto grosso introdursi nel mio ano per poi gonfiarsi un po’ fino a rimanervi incastrato. Dopo poco sentii un liquido caldo uscire dall’intruso nel mio culo ed invadere il mio addome, non era doloroso e cercai di rimanere rilassata. Man mano che il liquido mi riempiva le mani che mi sondavano si facevano più invadenti, iniziarono a palparmi il seno in modo pieno, giocarono con i capezzoli a lungo ma non divennero mai violente. Dopo un po’ si spostarono e saggiarono ogni centimetro di pelle esposta, percorsero a lungo le gambe rannicchiate, saggiarono i miei fianchi facendomi venire i brividi, si posarono sul mio viso a cercare le mie labbra, le scavarono e io non opposi resistenza quando si introdussero nella mia bocca a giocare con la mia lingua. Nel frattempo il liquido continuava ad entrare in me e sentivo il mio ventre gonfiarsi sempre più. Dopo un po’ la pressione al mio interno diede il suo effetto e dei crampi allo stomaco mi strapparono a quel trattamento che sicuramente era stato il più piacevole da che ero prigioniera. I dolori si fecero presto lancinanti e la voglia di liberarmi impellente ma lo strumento che mi sodomizzava era ben piantato in me ed impediva ogni fuoriuscita. Mi sfuggi qualche gemito di dolere e subito dopo sentii un bacio leggero, soffice, appoggiarsi sulle mie labbra. Un odore forte e piacevole mi arrivò alle narici, non riuscivo a capire cosa fosse, non avevo mai sentito un odore così poi lui parlò solo per dirmi:
‘shhhhhh”
Staccò le labbra dalle mie labbra per sostituirle con quello che riconobbi subito come un glande, aprii la bocca mentre le corde mi impedivano di contorcermi per il dolori dati dal mio addome rigonfio. Lui entrò, senza violenza ma deciso, forzò ogni resistenza e si infilò subito nella mia gola ad azzittirmi, si aggrappò al mio seno e li restò a scoparmi lentamente e implacabilmente la gola mentre io mi sentivo talmente piena da scoppiare.
Non c’era il minimo segno di violenza sadica in quello che mi stava facendo, era semplicemente metodico, faceva di me quello che voleva come se io fossi un puro oggetto privo di volontà, non si accaniva sul mio seno, lo palpava con forza, mi stropicciava i capezzoli come stesse lavorando della pelle per farne un abito. Non vi era rabbia ne godimento nel mio dolore, doveva essere fatto e così era, semplicemente.
Svenni diverse volte per la mancanza di aria e subito fui ridestata da un forte odore che mi veniva messo vicino al naso solo per ricominciare il lavoro sul mio corpo, se non fossi stata bendata ero sicura che avrei visto il mio addome gonfio come fossi una gestante poco prima del parto. Poi, mentre quel lento andirivieni nella mia gola continuava come fosse una macchina a guidarlo il liquido si fermo e la donna che mi aveva accompagnato mi disse:
‘stringi bene il sedere, non fare uscire una goccia’
Quella situazione mi aveva come distaccata dal mio corpo, venivo trattata da oggetto e cominciavo a sentirmi come un oggetto, come se il mio corpo non mi appartenesse. Per quanto i dolori fossero forti esegui stringendo i muscoli dello sfintere più che potevo e mentre lo stantuffare nella mia bocca procedeva impietoso sentii la pallina nel mio culo sgonfiarsi e la cannula ritrarsi per essere subito sostituita da un grosso tubo, grosso almeno quanto un polso che penetrò dolorosamente il mio ano forzando i muscoli che tenevo contratti per non far fuoriuscire il liquido che mi invadeva lo stomaco.
Appena il tubo entrò in me mi sentii svuotare ravidamente e un gran senso di sollievo mi invase, non sentivo il liquido che defluiva e mi chiesi dove fosse andato a finire. Se per riempirmi c’era voluta un’infinità svuotarmi fu un attimo e l’ingombrante tubo mi fu tolto dal culo in breve tempo ma solo per essere sostituito da una cannula più grossa della precedente che si gonfiò anch’essa per andare a sopperire al cedere del mio orifizio.
Venni gonfiata e sgonfiata altre due volte, la quantità di liquido immesso era sempre maggiore e la pelle dell’addome sembrava volersi strappare. Mentre i crampi non mi lasciavano scampo la gola si era ormai abituata al lento e profondo stantuffare che mi faceva sembrare la mascella slogata.
L’ultimo clistere fu di acqua fredda e fu terribile, non riuscivo a fare a meno di dimenarmi ma, in quanto mero oggetto, non sembrava esserci nessuno interessato alla mia sofferenza. Per fortuna il liquido fu iniettato più rapidamente e la tortura finì in breve tempo dichiarata dalla voce della serva che diceva:
‘signore, ora è pulita’
Il grosso membro uscì dalla mia bocca, avevo il volto ricoperto di saliva, se me lo avessero chiesto avrei giurato di essere stata scopata in gola per almeno due ore.
Ancora passi intorno a me, mani maschili che mi afferrano le chiappe e poi un cazzo virile che si infila sfacciatamente nel mio ano fino alla radice. Ancora nessun segno di violenza ma una semplice, lunga, metodica, inculata, mani grosse a cingere i miei fianchi mentre, senza alcun rumore, quell’uomo prende possesso del mio culo con autorità come a comprovare che Teresa ormai è un suo semplice possedimento.
Tutto il dolore provato per i clisteri mi aveva sfiancata e restai li vinta a farmi sodomizzare per tutto il tempo che volle gemendo leggermente. Quando ormai il bruciore al mio culetto era insopportabile per i lunghi e infiniti affondi lo sentii uscire e avvertii dei lunghi, caldi getti sul mio ventre, sui seni e anche sul volto. Come in trans mi leccai le labbra e conobbi il suo sapore’

Il resto e confuso, ero stordita mentre mi riaccompagnavano nella mia cella, venni fatta accasciare sul letto e li riposai, l’unica cosa di cui mi resi conto è che avevano cominciato a prepararmi per il mio padrone che era mattina ed ora il sole era tramontato.

Al mio risveglio il cibo era la suo posto con abbondante acqua e non era condito con sperma di sporchi aguzzini. Magia con gusto anche se dovetti farlo in piedi, stare seduta non era ancora nelle mie possibilità visto il dolore al culo, appena finito ripresi il mio cucchiaio e ricomincia il mio lavoro.

Passarono nella solita routine quelli che contai come sei mesi, il padrone mi volle vedere altre due volte e ogni volta si ripeté il solito, straziante, processo anche se devo dire che mi ci sottoponevo, in un qualche modo, volontariamente, stavo, mio malgrado, iniziando a riconoscere a quell’uomo una sorta di diritto su di me e questo non mi piaceva.
Una sera, finalmente, dopo aver saziato i soliti due aguzzini e dopo aver divorato la cena da loro condita, approfittando della notte che avevo di fronte, ebbi la meglio sull’ultimo mattone, riuscii ad aprire una breccia nel muro e scivolai nella stanza accanto’

CONTINUA’
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Il mio nome è Teresa e fino a poco tempo fa ero solo la bella figlia di una famiglia di contadini dei primi anni 1000dc. In un mondo ormai privo di regole dove brutalità e soprusi erano all’ordine del giorno vivevo, ingenua, una vita povera ma felice finché, un giorno, degli uomini non vennero a cercarmi e mi strapparono dalla mia casa.
Ora sono solo la prigioniera di una cella lugubre e vengo usata per soddisfare sadiche perversioni da cui non ho via di scampo o almeno questo è quello che pensano i miei carcerieri’
Mentre i giorni del mio rapimento si allungavano fra brutali sevizie, violenze sessuali e azioni atte a distruggere la mia volontà io non smisi mai di lavorare alla mia fuga ed, in fine, riuscii ad aprire una breccia nel muro della mia cella e attraverso quella mi gettai alla ricerca della speranza di ritrovare la libertà per poi scoprire il perché del mio destino. Pochi erano gli elementi a mia disposizione ma era convinta di non essere stata scelta a caso e volevo sapere qual’era il motivo che mi aveva condannato ad un simile fato.

Il cuore mi batteva in gola come impazzito mentre impattavo sul pavimento della stanza attigua alla mia cella, terrorizzata all’idea di finire in un vicolo cieco o ancor peggio in braccio a qualche guardia, mi guardai intorno convulsamente per scoprire che ero finita in una cella gemella alla mia. Dopo essermi assicurata di non avere compagnia mi avvicinai alla porta, la spinsi appena e quella si mosse liberamente. Le mie intuizioni si erano rivelate esatte; tutte le volte che qualcuno veniva a trovarmi nella stanza in cui ero rinchiusa avevo notato che il vento si incanalava dalla porta aperta per fuggire dalla finestra vicino al soffitto. I colpi metalli che sentivo di continuo giorno e notte mi aveva fatto insospettire, quel rumore non era altro che la porta che mi trovavo di fronte ora che batteva ritmicamente sospinta dal vento. Avevo trovato una via d’uscita ma il lungo tempo passato a riflettere mi aveva convinta che tentare una fuga alla cieca sarebbe stata una vera pazzia. Comincia a rimettere i mattoni al loro posto uno ad uno fino a ricomporre la parete alla perfezione poi presi la coperta che mi era stata lasciata come unico indumento, nelle lunghe notti solitarie, utilizzando il cucchiaio che si era affilato nel lavoro di scavo, avevo modificato quello straccio ricavandone una specie di saio con una cintura, lo indossai in modo da potermi muovere liberamente e striscia sotto il letto cercando di nascondermi meglio che potevo. Attesi lungamente che la notte venisse sostituita dal giorno e poi ancora dalla notte finché non arrivò l’ora in cui i miei carnefici venivano a portarmi il pranzo pretendendo un brutale compendio in natura. Non potei fare a meno di chiedermi quale tortura avessero riservato per me quella sera. Sentii passi noti avvicinarsi e smisi anche di respirare per non far rumore, mi ero allenata a lungo nel trattenere il fiato sia grazie ai cazzi che spesso mi invadevano la gola soffocandomi che per prepararmi a questo giorno. Tutto il mio destino si sarebbe giocato nei prossimi minuti e dovetti fare uno sforzo di volontà per calmarmi e restare lucida. Sentii la porta della mia vecchia cella aprirsi poi silenzio, un silenzio che sembrava non volere finire:
‘cazzo, dov’è?, quella troia è fuggita, non è possibile, cercala, guarda dappertutto, non c’è, non c’è, siamo nella merda, ma come ha fatto ? è impossibile, il padrone ci ammazza, ci spella vivi e ci da in pasto ai maiali, aspetta, aspetta, facciamo silenzio, dobbiamo trovarla prima che qualcuno si accorga che è fuggita, il padrone la cerca di rado, abbiamo tempo, dobbiamo ritrovarla o siamo morti, andiamo, svelto”
Era proprio quello che speravo, la paura della punizione del padrone aveva convinto i miei carcerieri a non dare l’allarme e a cercarmi da soli, mancava solo una cosa, l’ultimo particolare prima di muovermi; la direzione dei loro passi, se avessero pensato di cercarmi nella cella accanto non avrei avuto scampo ma era lecito sperare che non gli venisse in mente, tra tutte le idee che mi erano venute nascondermi a pochi metri da dove mi avevano rinchiuso mi era sembrata la più sensata e così fu, li sentii allontanarsi ed era il momento di muovermi e in fretta, non potevo perderli. Le lunghe passeggiate che avevo fatto mentre venivo trasportata dal padrone mi avevano fatto capire che quelle prigioni erano una specie di labirinto, ecco perché non avevo tentato la fuga subito, speravo che le mie guardi mi avrebbero cercato da sole e volevo seguirle per farmi indicare la via d’uscita.
Sgattaiolai fuori da sotto il letto e dopo aver aperto la porta silenziosamente mi affaccia, i due si erano allontanati abbastanza da non sentirmi ma io potevo vedere e seguire la luce delle loro torce. L’eco mi portò la loro voce, avevano deciso di dividersi, uno mi avrebbe cercato nelle prigioni nel caso mi fossi persa li e l’altro avrebbe ispezionato i piani abitati. Maledizione, se sbagliavo strada ero spacciata ma se l’azzeccavo mi sarei avvicinata notevolmente alla libertà. Le due torce si divisero, che fare ? ma la sorte mi venne in soccorso, vidi una delle luci salire verso l’alto e poi sparire di botto, scale, scale verso la superficie, quella era la mia strada, lentamente prosegui la mia fuga e quella fiaccola di speranza fu la guida verso il successo. Dopo un lungo e silenzioso inseguimento giungemmo ad un androne e mentre mi nascondevo dietro un angolo vidi quella che era chiaramente la porta verso l’esterno, verso la libertà. La mia guida aveva preso le scale per i piani superiori e io non avevo certo intenzione di continuare a seguirla ma c’era un problema che non avevo calcolato, due guardie armate alla porta e non erano di quelle che sonnecchiano durante il turno. Ero in trappola come un topo, non potevo avanzare a causa delle guardie e primo o poi l’altro carceriere sarebbe riemerso alle mie spalle. Il panico si stava impossessando di me mentre il cervello lavorare alla ricerca di una via di fuga ma, all’improvviso, sentii una voce, era la donna che mi preparava per le visite al padrone e stava dicendo alle guardie di raggiungerla al piano di sopra, quelle protestarono dicendo di non poter lasciare incustodito l’ingresso ma lei fu chiara nel rammentargli che era un ordine del loro signore.
Quell’inaspettata fortuna mi sembrò strana ma non è che potessi badare troppo ai particolari, appena vidi la via libera sguscia verso la porta, la scostai quel tanto che bastava a farmi passare e fui fuori nel fresco della notte.

Una notte orfana di luna mi venne in aiuto nascondendomi nella sua ombra, attraversai indisturbata lo spiazzo che circondava la costruzione ove ero stata prigioniera, avevo abbandonato ogni precauzione e correvo verso il bosco aggrappandomi solo alla speranza, mi fermai un attimo per guardarmi intorno, quale direzione ?, vidi in lontananza una flebile luce ed in mancanza di alternative scelsi quella direzione’

Il buio che mi era stato alleato si tramutò presto in un grosso problema, l’oscurità mi faceva avanzare molto lentamente, incespicavo spesso e i piedi erano torturati dal manto boscoso, camminai per almeno due ore mentre la luce si faceva sempre più viva come la mia speranza di essere finalmente in salvo.
Quando ormai ero vicina alla meta mi resi conto che l’origine era un grosso fuoco da campo e la paura mi invase, un fuoco da campo in quei boschi non prometteva niente di buono ma prima che potessi decidere di cambiare direzione una mano mi coprì la bocca mente un forte braccio mi cingeva bloccandomi ed alzandomi da terra.
Mi trovai in mezzo ad un gruppo di dodici banditi che discutevano su di me ma le loro chiacchiere ebbero poco corso, quello che evidentemente era il capo decise:
‘legatela bene e chiudetela a chiave nel carro, ci stanno facendo aspettare qui da quasi una settimana e vedrete che presto verremo chiamati al maniero e li, magari, potremo venderla e ricavarne un bel gruzzoletto’
L’angoscia mi colpì distruttiva, tutti i miei sforzi, mesi e mesi di lavoro e pianificazione stavano andando in fumo davanti ai miei occhi. Ora che avevo assaporato la libertà mi trovavo di nuovo prigioniera di uomini che avevano intenzione di riportarmi proprio nel luogo da cui ero appena evasa. Mentre uno mi trascinava per un braccio verso il carro la mia mente non smetteva di cercare una via di fuga, se mi avessero legata e rinchiusa non avrei avuto più alcuna possibilità ma non riuscivo a trovar rimedio a quella situazione e all’improvviso mi sentii pronunciare parole che prima di quell’esperienza non sapevo neanche di conoscere. Mentre con la mano libera mi sfilavo il saio restando completamente nuda dissi:
‘sono delusa, trovando un gruppo di maschi come voi ero convinta che questa notte mi sarei divertita ma sembra proprio che non abbiate voglia di farmi vedere se i vostri cazzi funzionano’
Cadde il silenzio mentre mi sembrava di poter vedere il sangue dei banditi lasciare il cervello per riversarsi completamente nei loro uccelli. In breve mi saltarono addosso e cominciò un’altra volta lo sfruttare senza ritegno del mio corpo ma mentre la paura di ciò che mi avrebbero fatto si impadroniva di me nella testa riprendeva vita la speranza che se si fossero concentrati troppo sullo scoparmi forse avrebbero abbassato la guardia e magari sarei riuscita ad uscire da quella situazione. Vi era una nuova speranza’

Mani si andavano facendo strada in ogni parte del mio corpo mentre una bocca dall’alito pesante si impadroniva della mia scavandomi con la lingua, le mie grosse ed invitanti tette vennero subito afferrate con violenza e i primi urli si mischiarono con il mio respiro ma poi la voce del capo si fece sentire:
‘piano, piano ragazzi, di donne ne abbiamo violentate già più che a sufficienza, questa ci si offre spontaneamente, non esagerate e fate divertire anche lei, anzi, portatemela un attimo e che sia ben esposta’
Un uomo mi prese da dietro, sotto le braccia e mi alzò mentre altri due mi afferravano per le caviglie divaricandomi oscenamente, così conciata mi trasportarono fino davanti al loro capo che mi guardava sorridente:
‘non ti spiace se ti assaggio un po’ vero?, fra non molto mettere la lingua nella tua fica non sarà molto piacevole quindi vorrei approfittarne ora che sei pulita’
Dovevo cercare di mantenere il controllo della situazione, se tutti quegli uomini si fossero lasciati andare su di me senza freni rischiavo di farmi ammazzare a forza di cazzi e pensai che l’unico modo che avevo era partecipare per cercare di guidarli in qualche modo.
‘accomodati pure, non vedo l’ora, se fate i bravi e non mi rompete vedrete che saprò accontentarvi tutti’
Le sue mani si allungarono ad afferrare le tette, le palpava con gusto e con calma godendo del poterlo fare con la mia partecipazione e intanto cominciò a pomiciare con la mia fica. Quella lingua che mi esplorava in profondità, così ruvida, iniziò gradualmente a farmi crescere un fuoco dentro, la mancanza di dolore mi permetteva di godere appieno delle sensazioni che provavo e così quella che doveva essere una recita del mio godimento si tramutò lentamente in realtà e io comincia a perdere il controllo dei miei sensi.
‘Siii, leccami la fica, fammi sentire come mi scopi con la lingua, il clitoride, succhiami il clitoride ti prego o si così, che bello, mi sento bruciare, le tue mani, mi piace che mi palpi le tette, fammi sentire come le stringi, come ti piace’
Teresa, in preda alle emozioni di quella notte, in assenza del dolore che di solito la attanagliava, si perse nelle sensazioni del sesso mentre il capo dei briganti le masturbava la fica con la lingua in modo intenso e passionale, in breve tempo la fece venire nella sua bocca appagandosi dei tremori del suo corpo. Quel primo orgasmo smosse qualcosa nella donna che dopo aver passato mesi come oggetto da far soffrire venne invasa dalla lussuria e dal piacere e incominciò a desiderare realmente di essere scopata quasi come fosse una prova della fine della sua schiavitù.
Mentre ancora ansimava l’uomo si stacco dalla sua passera e cominciò a leccarle il buco del culo
‘ci concederai anche questo sta sera ?’
‘vi darò tutto, tutto quello che vorrete ma ora scopatemi vi prego, ne ho bisogno’
‘è tutta vostra ragazzi e mi raccomando trattatela bene’
Teresa, che era ancora sollevata da terra da uno degli uomini fu fatta accomodare direttamente sulla mazza dura di uno dei compagni che venne risucchiata nella sua figa grondante umori.
‘oh si che bello, ti sento dentro, chiavami, scavami, venite qui, entrate nelle mie labbra, voglio assaggiarvi tutti’
Gli uomini, di fronte a una donna così vacca rimasero quasi ipnotizzati e si fecero guidare dai desideri di Teresa che iniziò a spompinare ogni cazzo che si avvicinava, li leccava ebbra di libidine ingoiandoli fino alla radice di sua spontanea volontà mentre muoveva il bacino per aumentare gli stimoli che il cazzo che la scopava le dava. In breve ne fece sfogare due nella sua bocca ingoiando tutto quello che riusciva e spalmandosi la sborra rimanente sulle tette che sobbalzavano per i continui colpi.
‘buono, ne volgi ancora, voglio riempirmi di cazzi, o dio, vengo, vengo ancora, ne voglio di più, il culo, inculatemi per favore’
Subito un nerboruto brigante si portò alle sue spalle e, dopo essersi lubrificato con gli umori che colavano sulle cosce di lei incominciò ad entrarle nell’ano
‘ah, ah mi spacchi bastardo, spaccami il culo, fino in fondo ti prego’
Il bestione incominciò ad incularla selvaggiamente mentre i mugoli di lei venivano soffocati da un lungo cazzo che faceva fatica a trovare posto nella sua bocca. Quello che la stava scopando, stimolato dal cazzo dell’amico che scavava il canale anale le si riversò in fica facendola gemere e liberandole poi il sesso. La tirarono su di peso senza mai sfilarle il cazzo dal culo e un brigante che non aveva ancora partecipato si impossessò della figa restata libera cominciando, al contempo, a baciarla avidamente.
Così sbattuta da due uomini contemporaneamente, in piedi, Teresa mugolava sconvolta dal piacere, aveva afferrato i due cazzi dei tizzi che si erano messi a lapparle le tette e li segava al ritmo delle stantuffate che riceveva simultaneamente in figa e nel culo. Dopo un po’ di quel trattamento, una volta che le ebbero riempititi tutte e due i buchi di sborra i due si levarono e Teresa venne calata su un altro brigante fresco in modo che il suo grosso cazzo le si infilzasse nel culo ormai aperto
‘ahhhh, il mio culo, come ti sento dentro il culo, come mi piace, datemi i vostri cazzi, la vostra sborra’
A questo richiamo subito uno le entrò di nuovo in figa mentre un terzo le si calò sulla bocca e in tre cominciarono a scoparla intensamente, a lungo. Gli uomini cominciarono a passarsi quel corpo, in grado ormai solo di gemere di piacere, l’un l’atro, tutti tranne tre, il capo e altri due tizzi che se ne stavano tranquilli a guardare. Molti, dopo essere venuti con il suo corpo almeno due o tre volte a testa si andavano a mettere vicini al fuoco a bere vino soddisfatti della scopata. Alla fine ne arano rimasti solo due con ancora i cazzi duri e Teresa ricoperta e riempita di sborra li lasciava fare sfinita dai numerosi orgasmi che aveva avuto
‘adesso bella troia, ti scopiamo la figa assieme così le diamo una bella riempita per concludere il tuo divertimento’
‘no, no, vi prego, mi spaccate, fa male’
‘stringi i denti, vedrai, se ti rilassi sarà solo un attimo e poi sarà bello il doppio’
Teresa, ripresasi per la pressione dei due peni che cercavano di spaccarla stinse i denti mentre si sentiva dilatare il sesso a dismisura, quel ritorno al dolore ebbe l’effetto di svegliarla e di ricordarle la sua situazione. Dalla sua posizione riusciva a vedere solo uomini addormentati, sfiniti e ubriachi e la speranza che la sua occasione stesse per arrivare sembrò farsi più concreta.
Urlò disperatamente mentre i due uomini la squartavano ma alla fine riuscì ad ospitarli, ogni stantuffata sentiva la pelle come dovesse strapparsi e si dimenava furiosamente quanto inutilmente. I due, che erano venuti già diverse volte, protrassero quel trattamento per infiniti minuti mentre quello sotto la baciava soffocando i suoi urli con la bocca ma, alla fine, dovettero cedere e scaricarsi contemporaneamente nella sua fica. Si staccarono da lei restando a terra sfiniti e in breve si addormentarono anche loro. Teresa ansimava e tremava mentre rivoli di sperma le uscivano da tutte e due i buchi tanta era la quantità che le avevano riversato dentro. Respirò a lungo cercando di riprendersi e appena ne ebbe le forze cominciò a strisciare lentamente per allontanarsi dal campo dei banditi, era distrutta e sfinita ma questa era proprio l’occasione che aspettava.
‘dove credi di andare?, non vorrai lasciare noi tre a bocca asciutta vero ? e poi, mi spiace ma a noi piace quando le donne urlano di dolore e non di piacere’
Le si ghiacciò il sangue, il capo e i suoi due sgherri, nascosti nell’ombra, non avevano mosso un dito fino ad ora ma sembrava proprio che fosse venuto il loro turno. La presero e la portarono vicino al fuoco, le misero uno straccio in bocca e la imbavagliarono. Lei era sfinita e non riusciva a fare la minima resistenza.
La alzarono di peso e la fecero impalare, a pancia in su, di culo su uno dei tre che le afferrò le cosce tenendole indietro ben allargate, l’altro le blocco le braccia dietro la testa mentre il capo si posizionava in mezzo alle sue gambe:
‘ho visto che ti è piaciuto prendere due cazzi nella fica contemporaneamente ma credo si possa fare di meglio, credo che ci possa entrare tutta la mia mano ma devi scusarmi sen tengo il guanto, sai, con tutta la sborra che hai dentro mi fa un po’ schifo metterci la mano nuda anche se temo che le borchie di metallo del guanto ti daranno qualche fastidio’
Teresa sgrano gli occhi incredula nel terrore più totale mentre il capo branco, senza attendere neanche un secondo, messa la mano a cuneo cominciò il suo lento lavoro. Le prime quattro dita, grazie alla dilatazione precedente e all’abbondante sborra a lubrificare entrarono abbastanza bene e anche la punta del pollice non ebbe troppa difficoltà ma poi la mano andava allargandosi e il buco di Teresa aveva raggiunto il suo limite. L’uomo, per nulla scoraggiato, cominciò a girare e spingere forte la mano guadagnando qualche millimetro ad ogni affondo. Teresa urlava soffocata dal bavaglio come fosse un maiale sgozzato e cercava di dimenarsi come una pazza ma le braccia che la trattenevano erano troppo forti e come unico risultato otteneva solo di sodomizzarsi meglio col cazzo dell’uomo che le stava sotto. Dopo un po’ smise anche di contorcersi e urlare continuando a singhiozzare mentre le lacrime le solcavano il viso. La mano la scavò lentamente, i tessuti cedevano, piano ma si dilatavano e dopo almeno mezz’ora di lavoro a forzare la sua apertura le nocche borchiate arrivarono a toccare la pelle della vagina straziata. Mentre il metallo passava spietato Teresa ricominciò ad urlare e dimenarsi ottenendo sempre lo stesso risultato. Alla fine, tra le convulsioni della donna, la mano entrò nel suo sesso fino al polso e li l’uomo cominciò a ruotarla mentre la chiudeva a pugno e la riapriva ordinando al suo compagno di incularla. Sfruttando la mano nel suo sesso la alzava di peso e poi la riabatteva nel cazzo che le tappava l’ano mentre l’uomo sotto la sbatteva in controtempo, ne venivano fuori degli affondi violenti nel culo della ragazza reso strettissimo dall’invasione del suo sesso. In breve nuova sborra le si riversò nel culo e il capo tirò fuori la mano chiusa a pugno dal suo sesso. Il dolore fu talmente forte che Teresa, finalmente libera, si rotolò su se stessa tenendosi la fica e piangendo disperatamente.
‘vieni qui, vieni qui, non è ancora finita, devi fare venire noi due e visto che si è fatto un po’ tardi abbiamo deciso di venirti tutti e due nel culo ma contemporaneamente, vedrai, facevi tanto la troia a inizio serata, ti piacerà’
Teresa, ormai inerme, venne presa di peso e impalata sull’ultimo sgherro che ancora non era venuto e che si era sdraiato a terra per penetrarla, si accasciò indifesa sul suo corpo schiacciando le grosse tette sul suo petto. Il capo iniziò ad attuare il suo sadico piano, fare entrare la cappella nello stretto buco già occupato fu molto arduo e la donna subì l’operazione singhiozzando per quanto le permetteva il bavaglio, una volta superato quell’ostacolo però bastò un forte colpe e tutte e due i membri entrarono nell’ano martoriato che si allargo oscenamente. Iniziò così un’ultima, lunga cavalcate fra le chiappe di Teresa che si sentì sconquassate dai due membri contemporaneamente come se le arrivassero fino al cervello. Alla fine il suo stomaco ricevette gli ultimi due pieni di sborra mentre urla atroci venivano azzittite dal bavaglio e lei venne scaraventata a terra in malo modo. Anche i due sgherri andarono a riposarsi soddisfatti e Teresa restò sola con il capo e, quasi in trans, lo sentì dire:
‘mi dispiace bella ma ormai di te non ce ne facciamo nulla, saresti solo una bocca da sfamare, faccio prima ad ammazzarti’
Incapace di muoversi, mentre guardava l’uomo prendere un coltello ed avvicinarsi a lei riusciva solo a pensare:
‘non può finire così, ci ero andata così vicina, mancava così poco”
Poi, come si trattasse di un sogno, vide una spada lunga, larga quasi due palmi, spuntare del petto di colui che voleva ammazzarla mentre un’espressione stupita si dipingeva sul sui viso morente.
Cinque uomini vestiti di bianco e armati di enormi spade a due mani alte quasi quanto un uomo si muovevano per il campo silenziose falciando le vite di quelli che l’avevano ridotta in quello stato. Uno in particolare, il più alto, sembrava danzare con quell’enorme spada in mano come se stesse maneggiando un leggero fioretto e ad ogni movimento una vita veniva meno.
Ci vollero pochi secondi perché tutti i banditi venissero sterminai e poi proprio quell’uomo le si avvicinò, le tolse il bavaglio, la coprì con il suo mantello e la sollevò sulle braccia come fosse un fuscello.
Teresa svenne lasciandosi abbracciare del buio’

CONTINUA’

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Ripresi conoscenza dopo breve tempo, ero ancora fra le braccia di quell’uomo, avvolta nel suo morbido e caldo mantello, ci stavamo muovendo a cavallo:
‘chi sei ? chi siete ?’
Mi guardò sorridendo, uno sguardo triste, deciso ma morbido e appagante, il suo odore intenso mi pervase le narici quasi familiare:
‘io sono Askal e con i miei compagni faccio parte dell’ordine della spada d’argento, attendevamo qui ordini da giorni e ieri sera siamo stati incaricati di sterminare quella banda di briganti e questa è stata la tua fortuna’
Abbassai gli occhi imbarazzata incapace di sostenere quello sguardo gentile:
‘beh, potevate arrivare un po’ prima, non mi sono proprio divertita in loro compagnia’
‘lo prendo per un grazie, non siamo cavalieri che vanno in giro a salvare donzelle e i nostri servigi costano cari, è strano che qualcuno abbia sborsato tanto solo per sterminare dei comuni briganti, siamo killer professionisti e di norma i nostri bersagli sono eminenti personaggi ma, in fondo, la cosa non mi riguarda’
L’ordine della spada d’argento, era famoso in tutte le terre, leggende si narravano su di loro, si diceva che una spada d’argento potesse essere sconfitta solo da un’altra spada d’argento, anche un cavaliere esperto era considerato alla stregua di un infante al loro confronto e la cosa ancor più strana è che si diceva che anche delle donne facessero parte dell’ordine.
‘a breve potrai riposare, stiamo per accamparci, abbiamo un appuntamento qui vicino’
Teresa si abbandonò fra le sue possenti braccia sentendosi finalmente protetta e libera, quell’uomo le dava un senso di fiducia ed era troppo stanca, stremata dal trattamento subito per resistere ancora, aveva veramente bisogno di riposo.

Una villa si vedeva in lontananza, erano su una collinetta, su un fianco un alto strapiombo che si gettava nel fiume sottostante, era stato acceso un fuoco e lei giaceva a terra avvolta nel mantello a godere del caldo rinfrancante del falò. In dormiveglia si rese conto che i cinque guerrieri stavano parlando a breve distanza da lei, forse discutendo, non capiva bene e si destò per riuscire a comprendere i loro dialoghi:
‘visto che ti sei portato dietro quella troia inutile voglio divertirmici un po’, almeno servirà a qualcosa’
‘l’ho portata perché sono sicuro che la accoglieranno alla villa e il problema sarà risolto’
‘io sono convinto che non la faranno passare neanche dalla porta, altro che problema risolto e in ogni caso anche se ce la portiamo un po’ più ammaccata cosa cambia ? levati dai coglioni, fra un lavoro e l’altro è più di un mese che non mi faccio una bella scopata’
Askal e un compagno si stavano fronteggiando mentre gli altri tre se ne stavano li ad ascoltare come se la cosa poco li interessasse.
‘non te lo concedo, non ti farò avvicinare a lei, la voglio illesa’
‘ma chi cazzo credi di essere per darmi ordini ?’
‘uno che può ammazzarti’
Gli eventi si mossero ad una velocità fulminea, l’uomo che discuteva con Askal mise mano all’elsa della spada sulla sua schiena e la sfoderò, il rumore del freddo metallo che grattava la custodia riempì l’aria mentre gli altri tre uomini si facevano attenti ma il mio difensore fu più rapido, estrasse la spada e colpì così rapidamente che mi parve di non vederlo muoversi, nello stesso istante l’arma del suo avversario volò in aria con le mani ancora attaccate all’elsa ed in breve la sua testa seguì il destino del lungo spadone.
‘Askal ma che cazzo fai, conosci le regole, sei morto’
Tutti gli uomini estrassero le armi, due lo attaccarono frontalmente mentre uno attendeva titubante. Il gigantesco guerriero riusciva a tenere testa ai due compagni senza sforzo anche se loro stavano mostrando tutta la loro incredibile maestria. Clangore di lama contro lama, scintille nel buio rischiarato dal fuoco e poi la sua spada si tinse ancora di rosso mentre trapassava da parte a parte il collo di un altro compagno. Davanti a quella scena la spada d’argento che ancora non aveva agito si lanciò alla carica:
‘sistemerò quest’assurdità una volta per tutte’
Si era lanciato contro di me, voleva eliminare il motivo della contesa, con la coda dell’occhio Askal intravide i suoi movimenti ma era ormai in ritardo per frapporsi fra me e lui, estrasse di scatto al spada dal collo dell’uomo morente e con un unico movimento la scocco in aria come fosse une freccia. Colpì l’uomo che mi stava caricando in pieno petto e lo scaraventò verso di me dove resto infilzato all’albero alle mie spalle, le sue gambe non toccavano terra sorrette dal pesante spadone conficcato nel legno, i suoi occhi erano stati abbandonati dalla vita. Quel disperato attacco lo aveva lasciato però disarmato e in più gli aveva fatto esporre la schiena all’ultimo nemico rimasto in vita. Non era certo un avversario alla sua altezza ma era comunque una spada d’argento e non mancò l’occasione, un rapido fendente diagonale attraversò la schiena di Askal da parte a parte facendolo cadere a terra esanime.
‘ma che cazzo, guarda che macello, tutti morti, un’intera squadra che si massacra a vicenda ed ora dovrò fare due settimane di marcia per tornare alla sede e spiegare quest’irreale situazione, merda, merda ma non te la farò passare liscia, brutta troia, è colpa delle tue tette se quel fesso ha combinato un casino del genere, me le porterò come prova di quanto è accaduto, te le staccherò e starò a guardare mentre muori maledetta ma prima voglio divertirmi un po’, vedrai, mi supplicherai di ucciderti’
Si sfilò la pesante cintura borchiata e si avvicinò a me, cercai di scappare ma le gambe non mi risposero e caddi, nuda e indifesa ad un passo dal quell’avvolgente mantello che ormai apparteneva ad un uomo morto. I colpi arrivarono violenti, si ripetevano veloci, il pesante cuoi borchiato guidato con brutalità dalla mano esperta colpì le mie carni straziandole. Inizia ad urlare come una matta ma lui mi prese per i capelli, mi sollevò di peso e mi imbavagliò.
‘shhhh, non devi urlare, non vorrai che qualcuno ci senta, avremo da fare per un po’ e non voglio essere disturbato’
Prese delle corde e sfruttando l’albero su cui era appeso il compagno mi lego le caviglie a due rami distanti e mi issò a testa in giù, completamente divaricata e con il sesso esposto completamente. Mi legò le mani assieme e le assicurò alla base all’albero. Mi guardava così, appesa e indifesa, i seni enormi a ricadermi verso il viso e sul suo volto apparve un ghigno sadico.
La cinta ricominciò a fendere l’aria mentre a me era stata tolta anche la possibilità di esternare il mio dolore, colpì metodicamente tutto il mio corpo partendo dalle piante dei piedi che mandarono scariche elettriche al mio cervello per il contatto con le borchie metalliche, percorse tutte una gambe, scendendo, con sadica attenzione a che ogni centimetro di pelle venisse arrossato dal cuoi e rigato dal metallo, si accanì con cinquanta frustate sul mio sesso contandole una ad una e gustandosi la mia testa che si sbatteva disperata, gli occhio che sembravano dover schizzare fuori dalle orbite per il dolore e le lacrime che andavano a perdersi nei miei lunghi e scuri capelli. I colpi superarono le grandi labbra ed andarono ad intaccare il mio sesso nelle sue parti più delicate, sentii contemporaneamente due borchie colpire in pieno il clitoride e il mio forellino anale, il dolore fu accecante e sono sicura che svenni per la troppa intensità ma fui subito risvegliata dal suo continuare ad infliggere colpi. Non si fermò neanche un attimo e dopo aver scaricato i cinquanta colpi sul sesso gustandosi il sottofondo delle mie urla strozzate ricominciò a risalire con la stessa dovizia fino a raggiungere l’atro piede al che la sua mano si fermò al contrario del dolore che credevo non mi avrebbe più abbandonato, aveva ragione, se il bavaglio me lo avesse permesso gli avrei chiesto di uccidermi pur di sfuggire a quell’orrendo flagello. Rivoli di sangue colavano lenti dalle mie ferite andando a venare il mio corpo come pioggia su un vetro.
Lui respirava pesantemente appoggiandosi con le mani sulle ginocchia per riposare.
‘non credere che sia finita, ho fatto solo le gambe, manca tutto il resto’
Lo sentii come fosse distante, capii quello che diceva ma non avevo più forze se non per sentire il dolore che mi invadeva.
Riprese la fustigazione girandomi intorno, prima se la prese con la schiena colpendo ad oltranza fino a che non vi era più pelle sana poi passò ai fianchi e al ventre e sentii distintamente il metallo cozzare contro le costole esposte e quando fu soddisfatto dell’aspetto della mia carne lo sentii pronunciare:
‘ora la parte più divertente, quelle tue belle tettone morbide’
Contò cinquanta frustate per ogni seno, mirava sempre ai capezzoli ma il risultato fu lo stesso, tutta la morbida carne fu ricoperta di colpi, sentivo le borchie come entrarmi dentro, come fossero dita che vi affondano. Ero tenuta in me solo dal dolore che da una parte mi privava dei sensi e dall’altra mi destava. La pesante massa dei miei seni veniva sballottata dalla cinghia e dopo un po’ fui certa che al colpo successivo si sarebbero staccate. Fu un calvario infinito che mi inflisse senza tregua e che piegò la parte più profonda della mia anima. Mentre il rumore dei colpi si susseguiva, mentre le carni straziate ricevevano nuovi affondi mi persi completamente affogando in una sofferenza tanto totale da annullare qualsiasi altro pensiero, da annullare me come individuo e poi il centesimo colpo arrivò, era finito anche il lavoro sulle mie tette, era finalmente il momento di morire.
‘brutta stronza, guarda cosa hai fatto, ora mi hai fatto venire il cazzo duro, credo che ti darò l’ultima scopata della tua vita, goditela perché quando ti riempirò di sborra sarà il momento in cui la tua esistenza avrà fine’
Tagliò le funi e mi fece accasciare a terra, ogni cosa che mi toccava mi mandava nuovi, strazianti, dolori mentre ero in grado solo di mugolare disperata. Si spogliò ma non lo vidi, non vedevo più molto, ero tutto sfuocato intorno a me. Mi afferrò per la vita e mi sollevò, le sue dita sembravano tizzoni ardenti che mi volessero scavare il corpo per entrarvi. Si stese e mi calò sopra il cazzo turgido, entrò dentro di me lubrificato dal sangue, mi afferrò le tette e le strinse forte dando il ritmo a quell’ultima scopata, mi sembrava di avere due secchi di metallo colmi di lava bollente attaccati al petto. La prese con calma, affondi lenti e profondi, la carne del suo uccello sembrava acido nella mia fica, i suoi fianchi che sbattevano ad un lento ritmo sul mio culo facendo sobbalzare le mie morbide carni ferite, ad ogni impatto mi sembrava che le pelle si dovesse staccare per strapparsi via dai muscoli. Ad un certo punto mi torse il bavaglio, mi blocco le mani dietro la schiena e mi tirò a se cominciando a baciarmi. Mentre gli affondi continuavano a torturarmi la sua lingua che mi aveva sondato la gola in ogni parte si ritrasse dalla mia bocca e mentre i miei gemiti di dolore continuavano appena udibili, mentre anche l’aria che respiravo sembrava darmi dolore lo percepii dire:
‘avanti, chiedimi di ucciderti, chiedimi di morire’
Si, si, ti prego, uccidimi, ti prego, poni fine a questa inumana sofferenza, ti prego dammi pace, nel mio cervello queste parole avevano preso come consistenza, forma, sostanza e trovando la forza non so dove parlai:
‘no, voglio vivere, NO, VOGLIO VIVERE’
I colpi si fermarono, sentii lo stupore del mio boia anche senza vederlo poi:
‘come vuoi puttana, vediamo cosa penserai dopo questo allora’
Si alzò a sedere con me sopra, afferrò la spada che teneva appeso il suo ex-compagno e la divelse dall’albero liberando il corpo morto, si sdraiò e mentre una mano mi bloccava le braccia con l’altra cercò di infilarmi la grossa elsa incastonata di pietre preziose nel culo ma in quella posizione la manovra non gli riuscì allora abbandonò le mie braccia esanimi e si aiutò con l’altra mano per trovare il mio orifizio, sentii distintamente l’oggetto trovare la strada e poi una forte spinta a due mani me lo fece entrare di botto nel culo squarciando tutto quello che incontrava sulla sua strada. Urlai, urlai con un fiato che non pensavo più di avere, urlai come se le mie urla provenissero dall’ultimo girone dell’inferno e mi sentii morire, morire nello spirito, morire nella voglia di vivere e poi il mio urlo di dolore divenne un urlo di rabbia, la mia disperazione divenne furia ed attingendo a risorse più vicine alla mia anima che al mio corpo, sollevai le mani lasciate incautamente libere, afferrai il suo viso indifeso e mentre lui affondava quell’asta di metallo intarsiato nel mio ano io infilai i pollici nei sui occhi, le unghie lunghe e affusolate che perforavano le sue cornee, fu un istante, due pof sordi che quasi non udii e alle mie disperate grida si aggiunsero quelle di un uomo ormai irrimediabilmente cieco.
Mi scaraventò a terra trattenendo la spada e si alzò in piedi, cominciò a tirare fendenti nell’aria mentre il sangue sprizzava dalle orbite lese e le sue imprecazioni riempivano l’aria. Mi trascinai disperata fino ad un’altra spada incustodita, mi alzai con uno sforzo titanico ma l’arma rimase a terra, troppo pesante anche solo per trascinarla, mi passo per la testa di cercare un pugnale ma quell’uomo era un guerriero esperto e seguiva i miei movimento con l’udito, mi avrebbe falciato con il lungo spadone prima ancora che fossi riuscita a fargli un graffio, barcollante acquistai un po’ di distanza ma le forze erano esaurite e a breve sarei venuta meno. Involontariamente mi trovai sul bordo del precipizio e la decisione fu semplice, se dovevo morire avrei portato quel mostro maledetto con me:
‘allora stronzo, ti sei divertito ?, sei soddisfatto di me ?, dimmi, cosa si prova a sentir colare il proprio sangue invece del mio ?, figlio di puttana, dimmelo, cosa si prova ?’
La furia lo invase, individuatami dalla voce caricò, la spada avanti a se come una letale lancia, pochi metri a separare la vita dalla morte e quando ormai il freddo metallo mietitore già gioiva per la sua prossima vittima mi lascia cadere a terra. Le gambe del robusto uomo cozzarono contro il mio fianco mentre il suo corpo volava nella scarpata, cozzarono tanto forte da tirare anche me nello strapiombo ma mi aggrappai alla terra, all’erba, alla vita con tutta la disperazione che avevo in corpo e restai li appesa ad osservare quell’orrenda creatura rotolare verso il basso, le sue ossa che si frantumavano cozzando violentemente sugli spuntoni di roccia, ogni colpo seguito da un urlo lacerante e poi una grossa pietra impatto in pieno sul suo cranio che si aprì tingendola di rosso e grigio e le urla cessarono mentre il cadavere veniva inghiottito dal fiume.
Mi issai certa di non poter morire dopo essere sopravvissuta a tanto, nella mia mente avevo solo le sue parole ‘l’ho portata perché sono sicuro che la accoglieranno alla villa’, la villa, dovevo raggiungere la villa e mi avrebbero accolta, un ultimo sguardo ad Askal, quell’uomo aveva cercato di proteggermi, quello sconosciuto, c’era ancora del buono in questo mondo. Rotolai per la collina, il corpo che mandava atroci dolori per ogni metro che percorrevo, il sangue che lasciava il mio corpo assieme alle mie energie, barcollavo in avanti, mi trascinavo in direzione di quella casa, di quella luce e poi vidi il cancello, le guardie che rispondevano alle mie urla e svenni’


Il dolore mi seguì anche nell’oblio in cui mi ero persa, il mio corpo bruciava dentro e fuori mentre galleggiavo nel buio e poi dopo quelle che sembrarono dieci vide, lentamente mi abbandonò e potei riposare abbracciando quella che riconobbi inconfondibilmente come la morte.

Un liquido fresco nella gola, tossii e riaprii gli occhi, una giovane ragazza, la vedevo sfuocata, mi stava dando da bere, si, avevo sete e accettai avidamente mentre la vedevo sorridere incontrando per la prima volta il mio sguardo. Cercai di alzarmi e il mio corpo protestò dolorosamente.
‘ferma, non muoverti, sei stata più morta che viva per una settimana e non sei ancora guarita, ti ho dissetata per quanto riuscivo ma non mangi da quando sei arrivata. Stai ferma, ho del brodo per te’
Mi lascia imboccare senza proferire parola, aveva ragione, avevo una fame feroce che non voleva saziarsi. A fine pasto lei si alzò dicendomi di riposare.

Ci volle un mese perché mi ristabilissi completamente, ero accudita sempre dalla stessa persona che si occupava di sfamarmi, lavarmi e aiutarmi a ricominciare a muovermi. Il mio corpo era completamente rimarginato, solo sottili linee biancastre si notavano appena sulla mia pelle a ricordo del calvario subito. Aria, così si chiamava la mia infermiera, una giovane donna di una bellezza tanto pura da sembrare più una parte della natura stessa che una semplice umana, quella mattina mi raggiunse stupendomi nel dire:
‘il padrone vuole conoscerti’
Avevo fatto migliaia di domande riguardo al luogo in cui mi trovavo ma avevo ottenuto sempre la stessa risposta:
‘non spetta a me risponderti, questo è un luogo bello dove vivere ma le è solo se rispetti le regole del padrone e mi è stato vietato di dipanare i tuoi dubbi’
‘mi vuole vedere ora ?’
‘si, subito’
Arrivammo davanti ad un pesante ed imponente portone blindato, Aria bussò, si aprì uno spioncino e poi la porta quel tanto che bastava per farci entrare, la sentii richiudersi ermeticamente subito dopo il nostro passaggio. Su un pesante scranno intarsiato sedeva un uomo distinto, forse poco più di cinquant’anni, leggermente brizzolato, fisico imponente, ben curato e vestito con stoffe preziose. Mi guardava distrattamente, per educazione e sentendomi in debito cercai di parlare ma:
‘ZITTA, per favore. Mi hanno detto che hai un marchio sulla schiena, avvicinati e mostramelo’
Il segno della mia marchiatura ?, una mano mi spinse da dietro la schiena facendomi partire nella sua direzione, Aria, era chiaro che in quella casa si potesse vivere bene ma che l’obbedienza doveva essere assoluta. Arrivai di fronte a lui, mi voltai, feci scendere la vestaglia che indossavo a scoprire le spalle e mi inchinai. Sentii le sue mani sfiorare il posto dove la mia carne era stata sfregiata:
‘ora capisco’
Le tue ferite sono state sanate, è ora che tu vada ma voglio usarti un’ultima gentilezza, ci sono due uomini che ti cercano disperatamente, vengono da un maniero qui vicino, non oseranno mai avvicinarsi alla mia abitazione ma fuori di qui pochi sono i luoghi sicuri per te. Ora puoi andare’
‘la prego io”
‘shhh’, mia cara, per quanto creda che essere un po’ rudi con il corpo di una bella donna sia diritto di ogni uomo degno di rispetto, intaccarla è una cosa ma quello che hanno fatto a te è un’esagerazione che disapprovo quindi ho voluto porvi rimedio ma tanto basta. Il mondo, soprattutto in questi tempi, è un posto difficile e pullula di fanciulle bisognose di aiuto ma credimi, io non sono un buon samaritano e non ho intenzione di continuare a sfamarti senza motivo. Devi accomiatarti, la tua presenza non ha più motivo nella mia dimora’
Al di fuori di quella casa per me c’erano solo orrori, mi stavano cercando e non sarei andata lontano, nessuno mi avrebbe aiutato anzi probabilmente sarei stata venduta dal primo che sapeva che ero ricercata, quel posto era la mia unica speranza per ora e anche se sapevo che insistendo lo avrei irritato tentai il tutto per tutto:
‘sarò la sua serva, sarò’ quello che vuole, sarò’ sarò’ la sua umile schiava se mi concederà questo onore’
‘ahhh’. Che noia, tutte le serve di questa casa desiderano febbrilmente essere mie schiave, non mi stai offrendo nulla che non abbia già’
‘non ha una schiava come me, mi metta alla prova la prego’
Mi guardò con uno sguardo intenso, un accenno di sorriso sul suo volto, per un attimo ebbi la sensazione di aver seguito esattamente un suo piano, per un attimo mi sentii un topolino al cospetto del pifferaio magico.
‘per motivi che non ti riguardano sono costretto da tempo a vivere rintanato nelle mura di questa sfarzosa stanza ove mi è privata anche la luce del sole. Tutte le mie serve che per inteso ti sono superiori come regine ad ancelle, provano ogni giorno a saziare la mia malinconia con il loro corpo, sono molto premurose e disposte a tutto per me ma nessuna di loro è più in grado di portarmi all’orgasmo, mi annoiano e sono costretto a finire ogni mio coito masturbandomi da solo sui loro corpi o nelle loro bocche, mi concederai che non sia una situazione molto appagante. Sei tu forse una donne in grado di porre rimedio alle mie sofferenze ?’
‘si padrone, porrò fine alle sue sofferenze a qualunque costo come voi avete posto fine alle mie’
‘bene, per quanto creda che fallirai, non vedo motivo per non farti tentare, sarai comunque un diversivo ma se capitolerai ti prego di togliere il disturbo senza farmi perdere altro tempo, ci vediamo questa sera’
‘si padrone, grazie padrone’.

Mentre Aria mi riaccompagnava nelle mie stanze le colsi uno sguardo strano sul viso, triste, malinconico:
‘ho fatto qualcosa che non dovevo ?’
‘no no, anzi, sono contenta che tu voglia ricambiare il nostro amabile padrone, è malinconico da lungo tempo e sarei felice se tu potessi alleviare le sue pene, vorrei poterlo fare io di persona’
‘tu, così bella, non fai parte delle serve con cui il padrone giace ?’
‘a me non è concesso, dice che per lui sono come uno stupendo affresco e che devo rimanere pura e luminoso per essere un sollazzo per i suoi occhi, al suo corpo ci sono molte altre che ci pensano. Quando richiede la mia presenza è solo per farmi giacere nuda sul suo letto mentre svolge i suoi affari in modo che possa godere della mia bellezza, questo, almeno, è quello che mi dice.
Teresa, vorrei con tutto il cuore che tu riuscissi nel tuo intento, che tu riuscissi dove noi abbiamo fallito e ti dirò quello che so;
Al padrone non piace estorcere con la forza, lui ama che gli venga donato tutto come atto di amore e sottomissione, non ama infliggere dolore gratuitamente ma è certo che vedere una donna che soffre per dargli piacere lo eccita molto. Non ci sono particolari regole da seguire ma la cosa fondamentale è chiedere il suo consenso, domandare docilmente prima di fare e poi eseguire alla lettera. La sua stanza è piena di un’infinità di oggetti che potrebbero esserti utili questa notte, sono a tua disposizione perché tu li usi per donarti nel modo più assoluto possibile. Questo è tutto quello che mi è concesso sapere e spero ne farai buon uso. ‘

Il pomeriggio trascorse lento mentre attendevo il momento fatidico e mi rendevo conto che tutti gli abusi che avevo subito negli ultimi tempi, tutte quelle pratiche sessuali a cui mi avevano sottoposto per la maggior parte contro la mia volontà ora le desideravo, quell’uomo aveva ottenuto potere assoluto su di me e lo aveva fatto in modo spontaneo, naturale. Mi rendevo conto di volergli donare tutto ciò che fino a ieri mi era stato estorto con la forza. Passai il tempo a ripensare alle angherie subite allo scopo di focalizzare le cose che più erano piaciute agli uomini che mi avevano posseduta. Alla passione comune a tutti di affondare i loro membri nella mia gola trovando soddisfazione solo quando anche l’ultimo centimetro di carne spariva nelle mie labbra. All’attrazione nel percuotere i miei seni e le mie natiche mentre mi usavano ogni sorta di violenza. All’eccitazione nel vedermi soffrire e mugolare che faceva guizzare i loro cazzi dentro il mio corpo. Alla lussuria che li prendeva quando vedevano che il mio corpo provava piacere nell’essere costretto a fare ciò che non avrei voluto. Alla dovizia con cui si occupavano dei miei buchi cercandone sempre il limite estremo mentre io mi contorcevo disperata.
Passa il pomeriggio a ricordare il periodo più brutto della mia vita cercando di capire come donare con soddisfazione quello che di norma mi veniva rubato con forza.
Vedendo l’imbrunire avvicinarsi inizia a preparare il mio corpo, lo liberai con dovizia di ogni pelo, lavai, profumai e spazzolai scrupolosamente i capelli scuri e lisci, massaggiai ogni parte del corpo con oli profumati a lungo soffermandomi sui seni, percorrendone le generose curve mentre mi sembrava di sentire le sue mani su di me, preparai allo stesso modo le parti intime senza risparmiare il mio culo che volevo fosse suo almeno quanto la mia vagina, volevo che se le sue labbra si fossero appoggiate sul mio corpo lo trovassero buono, profumato, volevo che desiderasse assaggiarmi, mordermi.
Curai i piedi, le unghie, i denti e la lingua, controllai e ricontrollai finché non mi sentii immacolata, priva di ogni contaminazione per potermi donare pura da ogni precedente minuto vissuto.

Sentii un leggero colpo alla porta che però rimase chiusa e vidi scivolarvi sotto un foglietto:
‘fai in modo che la porta non sia bloccata, me lo devi. A.’
Cosa significava quella biglietto ? chi lo aveva portato e chi era A. ? Non poteva essere lui’ ma non ebbi il tempo di riflettere, Aria mi stava chiamando, era ora, indossai una leggera veste chiusa in vita da una cinta di seta e mi diressi da quell’uomo che mi ero ritrovata a desiderare in maniera febbrile.

La pesante porta blindata si chiuse appena fui entrata, vidi il padrone, in vestaglia, spingere verso l’alto una pesante sbarra di metallo che conficcandosi nel soffitto rendeva inviolabile quella stanza.
Eravamo soli in penombra, rischiarati da miriadi di candele, il cuore mi batteva a mille mentre lui restava in piedi vicino a me, sereno, impassibile, gli occhi nei miei che non ressero lo sguardo neanche per un istante.
Nell’imbarazzo presi un profondo respiro e poi allungai lentamente le mani verso la sua vestaglia, ne allargai un po’ i lembi per scoprire il petto possente, il mio corpo che si avvicinava al suo come attirato da un enorme magnete. In breve mi trovai a strusciarmi su di lui come una cagna in calore, nel mio ventre, fra le mie gambe sentivo un fuoco bruciare intenso. Appoggia la bocca sulla pelle del suo petto mentre lui perdeva, delicatamente, le mani nei miei soffici capelli. Lo bacia lentamente facendo aderire le labbra socchiuse per assaporare il più possibile di lui, la pelle profumata mi accarezzava il naso inebriante mentre gli schiocchi dei miei baci si susseguivano. Le sue mani seguivano la mia testa mentre spaziavo per il suo corpo, un desideri intenso mi stava prendendo e ci volle tutta la mia volontà per impedirmi di prendergli l’uccello ed affondarlo nel sesso desideroso di penetrazione. Scendendo millimetro dopo millimetro trovai un suo capezzolo e non potei fare a meno di farlo sparire subito in bocca. La lingua ne percorreva i contorni avida, sentivo sulla lingua la forma dell’aureola mentre la punta si inturgidiva. Mi staccai un attimo per leccarmi, insalivandole bene, due dita che inizia ad usare per titillare l’altro capezzolo mentre la lingua era tornata al suo posto per continuare il lavoro.
Lui era tranquillo, mi lasciava fare docile, quasi distratto ma mentre succhiavo, lappavo senza osare mordere sentivo il suo pene ingrossarsi a contatto con il mio corpo, ingrossarsi sempre più, quasi senza fine.
Mi ero calmata un po’ e conscia che il mio era un lavoro ove donne più esperte avevano fallito ritrovai la lucidità per proseguire con calma. Mi slaccia la cinta che chiudeva il mio vestito e lui lo spinse a terra delicatamente lasciandomi nuda, non so quanti uomini mi avevano già spogliata ormai ma con lui mi sentii in imbarazzo, mi vergognavo temendo di non essere abbastanza bella. Le sue dita percorrevano la mia schiena mandando brividi in tutto il corpo, ne scorreva tutta la lunghezza con dovizia fermandosi solo dove la curva dava inizio al sedere. Costretta dall’eccitazione indomabile gli slaccia la veste e senza guardarlo negli occhi:
‘posso padrone ?’
‘si’
Mentre la mia lingua lavorava il suo petto, i capezzoli, cercando di capire quali fossero i punti, le movenze che più lo appagavano spinsi via il suo abito e mentre un capezzolo era al riparo nella mia bocca, con lo sguardo rivolto verso il basso, vidi il suo enorme pene, superiore a qualunque altro prima, ne ebbi quasi paura sentendomi insufficiente per tanta abbondanza. Era grosso quasi quanto l’asta di una lancia, almeno otto centimetri e lungo più di venticinque, le mie mani si mossero tremanti per andare ad afferrarlo mentre la lingua, instancabile, continuava i suoi arabeschi. Lo presi a piene mani, caldo, pulsante e comincia a far scorrere la pelle verso l’alto, percorrendolo per tutta la sua lunghezza finché il prepuzio non nascose il glande, le mani a trattenere nella pelle quell’enorme cappella, un desiderio indomito di stringerla forte, farla mia e poi la discesa a liberarlo giù, giù fino alla base mentre le sue mani alzavano la mia testa, i miei occhi colmi di lussuria a perdersi nei sui calmi e rassicuranti, le mie labbra, finalmente, a trovare le sue, dischiudendosi, lasciando che la ruvida lingua prendesse possesso della mia bocca per farne ciò che preferiva. Sapore di buono in cui perdermi mentre le mani continuavano quasi autonome la lunga corse su e giù per quella mostruosa asta di carne bollente. Si saziò a lungo delle mie labbra giocando col la lingua in modo esperto e guidandomi come non avessi più volontà, capace solo di sentire i battiti del suo cuore, imperturbabili, attraverso i palmi delle mani che non riuscivano a trovare fine in quell’enorme membro poi, però, ritrovai un attimo di lucidità e ricordai che ero li per lui e non per me, senza staccarmi del tutto dalle sue invitanti labbra:
‘padrone, vorrei lubrificarvi un po’ se me lo permettete per far scorrere meglio le mani sul vostro stupendo pene’
Lui sorrise appena facendo pressione sulle mie spalle perché mi inginocchiassi e io mi lasciai piegare docile come mi venisse fatto un dono.
L’enorme asta svettava nodosa davanti al mi viso, le mani sui grossi testicoli a massaggiarli delicatamente mentre appoggiavo la punta della lingua alla base della grande vena dorsale percorrendola minuziosamente verso l’alto, il piacere mentre il membro si contraeva involontariamente allo sfiorare del frenulo, il ripetersi dell’operazione nelle due direzioni come stessi assaporando un frutto gustoso, irresistibile, lo abbassai un po’ con la mano, a fatica tanto era duro e succhiai le punta della cappella mentre, agevolata dall’abbondante saliva lasciata, riprendevo la sega che avevo interrotto. Assaggia ogni sua parte avvolgendo con la lingua la cappella violacea più e più volte, succhiando avidamente e percorrendo ogni vena pulsante come fossero strade per il paradiso. Mentre lui, distratto, accarezzava i miei capelli continua insaziabile il mio lavoro aggiungendo lubrificante dalle mie labbra ove il sue e giù della mano andava ad asciugare ma non sentendo nessun mutamento nel mio padrone mi decisi a provare ad ospitare quell’enorme cappella nel caldo della mia gola, Divaricai più che mi era possibile per non infastidirlo con i denti e sentendo la mandibola quasi slogarsi, come a pressione, il glande entrò in me ospitato a fatica, lavorare con la lingua era ardua impresa visto il poco spazio di manovra rimasto libero ma facendola strisciare fra la sua carne e la mia riuscivo a massaggiare le parti più sensibili. Agendo con ostinazione sul frenulo senza mai smettere di segarlo ottenni dei risultati, afferrò la mia testa con decisione e cominciò a spingersi dentro di me per sfuggire alle sensazioni troppo intense date dalla mia lingua. I suoi affondi decisi andavano a forzare il mio palato indifeso facendo strusciare quel membro, troppo grosso, di qualche centimetro in avanti, avevo finalmente ottenuto la sua attenzione, gli occhi chiusi, le testa rivolta verso l’alto ma per quanto stimolassi i testicolo, l’asta, la cappella con la lingua e allargassi la bocca oltre quello che il mio corpo consentiva, ad ogni affondo i risultati erano pochi ed il mio capo veniva spinto indietro dall’enorme massa. Persi quell’istante e sentii la sue spinte interrompersi:
‘l’obbiettivo che aneli è stato cercato da tutte quelle che ti hanno preceduto ma le ha lasciate tutte sconfitte mio malgrado’
Estrassi l’asta dalla bocca sentendomi stappata come una bottiglia di buon vino:
‘il compito di una schiava è quello di soddisfare il suo padrone, non esserne in grado fa di lei una schiava indegna e non vi è scusa da addurre a discolpa. Vi prego padrone, perdonatemi o punitemi per il mio fallimento se volete ma lasciatemi tentare fino a che non sarò degna di voi’
Mi guardò perplesso come se l’ovvietà delle mie parole superasse l’ovvietà di non poter raggiungere quello che volevo:
‘tenta pure fino a che non ti dichiarerai sconfitta’
Restando accovacciata indietreggia fino ad appoggiare la schiena sul pesante montante di freddo metallo che teneva serrata la porta, alzai le mani ad afferrare la maniglia e guardandolo negli occhi con fare deciso aprii la bocca.
L’ingombrante cappella riprese spazio nel mio palato seguita dal”asta che affondò fino a tornare dov’era arrivata al tentativo precedente, calore, pulsazioni trasmesse alla mia lingua schiacciata, lui appoggiò le mani al pesante portone e cominciò lenti, intensi, affondi. Sentivo le guance come si dovessero strappare, i muscoli subito sotto le orecchie urlavano il loro dolore per quanto erano tesi ma avevo provato sofferenze ben più intense e volevo dare a quell’uomo che si era preso cura di me qualcosa che non avesse mai avuto. Centimetro dopo centimetro, approfittando della testa che non poteva più indietreggiare, fui percorsa dal suo cazzo che veniva martellato a forza dentro di me, le mie mani che si stringevano spasmodicamente sul loro appiglio mentre i suoi occhi si erano richiusi, ogni colpo d’anca vinceva un po’ di spazio nella mia bocca e alla fine sentii la cappella prendere possesso del fondo, della gola, forzare l’apertura troppo stretta per tanta vigorosità ed introdurvisi dentro. Ancora metà di quell’incredibile pene era la di fuori dal mio corpo e l’unica strada rimasta per farlo entrare era la mia gola. Avevo imparato a respirare in quelle situazioni tante erano le volte in cui vi ero stata costretta mio malgrado e riuscivo a rubare quel minimo di aria di cui avevo bisogno. Lui iniziò a grugnire, quella pratica lo aveva preso e si era dimenticato completamente di me, spingeva accompagnando ogni affondo con rochi sospiri mentre le lacrime solcavano il mio viso, mentre i miei umori bagnavano le cosce aperte a far spazio alle sue gambe.
Sentii la gola gonfiarsi ritmicamente ogni lungo minuto di più, sentivo il suo bacino sempre più vicino al viso ma comunque troppo lontano mentre allungavo le labbra all’infuori per ingoiare più sesso che potevo. Quel doloroso lavoro continuò e continuò, ogni lenta spinta squarciava la mia bocca divelta vincendola un po’ e ogni lenta spinta sembrava lasciare sempre troppo ancora da ingoiare. Sorreggevo il mio corpo scosso dagli affondi con le mani mentre la chiusura a cui mi ero aggrappata scivolava un po’ verso il basso. Con la coda dell’occhio vidi una piccola candela consumarsi fino a spegnersi mentre il padrone procedeva nel farmi ingoiare tutto il suo sesso, Quando la fiammella si estinse sentii finalmente il naso sfiorare la sua pancia piatta, ancora qualche centimetro ci separava e non vi era veramente più posto, lui mi guardò, nei sui occhi ardore:
‘arrivati a questo punto”
Si aggrappò alle maniglie della porta e iniziò a spingere con violenza senza mai ritrarsi, quel cazzo enorme mi alzava praticamente di peso per riabbandonarmi fino alla spinta successiva, la sbarra che mi sosteneva cedeva sempre più mentre quel violento trattamento mi toglieva la possibilità di respirare e quando ormai ero convinta di svenire, un ultimo, animalesco, affondo mandò il mio viso a perdersi nel suo addome, il cazzo, in fine, tutto inserito a forza nella mia gola fino all’ultimo millimetro, sentii un leggero click ma lo sentii solo io e con la vista offuscata dalle lacrime incontrai il suo sguardo soddisfatto e mi sentii fiera.
‘beh’ sei riuscita dove tutte hanno fallito e te ne rendo merito ma questa è stata solo la preparazione e se permetti, visto che ne sei in grado, ora è il momento di scoparti quella bella bocca carnosa’
Avrei sorriso se le mie labbra avessero potuto permetterselo, lui estrasse un po’, aria nei miei polmoni, riaffondò di botto con noncuranza per tutta la profondità che gli era concessa, mi trattava esattamente per quello che ero, roba sua, si ritraeva sempre un po’ di più per poi riforzarmi sadicamente fino a che non arrivò ad uscire completamente dalla mia bocca spanata e ributtarcisi dentro con autorità, scivolando ormai bene, avendo ormai fatto capitolare la mia gola, il mio collo che si gonfiava al ritmo degli affondi.
Ora si stava divertendo e mentre la mascella mi mandava segnali chiari di voler cedere mi trovai a pensare che presto avrei assaporato il suo sperma raggiungendo il mio scopo. Mi fece spostare, mi mise a quattro zampe, le braccia completamente distese per tenere la testa vicino al suo pene e li continuò gli scavi nella mia gola, si chinò in avanti per spingermi con le mani da dietro la testa a finché potessi inghiottire proprio tutto quel mostruoso sesso, mi spingeva con forza e a ritmo veloce, con cattiveria, godendo di potersi togliere quello sfizio che nessuna donna prima era riuscita a donargli, sembrava non trovare fine al piacere di scavarmi mentre suoni osceni si liberavano dalla mia gola trapanata in modo furioso, allungò le mani sulla mia schiena, raggiunse le morbide natiche, le divaricò con prepotenza e inserì due dita nel mio ano, senza lubrificazione, facendole strusciare il più in profondità possibile e poi le usò per tirare tutto il mio corpo verso di lui. Per quanto soddisfatta del risultato il dolore si stava impadronendo di me per il lungo usarmi, non mi era neanche concesso urlare e dovevo fare attenzione a non morderlo. Le dita da due divennero tre, affiancate, per tirarmi meglio e quella cavalcata continuò per un tempo estenuante mentre abbondante saliva ricopriva il mio volto. Alla fine arrivò un ultimo lungo affondo che sembrava non avere fine, soffrii per la privazione dell’ossigeno mentre gioivo attendendo che il bianco, denso frutto dei miei sforzi si riversasse nel mio stomaco ma non accadde. Mi liberò bocca e culo, lo guardai stupita, lui infoiato che ricambiava il mio sguardo:
‘non avrai creduto che stessi venendo ragazzina? non sai quanto sei lontana dalla verità ma mi sto divertendo e anche se i nostri accordi non cambiano ora vorrei che ti sdraiassi sul letto, pancia in alto e testa fuori dal materasso, ho voglia di giocare ancora un po’ con quella tua incredibile bocca, sempre che tu non voglia arrenderti, si capisce’
Senza neanche pensarci mi alzai sulle gambe indolenzite che mal mi reggevano e mentre mi toglievo un po’ di saliva dal viso mi andai a posizionare come richiesto:
‘sono felice padrone che voglia usarmi ancora’
‘devo ammettere che sei brava e voglio darti un premio, sappi che, se non verrò prima, dovrai resistere mentre affonderò fra le tue labbra per duecento volte e poi con loro avrò finito e ti concederò di continuare nel tuo intento in altro modo, sempre se vorrai’
Dicendo questo iniziò ad avvicinarsi a me raccogliendo per la strada una paletta di legno larga quanto un palmo e lunga venti centimetri dalla fine del manico alla sommità.
Allargai la bocca mentre si impadroniva d’un botto di ciò che ormai gli apparteneva, in quella posizione scivolò meglio in me occupandomi in modo più totale, sentii un botto, dolore e calore mi invasero una coscia dove aveva impattato la paletta e lo sentii dire ‘uno’. Ogni volta usciva completamente per poi reintrodursi, a volte velocemente, a volte centimetro per centimetro, a volte con scariche violente di affondi e appena i suoi peli pubici raggiungevano il mio viso un colpo arrivava ad una coscia, non erano troppo violenti ma dati per lasciare il segno e quando fummo a cinquanta la pelle arrossata cominciava a mal digerire la paletta mentre io godevo spasmodicamente nel subire quel dolore accettato volontariamente e così lontano da quello delle frustate dell’uomo che mi aveva quasi uccisa, gioivo dell’essere in grado di interessare il mio padrone. La sua voce contava gli affondi e i colpi mentre con le mani gli avevo preso un po’ i glutei per guidarlo in me e un po’ i testicoli per dargli il massimo del piacere possibile.
‘cento’
Ero stravolta da dolore misto a piacere, quell’asta ingombrante che mi scavava, pulsava e guizzava ogni minuto di più a farmi intendere un orgasmo imminente che egoisticamente quasi speravo non arrivasse tanto mi sentivo posseduta. Avevo alzato le gambe verso l’alto per lasciare più spazio ai suoi colpi e lui, credo per ripagarmi, aveva iniziato a massaggiarmi il sesso grondante fra un colpo e il successivo. Le sue dita mi frugavano abilmente dandomi piacere intenso senza permettermi di venire, divenivano poi rudi afferrandomi la fica con forza, le quattro dita a penetrarmi facilmente grazie al lago in cui erano immerse e usando il mio buco come appiglio si lanciava per una nuova, totale, penetrazione della mia bocca seguita poi da un colpo di palette, il ritrarsi lentamente a dar spazio ai miei gemiti di piacere nel respirare e le dolci carezze sul ventre, le grandi labbra, il clitoride in un ciclo infinito.
‘centocinquanta’
Abbandonò la paletta ed andò ad affondare il suo viso nella mia fica grondante, quasi mi sentivo in colpa del doverlo far tuffare in un tale mare di umori e mentre continuava il suo lento andirivieni nella mia bocca, contando ogni suo colpo di reni senza staccare le labbra dalla mia vagina, con la voce che sembrava entrarmi dal buco dilatato per uscirmi nel cervello iniziò a leccarmi convulsamente il clitoride, accanendosi, dandomi sensazioni troppo forti, troppo intense, bloccava i miei involontari sussulti col peso del corpo mentre leccava, leccava, leccava sempre li, solo li. Cinquanta affondi, lunghi, interminabili mentre la lingua mi torturava di piacere, le mie urla di godimento spezzate dal pene che entrava e usciva a imbavagliarmi per qualche secondo e per poi liberarmi e lasciarmi urlare. Ebbi non so quanti orgasmi e dopo ognuno le sue leccate insistenti e spietate le sentivo più intense, crampi allo stomaco, crampi alla gola, inerme e incapace di oppormi anche volendolo subii quella terribile, intensa, appagante tortura fino alla fine, tremante, frastornata e completamente annichilita dal piacere che mi stava donando l’uomo a cui io dovevo donare.
‘centonovantotto’
‘centonovantanove’
‘duecento’
Uscì e mi liberò senza donarmi il suo sperma mentre a me aveva strappato un infinito susseguirsi di orgasmi, si sdraiò con appena il fiatone a guardarmi mentre non riuscivo a smettere di tremare, mi coprì con una coperta e cominciò ad accarezzarmi i capelli, non riuscivo ancora a riprendere il controllo di me ma dissi:
‘non mi arrendo padrone, la prego, voglio provare ancora, le ho dato solo la bocca ma voglio donarle tutto e se fallirò me ne andrò ma lasci che mi doni completamente la prego’
‘ormai ho capito come sei piccola e non ho motivo di dirti di no, ti dono questa notte, puoi riuscire, puoi arrenderti o puoi essere sconfitta dall’alba ma ho voglia di fare un gioco con te che sei così caparbia, ogni tuo tentativo sarà scandito dai duecento dei miei colpi sul tuo corpo, sarai tu a scegliere cosa fare e dove farti colpire ma al duecentesimo colpo dovrai cambiare approccio’
‘grazie padrone’
Mentre osservavo il suo imponente sesso perdere rigidità lentamente ripresi il controllo di me, sguscia fuori dalla coperta per strisciare sopra di lui, feci colare saliva dalle labbra direttamente sui seni mentre fissavo il suo sguardo divertito, li massaggia vistosamente spalmando il naturale lubrificante e poi, chinandomi su di lui, ospitai il cazzo in mezzo alle mie morbide carni stringendo forte le mammella per fare pressione sul pene e inizia a farlo scivolare, lo facevo sparire spingendo il seno verso l’alto e poi scendevo, vedevo la cappella spuntare fuori scavandomi e la lasciavo correre fino a poterla baciare, laccare con lussuria. Il trattamento ebbe subito il suo effetto donando nuovo vigore e rigidità all’asta. Era un piacere sentirla pulsare mentre attraversava i miei seni, sentirla fremere mentre con la lingua davo leggere stoccate al frenulo, vedere lui sorridere rilassato per questo intramezzo fatto di morbide carni impiegate a contenere il rigido sesso ma l’alba era il mio limite e anche se dai piccoli spiragli nel tetto ancora si vedeva solo la notte più nera non potevo perdermi in infruttuosi passatempi.
Gli montai sopra, mi girai dandogli la schiena e inizia a lavorare per penetrarmi, la mia fica aveva ospitato volumi anche superiori a quello ma farlo scivolare in me, anche se schifosamente lubrificata, fu un lavoro lungo, gemevo mentre la pelle della mia vagina si tendeva per adattarsi all’intruso, sentii la cappella perforarmi con un flop e rimasi li sospesa, muovendo i fianchi mentre la lunga sbarra di carne mi apriva piano piano, traevo piacere dal dolore del sentire le piccole labbra tese quasi a volersi strappare e la vagina che si dilatava, all’interno, prendendo la forma del membro che implacabile penetrava in me. Sembrava non avere fine e dopo un po’ lo sentii toccare il fondo e continuare ancora quasi volesse penetrare anche l’utero. Movimenti rotatori del mio culo mentre le braccia, appoggiate sui suoi fianchi, cedevano man mano lasciandomi riempire, sentii le mi chiappe toccare il suo corpo e mi abbandonai di peso ad accogliere l’ultimo pezzo di lui, finalmente piena, posseduta, sconquassata, lo sentivo fino allo stomaco ed ero ebbra della gioia di avere tanto del mio padrone all’interno del corpo. Muovendomi a fatica per quanto ero piena presi la paletta abbandonata sul letto e gliela passai, mi chinai in avanti aumentando la pressione che il pene marmoreo esercitava sul mio stomaco, esposi completamente i glutei e il forellino del mio ano invitandolo:
‘il sedere padrone, mi percuota il sedere’
Sciaf, ‘uno’, un colpo deciso, non violento ma intenso abbastanza da far sobbalzare le mie morbide carni fino ai fianchi, mi sfuggi un guaito poi, ad occhi chiusi, appoggiai le mano sopra le sue ginocchia, mi issai fino a far rimanere solo l’imponente cappella nella mia vagina e mi riabbassai sentendomi impalata. Mossi circolarmente i fianchi per dargli tutte le sensazioni che potevo mentre era come se un grosso mestolo mi frugasse l’intimità, in profondità alla ricerca di non so che.
Continuammo quella danza colpo dopo colpo, la mia fica si adattò alle sue dimensioni e inizia ad aumentai il ritmo, i miei umori colavano abbandonati bagnandoci entrambe e in una trentina di sculacciate la scena si era trasformata in una donna, travolta dal piacere che si ritraeva per poi ricadere su un enorme cazzo con un suono di risucchio, di sciabordio, si infilzava fino alla base per poi ruotare cercando di scavarsi ancora di più, le mie chiappe rosse per i colpi subiti, improvvisi cambi dal ruotare al fare avanti e indietro completamente penetrata per sentire quella mazza spingere meglio il mio interno. Allungai una mano a massaggiare i coglioni gonfi, desiderosi di scaricarsi e inizia affondi più veloci, estraendo di meno ma in modo più frenetico e aumentò così il ritmo delle percosse sulle mie bianche carni. Umori colavano fino a bagnarmi la mano che massaggiava lo scroto, bruciore alla pelle che faceva da intonato contorno alla libidine che mi avvolgeva, due dita ad entrare perentorie nel mio ano per domarmi e obbligarmi al ritmo deciso da lui, la speranza che questa sue presa di controllo mi aiutasse a fare finalmente sfogare quella densa crema che tanto desideravo ma che non riuscivo ad ottenere. Le dita che ruotavano fino ad accarezzare il membro nell’altro canale e i colpi che si susseguivano fino ad arrivare al’
‘cento’
Non rallentai minimamente anche se lui estrasse le dita, mi sentii spingere la schiena a chinarmi ancora più in avanti fino ad appoggiare le tette sulle sue gambe, le mani ambedue libere di massaggiare coglioni e scroto mentre lo sentii, dolorosamente, infilare il piatto manico della paletta del mio sfintere e iniziare a ruotarlo mentre i colpi si susseguivano inferti dalle sue mani ora, mani che colpivano il mio corpo desideroso di lui dando un attimo di dolore per poi lasciare il piacere delle sue carezze, del suo palparmi. Il ritmo della scopata che gli stavo donando si sfasò da quello dei suoi colpi e mentre io lo cavalcavo ansimante e ricoperta di sudore lui ruotava la paletta nel mio ano e inveiva sulle mie chiappe al ritmo che più gli concerneva. Il cazzo enorme che mi scavava spietatamente, il rumore della mia fica fradicia che veniva aperta violentemente schizzando qua e la, il fastidioso oggetto e rasparmi l’interno del culo e le sue mani ad accarezzarmi le chiappe fra un colpo e l’altro. Mi stavo perdendo di nuovo, il piacere si stava rimpossessando di me mentre mi allontanavo dal suo orgasmo per avvicinarmi al mio.
‘centocinquanta’
Estrasse la paletta di botto, mi prese per i fianchi e mi fece alzare la schiena come lui aveva alzato la sua, mi tirò indietro le braccia a cingere i suoi fianchi, una mano la sentii scivolare sul mio ventre, premendo alla ricerca della cappella che mi stantuffava dentro, ricerca fruttuosa, quella mano che frugava da fuori amplificava le sensazioni che percepivo dentro di dieci volte. L’altra mano a scorrere in mezzo ai miei seni rigogliosi, salire fino al collo, afferrarmi con prepotenza il mento per girare la testa fino a fare incontrare le mie labbra con le sue in un bacio lussurioso, fatto più di lingua e saliva che cola che di labbra. Rimasi li inchiodata sulla sua bocca, i suoi reni che mi facevano sobbalzare indifesa e la punta del cazzo che incontrava la sua mano che spingeva dall’esterno, il mio corpo nel mezzo quasi come ostacolo, i colpi sui miei fianchi che riprendevano. Mi ero persa di nuovo in balia di quell’instancabile ed inappagabile uomo.
La lingua fuori dalla bocca, esposta al massimo a cercare la sua che si ritraeva quel tanto che serviva a farmi tendere al massimo per raggiungerlo, la mano sul mio ventre a scendere come percorresse il membro virile che divaricava la mia fica, il suono degli sciaf di cui non ascoltavo più il conteggio poi la sua mano che si immerge nei mie umori a trovare il clitoride gonfio. Ansimi crescenti, purtroppo i miei, fuori controllo, colpi, affondi, massaggi, cambiò modo di spingere e sentii il cazzo andare a premere dentro di me, a trovare un punto ove tutto perse senso, l’ultimo barlume di lucidità mi abbandono e divenni un ammasso bollente di libidine e piacere mentre lui afferrava e pizzicava con sadismo il mio clitoride, mi incollai alle sue labbra soffocando li un lungo, appagate e liberatorio orgasmo vaginale che mi percorse tutta la schiena partendo dalla vagina oscenamente dilatata ed arrivando al cervello investendolo in pieno.
‘duecento’
Si sfilò da me e si sdraiò su un fianco senza lasciarmi, le sue labbra che sfioravano la mia schiena grondante sudore, io incapace di parlare mentre la consapevolezza della nuova sconfitta mi giungeva lentamente.
Non mi concessi il lusso di riposare:
‘è ancora buio fuori, mi è concesso del lubrificante padrone ?’
‘sulla mensola vicino alla scrivania cara’
Corsi ad afferrare la bottiglia indicatami, le tette che sobbalzavano per il piacere dei suoi occhi, mi precipitai da lui, cosparsi il liquido sul suo sesso e inizia un veloce massaggio per ben distribuirlo mentre baciavo le sue cosce, il suo inguine, le sue palle. Gli salii di nuovo sopra ma guardandolo fisso negli occhi e comincia a puntare la cappella sul mio ano, spingendo forte.
Il mio splendido viso incorniciato dai capelli scuri, ormai ondulati, contratto in una smorfia di dolore per l’impietoso modo in cui costringevo l’enorme massa di carne pulsante a forzare i muscoli del mio ano, a scivolarmi dentro con la fretta del cielo che cominciava a rischiararsi. I miei occhi nei suoi come sorridendo in contrasto con le smorfie di dolore che non potevo fare a meno di esternare. Mugoli lancinanti e sommessi mentre gli ultimi centimetri mi violavano mentre mi accomodavo sopra di lui, completamente e oscenamente sodomizzata da lui. Gli porsi la paletta, alzai le braccia e con le mani cinsi i capelli dietro la testa esponendo appieno le morbide rotondità dei seni indicandogli coi gesti dove colpire ma lui si liberò dell’oggetto:
‘basta colpi, il tuo seno, perfetto, abbondante voglio goderlo, non colpirlo’
Si alzò verso di me, afferrò ogni mammella con una mano e iniziò a lappare, succhiare i capezzoli facendomi subito impazzire. Lo ricambia cominciando a cavalcarlo, a volte estraendolo quasi tutto, a volte poco, stringevo i muscoli del culo al massimo recandomi dolori lancinanti nel tentativo di trasmettere il massimo delle sensazioni al suo corpo. Mi palpava, massaggiava, succhiava e masturbava i seni allo stesso, infuriato, ritmo mentre sentivo il mio orifizio allungarsi verso l’esterno incollato al suo membro per poi venire ricacciato dentro con prepotenza. Lo stomaco in subbuglio, le mani sulla sua testa che tanto piacere mi stava donando. Ansimi, sudore, colpi violenti alle mie interiora. Mi sentivo dilatata oscenamente immaginando il mio orifizio aperto a dismisura da quell’inumano pene che stavo ospitando. Mi aveva, mio malgrado, soggiogata di nuovo, non riuscivo ad avere controllo su di lui, alzò la testa a cercale le mie labbra e mi incatenò in un nuovo, coinvolgente, umido bacio mentre una mano scivolava fra i nostri corpi, trovava la mia fica, la penetrava con tre dita lasciando spazio al pollice per torturarmi il clitoride. Facendo leva su un seno e sulla mia fica iniziò a sbattermi al suo ritmo, ero completamente abbandonata, il pollice che spingeva con prepotenza sul mio bottoncino, strisciandolo con forza, schiacciandolo e mandandomi scosse in tutto il corpo. L’ano, squarciato, che veniva trivellato a ripetizione, in profondità, la fica che non smetteva di grondare. Era instancabile, appena affannato mentre io avevo finito da tempo ogni mia energia, abbandonato ormai ogni velleità. Mentre il cielo si rischiarava mi donò un altro, intenso, travolgente orgasmo che protrasse a lungo, abbandonandomi poi li, seduta e impalata mentre lui tornava a stendersi sorridente:
‘sei stata fantastica ma un patto è un patto e temo che, tristemente, dovrò anche questa volta provvedere da solo a me’
Non lo accettavo e i raggi del sole non ci avevano ancora raggiunti, presi la fiaschetta con il lubrificante, mi alzai in piedi sopra di lui stappandomi dolorosamente e sentendo che il mio ano non riusciva a richiudersi del tutto, gli presi una mano e gli feci allungare un braccio dritto verso l’alto, lo lubrificai bene, abbondantemente tutto partendo dalla mano, lo massaggia mentre lui mi guardava curioso, gli feci mettere le dita a cuneo e le puntai verso la mia vagina cominciando a farle penetrare prepotentemente, ero già dilatata anche se non abbastanza ma non avevo tempo, provocandomi forti dolori spinsi in su la sua mano ruotandola mentre mi abbassavo con le gambe e mordendomi le labbra mentre trattenevo le lacrime continua finche tutta la mano non venne risucchiata dentro di me, l’urlo non potei contenerlo ma mi ripresi in fretta. Tirandolo verso di me con movimenti resi goffi dall’essere così impalata mi sdraia sulla schiena, gambe larghe, la vagina dilatata oscenamente e lui in ginocchio di fronte a me. Gli presi il cazzo che sembrava essere divenuto ancora più duro e lo accompagnai verso il mio culo, lui capì alla fine il mio intento e per la prima volta lo vidi spiazzato, decise di accontentarmi e di farlo in pieno, spinse la cappella nel mio orifizio che si era ristretto per l’ingombro che avevo in fica e poi con un brusco, doloroso colpo di reni mi invase tutta d’un botto. Una mano interamente nella fica, un’enorme uccello piantato del cazzo mentre sbattevo la testa di qua e di la in attesa che il dolore diminuisse’
‘lo senti il tuo uccello nel mio culo ? afferralo con la mano che hai dentro di me e se vuoi segarti allora fallo così, ti prego’
Era senza parole, sentii la mano al mio interno muoversi lentamente ed afferrare, infine, l’asta nel mio culo con la sottile pelle che divide i due canali a fare da guaina. La mano che si muoveva su e giù al mio interno, l’uccello che stantuffava il mio culo, i suoi occhi ad osservare la scena dei miei buchi assurdamente dilatati. Per la prima volta non stava osservando me, stava facendo qualcosa che piaceva a lui, non mi considerò più minimamente e mentre trattenevo le urla per il dolore che veniva dal mio interno in modo da non disturbarlo, iniziò una lenta, strana, sega. Ben poco potevo fare se non stare li ed essere il più accogliente possibile, le sue dita dentro di me stringevano ogni secondo di più aumento le mie sofferenze, iniziò ad usare la pelle del mio corpo per massaggiarsi la cappella facendo scorrere sopra due dita fino ad arrivare all’estremità e scivolarci sopra dandomi pizzicotti di un’intensità terribile, stringeva forte l’asta e iniziava a stantuffarmi forte godendo della pressione della mano e di quella del mio orifizio che io tendevo al massimo che mi era possibile. Si piantò nel mio culo più in profondità possibile segandosi poi liberamente e abbondantemente come se io non ci fossi. La mano che percorreva tutta la lunghezza dell’asta dentro di me sembrava dovermi strappare tutta e non potei fare a meno di urlare ma a lui la cosa non interessava minimamente.
‘dai, segati, segati dentro di me e spaccami, godi del mio corpo più che puoi, fatti la sega migliore della tua vita dentro la mia fica, dentro il mio culo’
Straziata dal dolore godevo del vedere i suoi occhi persi e la parte animale prendere il controllo, lo incitavo a fare il peggio che poteva e desideravo che lo facesse a discapito delle mie sofferenze.
Con gli occhi piantati sul mio sesso incominciò a segarsi velocemente per poi fermasi stringere forte e partire con violente, rapide inculate che facevano scorrere il pene attraverso il mio culo e la sua mano. Sentivo la vagina spinta verso l’esterno come dovesse strapparsi e poi il culo, stretto nella morsa dall’interno, venire trapanato come da un uccello tre volte più grosso.
Ero ormai incapace di qualsiasi azione e subivo quel trattamento che avevo voluto indifesa mentre vedevo il risultato dipingersi sul suo volto, farsi sentire nel suo respiro. Vidi la luce raggiungerci dal tetto mentre lui iniziava una violenta sega contemporanea ad una bestiale inculata, lunga, infinita, la sua voce sempre più roca, i suoi respiri sempre più affannosi. Il mio corpo nudo, morbido, stupendo e totalmente esposto, il seno che veniva sbatacchiato in ogni direzione, allungò una mano ad infilarsi nella mia bocca e io ne accolse il più che potevo leccando avidamente e lasciandomi frugare dalle dita che andavano a riempire l’ultimo spazio rimasto libero di me, sberle sulle tette da quell’uomo che aveva abbandonato, finalmente, ogni controllo. Sentivo lo sperma come risalisse millimetro dopo millimetro la sua lunga asta e alla fine, così lungamente atteso, urlò, urlò liberamente mentre abbondanti fiotti si riversavano senza fine nel mio culo, la mano a stringere l’asta dentro di me con tutta la forze nelle ultime, appaganti, raspate sul sesso. Accolsi quell’ultimo, indicibile, dolore con un sorriso mentre gioivo della gioia che ero finalmente riuscita a dare al padrone. Si fermo in me mentre risolini gli sfuggivano incontrollati nel dire:
‘hai vinto, incredibile, pazza, donna’
Proprio mentre una lunga striscia rossa si disegnava improvvisa sul suo collo da orecchio a orecchio’

CONTINUA’

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glorfindel@email.com CAPITOLO 5

Mentre era ancora infilato dentro entrambe i miei buchi la sua espressione di puro godimento si andò a mischiare a quella di stupore per la vita che lo stava abbandonando, un urlo cercò di uscire dalla sua bocca ma rimase incastrato nel collo all’altezza del profondo taglio che lo solcava, fiotti di sangue cominciarono a sgorgare come da una bottiglia di spumante agitata e stappata, mi investirono in pieno tingendo di rosso il mio corpo nudo. Ammutolita dallo spettacolo mi trovai imbavagliata da una forte mano prima che il fiato mi tornasse. Una voce nota mi arrivò in un bisbiglio vicino all’orecchio:
‘fai silenzio, non so cosa credi di questo uomo ma ora non ho tempo di spiegarti, puoi rimanere qui al fianco del suo cadavere a spiegare cosa centri con la sua morte e chi abbia aperto la porta d’ingresso o puoi venire con me, sopravvivere e ascoltare la tua storia’
La scelta era obbligata e feci cenno di si con la testa, mi lasciò, lentamente, libera, dovetti estrarmi quella mano e quel pene ormai morti che ancora occupavano il mio culo e la mia fica e non fu facile. Mi alzai incerta e andai a recuperare la veste trasparente con cui ero arrivata che subito si tinse del sangue di cui ero cosparsa. Askal mi guardava serio e concentrato, aprì la porta, due guardie esanimi a terra, il collo spezzato e le espressioni vitree, avemmo vita facile fino a giungere vicino all’uscita, era l’alba e nella villa quasi tutti dormivano, quasi tutti, due guardie di fronte alla porta per l’esterno, Askal gli si parò davanti all’improvviso, arma in mano, quelle lanciarono l’allarme mentre estraevano le spade e si lanciavano alla carica, la prima lama cozzo contro lo spadone, la spada d’argento piegò il braccio per accompagnare la prima ad incontrare la seconda bloccandole entrambe con la sua arma, un rapido gesto circolare e, ambedue le guardie, andarono a scaricare i loro colpi nel vuoto mentre le teste si staccavano dai corpi che ricaddero a terra sprizzando sangue. Uscimmo ma l’allarme aveva attirato dodici soldati dalla caserma all’esterno che ci stavano caricando. Askal mi fermò con una mano e avanzò sicuro verso lo scontro impari. La scena che seguì ebbe dell’irreale, sullo sfondo io, venere nera, il lungo abito candido macchiato di sangue ancora caldo a coprire le mie forme generose, capelli scompigliati, occhi sbarrati e lacrime rosse della vita di altri che cadeva dall’alto come pioggia. Askal che si muoveva come una gigantesca ombra, spade che lo fendevano da ogni parte senza mai colpirlo come fosse un miraggio e teste che cadevano una dopo l’altra lasciando colli monchi a sprizzare sangue verso il cielo per alimentare quella pioggia rossa.
Pochi secondi dopo stavamo marciando verso il cavallo di lui che ci attendeva nel vicino bosco, dodici cadaveri a farci da contorno mentre le nostre figure macchiate color vermiglio si allontanavano verso il sole nascente.
Cavalcammo fino a che il sole non fu al suo punto più alto, senza dire una parola, ci accampammo per riposare un po’, mi porse del cibo che la fame mi costrinse ad accettare, non sapevo cosa pensare, aveva ucciso quell’uomo che avevo riconosciuto come mio padrone e che mi aveva fatto solo del bene ma non riuscivo comunque a vedere in lui malvagità.
Attese che finissi, che mi dissetassi e in fine parlò:
‘non so che tipo di rapporti ti eri creata in quella casa ma ora ti dirò quello che conosco, cosa guida le mie azioni e cosa farò in futuro poi potrai decidere cosa vuoi fare.
L’uomo che ti ho visto cercare di soddisfare con tanto impegno non era il nobile spirito che cercava di apparire, tutte le donne in quella cosa erano li da quando avevano 7 o al massimo 8 anni, erano quelle che lui aveva scelto per se mentre le altre le vendeva per i sollazzi di ricchi depravati. Questi erano i suoi affari, trafficava schivi bambini, era il migliore nel suo campo e se è vero che donava una specie di vita felice a quelli che sceglieva non aveva nessuna pietà per quelli che vendeva, incurante dell’orribile sorte a cui li mandava in contro. Il motivo per cui tutte le fanciulle di quella casa gli erano così fedeli è perché le aveva soggiogate fino dalla più tenera età. Quello che ho ucciso, nella vita, faceva il mercante di bambini’
‘se tutte gli erano così fedeli come hai fatto a farmi avere il biglietto ?’
‘non vi è cosa più letale e incontrollabile di una donna respinta mentre cerca di donarsi con tutto il cuore, ma tu perché hai aperto la porta ?’
‘quindi è stata Aria a darmi il biglietto, lo amava tanto da non poter accettare di non averlo, lo preferiva morto o forse non aveva calcolato bene quali sarebbero state le conseguenze del suo gesto. Ho aperto la porta perché, per quanto assurdo potesse sembrare, speravo fossi tu ma io ti ho visto morire’
‘tu mi hai visto cadere a terra, il colpo è stato forte, mi sono ripreso dopo quasi due giorni ma, a parte un grosso livido, ero illeso, per mia fortuna indosso sempre, sotto il corpetto di pelle, una cotta di maglia fatta della stessa lega della mia spada, un regalo del mio maestro, è quasi impossibile tagliarla. Dopo essermi ripreso ho impiegato un po’ di tempo per riuscire a guadagnarmi la fiducia di Aria ma poi, grazie a lei, riuscivo ad essere informato di cosa accadeva all’interno. Come avevo sperato quando ti ho incontrata, tua sei stata la chiave per espugnare il rifugio del mio obbiettivo’
‘ecco cosa intendevi dicendo che se mi avessero accolta nella villa il problema sarebbe stato risolto, avevi intenzione di usarmi fin dall’inizio’
‘non giungere a conclusioni affrettate, ho rischiato la vita per proteggerti perché rispetto la vita altrui e non ti avrei mandata senza spiegarti tutto fino in fondo, non volevo usarti ma chiedere il tuo aiuto’
”e ora ?’
‘dopo le guerre di quasi venti anni fa in cui le due famiglie predominanti si distrussero a vicenda queste terra sono diventate la patria della violenza, quattro sono i signori che detengono il potere e il controllo, uno l’ho appena ucciso, la mia missione è quella di eliminare anche gli altri tre e intendo portarla avanti anche da solo, il problema è che i miei bersagli sanno che noi spade d’argento siamo a caccia delle loro teste e hanno preso provvedimenti, ecco perché l’uomo che fino a poche ore fa chiamavi padrone viveva rinchiuso in quel modo e, un’ultima cosa Teresa, l’ultimo dei tre ancora sulla mia lista è quello che ha marchiato la tua spalla, quella cicatrice impressa dal ferro rovente, raffigura il suo stemma.’



‘ti devo la vita più di una volta e voglio sapere perché quell’uomo mi ha strappato dal mio mondo cambiando la mia esistenza quindi, Askal, vorrei venire con te ed aiutarti a costo della vita’
‘immaginavo che lo avresti detto ma ti chiedo di riflettere bene su ciò che hai dovuto subire fino ad ora perché è probabile che andando avanti le cose peggioreranno quindi, ora laviamoci questo sangue di dosso, prepariamo il campo per la notte, ceniamo e se domani sarai dello stesso avviso allora di dirò di si’
Dovetti mettere ad asciugare l’unico vestito che avevo vicino al fuoco dopo averlo lavato e mi ritrovai ancora nuda, mi sentivo un po’ imbarazzata con lui che faceva in modo di non guardarmi, mi porse il suo mantello per coprirmi e attesi il trascorrere della notte per poter intraprendere quel viaggio alla scoperta della verità, la mia risposta alla sua domanda era ormai scontata, si, lo avrei seguito fino alla fine a qualunque costo.
Il prossimo obbiettivo si trovava a sei giorni di cavallo di distanza, mi venne spiegato che il palazzo aveva una strana conformazione, era alla periferia nord di un grande villaggio, il piano sotto terra era stato trasformato in una prigione senza sbarre nel senso che ci si poteva entrare solo da de botole nel soffitto ad almeno 5 metri di altezza, i colpevoli venivano calati dall’alto e li abbandonati, liberi di vagare nel livello senza guardie ne celle, non vi era via di fuga se non la morte che si poteva trovare in mille modo, quando le guardie avevano bisogno di scendere usavano delle lunghe scale che venivano issate fuori una volta finita l’ispezione. Il piano terra era circondato da un grosso giardino con mura alte, all’esterno cento guardie e all’interno altre trenta, scelte e di massima fiducia. La particolarità era che tutte le guardie erano donne. Al piano superiore una gigantesca stanza senza finestre, vi si accedeva solo da una scala a chiocciola sigillata da una porta d’acciaio spessa come le spalle di un lottatore e che poteva essere aperta solo dall’interno. Cibo, acqua e sollazzi venivano issati con una specie di ascensore comandato dall’alto, era inespugnabile, le pareti del pozzo erano di liscio marmo, impossibili da scalare e se qualcuno di indesiderato avesse cercato di issarsi sarebbe stato bersagliato di frecce ancora prima di iniziare.
Il nostro bersaglio si era nascosto in quel palazzo proprio perché nessuno era mai riuscito ad infrangerne le difese, anche sbaragliando l’esercito al suo esterno la stanza superiore sarebbe stata inviolabile, bisognava riuscire ad infiltrarsi e l’unica che poteva ero io.
Per entrare a far parte della guardia esterna vi era una semplice regola, si doveva affrontare un combattimento a mani nude con una delle attive scelta a caso con un sorteggio e se si vinceva si era assunte ma se si perdeva si finiva nella prigione sotto il palazzo.
Askal passò sei mesi ad allenarmi ed istruirmi, era un maestro capace quanto severo, duro nell’insegnare quanto affettuoso nel curare i lividi, imparavo bene anche se il tempo trascorreva troppo veloce rispetto ai miei progressi. Lo vedevo sempre un po’ impacciato con me al di fuori dell’addestramento ma ogni volta che andavo al fiume a lavarmi ero certa che i suoi occhi mi spiassero, negli scontri, quando i nostri corpi si avvinghiavano lottando, vedevo il suo sguardo indugiare sulle mie curve ma non aveva dato mai cenno di esplicito desiderio nei miei confronti mentre io bruciavo per lui.
Un giorno, durante un combattimento, mi disarmò e ci trovammo, in piedi, uno appiccicato all’altro, sudati, ansimanti, lui cercò subito di ritrarsi ma io lo fermai afferrandolo per i fianchi:
‘perché ti allontani sempre ? mi trovi così ripugnante come donna ? è per quello che mi hai vista fare e subire ?’
”no, è che ti desidero troppo’
‘prendimi allora, puoi avermi’
‘io’, ero fuori dalla porta ed ho visto tutto quello che hai fatto per far godere quel bastardo e’ e mi sono trovato a desiderare di farti quello che ti ha fatto lui, io non credo che sia giusto e non ho il desiderio di piegare una donna ai miei capricci ma ogni volta che il tuo corpo è vicino al mio scatta qualcosa, mi tornano in mente quelle immagini e desidero viverle’
Non potei fare a meno di arrossire e abbassare lo sguardo, pensare a lui che mi guardava mentre mi facevo impalare in tutti i modi mi fece vergognare ma allo stesso tempo non potevo dimenticare tutto il coinvolgimento di quella notte e non potevo negare che avevo voglia di riviverla con lui, con lo sguardo sempre basso inizia a spogliarmi dicendo:
‘resta qui con me ti prego”
La voce mi tremava pronunciando quelle parole e una volta nuda iniziai a spogliare lui, chiusi gli occhi togliendo l’ultimo indumento e liberando il suo pene, lui non parlava e mi strinsi forte al suo corpo, gli presi le mani con le mie e le guidai sulle mie natiche, iniziarono a stringere, in modo sempre più vigoroso, la sue pelle a palpare, finalmente, la mia e, nascondendo il viso nel suo petto:
‘colpiscimi, sculacciami se ti va’
Ci vollero dei minuti durante i quali il suo battito accelerava sempre più come sincronizzato con il mio respiro, sentivo il suo cazzo vibrare a contatto con la mia pelle morbida e poi due colpi in sincrono, leggeri, il mio volto sempre nascosto nel suo petto mentre sussurravo:
‘spada d’argento, quello che hai tra le mani non è il culo di un neonato, non temere, ho capito e mi fido di te, non ti lascerò fare nulla che non mi senta di fare ma ora lasciati andare, per una volta lascia che sia io ad insegnare a te, più forte, sei l’uomo a cui devo la vita, più forte’
Una mano sola, la destra, mi lasciò solo un istante e colpì, la carne vibrò, un leggero bruciore che si propagava per la natica, un fuoco che si allargava impetuoso nel mio ventre, non riuscivo a evitare di strusciarmi su di lui mentre sentivo che mi stavo bagnando, ansimai:
‘più forte ti prego’
Due colpi in rapida successione, le mani che avevano fatto sentire finalmente il loro peso, ora iniziavo a percepire di donarmi come meritava, un mugolo sommesso, il viso ad alzarsi a cercare i suoi occhi, lui già preoccupato per me, gli afferrai i capelli, lo tirai per baciarlo e mentre la mia lingua cercava la sua:
‘continua, dai senso alla vita che hai salvato, lascia che ti dia tutto quello che sento di voler donare, lasciati andare e non trattenere nulla di te, te ne prego’
Chiuse gli occhi un istante trattenendo il respiro mentre le mani stringevano il mio culo sempre più forte, sembrava che stesse lottando con se stesso poi il suo bacio si fece avido, vorace, il suo uccello sussultava schiacciato fra di noi, mi morse un labbro abbastanza forte da farmi guaire e poi, con prepotenza, mi girò, spinse in avanti il mio busto, mi appoggia a un vicino albero, quasi a novanta gradi, esponendomi completamente a lui, per lui. Le mie grosse tette sobbalzavano al ritmo delle sculacciate che cominciò ad infliggermi, respirava veloce e la mia carne subiva il fuoco che avevo risvegliato in lui. Un susseguirsi di schiaffi dati da mani forti, abituate a combattere, penetravano la mia morbida pelle arrossata, mi scaldavano dall’interno con un dolore che si propagava alle cosce, al sesso. Nel silenzio della foresta le mie urla echeggiavano in lontananza rotte solo dal mio continuargli a dire di non smettere. La furia iniziale lasciò spazio al momento che vivevamo, le sue mani iniziarono a carezzare la pelle accaldata dei miei glutei fra un colpo e l’altro, anche la forza diminuì riequilibrando il limite fra dolore e piacere, voltai la testa a guardarlo, stava osservando il mio culo come perso poi si accorse dei miei occhi su di lui e mi restituì una sguardo perplesso, gli sorrisi, con una mano presi la sua che mi carezzava, divaricai le gambe e la guidai verso il mio sesso immergendola nei miei copiosi umori per fargli capire cosa stavo provando. Capì, mi rimisi in posizione lasciandogli totale potere sul mio corpo, mi carezzò la fica a lungo, indugiò all’esterno con calma penetrando in profondità con una lentezza estenuante che fece salire la mia eccitazione a dismisura. Sembrava non doversi stancare mai di far sguazzare le dita nel mio sesso mentre aveva iniziato a baciarmi la schiena allungandosi su di me. Stavo scoppiando e quando sentii il suo uccello sfiorare le mie cosce non potei fare a meno di afferrarlo per infilarmelo dentro ma mi concesse di sentirne appena la cappella e si ritrasse per iniziare a carezzarmi le cosce per tutta la loro lunghezza, all’esterno e all’interno fino ai margini della mia fica grondante. Mentre mi massaggiava aveva iniziato a leccarmi il solco del culo per giungere in breve al mio bucchetto che lappò con avidità fino a ricoprirlo di saliva, la punta della lingua spinse per entrare e io cercai di facilitarle il compito spingendo per offrirmi il più possibile, si saziò a lungo per poi scorrere verso il basso, la lingua percorreva con la punta le mie grandi labbra, le sfiorava appena provocandomi un intenso formicolio allo stomaco, mi muovevo per farla scorrere dentro di me, a cercare più piacere ma non appena si avvicinava al clitoride turgido si riallontanava lasciandomi delusa e vogliosa. Si staccò da me per prendere il frustino del cavallo, me lo fece passare davanti alla bocca e io lo leccai vorace, mi colpì con colpi netti l’interno delle cosce, solo la punta piatta arrivava sulla mia carne provocando schiocchi di un dolore intenso ma che svaniva in un attimo, mugolavo sommessa mentre subivo quel trattamento ma poi urlai, urlai forte, un colpo diretto sul sesso e poi subito un altro. Per quanto il dolore scemasse molto alla svelta nel momento del colpo era tanto intenso da inondare il cervello:
‘se ne subirai dieci senza urlare allora ti penetrerò finché non sarai venuta’
La mia risposta fu semplice e immediata, feci passare una mano in mezzo alle cosce e con le dita mi allargai il sesso in modo da dare più spazio al suo supplizio. Lui mi percorse tutta la schiena con dei baci delicati e poi sparì per farsi sostituire dal primo colpo. Gemetti, ebbra di quell’intenso dolore che sentivo come gioia per il solo fatto che era lui a donarmelo e rimasi in posizione, le gambe che tremavano, il sesso che bruciava, contando colpo dopo colpo mentre nella mia mente la sola cosa che rimaneva come un vuoto era la distanza che mi separava dal poter ospitare il suo pene dentro di me. I colpi si esaurirono strappandomi dalle labbra serrate coi denti solo mugugni mentre il desiderio che provavo saliva dismisura. Mi prese e mi fece sdraiare a pancia in alto, si inginocchiò davanti a me alzandomi le cosce e iniziò a far scorrere il robusto cazzo sopra il mio clitoride tenendocelo premuto a forza con i pollici. Continuò questa masturbazione contemporanea dei nostri sessi per interi minuti mentre osservava il mio corpo nudo, il mio viso contratto dal desiderio. Ogni volta che il suo pene indietreggiava desideravo con tutta me stessa che l’affondo successivo fosse dentro il mio corpo. Ero un fuoco indomabile dentro e questo suo strusciare continuo sul mio sesso mi stava facendo impazzire, desideravo quel cazzo con tutta me stessa ed avevo iniziato a stropicciarmi le tette da sola per cercare un po’ più piacere e poi fu un attimo, mi accontentò, sprofondò nella mia fica fradicia tutto d’un botto senza incontrare nessun ostacolo, fu così improvviso e appagante che restai a bocca aperta in attesa di ossigeno, cominciò a chiavarmi forte, quasi con rabbia mentre io gemevo finalmente piena, spinse le mie braccia sopra la testa ed io ubbidii docile, con una mano mi coprì la bocca come a voler dimostrare che non avevo diritto a tanto piacere e con l’altra iniziò a torturarmi, alternativamente, i capezzoli turgidi usandoli come appiglio ber sbatacchiare le morbide tette. Mi stantuffò con foga, con metodo, appagandosi della mia fica e poi, all’improvviso, uscì fuori lasciando un vuoto incolmabile nella mia vagina, si alzò in piedi e tirandomi per i capelli mi costrinse in ginocchio, aprii la bocca e lo accolsi, i suo sapore mischiato al mio mentre gli davo la giusta accoglienza con la lingua, stantuffava forte penetrandomi la gola e poi si fermava a godere dei giochi della mia lingua e del mio succhiare, mi afferrò dietro la testa con entrambe le mani ed affondò totalmente, spingendo forte e impedendomi di indietreggiare continuando a scavare con il bacino, continuò fino a sfiorare l’orgasmo, aveva ormai perso il controllo e si saziava a pieno del mio corpo come meglio credeva, mi ributtò a terra in malo modo, su un fianco, mi alzò una gamba verso l’alto, si sedette sopra l’altra e mi penetrò con forza riuscendo, in quella posizione, ad andare ancora più a fondo. Non usciva di un pelo da me impartendomi solo veloci colpi con il bacino, raggiunsi presto l’orgasmo e lui mi premiò con una forte sculacciata su una natica e tirandomi sopra di lui che si stava sdraiando. Mi spinse la testa verso il pisello e si lasciò andare per rilassarsi un po’ sull’erba. Gli regali il pompino migliore della mia vita, gli massaggiai i coglioni mentre lo insalivavo per tutta la sua altezza, lo segai a lungo e con vigore tenendo la cappella in bocca per leccarla, ogni tanto lo ingoiavo per intero due o tre volte per poi ripartire con la sega in punta di labbra. Quel trattamento ebbe effetto e le sue mani tornarono ad afferrare la mi testa bloccandola per poi scoparmi la gola inserendosi tutto e poi fuoriuscendo ad un ritmo infuriato. L’orgasmo lo stava per travolgere e mi staccai per alzarmi in piedi sopra di lui facendolo rimanere fra le mie gambe. Guardandolo fisso negli occhi, steso sotto di me, gli presi una mano, la tirai verso l’alto e la indirizzai alla mia fica:
‘è questo che vuoi ? vuoi infilare una mano nel mio sesso mentre mi metti il cazzo nel culo ? puoi farlo, a te non negherei niente’
La sua mano si fece rigida e il mio sguardo interrogativo:
‘quello che voglio ora è che appoggi quelle tue splendide labbra sulle mie, voglio vederti godere, voglio sentirti godere nella mia bocca mentre ti bacio, voglio provare ogni sensazione che provi.
Restai stupita nel sentilo dire che la cosa che lo eccitava di più era la mia eccitazione, il mio piacere, piegai le ginocchia abbassandomi su di lui, mi vergognavo come se fosse la prima volta che giacevo con un uomo, con lo sguardo basso presi il suo pene e mordendomi le labbra lo feci entrare, man mano, dentro il mio culo fino alla radice, incurante del dolore al buchetto violato mi godetti tutto lo scorrere del suo cazzo dentro di me felice di poter donare a lui il mio culo, arrossendo ritrovai il suo sguardo, gli afferrai una mano e guidai due dita verso il mio clitoride esposto, mi accascia su di lui, le tette sul suo petto con il braccio che mi stava masturbando a dividerle, il viso di fianco al suo e dissi:
‘tu non muoverti, lasciami fare ti prego’
Inizia a strusciarmi nascondendo il viso sulla sua spalla, avanti e indietro a far si che il cazzo mi inculasse e le dita mi strofinassero il clitoride mentre i capezzoli strusciavano sui suoi. Mi venne in breve il respiro pesante mentre lui stava inerme, mugolavo come una cagna in calore per il piacere che mi stava donando, il calore si propagava dentro di me rapidamente e non resistetti più, lo avvinghia in un bacio appassionato, la mia bocca spalancata a lasciare uscire i rumori del mio godimento, le lingue intrecciate, il bacino che spingeva sempre più forte verso le dita, il cazzo che pulsava nel mio culo, un continuo crescendo di sensazioni sempre più forti e poi esplose nel mio corpo, le mie urla esplosero nella sua bocca, spasmi mi percorrevano mentre mi costringevo ad un rapido sue e giù sul suo cazzo, mentre stringevo i muscoli doloranti dello sfintere più che potevo per far aderire il buco del mio culo alla sua mazza in modo che lo seguisse mentre mi sfondava l’ano con colpi violenti che mi somministravo da sola, senza darmi sosta, senza che l’orgasmo mi desse sosta e alla fine lui si unì a me, fiotti, caldi, liquidi nel mio intestino, lussuria a travolgerci entrambe, avvinghiati, sudati, stremati:
‘Ti Amo Askal, ti amo”

CONTINUA’

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glorfindel@email.com

Il tempo trascorreva veloce fra estenuanti allenamenti e furiose scopate, la nostra nuova intimità aveva giovato anche ai miei progressi nel combattimento, la conoscenza del mio corpo che Askal aveva raggiunto abusando dolcemente di me ci aveva permesso di essere più in sintonia e mi aveva dato modo di apprendere meglio ciò che mi insegnava.
Una mattina ci recammo ad un villaggio vicino e dopo aver, finalmente, acquistato nuovi abiti affittammo una stanza in una locanda. Lo attesi li per tre giorni mentre lui andava a sistemare l’ultima parte del nostro piano. Al suo ritorno ci incamminando verso la fortezza del nostro bersaglio, l’indomani, quelle che avessero intenzione di entrare fra le guardie dell’uomo che dovevamo eliminare avrebbero avuto la possibilità di provare. Ci separammo all’ingresso del villaggio dove si trovava la sua dimora, da li in avanti sarei stata sola.

C’era tutto il villaggio ad assistere e quando quella che sembrava essere il capo delle guardie chiese se qualcuna volesse sfidarle per il posto si alzarono solo due mani, la mia e quella di una donna robusta, vestita con indumenti di pelle, da cacciatore, molto muscolosa e con una lunga cicatrice su una guancia. Le guardie attive sorteggiarono chi ci avrebbe affrontate, alla mia compagna toccò una tipa esile, alta al massimo un metro e sessanta, sempre sorridente, sembrava una bambina sciocca. Il loro combattimento durò pochi secondi. La mia compagna attaccò come una furia colpendo solo l’aria, la sua avversaria schivava ogni colpo come le leggesse nella mente poi, come un fulmine, le si avvicinò tanto da arrivare a sfiorare il suo viso, con una gomitata le ruppe il naso e prima ancora che il sangue ne uscisse, con un colpo di palmo verso l’alto le fece penetrare i frammenti del naso rotto nel cervello lasciandola esanime a terra, il sorriso non l’aveva mai abbandonata, un brivido freddo mi corse lungo la schiena.
A me toccò proprio il capo delle guardie, dopo un avvio reso incerto dal mio nervosismo presi il ritmo e cominciò un rapido scambio di colpi e parate che sembrava mi avrebbe eletta vincitrice ma il tempo che scorreva sembrava sfinire più me che la mia avversaria, per quanto mi impegnai i miei movimenti rallentarono e, alla fine, un violento calcio al ventre mi centrò togliendomi il fiato, lei mi fu subito dietro ad avvinghiare il mio collo con un braccio e mentre l’aria veniva a mancarmi la sentii dire:
‘mi hai fatto sudare lurida troia, io che faccio fatica con una qualunque come te, mi hai fatto fare una figuraccia ma non ti ucciderò, vedrai, ti divertirai nelle prigioni e magari, un giorno, ci rivedremo’.
Avevo perso e il buio mi avvolse.

Quando mi ripresi ero in un ambiente umido, buio, illuminato da qualche torcia qui e la, vidi le guardie che mi avevano condotta li risalire per delle scale di legno che i breve vennero issate verso l’alto. Mi resi presto conto di essere stata imprigionata in una gogna con mani e testa, completamente nuda, piegata a novanta gradi in mezzo ad una grande sala deserta.
Appena le guardie furono sparite, dai vari corridoi che convergevano nell’ambiente, spuntarono decine di persone curiose di vedere la nuova arrivata, vi era qualche donna malmessa che immancabilmente veniva trascinata per i capelli da un uomo, quando mi videro li indifesa una luce animalesca sembrò accendersi nei loro sguardi mentre si avvicinavano, famelici, alla nuova preda. Mi avevano circondata quando si sentì una voce imperiosa, lo vidi spuntare sopra le teste mezzo metro più alto del più alto dei presenti, era un vero gigante e gli altri detenuti si allontanarono come polli impauriti. Mi guardò sorridendo beffardo, il viso butterato coperto da una folta barba ispida, mi girò attorno osservandomi con passo lento, si posizionò alle mie spalle, mi prese per le caviglie e mi alzò verso l’alto, piegandomi la schiena all’indietro fino quasi a spezzarla e aprendomi le cosce al massimo, sentii la sua barba a contatto con il mio sesso mentre cominciava a leccarmi oscenamente, lappava in contemporanea le mia fica e il mio culo con la grossa lingua ruvida sbavando come un cane, bevendo avidamente i miei umori, divaricando le grandi labbra con irruenza ed entrandomi dentro come avesse un cazzo che gli usciva dalla bocca. La barba mi graffiava le cosce, il sesso, il clitoride mentre subivo tutto nell’assoluto silenzio. Mi lasciò facendomi cadere in malo modo, mi si piazzò davanti e si tolse i logori pantaloni facendo uscire un cazzo proporzionato alla sua mole, sembrava un toro e puzzava come un toro, dovevano essere anni che era segregato li e in quel tempo non aveva sentito certo la necessità di lavarsi. Mi puntò il grosso uccello sulla bocca che tenevo serrata più che potevo, vide il mio tentativo di sottrarsi e rise sguaiatamente, avvicinò il suo volto al mio e con una voce che sembrava provenire da una profonda caverna, mentre un alito fetido mi inondava, lo sentii dire:
‘bellezza, tu sei un regalo inaspettato quanto raro, io ho tutto il tempo del mondo e stai tranquilla che ti farò tutto quello che mi va’
Mentre diceva quelle parole le sue mani, girando intorno alla gogna, mi afferravano i seni, le dita erano tanto lunghe che riusciva a cingere appieno ogni mammella, iniziò a stringere sempre più, mi sembrava di avere le tette in due morse di ferro, le dita enormi che vi penetravano dentro impietose, a un certo punto fui sicura che mi sarebbero scoppiate ma lui stava ancora trattenendo la sua forza titanica, diede una brusca stretta aumentando la pressione ad un livello che mi sembrava impossibile, non ce la feci ed inizia ad urlare disperata piegandomi alla sua forza ma la cosa non sembrava interessargli, continuò ad aumentare ancora la forza mentre mi sbattevo sconvolta, le enormi dita stavano per toccarsi dentro le mie tette, la pelle tesa oltre ogni limite e mentre mi infliggeva quell’incredibile dolore mi chiese:
‘adesso puoi chiedermi di infilartelo in bocca su vuoi che ti lasci’
‘infilamelo in bocca, ti prego infilamelo in bocca, basta, ti supplico’
‘non ho capito, cosa vuoi in bocca ? cosa vuoi che faccia ?’
‘il cazzo, infilami il cazzo in bocca, ti prego, scopami la bocca con il tuo cazzo, ti prego, sto impazzendo, fammi succhiare il tuo cazzo’
Finalmente mi lasciò ponendomi il grosso pene davanti alle labbra, lo afferrai al volo piegata dal dolore, lo leccai incurante dell’odore, del sapore, succhia, lappai e spalancai la bocca al massimo per farmi penetrare. Mi inserì la cappella lasciando che la lavorassi di lingua mentre, sovrastando la gogna stessa, mi carezzava la schiena, le chiappe e tornava a palparmi le tette che mi facevano un male assurdo al solo sfiorarle. Sentii entrambe le manone afferrarmi le chiappe ed aprirle poi appoggiò il dito medio sopra il mio buchino iniziando a penetrarlo, aveva un dito grosso quanto il pene di un uomo comune, mi entrò dentro, privo di lubrificazione contando solo sulla forza e incurante della resistenza della mia carne, lo infilò fino in fondo facendomi sentire completamente sodomizzata mentre mi davo da fare sulla sua cappella che mi divaricava la bocca e poi lo estrasse di botto. Continuò quest’operazione fino a che non fu in grado di entrarmi in culo di botto senza ostacoli ed una volta soddisfatto del suo operato, senza la minima attenzione ai miei mugugni disperati mi forzò dentro anche l’altro dito divaricandomi l’orifizio anale al massimo, si arpionò al mio intestino con le dita e lo usò come appiglio per iniziare a spingere più a fondo il cazzo. Non aveva voglia di aspettare che la mia gola si abituasse all’ingombro e per convincermi a farlo passare, con la mano libera, ricominciava a stringermi una tetta o a schiaffeggiarla. Il dolore era tanto forte che trovai il modo di farmi impalare la gola in pochi affondi. Soddisfatto del risultato mi lasciò libero il culo, mi afferrò per i capelli e iniziò una violenta scopata delle mie labbra, ad ogni affondo il mio viso sbatteva sul suo corpo, il naso mi faceva male, gli occhi mi lacrimavano mentre quel gigante trapanava la mia gola indifferente alle mie sofferenze. Per fortuna non ci volle molto e lo sentii scaricare il suo seme direttamente nel mio stomaco per poi liberarmi dalla sua presenza:
‘non temere, non ho finito con te’
Lo vidi andare alle mie spalle per iniziare a sculacciarmi, i colpi avvolgevano tutta la natica propagandosi alla schiena, continuò per un’infinità di colpi e dopo un po’, il dolere che si sommava al dolore divenne insopportabile e mi trovai a piangere disperata chiedendo pietà ad un uomo che sembrava non udirmi neanche. Si fermò solo quando il suo uccello ritornò duro, lo sentii che lo sbatteva sul mio sesso per saggiarne la rigidità e poi mi affondò nella fica d’un colpo, il dolore fu atroce ma fu subito superato quando lo estrasse di botto per piantarlo nel mio culo che sentii strapparsi. Iniziò a scoparmi affondando prima in un buco e poi nell’altro alternativamente, urlai come una pazza tanto che alla fine non avevo più voce e potevo permettermi solo di piangere mentre mi stuprava. Essendo appena venuto continuò a divaricarmi entrambe i canali per un tempo che mi rese disperata saltellando da uno all’altro con affondi violenti ma poi la fine arrivò e si riversò nella mia fica bruciante. Mi venne davanti e si pulì l’uccello nei miei capelli e andandosene lo sentii dire:
‘è tutta vostra ma non ammazzatela o io ammazzo voi, ne voglio ancora”
Dalla botola nel soffitto da cui ero entrata filtrava la luce, vidi arrivare la notte e poi il giorno e di nuovo la notte, per tre giorni le centinai di anime rinchiuse in quelle catacombe mi fecero visita ininterrottamente. Per tre giorni mi trovai a succhiare cazzi putridi sbattutimi in bocca con foga, ad avere sborra come unico cibo, la mia fica e il mio culo furono trapanati senza sosta da chiunque ne avesse voglia, mi vennero nel culo tante di quelle volte che sentivo lo stomaco gonfio della sborra che sprizzava fuori ogni volta che un cazzo mi lasciava per essere poi tappata dal cazzo successivo. La fica colava fiotti bianchi come una fontana tanto era piena e le tette doloranti per la tortura subita non trovarono pace da mani che palpavano con forza, lingue che leccavano e denti che mordevano. Mi penetrarono fica e culo con i pugni chiusi, verso la fine, un tipo mi si pose dietro e iniziò a lavorarmi la fica fino a che non riuscì ad infilarvi entrambe le mani facendomi disperare solo per poi iniziare la stessa operazione con il culo, ci impiegò una vita ma alla fine riuscì ad infilarmele entrambe dentro spingendo poi per allargare ancora più il buco che sentivo ormai una grotta. Alla fine del terzo giorno la novità passò di moda ed ebbi un attimo di riposo, distrutta e disperata.

Vidi una donna avvicinarsi come un miraggio, mi offrì dell’acqua che bevvi avidamente e che mi dette sollievo alla gola riarsa, stava per andarsene quando trovai il fiato per parlare:
‘ti prego, aspetta, ti prego, prima che mi ammazzino, dentro questa prigione c’è un uomo che un tempo era una spada d’argento, fu sbattuto qui quando uccise tutta la sua squadra e il nobile che li aveva assoldati perché gli aveva ordinato di vendergli sua figlia. Ti scongiuro, portagli un messaggio, digli che so dov’è sua figlia’
La donna si allontanò in silenzio.

Qualche ora dopo, semi svenuta, mi resi conto che il gigante che aveva abusato di me per primo stava tornando festoso per il secondo round, ero sicura che sarei morta questa volta ma poi si bloccò guardando un punto dietro di me, restò fermo qualche istante e poi se ne andò. Sentii il legno della gogna scricchiolare e poi rompersi, qualcuno mi prese in braccio mentre perdevo i sensi.

Quando riaprii gli occhi ero vicina ad un fuoco, per terra del cibo e dell’acqua, mi guardai intorno e nascosto nella penombra vidi un uomo:
‘mangia e bevi, so che hai chiesto di me, ti ascolterò’
Mi sazia, troppa era la fame, lui non si mosse di un millimetro ed attese che parlassi:
‘tu eri una spada d’argento ?’
‘si’
‘mi manda Askal, ha trovato tua figlia e ha trovato i tuoi genitori, se mi aiuterai ha detto che la porterà da loro e che si assicurerà che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno, come unica garanzia ho la sua parola ma ha detto che ti sarebbe bastata’
‘cosa vuole’
‘è riuscito a rintracciare i progetti originali di questo edificio ed è venuto a sapere che da qualche parte in queste prigioni c’è un meccanismo che sblocca l’ingresso di un passaggio segreto che conduce dalle mura esterne direttamente alla stanza fortificata al piano più alto, sai di cosa sto parlando ?, puoi azionare quel meccanismo ?’
‘vi è una stanza chiusa a chiave nella zona nord, nessuno dei bifolchi chiusi qui è in grado di aprirla ma per me non dovrebbe essere un problema, è tutto quello che mi chiede Askal ?’
‘si, lo farai ?’
In lontananza si sentirono delle urla che annunciavano l’arrivo delle guardie’
‘lo farò’
L’uomo sparì nell’ombra mentre apparivano le guardie, il capo, quella che mi aveva battuto mi si parò davanti:
‘oh, che paura mi hai fatto prendere, credevo ti avessero ammazzata, ti sei divertita qui sotto ? beh, ora vieni con noi, voglio divertirmi anche io con te”
Mi venne calato un cappuccio sulla testa e mi sentii trascinare via di peso.

Quando mi levarono il cappuccio ero in una grande e sfarzosa stanza, con me quella che era stata la mia avversaria e due sue compagne, al centro della stanza una grossa colonna contenente una scala a chiocciola che terminava in una pesante porta di metallo, l’ingresso alla stanza del mio bersaglio:
‘ti ho portata qui perché c’è un giochino nuovo che vorrei provare e tu mi sembri la candidata adatta’
In mano aveva una specie di fallo largo quanto un braccio, era in legno filettato, come una vite e terminava con un anello, subito mi presero per le braccia in due e mi piegarono su un tavolo, lei si avvicinò al mio culo mentre lubrificava l’attrezzo, infilò la punta con decisione nel mio buchetto che cedette mal volentieri e poi iniziò ad avvitarlo. Sentivo il grosso filetto percorrermi l’ano sempre più all’interno, sembrava un coltello che mi tagliava la carne, dovette fare più di dieci giri completi per arrivare ad inserirlo tutto ma, alla fine, mi tappò. Mi alzarono in piedi, stavo a gambe divaricate per fare posto all’intruso ma non avevo emesso un fiato. All’anello appesero un grosso peso di metallo, almeno 5 kg e mi sembrò che mi volessero strappare l’intestino poi si armarono tutte e tre di fruste e cominciarono a colpirmi facendomi saltellare in giro per la stanza, il peso che sballottava qua e la lanciava promesse di estirpare quell’oggetto insieme al mio culo, il dolore era lancinante ma non avevo modo di sottrarmi, caddi più volte ma fui costretta dalle verghe a rimettermi in piedi per continuare quel sadico gioco, andarono avanti ad oltranza fino a che non rimasi a terre inerme a subire le loro frustate, solo allora si stancarono, staccando il peso senza stapparmi il culo.
Non vi fu riposo, mi presero in due dai lati, mi sbatterono sul tavolo e mentre dai due lati mi bloccavano braccia e gambe divaricate, il loro capo si avvicinò a me con uno strumento metallico a forma di pera con una vite in fondo, la vidi mentre inseriva nella mia fica quello strumento dalla parte più grossa, non fu facile visto l’enorme vite che avevo ancora in culo ma insistendo abbastanza ebbe la meglio sul mio buco che lo ospitò, continuavo, strenuamente a non urlare ma quando iniziò a girare la vita impazzii, sentii quel coso allargarsi a dismisura dentro di me, si stava aprendo in tre petali che sentivo chiaramente, uno spingeva spietatamente contro il fallo che avevo in culo schiacciando la sottile membrana fra i due orifizi mentre gli altri due spingevano verso l’esterno divaricandomi tanto che potevo vedere il ventre gonfiarsi. Fra i sorrisi soddisfatti delle mie aguzzine inizia a disperarmi chiedendo pietà inutilmente. Lo strumento venne fatto allargare fino al suo massimo mentre venivo tenuta immobile e li lasciato per procedere ad un’altra tortura. La donna che avevo affrontato in combattimento si presentò con uno strumento composto da due assi di legno spesso, parallele e tenute assieme da due viti ai lati, le assi furono allontanate al loro massimo per potervi introdurre i miei seni già doloranti, vidi il mio boia mentre azionava le viti contemporaneamente costringendo i due legni ad avvicinarsi fra loro stringendo i miei seni, al dolore che già provavo si unì questa nuova tortura che venne protratta fino a che stringere ulteriormente le viti non fu possibile, le morbide carni erano compresse all’inverosimile, i capezzoli sembravano doversi staccare e così fui lasciata. Le tre donne si spogliarono e si distesero su un grosso letto su un angolo, sentii la loro voce a malapena per quanto era coperta dai miei lamenti disperati:
‘se vuoi essere liberata devi venire dai noi, dovrai usare la tua lingua e solo quella per farci venire e quando avrai finito con tutte e tre allora potrai liberarti’
Rotolai giù dal tavolo cadendo carponi e provocandomi dolori ancora più forti, trascinarmi a loro fu indescrivibile ma tanta era la necessità di sottrarmi a quella devastazione che la disperazione mi fece da guida. Arrancai, appoggia la bocca sul primo sesso spalancato e mugolando la mia sofferenza fra le sue labbra inizia a lappare meglio che potevo, per mia fortuna il suono della sofferenza che provavo aveva eccitato quelle tre a dismisura e riuscii a farne venire due in poco più di un quarto d’ora che a me sembrarono quindici vite, il capo però mi fece soffrire fino all’ultimo, appena iniziai a lapparla mi afferrò i capezzoli con le dita, il dolore che mi dava al seno compresso era stordente e ogni volta che mi avvicinavo a farla venire lei cominciava a sbatacchiarmi i capezzoli in modo animale spezzando il ritmo e riuscendo a rimandare l’orgasmo. Dovetti bere un’enorme quantità dei suoi umori resi copiasi dal lamento per il mio corpo straziato. Dopo quasi un’ora nella quale la stanza fu riempita dai miei continui lamenti di disperazione lasciò che la facessi venire, mi diede un calcio buttandomi all’indietro e se ne restò ad osservare mentre mi liberavo di tutti gli strumenti di supplizio sul mi corpo.
Mi tremavano le mani e liberare tette e fica fu difficile e lungo, mi infliggevo altro dolore da sola ma alla fine ce la fece, il problema fu con il culo, non avevo più forze e non riuscivo a far girare la vite per estrarla, la sadica donna rimase a guardarmi per almeno un’altra ora mentre urlando, con piccoli movimenti, facevo di nuovo strusciare il filetto della vite sulla carne del mio culo martoriato.
Alla fine fui libera e mi trascinai verso la porta d’ingresso a cui mi appoggiai per trovare la posizione seduta e smettere finalmente di urlare.
Il silenzio riempì la stanza rendendoci sensibili ai rumori più leggeri, dal piano superiore provenivano chiari segni di lotta. Il capo delle guardie si alzò di scatto stupita, guardò verso la porta blindata qualche secondo e poi guardò me che mi ero issata in piedi con la disperazione e avevo sprangato la porta:
‘ti ho fregata troia, mentre tu ti divertivi a torturarmi il tuo padrone andava in contro alla morte’
Cominciò a gridare l’allarme mentre si lanciava furiosa verso di me per aprire la porta, la vedevo muoversi come a rallentatore, non avevo più un briciolo di energie ma non per questo ero vinta. Partì un pugno verso il mio volto, ruotai appena i piedi per spostare la testa e lasciare che il pugno si abbattesse sulla pesante porta, sentii le ossa scricchiolare, afferrai il polso tenendole teso il braccio e mi gettai di peso sul gomito che si spezzo di schianto facendo piegare il braccio in modo innaturale, grida dalla sua bocca, avrei voluto ascoltarle per una vita, grida a ripagare le mie ma non potevo godere di quella gioia, stavo per accasciarmi, afferrai la sua testa e sfruttando il mio peso la girai di scatto, scrock, il collo si era rotto, era finita e desideravo farlo dal primo combattimento ma avevo bisogno di essere imprigionata. Avevo tolto una vita e mi era piaciuto.
Mi trascinai alla scala a chiocciola per sedermi sul primo scalino, dopo pochi minuti la porta si aprì, Askal scese, mi coprì con il mantello, mi prese in braccio incosciente e ce ne andammo per il passaggio da cui era entrato lui.

CONTINUA’

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Impiegammo quasi un’ora per giungere all’uscita del passaggio segreto dove Askal aveva lasciato il suo cavallo ad attenderci, purtroppo, l’animale aveva attirato l’attenzione di alcune guardie di ronda per l’allarme e che proprio ora si stavano dirigendo nella nostra direzione, mi lanciò sul destriero e salì al volo spronandolo al galoppo, le guardie cominciarono a scoccare frecce e una ci venne così vicina da graffiare la pelle del braccio del guerriero ma in breve le distanziammo e sparimmo nella foresta.
Dopo un paio d’ore di fuga, quando ci sentivamo ormai al sicuro, mentre procedevamo al trotto verso la via principale, Askal cominciò a sentirsi male e mi passò le redini che presi stupita.
‘Teresa, la freccia doveva essere avvelenata e visto che mi ha sfiorato appena e già sto così male doveva essere un veleno mortale, arriva alla strada principale e percorrila verso nord, per quando il sole sarà calato dovresti raggiungere un vecchio ponte e subito oltre quello dovresti trovare una torre di guardi, all’interno vi è un vecchio, di lui puoi fidarti e se per allora sarò ancora vivo forse potrà salvarmi’
Dette queste parole svenne, ero terrorizzata ma lo posizionai per traverso sul cavallo e seguii le sue istruzioni il più velocemente possibile, non potevo perderlo, doveva vivere.

Il sole stava ancora calando quando ci fermammo davanti alla porta di ingresso della torre, ne uscì un vecchio che visto Askal si affretto a prenderlo fra le braccia con una forza incredibile per un uomo della sua età, lo portò in casa senza degnarmi di uno sguardo e iniziò a dargli degli intrugli e a curargli la ferita al braccio che era già visibilmente infetta.

Il guerriero restò fra la vita e la morte per oltre una settimana ma poi la febbre iniziò a calare e in breve riaprì gli occhi, purtroppo il veleno aveva avuto tempo di agire e non era in grado di muovere il corpo dal collo in giù ma Agravaine, questo era il nome del vecchio, era certo che con il tempo si sarebbe ristabilito.
Agravaine era stato il grande maestro dei veleni per l’organizzazione delle spade d’argento ed era stato l’insegnante di Askal, conosceva i veleni come nessun altro e le sue parole mi diedero speranza.
Nei tre mesi che occorsero perché lui si ristabilisse completamente io aiutai in tutti i modi possibili cercando di non essere di peso e alla fine entrai nelle simpatie del vecchio maestro che mi diede anche qualche rudimento su erbe medicinali e tossiche.
In fine fummo di nuovo in grado di riprendere la nostra missione e dopo esserci accomiatati del vecchio uomo riprendemmo il nostro viaggio, dieci giorni ci separavano dalla prossima vittima e dopo di lui, finalmente, saremmo tornati nel luogo in cui fui prigioniera e li avrei scoperto la verità.

La terza notte di marcia però fummo accerchiati da un gruppo di venti arcieri con le frecce pronte da scoccare puntate su di noi, non avemmo possibilità di difenderci ed in breve ci legarono, imbavagliarono e ci buttarono in un carro.
Quando ci liberarono eravamo in una sala in pietra, davanti a noi, su un trono, un grosso uomo in armatura, il viso segnato da mille battaglie, la spada di Askal nella sue mani e quattro uomini ai suoi fianchi, ci guardava con aria divertita e poi parlò:
‘tu sei la spada d’argento che hanno mandato a prendere la mia testa, invece di attenderti rintanato da qualche parte ho preferito mandare spie dagli altri bersagli della tua missione, ti ho lasciato fare, stavi comunque eliminando la concorrenza ma quando ti sei diretto dalla mia parte, beh, ho creduto giusto intervenire, preparatelo’
In pochi istanti vidi i quattro attendenti afferrare Askal, imbavagliarlo e metterlo seduto su una sedia di legno, mentre tre lo tenevano immobilizzato il quarto lo inchiodò con le mani ai grossi braccioli con chiodi di spesso ferro, il guerriero non emise un fiato ma si trovò immobilizzato sulla pesante sedia.
‘ora ci divertiremo con la tua compagna, vedrai, ti regaleremo uno spettacolo interessante e quando lei, finalmente, tirerà le cuoia, ti staccherò la testa dal collo con la tua stessa spada e questa noiosa storia avrà fine, preparate lei’
Ero gelata dalla situazione in cui ci trovavamo, vedere Askal in quella condizione mi aveva sconvolta, questa volta non sarebbe venuto in mio soccorso, vidi i quattro uomini avvicinarsi, mi strapparono gli abiti di dosso e io non fui capace di muovere un dito, mi trascinarono di peso e mi costrinsero a sdraiarmi con il busto su un basso tavolino, ero piegata a novanta gradi, le ginocchia che toccavano terra e la testa che sporgeva da davanti, restai inorridita quando capii cosa volessero farmi, iniziai ad urlare prima ancora che loro iniziassero ad inchiodarmi, vidi i lunghi, spessi, chiodi di ferro attraversare i miei seni martellata dopo martellata, li sentii uscire della carne lesa per infilarsi saldamente nel legno e mentre lacrime amare entravano nella mia bocca spalancata per le grida mi trovai fissata al tavolo, incapace di fare alcun movimento e travolta da atroci dolori solo per il leggero alzarsi ed abbassarsi del mio petto dovuto al respirare.
Mi lasciarono li, Askal, inchiodato, seduto dietro di me, l’artefice di tutto quello seduco comodo davanti a me, un sorriso maligno sul suo volto si allargava sempre più:
‘ora mia cara voglio rassicurarti su una cosa, nei io, ne nessuno dei miei uomini farà nulla che possa portarti alla morte questa sera, no, no, non devi temerci ma devi temere loro’
Il capo tolse una coperta da sopra una gabbia, all’interno due grossi ratti, più simili a gatti che a topi per le dimensioni, si agitavano famelici imbizzarriti per la luce improvvisa, restai a guardarli disorientati non riuscendo a capire cosa centrassero con il mio destino:
‘questa notte i miei uomini lavoreranno su di te in modo tale che ci sia possibile inserirti queste creature uno nella fica e uno nel culo, tapperemo poi i tuoi buchi e staremo comodi a guardare mentre ti scavano dentro curiosi di sapere da quale parte del tuo corpo usciranno cercando la libertà ma per questo c’è tempo, forza, iniziamo i preparativi’
Ero talmente inorridita da essere rimasta senza parole tanto che, il primo uomo che si avvicinò a me con l’uccello in mano, mi entrò nella bocca spalancata per lo stupore senza la minima resistenza da parte mia.
In breve un secondo soldato si accomodò nel mio culo senza tanti preamboli, ero ormai abituata a certi trattamenti ma la foga con cui mi violentavano faceva sobbalzare il mio corpo così che i chiodi nelle mie tette potessero mandarmi dolori assordanti. L’idea di come sarei stata uccisa mi aveva annichilito e le quattro guardie poterono fare un primo giro di sborrate sul mio corpo senza che mi opponessi minimamente, capace solo di urlare, piangere e lasciarmi scopare nei modi che volevano.
Ai primi due infilati nella bocca e nel culo si aggiunsero gli altri due che mi misero i cazzi nelle mani, non trovando collaborazione nella sega richiesta iniziarono a colpirmi con delle sottili canne di bambù sulle piante dei piedi, il dolore era forte e inteso, mi faceva sobbalzare ad ogni sferzata e mi trovavo a dare dei grandi strattoni alle tette inchiodate, in breve mi convinsi a collaborare e comincia a segarli.
Non vennero in fretta, non appena uno dei quattro stava per raggiungere l’orgasmo chiedeva il cambio, giravano attorno a me in modo circolare, ogni cambio uno scatto così che avessi sempre un uccello in bocca, uno per mano e dietro, al caso, o in fica o in culo.
L’allegra giostra continuò per un bel pezzo mentre la disperazione per il dolore alle tette che non stavano mai ferme alimentate dai quattro cazzi che mi scavavano dava puro godimento ai miei torturatori ma poi il capo diede ordine di procedere e in breve due mi riempirono bocca e culo, liberati i miei buchi gli altri due si accomodarono a farmi bere un’altra dose della loro sborra mentre una razione veniva riversata anche nella mia fica.
Ci fu un attimo di pausa, il padrone di casa non staccava mai gli occhi dai miei, due uomini mi fecero ruotare di novanta gradi in modo che dessi il fianco a colui che da mia vittima si era tramutato in mio carnefice e lo sentii parlare:
‘ora inizia la preparazione dei tuoi canali per ospitare le mie bestiole, ti spiego come funzionerà, abbiamo preparato per te uno strumento, è una specie di grosso pallone ovale di pelle, ermetico e collegato ad una pompa che terrò io. L’oggetto, sgonfio, sarà inserito prima nella tua fica, io inizierò a pomparci aria dentro in modo da farlo gonfiare al tuo interno per dilatarti. Ti assicuro che si può gonfiare fino ad ucciderti e tu potresti avere la tentazione di lasciare che accada per sfuggire ai miei cuccioli ma sono certo che, ad un certo punto, il dolore sarà talmente forte che cambierai idea e, comunque, queste sono scelte tue, io smetterò solo quando avrai fatto venire con la tua bocca due dei miei uomini che staranno immobili davanti a te, dovrai fare tutto da sola e considerando che sono appena venuti ci vorrà un po’. Finito con i primi due passeremo al culo e agli altri due’
Vidi il primo cazzo davanti alle mie labbra e lo accolsi, era vero, preferivo morire squarciata da un pallone che mi si gonfia dentro che scavata da ratti schifosi, mentre sentivo la pelle dello strumento che iniziava ad essere spinta nella mia fica partii con un lento pompino cercando almeno di non straziarmi le tette. Ci volle un bel po’ perché tutto il pallone mi fosse inserito, doveva essere veramente grosso ma arrivò il momento in cui il capo iniziò a pompare aria spingendo con un piede su una specie di fisarmonica. Continuavo a lavorare di lingua il cazzo che avevo fra le labbra ma con poca convinzione mentre sentivo la pelle all’interno del mio sesso farsi spazio mentre da accartocciata si distendeva facendo spazio all’aria. Ad ogni pompata mi sentivo più gonfia, la pelle della mia fica, per quanto abituata ad ingombri notevoli, stava cominciando a tendersi mentre attendevo il momento di abbracciare la morte sfuggendo a quelle luride creature affamate. Il fastidio si trasformò presto in dolore, sentivo il buco della mia passera tirare forte, parte del pallone cilindrico era all’esterno e gonfiandosi dilatava l’apertura, all’interno era anche peggio, mi sentivo il bacino come se dovesse esplodere e lacrime iniziarono a solcarmi il viso per scorrere sulle labbra che ospitavano il pene della guardia che avevo davanti. Aveva di nuovo ragione, il dolore si fece insopportabile, mi sembrava di avere delle lame affilate nella fica a straziare le carni, l’imboccatura del mio sesso era talmente tesa che bruciava come le avessero dato fuoco e mi sembrava di sentire la carne strapparsi, sputai fuori il cazzo che spompinavo per urlare il mio dolore mentre la pompa continuava a spingere aria dentro di me, come risposta una delle guardie mi afferrò il ventre gonfio e iniziò stringere amplificando i miei dolore, la disperazione mi invase il cervello e, come un automa, afferrai le chiappe dell’uomo che avevo davanti facendogli affondare il pene turgido nella mia bocca, gli afferrai l’asta segandolo selvaggiamente mentre succhiavo e leccavo disperata alla ricerca del suo sperma, non ci volle molto perché mi accontentasse ma quel mostruoso strumenti continuava ad allargarsi strappandomi le viscere, la seconda guardia mi raggiunse con calma godendo dei miei strilli disperati, si tolse i pantaloni mentre cercavo di averlo per far finire quella tortura, mi sembrò volerci una vita per riuscire ad assaggiare la sua asta violacea e gonfia. Il dolore al ventre era così lancinante che non sentivo più niente alle tette e comincia a mungerlo come se fossa la cosa che più desiderassi al mondo. Vidi il piede abbassarsi sulla pompa altre sette volte mentre donavo a quel cazzo ogni parte della mia gola, della mia lingua, delle mie labbra, per sette volte mi sentii morire mentre la mia fica assumeva dimensioni inumane ma poi la sborra mi venne donata, la succhia avidamente cercando di farla finire il più in fretta possibile. Rimase affondato in me finché l’uccello non smise di vibrare completamente e poi uscì, la pompa si fermò e ad un cenno del loro padrone, due uomini cominciarono a tirare con tutte le forze per estrarre il pallone gonfio e teso da dentro la mia fica, lo sentii strisciare fuori da me dimenandomi convulsamente, mi sembrò che strappasse via la mi fica e poi, con un rumore assurdo, fui liberata. Comincia a singhiozzare per il sollievo incredula di essere sopravvissuta:
‘la fica è pronta signore’
‘bene, cominciate subito con il culo ma badate di mantenere la dilatazione della fica’
Non vi fu pausa, prima che mi venisse offerto un nuovo membro da ingoiare una delle guardie si appoggiò sulla mia schiena comprimendo le mie abbondanti tette, i chiodi che le infilzavano ricominciarono a mandare un forte dolore pulsante, guaivo al ritmo del mio cuore, l’uomo infilò, con prepotenza, due dita di ogni mano nel mio buco del culo cominciando a tirare per dilatarlo, al contempo, altri due si posero dietro di me, uno fece entrare la sua robusta mano nella fica slabbrata senza sforzo per poi farla ruotare in modo da mantenere il buco bene aperto, l’altro, approfittando delle quattro dita che mi allargavano, iniziò a spingere dentro il cilindro gonfiabile che era stato accartocciato in modo tale da poter essere ospitato dal mio sfintere. L’operazione fu lunga anche se le dita nel mio ano tiravano con tutta la forza per allargarmi, il pallone, seppur vuoto e accartocciato ero grosso e per farmelo entrare nel culo la guardia dovette impegnarsi molto, per tutta l’operazione venni scopata in fica dalla mano dell’atro uomo che sembrava godere enormemente nell’infilarla fino al polso più e più volte, ero talmente dilatata che mi entrava tranquillamente tanto che alla fine decise di usare anche l’altra mano, con i palmi rivolti all’esterno in modo da poter spingere sulle pareti della mia fica per mantenerle ben dilatata. Piangevo sommessamente mentre i preparativi per il proseguire di quella tortura venivano portati avanti.
Il tempo aveva smesso di scorrere per me che riuscivo solo a lamentarmi disperata, quando un cazzo mi si presentò davanti alla bocca agii d’istinto accogliendolo fra le labbra per succhiarlo mentre lo segavo con la mano, vidi la pompa ricominciare a spingere l’aria e mi impegnai per far godere l’uomo nella mia gola prima che quel diabolico oggetto prendesse dimensioni enormi. Ricomincia a sentire la massa allargarsi nel mio culo meno spazioso del normale per colpa delle mani che mi invadevano la fica. Mi applicavo a spompinare quel cazzo al meglio delle mie capacità ma allo stesso tempo la pompa veniva azionata più rapidamente per come risposta al mio affellatio. Per primo sentii tendersi il buchetto del mio culo, i muscoli dello sfintere resistevano all’oggetto che aumentava la sua dimensione. Il dolore iniziò a crescere mentre la carne cedeva, violata a forza, ripresi ad urlare ad ogni pompata di più mentre mi rendevo conto di come dovevano essere ridotti i miei buchi. Il pallone dovette iniziare a farmi contorcere per il dolore allo stomaco che sembrava scoppiare prima che il cazzo che avevo in bocca mi riempisse di sborra per poi andarsene. La seconda guardia mi venne davanti con la mazza in tiro ma prima di farmela assaggiare fece un cenno agli uomini alle mie spalle. Sentii le mani nella mia fica girarsi fino ad afferrare il mostruoso fallo che avevo in culo, cominciarono a stringerlo in modo che la parte compressa si rimpicciolisse facendo allargare, di conseguenza, le parti liberi, quella che dilatava il mio forellino e quella maggiormente dentro il mio stomaco. Mi misi ad urlare disumanamente mentre sentivo il buco del culo spanarsi e lo stomaco esplodere. Il cazzo mi venne cacciato in gola di botto ammutolendomi e una furiosa scopata della mia gola ebbe inizio. Ogni volta che la mazza mi faceva gonfiare il collo penetrandolo una pompata d’aria mi arrivava nel culo. Continuarono a scavarmi e gonfiarmi talmente tanto che persi la ragione divenendo un semplice ammasso di carne pulsante di dolore. Sentii la sborra in bocca ma non so se la ingoiai o se uscì con i miei urli lancinanti. Quando il fallo gigante venne letteralmente strappato dal mio culo lo strazio fu tale che mi misi a tremare convulsamente strattonando le tette inchiodate.
Vennero fatte delle prove alle mie spalle dai soldati e il risultato fu che riuscii ad ospitare contemporaneamente quattro mani nel culo e tre nella fica. Non parlavo neanche più per chiedere pietà ma rantolavo e basta.
‘è ora di concludere il nostro gioco, portate Askal qui vicino a me, voglia che si goda lo spettacolo e poi infilatele i ratti nei buchi e tappateli, voglio proprio vedere dove si scaveranno la via d’uscita’
Non ero più in grado di muovermi, vidi le quattro guardie portare il guerriero in posizione alzandolo con la sedia a cui era appoggiato. Lui guardava a terra stravolto dalla rabbia mentre due uomini, infilati pesanti guanti di pelle, afferravano i due enormi topi e si dirigevano verso le mie spalle. Le mani di Askal stringevano i braccioli a cui i chiodi lo fissavano con tanta forza da far scricchiolare il legno.
Risate generali echeggiavano nell’aria mentre sentivo lo squittire dei ratti sempre più vicino, desideravo solo morire, la mascella della spada d’argento stretta tanto da rischiare di spaccarsi i denti, inizia a sentire le zampette anteriori delle bestiacce che mi graffiavano la fica e il culo e trovai la forza di gridare con disperazione che mi fosse concessa pietà, sentii un morso sulle grandi labbra della fica mentre il muso dell’animale veniva spinto a forza al mio interno e poi ci fu una specie di scoppio.
Il guerriero, con una forza inaudita, aveva stretto talmente tanto i braccioli da farli come esplodere in miriadi di schegge di legno lasciando tutti stupiti. Sfruttando i chiodi ancora conficcati nelle mani colpi ai lati la testa del padrone di casa perforando, profondamente, entrambe le tempie e lasciandolo morto all’istante. Mentre i topi venivano abbandonati e cadevano a terra in fuga lui recuperò la sua spada e con occhi fiammeggianti di rossa rabbia incominciò a menare fendenti verso i miei aguzzini colpendo cento e cento volte corpi ormai già morti. Quando si arrestò era coperto di sangue e dei cadaveri vi erano solo brandelli.
L’ultima cosa che ricordai fu lui che facendo leva con la spada iniziava ad estrarre i chiodi dalle mie tette, svenni’

CONTINUA’

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glorfindel@email.com
Ne uscimmo piuttosto malridotti, io soprattutto, profonde ferite erano impresse nei nostri corpi ma eravamo ancora vivi. Nel periodo di riposo che fummo costretti a donarci per guarire mi resi conto che erano trascorsi quasi due anni dal giorno del mio rapimento, due anni in cui il mio unico obbiettivo era stato quello di sopravvivere ad ogni costo per scoprire il perché mi fossi trovata condannata a quel destino. Eravamo giunti alla fine della nostra missione, solo un uomo era rimasto da eliminare ed era proprio l’uomo che mi aveva fatta rapire, l’uomo che conosceva le risposte alle mie domande. Per la prima volta mi sorpresi a chiedere che cosa avrei fatto dopo ma mi allontanai subito dal quel pensiero, il dopo non mi interessava, per andare avanti avevo prima bisogno di sapere tutta la verità.

Era l’alba quando ci incamminammo per il luogo in cui ero stata prigioniera, era l’alba quando l’ultimo viaggio di quell’avventura ebbe inizio ed era l’alba quando la dimora del nostro bersaglio apparve ai miei occhi. Ci avvicinammo di soppiatto come di consueto, non si vedeva nessuno, nessuna guardia, la porta di ingresso era spalancata e all’interno solo il buio, sembrava disabitato e il mio cuore perse un battito mentre mi veniva alla mente la possibilità che fosse fuggito, si fosse rintanato chissà dove portando con se le mie risposte poi qualcosa mi avvolse la bocca da dietro, un odore penetrante mi invase i polmoni mentre cercavo di respirare e, improvviso come la morte, il buio mi avvolse.

Ripresi i sensi, ero ancora stordita, lo sguardo sfuocato, ero su un letto di legno, mura di pietra intorno a me, due torce ad illuminare la stanza che ricordavo come fosse quella in cui ero cresciuta, ero nella mia cella, sul letto di legno, non potei fare a meno di chiedermi che fine avesse fatto il cucchiaio con cui mi ero scavata la via di fuga.
‘ben svegliata Teresa, siamo finalmente giunti alla fine del nostro viaggio ma ho creduto giusto farti un dono prima che tutto si compia, ti darò ciò che cerchi da così tanto tempo, ti darò le risposte se vorrai ascoltarmi ma ti prego di non interrompermi fino alla fine’
Askal era seduto su uno sgabello vicino a me, sue erano state le parole e mi avevano lasciato senza fiato, mi sedetti sul letto pronta ad ascoltare.
‘quasi venti anni fa due erano le famiglie che dominavano questa regione, una era la famiglia che mi diede i natali, l’altra era la famiglia che generò te. Ebbene si, quelli che tu chiami genitori non erano i tuoi genitori, ti hanno allevata ma non ti hanno concepita, sei stata affidata a loro da un cavaliere fedele a tuo padre perché potessi salvarti dalla faida fra le nostre famiglie. Non mi è stato facile trovare quel cavaliere ormai anziano ed è stato ancora più complicato fargli confessare dove ti trovasti ma con i giusti metodi’
Comunque, non ho intenzione di tediarti con le cronache di quella guerra, ti basti sapere che alla fine entrambe le famiglie si distrussero a vicenda, sterminandosi fra loro e portandosi nella tomba anche la loro progenie, ci salvammo solo tu ed io. Eri troppo piccola per avere ricordi ma io, anche se ero solo un bambino, vidi la mia famiglia sterminata, mia madre violentata e poi squartata, mio padre decapitato, la mia sorellina, poco più che un infante, con il cranio spaccato. Mi salvai solo perché mio padre mi nascose in una botola da cui potei vedere tutto e fece vestire un ragazzo della sua corte come me, mi credettero morto.
Fu un’infanzia difficile la mia, non potevo rivelare chi ero e mi fu difficile trovare anche il solo cibo per nutrirmi ma resistetti e, arrivato all’età adatta, riuscii ad entrare nelle reclute delle spade d’argento ed il resto è storia. Come assassino ho guadagnato bene e sono riuscito a farmi una posizione divenendo uno dei quattro signori di questo regno. Un giorno però, venne una donna a chiedere la grazia per suo marito che avevo fatto imprigionare, mi disse di conoscere un segreto importante ed, incuriosito, la ascoltai. Faceva parte delle serve di tuo padre e mi disse di aver visto un cavaliere portarti via da un passaggio segreto prima che la tua famiglia venisse sterminata.
Puoi immaginare il mio stupore nell’apprendere che uno dei responsabili per diritto di sangue del massacro della mia famiglia era ancora viva, il mio unico obbiettivo divenne quello di trovarti e farti pagare i peccati della tuo nome e così fu, dal giorno che ti ho rintracciata ho pilotato la tua vita in modo che scontassi i tuoi peccati.
Questo spiega perché nessuno si accorse che avevi sottratto un cucchiaio, spesso, nelle notti che passavi a scavarti la via di fuga, io ero nella cella accanto ad ascoltarti. Io ho richiamato le guardi dalla porta d’ingresso per facilitare la tua fuga, io ho assoldato i briganti che hai trovato nella foresta e li ho fatti attendere li con il loro fuoco sempre acceso per attirarti come una falena, io ho assoldato, sotto falso nome, le spade d’argento perché sterminassero quegli stessi briganti e le ho fatte muovere allo momento giusto. Mi è sfuggita un po’ la cosa di mano quando quell’idiota del mio compagno ha deciso di abusare di te, sapevo che ti avrebbe ammazzata ma era ancora troppo presto, non avevi sofferto abbastanza però è stato piacevole fare finta di essere svenuto mentre tu venivi fustigata a sangue. Da li poi mi hai aiutato molto tu decidendo di seguirmi nello sterminio dei miei rivali in affari e ho trovato giusto che mi aiutassi a recuperare le terre di mio padre visto che era colpa della tua famiglia se erano andate perdute ma ora’ beh ora siamo alla fine, ti ho vista soffrire in modo indicibile ed ero tentato di lasciare che i topi ti divorassero le interiora ma mi sarei privato del piacere di svelarti la verità e di prendere poi, finalmente, la tua vita per, infine, regnare sulle terre di mio padre come è giusto che sia.
Vuoi dire qualche parola prima di accomiatarci per sempre ?’
I miei occhi erano incollati a quelli di lui mentre mi spiegava le sue ragioni, non potei fare a meno di sorridere leggermente mentre finiva di parlare, alla fine vi era un motivo se ero stata trattata in quel modo anche se era un motivo che avevo ereditato da una famiglia che non rammentavo neanche aver avuto.
‘ora capisco tutto, è giusto che i figli paghino per le azioni dei loro padri, vorrei ringraziarti per avermi permesso di sapere la verità e visto che dici che ho patito abbastanza dolore vorrei chiederti solo due cose prima che tu pretenda la mia vita.
La prima è di uccidermi senza sofferenza, non ne posso veramente più del dolore e se tu sei sazio della pena che ho scontato spero di poter avere almeno questa grazia.
La seconda è un ultimo bacio dall’unico uomo che abbia amato in vita mia, non temere, non tenterò nulla, sono conscia del fatto che con te non avrei speranze.
Puoi concedermi queste cose ?’
I nostri sguardi si legarono per un lungo istante mentre riuscivo finalmente a capire cos’era quella luce che vedevo sempre nei suoi occhi, era follia, la follia di un bambino che ha visto un orrore da cui non si è mai ripreso, la follia di un uomo con sentimenti contrastanti, disordinati e che lo rendevano instabile, era la follia di un pazzo.

‘sono felice, direi che sono fiero della mia allieva, il fatto che ti prenda le responsabilità del tuo sangue ti fa onore quindi si, accoglierò i tuoi desideri’
Lo vidi alzarsi, avvicinarsi a me, chinarsi in avanti ed accolsi, per l’ultima volta, le sue labbra con le mie, la sua lingua con la mia in un morbido, avvolgente, passionale bacio.
Si staccò dopo un lungo istante e tornò sullo sgabello con un ghigno soddisfatto sulla bocca.
‘è stato bello Teresa, un bacio intenso dallo strano sapore, forse sarà il sapore della morte’
‘si Askal, è il sapore della morte ma non quella che dona la tua spada ma quella che dona il veleno’
Il suo sguardo si fece confuso, stupito, si toccava le labbra incredulo e poi capì, saltò in piedi per gettarsi su di me ma il corpo lo tradì e cadde a terra, gli occhi piantati nei miei mentre la capacità di muovere il corpo gli veniva rubata dal veleno, mi stesi anche io sul letto in modo da poterlo vedere.
‘ho capito che eri tu dalla prima volta che ti ho incontrato, non ne sono mai stata sicura al 100 % ma giorno dopo giorno ne ho avuto quasi la certezza. Ho riconosciuto il tuo odore la prima volta che mi hai preso in braccio salvandomi dai briganti, avevo imparato ad apprezzare quell’odore nelle volte che mi portavano da te durante la prigionia. Ho poi riconosciuto il sapore del tuo sesso, del tuo sperma che più volte mi avevi fatto assaggiare mentre ero bendata nelle tue stanze per poi offrirmene nuove, ripetute, dosi nei giorni del nostro amore, mi sono insospettita quando ho notato che arrivavi a salvarmi sempre un attimo prima che perdessi la vita ma mai in tempo per privarmi del supplizio ed ho riconosciuto lo stemma che mi hai fatto marchiare a fuoco sulla spalla, lo stemma della tua famiglia, lo stesso che è fregiato sulla tua spada, no, non quella con cui ti ho visto sempre io ma quella che ha impresso il marchio sul fodero che porti sulla schiena. Hai pensato bene di cambiare spada ma non ti sei reso conto che i lunghi anni in cui il fodero ha ospitata quella originale hanno fatto si che il tuo emblema restasse sulla pelle e io l’ho notato in molte delle volte in cui ero alle tue spalle mentre combattevi.
Non sapevo i motivi ma sapevo che eri tu quindi ho usato gli insegnamenti del maestro Agravaine, mi sono impegnata molto nel capire i veleni e alla fine ne ho creato uno che blocca il corpo lasciando libera la mente per qualche minuto, sapevo che sarebbe giunto questo momento quindi ho fatto creare un piccolissimo contenitore di sottile pelle in cui ho sigillato il veleno con cera mista a resina. L’ho sempre tenuto in bocca da quando siamo partiti per questo luogo e mi è bastato morderlo con i denti un istante prima che ci baciassimo per far si che il veleno ne fuoriuscisse e colpisse entrambe.
Voglio usare questi ultimi istanti di vita che ci restano per dirti che sei un folle, come puoi accusare una bambina con pochi anni di crimini commessi dai suoi genitori, i peccati dei padri ricadono sui figli ??? io neanche lo ricordo quel padre di cui parli e anche se fosse vero mi pare che le due famiglia si siano sterminate a vicenda quindi ho colpe nei tuoi confronti tanto quante ne hai tu nei miei.
La verità è che siamo stati tutti e due vittime della follia dei nostri padri solo che io ho avuto la fortuna di non ricordarlo mentre tu non ti sei mai ripreso quindi ti perdono Askal, ti perdono per quello che mi hai fatto e ti perdono per quello che le nostre famiglie ci hanno fatto. Ci sono rimasti solo pochi secondi di vita e non ho intenzione di sprecarli per l’odio’
Un sorriso sincero aveva rubato il posto all’espressione di odio con cui mi aveva guardato da quando gli avevo detto del veleno, forse aveva capito ma non lo avrei mai saputo. Vidi i suoi respiri farsi sempre più lenti, il veleno di mia invenzione era uno strumento misericordioso, fra le sue braccia ci si abbandonava alla morte come addormentandosi. Vidi i suoi occhi chiudersi, osservai il suo bel volto, sereno e rilassato per la prima volta da quando lo conoscevo e poi mi abbandonai anch’io all’oblio.

Ci volle tempo perché il veleno sviluppasse tutto il suo effetto, prima bloccava il corpo, poi spegneva la mente e infine rallentava il cuore fino a fermarlo donando la morte al malcapitato.
Proprio mentre l’ultimo, debole, battito del cuore di Askal si spegneva nel suo petto lasciandolo esanime Teresa riaprì gli occhi, confusa e frastornata ma viva.

Mi guardai intorno ancora ospite di quell’odiata cella, non riuscivo ancora a muovermi ma era una questione di tempo, Askal era a terra, cinereo, la vita lo aveva abbandonato scrivendo la parola fine su quell’assurda vendetta vecchia di anni. Mentre attendevo di riavere il controllo sul mio corpo ripensai ai mesi della sua convalescenza in cui mi ero dedicata all’arte dei veleni. Avevo creato la sostanza che lo aveva ucciso in attesa di questo giorno e subito dopo avevo cominciato a prenderne piccolissime dosi ogni giorno per far si che il corpo si abituasse. Non ero certa che mi sarei salvata ma speravo di aver sviluppato un’immunità tale da risparmiarmi la morte.
Quando fui in grado di muovermi mi avvicinai a lui, mi sincerai, con le lacrime agli occhi, che fosse spirato definitivamente e poi, triste ma indomita me ne andai verso una nuova vita di cui non sapevo ancora nulla.

QUATTRO ANNI DOPO

Le aride zone del sud, pochi erano gli impavidi che le percorrevano sfidando il caldo afoso, solo quelli costretti dal dover raggiungere il mare ad ogni costo.
In una radura, poco distante dalla strada principale, un carro assalito da un gruppo di predoni, una ragazza acerba, bionda, capelli lunghi e mossi, un fisico asciutto incoronato da seni piccoli e impetuosi, fianchi stretti e un sederino minuto, rotondo e sodo. Attorno a lei i briganti in cerchio a sghignazzare per la saporita preda, poco più in la i genitori legati a croce per terra, indifesi al cocente sole, robuste corde li fissavano a paletti di legno piantati in profondità nel terreno, un sottile laccio di pelle bagnato sul collo di ogn’uno, legato stretto, al limite del soffocamento, stracci nelle loro bocche e un bavaglio ad impedirgli di sputarli.
‘tesorino, ora ci divertiamo’
‘non toccatemi, per favore, vi scongiuro, lasciateci andare, non vi abbiamo fatto nulla di male, vi prego, io’ io’ sono vergine, vi prego, graziateci’
‘oh tesoro, vergine lo sarai ancora per poco te lo assicuro, non c’è nulla che tu possa fare ma se sarai carina, invece di prenderti con la forza per poi lasciarvi qui tutti e tre cadaveri, saremo magnanimi, se ubbidirai ai nostri osceni ordini e farai tutto le cose perverse che ti chiederemo, una volta finito, sarai libera e potrai salvare i tuoi cari genitori ma devi essere veloce, il sole asciugherà lentamente i lacci di pelle al loro collo e asciugandosi, quelli, si ritireranno strangolandoli gradualmente ma non temere, ci vorranno molte ore, se ti impegni riuscirai a soddisfarci tutti ma dovrai essere molto depravata.
SPOGLIATI TESORO!’
Il rantolo dei genitori che già faticavano a trovare aria vinse la paura e la giovane donna, piangente, cominciò a denudarsi incitata dalle urla dei, bramosi, briganti.
Si dice che per un uomo, storicamente abituato a lottare sia più umiliante essere spogliato, vincendo così la sua forza fisica, dello spogliarsi di sua spontanea volontà ma per una donna, storicamente abituata ad essere preda, ad essere forzata, il vedersi strappare i vestiti con forza sia un’umiliazione molto minore di quella di doversi denudare da solo vincendo la sua volontà invece del suo corpo.
In breve si trovò completamente nuda, le braccia magre a coprire i seni e il pube, gli uomini attorno a lei, fissandola, si tolsero i vestiti e cazzi di tutte le forme, rigidi ed eretti, trasudanti smegma dovuto a scarsa igiene, apparvero numerosi, uno su tutti, quello del capo, aveva dimensioni enormi, lungo, nodoso e turgido, largo quasi come un suo polso.
Le si avvicinarono in gruppo, terrorizzata si sentì spingere in ginocchio mentre amare lacrime raggiungevano le sue labbra, con prepotenza, glandi sudici le vennero forzati in bocca ed, ormai vinta, li ospitò come meglio poté, alcuni, troppo eccitati per resistere, si accontentarono di segarsi fra le sue labbra facendole conoscere il sapore salato dello loro sperma, altri pretesero che gli lustrasse i cazzi a colpi di lingua costringendola ad ingerire tutto lo sporco che li ricopriva, c’era chi cercava di introdurre il pene nella sua gola, di farglielo ospitare per intero provocandole conati di vomito che non le lasciavano neanche il tempo rigurgitare, continuavano a stantuffarle la gola mentre, involontariamente, si trovava a dove sputare quello che tornava su dal suo stomaco. Mani le percorrevano il corpo in ogni dove, le piccole tette palpate, schiaffeggiate e strette tanto da farla urlare, bocche avide a succhiare e mordere i capezzoli ormai turgidi mentre il capo si accontentava di starle acquattato dietro carezzandole, con una mano, il sesso che sentiva sempre più caldo.
Lo sentiva incitare i suoi ragazzi ad aumentare le attenzioni dicendo che le si stava bagnando la fica, cosa involontaria quanto involuta ma vera, si sentiva umida in mezzo alle cosce stupendosi che quel trattamento la stesse facendo eccitare. Le sue dita iniziarono a scavarla dentro fino a sentire l’imene opporre resistenza, continuò con calma prima con un dito e poi con due ad invadere il suo sesso fino ad allora inviolato facendo sempre attenzione a non intaccare la sua verginità. La disperazione la stava attanagliando, frignava a dirotto mentre i suoi mugoli venivano soffocati dall’interminabile serie di cazzi che le venivano cacciati in gola a forza, uno la afferrò forte per i capelli usandoli poi per strattonare la sua testa con un ritmo indiavolato in modo che il cazzo nella sua bocca sbattesse ripetutamente sul fondo della sua gola facendola soffocare. Le venne in pieno viso aggiungendo sperma al mare che già la ricopriva e poi le ordinò di leccare quello che stava colando. Non obbiettava a nessun ordine ormai completamente sottomessa leccava e ingurgitava il misto di sperma di vari uomini che le colava sulla lingua.
La pioggia di bocchini che volevano costringerla a fare era incessante e la bocca le doleva terribilmente, sentiva i suoi genitori lamentarsi mentre assistevano allo stupro di gruppo della figlia, si sentì prendere per gli stretti fianchi dal capo, sollevarsi seguita dai cazzi che doveva ingoiare, lo vide stendersi a terra fra le sue gambe, il volto dietro di le e, in fine, lo sentì tirare per farla abbassare verso il suo enorme cazzo che già puntava verso il sesso inviolato. Poté solo ubbidire mentre la folla incitava il capo a sverginarla, sentì la grossa cappella guidata dalla mano dell’uomo appoggiarsi all’imboccatura della sua fica, entrarvi quel tanto che bastava per rimanervi incastrata facendo tendere le carni del vergine buchino fino a farle bruciare, le sue mani che tornavano ad afferrarle i fianchi mentre cazzi putridi si alternavano nella sua bocca ormai insensibile, le lacrime scendevano sul suo viso mentre il corpo veniva costretto a scendere verso quello dell’uomo sotto di lei. La grossa asta di carne bollente si fece strada nello stretto canale dilatandolo dolorosamente lungo la strada. La fica mai penetrata mal accettava le dimensioni del poderoso cazzo ma la forza dell’uomo era sufficiente a costringere il suo sesso a farsi penetrare, vincendo, straziando, le morbide carni. Sentì l’imene a contatto della violacea cappella che non rallentò neanche, lo forzo fino a strapparlo e trapassarlo mentre una nuova sborrata approfittava del suo urlo per l’essere stata sverginata e le finiva dritta nello stomaco facendola tossire. L’uomo continuò la sua penetrazione fino ad infilare il bastone tutto nella povera fichetta dilatata e tesa. Si ritrovò seduta su di lui, completamente impalata, il pianto mescolato alla sperma sulla sua faccia, la fica in fiamme, le mani dell’uomo che la costringevano a muovere i fianchi per stimolare il cazzo dentro di lei. Continuò a farle sfregare il culo sul suo addome in senso circolare mentre uno dei suo uomini si era intestardito nel volerle entrare tutto in gola ad ogni costo, spinse e spinse tanto che temette la soffocasse ma invece sentì il collo gonfiarsi per far spazio alla cappella che lo aveva invaso e si trovò con il naso ben piantato nei puzzolenti peli pubici dell’uomo che le riversò nello stomaco un’altra razione di sborra. Il capo le prese le braccia, le tirò dietro la schiena e poi, con le enormi mani afferrò, contemporaneamente, i polsi e i fianchi, alzandola un po’, fino a far uscire quasi completamente il cazzo dalla sua fica spalancata. Iniziò dei violenti colpi di reni con cui la penetrava di colpo e fino alla radice, gli altri allontanarono i cazzi dalla sua bocca spanata per paura di essere morsi per i sobbalzi del suo corpo, finalmente libera gli urli di disperazione riempirono l’aria mentre veniva trapanata selvaggiamente, le piccole tette che sobbalzavano per i colpi di reni attirarono le attenzioni di uno degli uomini che osservavano, preso un frustino da cavallo e iniziò a colpirla sulle piccole mammelle e il gioco riscosse molto successo, in breve erano in quattro a frustare le sue tettine mentre il capo continuava quell’implacabile scopata. Urlò e urlò mentre la disperazione si mischiava al dolore per lunghi, interminabili, minuti poi sentì un affondo ancora più violento degli altri, le mani del capo che stringevano dolorosamente i polsi e i fianchi trascinandola giù, a sedere, ancora, sul suo bacino, lui che spingeva come un ossesso per far arrivare l’enorme cazzo il più in profondità possibile e poi seppe quello che si prova quando un uomo riversa il suo seme nel tuo utero.
Tutto si fermò per qualche secondo poi il capo la stappo dal suo cazzo e la getto con la schiena aperta, le gambe divaricate a mostrare la piccola, bionda, fichetta dilatata a dismisura, un piccolo rivolo di sangue ne usciva. Il capo andò a riposare un po’ mentre un’incessante orda di uomini cominciò a scoparla uno dopo l’altro, cazzo dopo cazzo, la quantità di sperma che le venne riversata dentro era tale che il sangue della sverginazione sparì, ore di scopate ininterrotte furono riversate sulla povera ragazza ormai quasi incosciente e quando l’ultimo ebbe finito, quando tutta l’orda fu sazia del suo corpo, fiotti di sperma le uscivano dalla fica rigonfia tanto era quello che le era stato spruzzato dentro.
Il capo le si avvicinò gettandole acqua fredda addosso per farla riprendere:
‘sei stata brava tesoro, abbiamo ancora un ultimo gioco da fare e poi sarai libera, ora farai vedere al tuo babbo come sei diventata brava a fare i pompini, gli succhierai il cazzo e mentre lo farai io mi prenderò anche il tuo culo, se sarai brava sarete tutti salvi ma se mi farai perdere tempo vi ammazzo tutti e tre all’istante’
La afferrò, piangente, per i capelli trascinando il corpo nudo accanto a quello del padre, non aveva la forza di guardarlo negli occhi ed era ormai vinta dai quei bruti, avrebbe eseguito tutto.
Cominciò a slacciare i pantaloni del sofferente padre e ne estrasse il sesso flaccido mentre vedeva il capo spargere abbondanti dosi di lubrificante sull’enorme cazzo versandone anche sulle sue chiappe. Prese il sesso moscio del padre in bocca cominciando a succhiarlo mentre un uomo le tirava una gamba verso l’alto divaricandola oscenamente e esponendo i suoi due buchi. Mentre succhiava sentiva il sesso farsi più ingombrante fra le sue labbra ma fu distratta dalla cappella del capo che già cercava il suo stretto ano. La rosellina rosa scuro venne violata senza precauzioni, l’abbondante lubrificazione unita alla forza dell’uomo fecero si che l’asta mostruoso sprofondasse nell’ano della ragazza implacabile, vi scivolò dentro centimetro dopo centimetro senza rallentare un attimo, straziando i muscoli del suo sfintere tesi a dismisura e facendo urlare lei come una pazza per il dolore. Quelle piccole chiappe quasi stonavano con il grosso cazzo conficcato in mezzo, il buchetto, divaricato a dismisura sembrava dovesse strapparsi dividendo in il culo.
Una volta inculata fino alla radice le fu intimato di ricominciare a succhiare il cazzo del padre mentre il cazzo le veniva estratto completamente dal culo. L’ano, mostruosamente slabbrato, sembrava un cratere su un culetto così piccolo. Cominciò così una spietata sodomizzazione, il capo le entrava dentro totalmente per pochi secondi e poi riusciva per liberare il forellino che restava incredibilmente dilatato, non entrava di colpo ma comunque velocemente. Il cazzo del padre ormai teso nella sua bocca a soffocare il suo dolore. Decine e decine di affondi totali furono necessari perché lui si appagasse, ad ogni affondo dello sperma veniva schizzato fuori dalla sua vagina, ad ogni affondo le sue grida facevano vibrare il cazzo paterno nella sua gola e poi tutto finì, sperma nel suo culo, sperma nella sua bocca ad annichilire ogni forma di orgoglio e volontà.
Il capo si tolse da lei stappandole il culo ormai ridotto ad una caverna, lo sfintere non riusciva più a richiudersi completamente, la strattonò per i capelli ed ordinò:
‘forza, qualcuno ammazzi questi tre, prediamo il carro e andiamocene’
Un’ascia era già pronta a calarsi sul primo collo quando una pugnale trafisse la gola dell’uomo che la brandiva facendolo cade all’indietro morto.
Tutti si girarono verso la direzione da cui era arrivato il pugnale, una figura piccola, coperta da un mantello bianco, cappuccio in testa e un’enorme spada in mano era apparsa nel campo.
Chi nudo, chi mezzo vestito, tutti si mossero verso le armi ma ne spade, ne asce ne frecce riuscirono a colpire la sfuggente, rapida figura. L’enorme spada tranciava di netto parti di corpi di briganti ad ogni fendente ed in pochi minuti il campo fu cosparso di decine di cadaveri.
Quando tutto finì anche il capo era a terra morto, la lama del guerriero attraversava la sua testa piantandosi nel terreno, la figura si avvicinò ai prigionieri e ne recise le corde che li imprigionavano e quelle alle gole poi recuperò la speda e fece per andarsene.
‘ aspetta, chi sei, come possiamo ringraziarti di averci salvato la vita’
‘il mio nome è Teresa, Teresa l’indomita, allieva di Askal la spada fulminea e ultima allieva del grande maestro Agravaine il velenoso, sono una spada d’argento, sono un killer, non mi dovete ringraziare, io non vi ho salvato la vita è solo che questo gruppo di briganti era sulla mia lista’
Detto questo tornò silenziosa sulla sua strada.

FINE

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