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Racconti di Dominazione

The Libertine

By 17 Novembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Consentitemi di essere esplicito sin dall’inizio. Non credo che vi piacerò. I signori proveranno invidia e le signore disgusto. Non vi piacerò affatto! Non vi piacerò ora e vi piacerò ancor meno in seguito. Signore, un avvertimento: io sono pronto a tutto! In ogni momento! Che sia merito o demerito, questo ora è difficile da dire. Tuttavia, è certo che sono un libertino! Continuerò a spassarmela, a provare ardenti passioni. Non doletevene, vi arrecherebbe afflizione! Traete le conclusioni stando alla distanza a cui vi terreste se stessi per mettere la lingua sotto le vostre sottane. Signori, non disperate. Sono pronto a tutto, si! Lo stesso avvertimento vale anche per voi! Placate le vostre squallide erezioni! Perché quando avrete un amplesso vedrò di cosa sarete capaci. Allora saprò se sarete venuti “meno” alle mie aspettative. Vi auguro di fottere, immaginando che la vostra amante segreta vi stia osservando di nascosto. Di provare le stesse sensazioni che io ho provato, e che provo. E chiedervi: era questo lo stesso brivido che sentiva lui? Avrà conosciuto, qualcosa di piu intenso? O c’è un muro di disgrazia contro il quale tutti battiamo la testa in quel fulgido, eterno momento? Questo è tutto. Questo è il mio prologo. Nessuna rima. Nessun decoro. Non era quello che vi aspettavate spero! Sono John Wilmot. Il secondo Conte di Rochester. E non ho alcuna, intenzione, di piacervi!’ (Stephen Jeffreys, The Libertine)

Siamo in cammino da ore ormai, la carrozza percorre strette stradine di campagna, senza aver ancora incontrato anima viva. Ne un contadino, ne un cacciatore. Tutto intorno è silenzioso, sento soltanto il rumore del pesante legno delle ruote.. crepitii al contatto con i sassolini del viottolo.
Mio marito, il conte di Rochester, siede di fronte a me, assorto nella lettura di uno dei suoi libri. Ogni tanto volge lo sguardo verso di me, con un beffardo sorriso disegnato sulle labbra. Ho più volte provato a domandargli dove stessimo andando, ed il perchè di tanta riservatezza, ma non ho ottenuto risposta.
“Mio caro, sono sfinita. Vi prego ditemi verso dove siamo diretti”
“Tutto a suo tempo, mia cara, mi ringrazierete quando saremo arrivati”
Si sposta accanto a me, poggia un braccio intorno le mie spalle, nude. Mi bacia sulla fronte.
“Vi ricordate la nostra prima notte di nozze?” domanda.
“Come potrei dimenticarla? Avevo 15 anni, non avevo mai conosciuto un uomo prima di allora. E non avrei mai pensato di conoscerlo in quel modo, nel VOSTRO modo.”
Avvicina il suo viso al mio, mi alza la gonna, e con essa la lunga sottoveste, insinuandosi al di sotto di essa. Sento le sue mani salire, lungo le mie gambe, e poi sulle le cosce. Sento il calore farsi più intenso, non appena le spesse calze terminano, lasciando la pelle nuda in balia di quelle ruvide ed eccitanti mani.
Quindi si avvicina al pube, carezzando il solco lungo le grandi labbra, procedendo sul perineo e quindi sullo striato sfintere.
Il suo viso è accostato al mio, sento il suo respiro nella mia bocca, semiaperta.
I suoi occhi mi guardano, imponendomi di reggere il suo sguardo, mentre prosegue quella piacevole tortura, poco più in basso.
“Raccontatela” mi ordina, mentre con le dita comincia a farsi strada nella carne bagnata e rovente.
Eseguo gli ordini, con voce tremante per l’eccitazione.

“Vi aspettavo sul letto, indossavo una sottile sottoveste di seta. I capelli erano sciolti, fluenti, neri, resi ancora più scuri per il contrasto con le bianchissime lenzuola. Sentì bussare, il cuore mi saltò in gola. Ero timida ed innocente. Entraste e chiudeste la porta a chiave, reggendo due bende tra le mani e vi avvicinaste al letto. Io non riuscivo a guardarvi, tanto era l’imbarazzo. Quasi infastidito, vi lamentaste “Le vostre dame di compagnia non vi hanno educata, intuisco”, sbottonaste velocemente i pantaloni, lasciandoli scivolare per terra, permettendo al vostro membro di levarsi, imponente. Voltai lo sguardo terrorizzata, mi faceva paura. Non mi avevano istruita ai miei doveri coniugali, per assurdo pudore. Non sapevo neanche come fosse fatto il pene maschile, e me ne spaventai, notandone le dimensioni. Non immaginavo come quell’enome verga potesse entrare attraverso la strettissima insenatura di una giovane vergine. Vi calmaste, mi tranquillizzaste con parole dolci e mi prendeste la mano, insegnandomi come stringerla intorno al vostro cazzo, mentre i miei occhi erano ancora rivolti altrove. Sentì la carne calda e pulsante tra le mie dita, mossi lentamente la mano, scoprendone la fattezza ed il calore che esso emanava. “Vi insegnerò io.. addomesticandovi a fare tutto, anche ciò che neanche immaginate”, rideste beffardo.
Allora avvertì uno strano ed insolito calore irradiarsi dal mio ventre e sentivo, a poco a poco, la paura lasciare il posto alla voglia di toccarlo, tastarne la consistenza, esplorarne ogni centimetro. E cominciai a giocarci, stringendolo, e proseguendo con un lento movimento.. su e giù lungo quella possente mazza, ignara dell’ ignobile trattamento che mi avreste riservato pochi attimi dopo”.

Rido.
Nel frattempo mio marito continua a giocare, massaggiando il clitoride, tormentandolo con le dita, sentendolo divenire sempre più turgido grazie all’opera delle sue mani.
“Continua..” mi dice.

“Poi mi diceste di voltarmi. Io obbedì, da brava moglie. Quindi mi bendaste, con una di quelle sottili strisce di stoffa che tenevate tra le mani. Ripetendo il lavoro con i polsi, legandoli con cura allo schienale di ferro. Ero terrorizzata, ma mi fidavo di voi, come mi fido oggi. Immaginavo, sbagliando, che non mi avreste mai fatto del male. Mi carezzavate il viso, i capelli, ripetendomi di non aver timore. Vi sentì spogliare, far cadere tutti i vestiti, e portarvi di nuovo sul letto. Mi sussurraste parole dolci, lasciando che la paura svanisse per un momento, prima di sentire qualcosa di gelido ed appuntito sul collo, scendere giù, sul petto. Ebbi un sussulto. Vi implorai di non farmi del male, ma non mi mossi. Così mi avevano insegnato, obbedire sempre al proprio marito. Quell’ oggetto gelido continuò a scendere verso il pube, ed ancora più giù, sulle le cosce, per poi risalire.
Quindi sentì la sottoveste tendersi, ed aprirsi, dalle gambe fino al petto, ove terminava. Unitamente al movimento di quella fredda lama, sentendola strisciare lungo il corpo, mentre tagliava il leggero tessuto.
Ero immobile, terrorizzata.
Adesso le vostre mani si spostavano sul mio corpo, ispezionandolo, in ogni suo anfratto. Mi tormentaste i seni, i capezzoli, scendendo in basso, sul monte di venere, e carezzare il mio fiore, dolcemente. Quindi cominciaste a baciarmi. Umidi baci su tutta la pelle. Sul viso, sul collo, sulla pancia, sulle cosce, sui piedini. E da li risaliste, con la lingua. La sentì calda ed umida lasciare strisce bagnate lungo la mia gamba, per poi dirigersi verso quell’inviolato anfratto. Sentì il vostro alito su di esso, prima che la lingua percorresse il solco delle grandi labbra, baciando il piccolo clitoride. Dopo qualche secondo cominciai a godere di quegli strani baci. La sentì diventare sempre più bagnata, e sentivo la vostra bocca lavorare con maggior passione, fin quando un fitto piacere non partì dal basso ventre, irradiandosi lungo tutto il corpo. Gemetti, per la prima volta. Quasi vergognandomi di quello che avevo provato. “Mi dispiace” vi dissi. “Dovreste dispiacervi del contrario, mia cara” mi rispondeste”

Mentre racconto continuo a fissare il conte, reggendo il suo sguardo con difficoltà, sentendomi prossima all’ orgasmo.
“Bravissima cara. Raccontate divinamente”
A quelle parole sento il suo dito affondare dentro di me, non incontrando attrito alcuno e portandomi in breve tempo all’apice del piacere.
Chiudo gli occhi lucidi, lasciandomi trasportare da quell’immensa goduria. Con una mano provo a bloccare il frenetico movimento di quelle dita, dentro di me, adesso divenuto quasi doloroso. Le contrazioni orgasmiche vanno affievolendosi gradatamente.
“Proseguite..” mi ordina.

“Continuaste a massaggiare il mio fiore ancora intatto con la lingua, bevendo il nettare che la vostra sapiente bocca aveva fatto sgorgare. Quindi vi avvicinaste, baciandomi. Provai a ritrarmi, mi schifava non poco quel gesto, ma la vostra mano mi bloccava il viso, impedendomi di voltarmi. Sentì l’odore della mia eccitazione, ed il suo sapore sulle vostre labbra, ma mai avrei immaginato che mi costringesse a ripetere quella malsana pratica anche su di voi. Vi avvicinaste, portando il membro in prossimità del mio viso. Sentì il suo odore, pungente, arrivare alle narici, e sentì sulla pelle il calore che esso emanava. “Fate il vostro dovere di moglie!” mi diceste. Obbedì, silenziosamente. Lo avvicinaste alla bocca, passandolo sulle labbra. Timidamente lo bacia, uscì la lingua, dando piccoli colpetti al glande.. ed in tutta sincerità pensavo fosse sufficiente. “Serrate le vostre labbra intorno ad esso” mi diceste. Poi quando vi accontentai, afferraste il capo, spingendolo verso di voi e lasciando che l’intero membro entrasse, quasi perforandomi la gola.
Tossì, cercai di divincolarmi, sentendomi prossima al vomito. ma la vostra presa non accennava ad allentarsi e le mie mani, bloccate, non potevano difendermi. Non volevo mordervi, avrebbe significato farvi del male, ma per quanto la mia educazione mi imponesse di accondiscendere ai vostri desideri, trovavo ripugnante ciò che stavate facendo. Provai a reclinare il capo, per farlo uscire un pò e manifestarvi il mio disappunto. Ma non vi riuscì.
“Fatelo! Obbedite, se non volete essere ripudiata!”. A queste parole mi si raggelò il sangue, mi imposi di sopportare quella immorale situazione. Quindi, cominciaste a muovervi dentro la mia bocca… dentro a fuori, prima lentamente, poi sempre più velocemente, fin quando, con un grugnito, infilzaste il vostro membro infondo alla gola e veniste. Sentì del liquido caldo inondarmi la bocca. Pensavo fosse piscio.. ed allora provai nuovamente a divincolarmi, ma con scarsi risultati.
Appena la vostra verga smise di pulsare, ed io riuscì ad ingoiare tutto quel liquido, usciste dalla mia bocca.
“Fateci l’abitudine, mia cara.. dovrete farlo ogni sera”.
A quelle parole scoppiai a piangere. Non immaginavo i miei doveri coniugali fossero tanto duri e ripugnanti. Tanto avrebbe valso farsi monaca, e rinchiudersi in convento.
Mi imponeste di smettere di piangere, se non volevo che soddisfaceste le vostre voglie con qualche puttana e chiedeste l’annullamento del matrimonio.”

Mio marito mi interrompe, sbottando in una grassa risata..
“Mia cara, come eravate impacciata.. e quante camicie ho sudato per trasformarvi nella puttana che siete adesso”, commenta, continuando a massaggiarmi la fighetta, mentre, da sopra i pantaloni, io mi dedico all’amata verga.
Slaccia i pantaloni, lasciando che essa svetti imponente. La prendo in mano, segandola sapientemente, come egli stesso mi ha insegnato.
“Proseguite, raccontate..”

“Ero ancora bendata, sentivo in bocca ancora il sapore dolciastro del vostro sperma. Più tardi seppi cosa fosse ciò che avevo appena ingoiato.
Vi supplicai di slegarmi, la tortura era durata a sufficienza per la prima volta. Ma non accettaste la mia richiesta.
“Pensate che mi basti una scopata con la bocca, moglie mia?” rideste crudelmente. Vi sentì trafficare con alcuni oggetti sul tavolino. Prendeste una candela, avvicinandola al mio viso, sentivo il calore sulla pelle, e vedevo fiocamente la sua luce, da dietro la benda. Non avevo idea del perchè mi stavate porgendo una candela accesa, finchè, spostandola di poco dal mio viso, non la inclinaste, lasciando che la cera rovente cadesse sui miei seni. Urlai dal dolore, ma mi tappaste la bocca con una mano.
“Mio signore, vi prego… abbiate pietà”. A queste parole non replicaste, ma andaste avanti.. inclinandola nuovamente, facendo dei piccoli cerchi di cera bollente sulla pancia, e più giù sul basso ventre. Fu li che vi soffermaste maggiormente, nonostante le mie grida di dolore e le suppliche, perchè vi fermaste.
Ma nulla era quel dolore, in confronto a ciò che avvenne appresso. Singhiozzavo, terrorizzata ed indolenzita, dannandomi di quale sadico porco mio marito fosse.”

“ahahah, lo so.. e mi piace sentirmelo dire… ripetetelo!” mi dice il Conte
“Siete un sadico porco.. uno schifoso sadico porco!” Rispondo guardandolo maliziosamente e stampando un umido bacio sul suo glande.
“Andate avanti..”

“Non contento del dolore che mi avevate già procurato, mi giraste di forza, mettendomi a pancia in giù. Prendeste un leggero frustino, e cominciaste a strofinarlo sulla mia liscia e bianca schiena. D’un tratto sferraste il primo colpo. Veloce, a bruciapelo. Urlai, di nuovo, domandandomi quanto a lungo potesse durare ancora quella inumana tortura. E di nuovo, un altro, e poi un altro ed un altro ancora, fin quando la mia schiena, rossa e terribilmente sensibile, non cominciò a diventare calda e sanguinante. In un gesto che mi parve privo di senso, cominciaste a baciarla, e versare su di essa del tiepido olio, lenendo il dolore, e pulendo le ferite.
La massaggiaste dolcemente, mentre con una mano spargevate dell’olio anche sulle strette natiche, insinuandovi dentro il solco, e sullo stretto sfintere. Spingevate il dito contro di esso, facendolo appena entrare. Proseguiste questo lavoro per qualche minuto, fin quando due dita non furono completamente dentro la stretta fessura.
Non immaginavo che dove in quel momento ci fossero le dita, pochi minuti dopo ci sarebbe stata la vostra Verga. La mia mente si rifiutava di concepire una simile immagine. Mi avevano insegnato fosse sodomia, un peccato mortale. Ed invece mio marito, l’uomo che avevo sposato, stava profanando un anfratto impenetrabile, violando, davanti a Dio, la purezza della propria moglie.
A nulla valsero le preghiere, le suppliche perchè non commettesse un simile peccato e non sporcasse la dignità della propria congiunta.
Mettendovi sopra di me, poggiaste il vostro possente membro sull’ancora vergine buchino, penetrandolo in un sol colpo.
Mai in vita mia avevo provato un dolore simile, non riuscì neanche a gridare, mi si mozzò il respiro e dalla mia bocca non uscì suono alcuno.
“E’ troppo stretto… mia cara. Da oggi in poi, ogni sera, dovrete concedermelo, perchè si abitui, allargandosi un pò” commentaste.
Io, dal mio canto non risposi, non riuscivo a respirare.. figurarsi a parlare. Sentivo le mie viscere infilzate da quell’asta di marmo, che entrava ed usciva velocemente e costantemente per procurarvi il massimo piacere. Mi afferraste i capelli, da dietro, e li tiraste, verso di voi.
“Sei una puttana! Solo una puttana” E’ questo che meriti!” mi dicevate, mentre piangevo sommessamente, attendendo il momento in cui tutto ciò terminasse. Ma perfettamente consapevole che si sarebbe ripetuto la sera dopo, ed il giorno dopo ancora, per il resto della mia vita. A poco a poco il ritmo dei vostri affondi e la profondità del vostro respiro aumentavano, fin quando non riversaste la stessa sborra calda nell’intestino, non più vergine, della vostra giovane moglie. Quindi vi alzaste, mi liberaste i polsi, toglieste la benda dagli occhi, ormai bagnata dalle lacrime, scoprendo due occhi rossi e gonfi per il prolungato pianto.
Come se nulla fosse accaduto, mi baciaste sulla fronte, vi sdraiaste accanto a me, e vi addormentaste.”

“E’ stata la scopata più bella della mia vita!” commenta mio marito.
“Mi duole ammetterlo mio caro, ma io ho avuto bisogno di un pò più di tempo per godere delle vostre maniere poco ortodosse”, rispondo, ridendo.
Lo bacio, profondamente, con l’intento di proseguire quel bacio anche sulla possente verga che adesso stringo tra le dita e dargli piacere con la bocca.
Ormai ho imparato, ho affinato la tecnica, il conte mia ha resa più brava e preparata di qualunque prostituta dei bassi fondi.
Ma egli non me ne da il tempo, mi abbassa la gonna, ricomponendola nelle eleganti pieghe e si riallaccia i pantaloni.
Lo guardo, con occhi perplessi. Mi sorride, lanciando un’occhiata fuori dalla carrozza
“Mia cara, siamo arrivati”
Stupita guardo all’esterno, il cocchiere ferma i cavalli.
Siamo davanti un diroccato castello, arroccato su una piccola montagna, in mezzo al bosco, al riparo da occhi ed orecchie indiscreti.
“Mio signore.. cos’è questo posto?”.
“E’ un bordello, mia cara” dice, baciandomi sulla fronte.
Lo guardo con occhi arrabbiati ed interrogativi.
“Non temete, non vi ho mai fatto seriamente del male, ne lascerò che nessuno lo faccia. Fidatevi”.
Scendiamo dalla carrozza, ed immediatamente questa riparte, allontanandosi, dalla stessa strada da cui eravamo venuti, dileguandosi in mezzo alla boscaglia………

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