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Racconti di Dominazione

Ti darò tutto ciò che ho se mi farai tutto ciò che vuoi

By 7 Marzo 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

DISCLAIMER

Questo racconto contiene scene forti.
Chiunque abbia letto la mia precedente pubblicazione ed adesso si approccia a questo sperando di trovare le stesse cose sappia che non ci sono esattamente le stesse cose.
Qua sono presenti tematiche, scene e descrizioni forti che potrebbero turbare il lettore. Se leggendo trovi una scena che ti disgusta non pensare che sia solo un caso, andando avanti ne troverai altre.
Se sei ancora interessato: buona lettura!


Mario era un uomo che andava per i cinquanta, divorziato da tempo e non interessato ad accalappiare qualche nuova preda con la sua bellezza. Infatti il capo era cosparso da radi riccioli bruni lunghi pochi centimetri, il volto abbrutito e gonfio, l’espressione laida e corrucciata, gli occhi sottili e severi, la barba incolta, non per scelta, quanto per disinteresse, il corpo massiccio, la pancia prominente; la voce grossa, vibrante ed arrochita da decenni di fumo. Gestiva un pub, un accogliente locale in legno – di quelli in cui la gente si sente a casa – diverse ragazze lavoravano per lui in quel posto, e lui si limitava a supervisionarle, e pareva più un cliente eminente che non il gestore.
Quel pomeriggio si stava preparando con le ragazze di turno all’apertura serale, ma Elena lo chiamò al cellulare e, dando una giustificazione di poco conto, dicendo d’esser stanca per via della precedente notte brava, chiese di saltare il turno. Per quanto Mario fosse un uomo rozzo, volgare e talvolta crudele stravedeva per Elena, e non volle dirle di no, pensando, e dicendole, che l’avrebbe fatta sostituire dalla cagna.

La cagna era una ragazza che lavorava al pub da circa sei mesi. Una ragazza bionda, appariscente, sicuramente non meno bella di Elena, ma di temperamento decisamente differente. Infatti l’altra ed il capo la chiamavano così tra loro, con complicità, perché la ragazza si era dimostrata particolarmente devota e servizievole nei confronti dell’uomo, gli sbavava dietro, metafoticamente, e, considerando quello che segretamente le succedeva tra le cosce, anche letteralmente.
La cagna era molto attratta da quell’uomo, dal suo essere così rozzo, impietoso. Lui mostrava di non aver bisogno di lei, e così facendo le faceva pensare di essere un uomo forte, sicuro di sé, che non si lascia condizionare da una donna, ed anzi, potrebbe guidarla. Pensava che un uomo del genere va conquistato, guadagnato, e lei sentiva sempre più il bisogno di divenire sua.
Mario si era avveduto dell’indole della cagna e si divertiva a sfruttarla, se la sarebbe fatta volentieri, certo, ma tirarla per le lunghe era più divertente. Era soddisfacente vederla fremere e strisciare nella speranza che lui le rivolgesse lo sguardo, ed anche quella sera decise di sfruttare l’ascendente che aveva sulla cagna.
‘Senti un po’: so che è la tua serata libera, ma devi venire a far sostituzione. Elena non può fare il turno, quindi vedi di muoverti che tra un po’ tocca aprire.’ con queste parole l’uomo salutò la cagna al cellulare.
Lei era uscita da poco dalla doccia, si stava preparando per una festa, il compleanno di un caro amico, un evento per lei importante ed a cui non aveva intenzione di rinunciare. ‘Ma è il mio giorno libero… devo andare ad un compleanno… ci tengo… – la voce indugiava fin dal principio, quella voce soffice, calda e da femmina – …cioè… Lo sai. Vengo sempre, anche a fare le sostituzioni, ma stasera…’
‘Stasera devi venire! – tagliò corto lui, e prima che lei aggiungesse altro continuò con voce più accomodante – Ok, facciamo così. Fai come preferisci, ma se non ti fai vedere entro tre quarti d’ora per me sei morta. Di troie capaci di spillare una birra è pieno il mondo.’ La voce era ferma, ma calma. Mario non alzava mai troppo la voce, questa era un’altra cosa che faceva breccia nella cagna, quella disinvoltura nell’imporsi.
‘Uhn… – biascicò lei allarmata da quelle parole, il compleanno era importante, ma quell’uomo ed il suo volere lo erano di più. Un sospiro. – Vengo subito… Ma solo perché me lo…’ non poté finire che lui aveva agganciato.

La cagna raggiunse il locale circa mezz’ora dopo, un tempo record. Si era convinta che non fosse un caso che Mario avesse chiamato proprio lei, magari iniziava a desiderarla… quella era la sua serata. Quindi si era tirata a lucido, più di quanto avrebbe fatto per il compleanno. Un paio di stivaletti neri con il tacco alto ai piedi, tanto da essere più alta di lui, autoreggenti di cotone bianco, una minigonna a sbuffi rosa e sopra la vita lasciata scoperta indossava il top bianco con il nome del pub, abbastanza scollato da mettere in mostra i suoi seni abbondanti. Le labbra truccate da un brillante gloss rosa, gli occhi azzurri messi in risalto dalla matita nera. I capelli erano lucidi ed unti, tirati stretti in un alta coda sulla nuca, che ricadeva tra le scapole come una corda.
‘Ti sei già vestita per andare a battere dopo la chiusura?’ le diede il benvenuto Mario che stava maldestramente scrivendo sulla lavagnetta all’entrata le offerte del giorno.
‘Io… – iniziò la cagna, ma non trovò il coraggio per dire che si era agghindata a quel modo per lui – Mi stavo preparando per la festa, come ti…’
‘Sì, ok, cazzi tuoi. Vai ad aiutare le altre visto che hai deciso di venire.’ l’uomo pronunciò quelle parole con assoluta noncuranza, come se fosse ovvio porre a quel modo la questione.
La cagna fremette, si diede un’occhiata attorno per fuggire dal suo sguardo, farfugliò qualcosa dal significato ignoto a lei stessa e sculettò rapida verso il bancone.

La serata procedeva noiosa, più di una volta la cagna pensò che probabilmente non era indispensabile la sua presenza lì, le altre avrebbero potuto far tutto da sole, ma ogni volta che Mario le passava accanto, dandole un pizzicotto sul culo – poco affettuoso e piuttosto doloroso – o in qualche modo le rivolgeva la parola, lei pensava che ne era valsa la pena, e che anzi, forse era davvero come pensava, forse Mario quella sera voleva che lei fosse lì.
Così la cagna diede del proprio meglio per risultare provocante, sguardi, parole, gesti; fece tutto il possibile, ed anche l’impossibile che una ragazza può fare per dare a vedere che ce n’è. Non che questo fosse necessario, lui lo sapeva da tempo. In ogni inflessione della voce di lei si poteva percepire la devozione, il desiderio, la disponibilità. Quella sera però si dimostrava ancora più disponibile del solito, del tutto succube. “La cagna è in calore” pensò l’uomo, e ne rise tra sé, per poi iniziare a riflettere sui possibili risvolti.

Una delle ragazze se n’era già andata almeno un’ora prima della chiusura, Mario le aveva dato il permesso di staccare in anticipo visto che non c’era molta gente. Erano rimaste solo la cagna ed un’altra, ed anche quest’ultima, appena il locale venne chiuso al pubblico, ricevette dal capo l’invito – subito accolto – a smontare dal lavoro.
Quando furono soli l’uomo si avvicinò alle spalle della cagna che stava pulendo un tavolo con uno straccio, e con un gesto che vale più di mille parole le posò una mano sul culo per prendere a palparle una natica, con strette decise, forti e prolungate. La cagna fremette, tremò per l’eccitazione ed il suo volto si illuminò, gli occhi le si fecero lucidi per la gioia, per la commozione. Lui si avvide di quella reazione.
‘Hai voglia di cazzo, eh? Zoccola.’ le chiese con voce rauca, seguita da una sorda risatina subito strozzata da catarrosi colpi di tosse.
Sentirsi parlare a quel modo da lui la eccitava, ma ancor più la rendeva felice, si sentiva guardare come una femmina, come una creatura degna di considerazione sessuale, era già qualcosa. ‘Ho voglia del tuo cazzo.’ ci tenne a puntualizzare con voce che vibrava d’amore.
L’uomo rise togliendo la mano, una risata grassa e grossa stavolta, ma di nuovo strozzata dai vibranti colpi di tosse. ‘Ho le palle gonfie. – disse, come l’annunciatrice direbbe che un treno è in arrivo alla stazione – Ed è così divertente vederti scodinzolare… magari meriti un’occasione…’
La cagna venne scossa da un tremito violento ed il visto le avvampò di gioia mentre si voltava verso di lui per guardarlo emozionata, assicurandosi che fosse serio. Sorrise fuori di sé, schiuse le labbra per dire qualcosa, ma gemette soltanto, ed annuì concitata.
‘Vedo che ti interessa davvero molto… – detto ciò l’uomo mugolò pensoso e si poggiò al bancone. Passato qualche istante dichiarò il verdetto – Allora puoi succhiarmelo… in cambio non avrai i soldi della serata. Diciamo che hai lavorato per la sborra oggi.’ e detto ciò strozzò un’altra risata con colpi di tosse.
La cagna sbiancò, capì subito che era serio, quell’uomo meraviglioso non parlava mai a vanvera, ma lei non poteva permettere di farsi manipolare così, prese a scuotere il capo istericamente ‘Non ha assolutamente senso… – ma subito dopo il volto si contrasse in una smorfia di pianto – Perché mi tratti così? – singhiozzò – Faccio sempre tutto quello che vuoi…’ le lacrime le si affacciarono agli angoli degli occhi.
L’uomo le ammiccò bonario ‘Su, non fare così… – disse teneramente – E’ proprio perché fai tutto quello che voglio che ti tratto così. Sono leggi di mercato. La domanda va sempre sfruttata al meglio… – la guardò per qualche istante e riprese cordialmente – Rilassati su. Facciamo così, adesso ci sediamo, beviamo qualcosa e ne parliamo. – annuì muovendosi dietro il bancone – Va bene una bionda?’
La ragazza tirò su col naso, si passo il pollice a raccogliere una lacrima che scivolava sullo zigomo ed annuì sforzandosi di sorridere. Oramai era completamente vulnerabile, l’orgoglio non aveva più ragion d’essere, e ciò la faceva sentire nuda, vera, quella sensazione la turbava in più di un modo. L’uomo prese un boccale e lo riempì di birra chiara, lo posò sul bancone, poi si aprì la cerniera dei calzoni, prese un altro boccale, lo portò davanti alla patta, e dopo qualche movimento assunse un’espressione beata ed in seguito ad un suo mugolio uno scroscio liquido prese a riversarsi nel bicchiere.
L’uomo posò il boccale medio – quasi pieno d’un liquido color giallo intenso – sul bancone, e mentre apriva il rubinetto per sciacquarsi le mani disse con voce ferma e disinvolta ‘Cinque euro.’
La cagna sgranò leggermente gli occhi guardandolo attonita ed alla sua richiesta cinguettò una risatina isterica, non sapendo se piangere o trovare la cosa divertente, ma al contempo quell’atteggiamento continuava ad eccitarla, sentirsi in pugno a quell’uomo le faceva che lui la volesse, in quel pugno.
‘Hai ragione. – disse lui ammiccando, e tossì – Non è piena.’ tossì di nuovo, poi si grattò la gola e sputò nel bicchiere. Un grosso grumo giallo impattò con la superficie facendo schizzare qualche goccia del liquido sul bancone, affondò fino a metà boccale, poi lentamente riprese a salire. ‘Cinque euro.’
La ragazza fremette, e sbiancò quando si rese conto di aver davvero avuto l’impulso di pagare e prendere il boccale. Sentì di volerlo fare, ma farlo avrebbe significato concedergli il potere assoluto su di lei. Esitò passandosi una mano sul viso.
‘Bè? – chiese lui facendosi severo – Non ti piace la mia birra? – la guardò a farle intendere che l’ipotesi lo avrebbe offeso molto – è il mio cazzo di locale, e tu hai chiesto una cazzo di bionda. Paga e prendi il cazzo di bicchiere o vattene.’
La cagna si congelò a quelle parole, all’idea di venir scacciata, scosse il capo e saltellò rapida verso lo sgabuzzino sul retro del bancone. Ne uscì qualche secondo dopo con la borsetta a tracolla, andò davanti alla cassa come una normale cliente e tirò fuori una banconota da dieci, facendola scivolare sul bancone ‘C’è anche la mancia per la stima e l’affetto.’ disse con voce docile e zuccherina, oramai che era in ballo voleva stupirlo e compiacerlo al massimo.
L’uomo rise, tossì la mandò a fanculo e prese il proprio boccale di birra facendo il giro del bancone ed andando verso un tavolo rotondo lì vicino. La cagna prese il bicchiere e lo seguì. Si sedettero uno davanti all’altra, lei lo fissava ansiosa, devota.
L’uomo preso il telecomando accese il televisore posto su una parete della stanza. Dopo aver fatto un po’ di zapping pose lo sguardo su di lei ‘Sai cosa mi piace di te? Schifosa. – non attese risposta – Il fatto che fai qualsiasi cosa io ti chieda… L’idea che farai qualsiasi cosa ti chieda… – fece una pausa lasciando che quel qualsiasi venisse ben digerito – E tu vuoi piacermi, vero? Lurida.’ e le ammiccò.
La cagna annuì, certa, ma nervosa. Lei voleva piacergli, e sì, voleva fare qualsiasi cosa lui desiderasse. Voleva fare tutto per lui, soddisfare ogni sua richiesta, ogni suo desiderio, fare cose che altre – tantomeno quell’oca di Elena a cui lo vedeva far gli occhi dolci – avrebbero fatto, rendendosi quindi speciale, unica; importante, in un modo o nell’altro. Lo guardò negli occhi e decise che quell’uomo aveva il diritto di chiederle tutto ciò che voleva. Annuì di nuovo.
‘E non hai ancora bevuto? Troione. – chiese lui ghignando e guardando il boccale tra le dita del troione – Bevi. Alla goccia. E magari sarò più gentile’
La cagna guardò il boccale, poi lo sguardo divertito dell’uomo, poi di nuovo il boccale. Prese un respiro profondo, portò il vetro alle labbra e bevve. Il piscio le scivolava acre sulla lingua ed il suo odore le riempì la bocca, il naso, la testa, dopo un secondo pensava già che non se lo sarebbe mai più tolto dalle narici; ma continuò a bere, si irrigidì per trattenere il rigetto e bevve tutto. Una chiazza di muco le restò appiccicata al labbro superiore, lei se ne avvise e la pulì via con la lingua, deglutendo. L’uomo rise ed applaudì goliardicamente. Lei si sentì approvata e gli sorrise infentilmente, felice, strozzando un leggero conato.
‘Adesso butta via il bicchiere… – la fissò serio, poi sospirò – Non sono una persona cattiva, vacca. Non ho il cuore di far bere i clienti dove hai bevuto tu. – ammiccò dolcemente – Poi se si viene a sapere che faccio bere gli animali nei bicchieri del locale mi fanno chiudere. – Vide la ragazza esitare ed a quel punto esclamò – Pensi che stia scherzando?’
La cagna sobbalzò, scosse il capo, si alzò e sculettò rapida verso il sacco dove avevano radunato tutto il contenuto dei cestini. Ci buttò il bicchiere e tornò verso il tavolo.
L’uomo annuì ‘Brava. Domani sai che si fa? Ti compri una bella ciotola, di quelle fatte per voi bestie, la scegli come piace a te, e non dire che non sono buono, poi la porti qua. Così berrai da lì, vedendoti magari anche le altre inizieranno a trattarti come meriti. – rise – Cristo! Non sai quanto è ridicolo vederle parlarti come si fa con le persone.’
La cagna si bloccò. gli occhi le tremarono e le lacrime le offuscarono la vista, ma sentì chiaramente la voce di lui che pretendeva una risposta ‘Va bene…’ rispose con la voce incrinata dal pianto.
L’ormai padrone della cagna rise, tossì e disse ‘E’ incredibile che esista qualcosa di così stupido quanto te… se ti chiedessi di saltellare su una gamba faresti anche quello! – rise ancora, ma dopo qualche secondo smise e la guardò serio – Saltella su una gamba.’
La cagna era spiazzata, si guardò gli stivali e biascicò piagnucolante ‘Ti prego… ho i tacchi alti.’
‘Prega Dio. E’ più probabile che ti risponda. La scelta è sempre tua. Saltella o vattene. – la fissò – Saltella su una gamba.’
E la cagna prese a saltellare cadenzata dai ghigni di lui. Saltellava goffamente, incerta sul tacco, tenendo la coscia destra sollevata in avanti e la gamba flessa. Alla richiesta di lui prese a saltare più in alto, e dopo qualche secondo, inevitabilmente, lo stivale si torse sul tacco, la caviglia si piegò dolorosamente, e la cagna rovinò a terra. Si allungò sul pavimento e prese a latrare sentendo il dolore pulsarle nello stinco.
L’uomo prese a ridere come mai lo aveva sentito prima. Rideva tanto da coprire i lamenti di lei. Poi prese a tossire. Quella tosse incontenibile evidentemente lo rendeva più irritabile, perché anche quella volta, dopo aver tossito, si incupì e si alzò in piedi ‘Ora smettila, demente, stai rompendo i coglioni.’ ordinò, ma lei continuo a gemere agonizzante. Le si avvicinò e le diede una scomposta e forte pedata sulla schiena ‘Piantala!’
La cagna serrò i denti e prese a mugolare, cercando di quietarsi, mentre tremava dondolando contro il pavimento. Lo guardò allontanarsi verso il bancone, andare a prendersi un’altra birra, e mentre lo fissava sentiva il cuore pulsare per il dolore nella caviglia, il battito di un cuore innamorato. Fortunatamente qualche secondo dopo il dolore smise di acuirsi ma iniziò a scemare, e la cagna sperò di essersi solo slogata leggermente la caviglia.
‘Eccoci qua! – intercalò l’uomo sedendosi con il boccale di nuovo pieno. Lo poggiò sul tavolo e portò le mani alla patta, la sbottonò, calò le mutande sollevando un attimo il culo e tirò fuori l’uccello. Prese a dondolare su e giù il cazzo tra le dita, come fosse un’esca, uno specchio per allodole. Un osso per cagne. ‘Lo vuoi?’
Nel vederlo eccitato la cagna si sentì gonfiare il cuore di commozione e gioia, e prese a contemplare quel cazzo. Un cazzo normale, arrancava verso i sedici centimetri, una circonferenza apprezzabile, ma niente di speciale. Ma quel cazzo era parte della persona più importante al mondo agli occhi della cagna, quindi anche quel cazzo era per lei il più importante del mondo, le appariva meraviglioso, incredibilmente desiderabile. Annuì attonita.
Lui alzò le spalle distrattamente. ‘Puoi succhiarlo, ma non ti pagherò la giornata. Decidi, succhia o finisci di mettere a posto e vattene.’ detto ciò si voltò verso il televisore e cambiò canale. Si fermò a guardare un canale regionale in cui passavano pubblicità di linee erotiche. Una ragazza seminuda stava sculettando sensualmente ‘Che gnocca!’ esclamò, e prese a massaggiarsi l’uccello.
La cagna continuò a contemplare il cazzo. Avrebbe dovuto pagare per succhiarlo, ma solo quella volta, poi le cose sarebbero cambiate. Lei lo avrebbe fatto godere e dal giorno dopo sarebbe stato lui a cercarla. Lei adesso pagava per la possibilità di legarlo a sé, di dimostrarsi degna, era giusto in fondo, come pagare il biglietto per un concorso. Senza dir niente, in una mossa di tacito assenso, scivolò a terra, si tirò quattro zampe – come ad una cagna s’addice – e si insinuò tra le gambe dell’uomo. La mano che teneva il cazzo si spostò, e la cagna si trovò davanti la cappella sporca. Incrociò gli occhi fissando il cazzo davanti al proprio viso, sollevò il capo carezzandolo con il naso e posò le narici sulla cappella per annusarla. Un odore intenso e maschio, di muschio e virilità, le impregnò le narici, fremette punta da quel – a parer suo – profumo. Dondolò il viso per carezzare il cazzo con la faccia e lo annusò di nuovo. Sollevò poi una mano per afferrare il prepuzio tra pollice ed indice e calarlo. Il cazzo non era pulito, un collare di smegma era visibile sotto il bordo della cappella. La cagna sospirò e protese la lingua proprio per passarne la punta dove quel formaggio fatto di secrezioni maschili e piscio si trovava, i grumi bianchi si accumularono sulla sua lingua, la riportò in bocca e la schiacciò contro il palato, mugolando languida per gustare il divino sapore dei rifiuti di quella verga.
L’uomo la osservò dall’alto e rise rauco per poi esclamare ‘Sei davvero un bel bidet.’ poi tornò a guardare la televisione incurante di lei.
La cagna era persa nel suo mondo, il profumo di quel cazzo le aveva dato alla testa, si sentiva ubriaca di maschio, felice di aver tra le dita quell’uccello che agognava da mesi. Avvicino le labbra alla cappella e non poté fare a meno di darle un bacio d’amore, un bacio di quelli che una fedele da ad un’icona religiosa. Poi protese la lingua e percorse a ritroso l’uccello, scivolando verso il basso, fino alle palle. Prese a leccarle, le fece scivolare in bocca mungendole tra le labbra e si soffermò a gustare il sapore di urina e sperma rappresi tra i peli. Solo dopo che le palle erano oramai completamente grondanti di saliva la cagna le lasciò per tornare alla cappella, prenderla in bocca e ruotarci attorno alla lingua come avrebbe fatto con un lecca-lecca, quasi a consumarla. Coccolò tra le labbra quel cazzo con l’amorevolezza che una madre affettuosa mostra al figlio in fasce. La brama ed il desiderio che aveva di quell’uccello erano espressi nella lenta cura che gli riservava, come ad un piacere da doversi gustare il più lentamente ed a lungo possibile. E mentre succhiava prese ad emettere mugolii acuti e flebili, insistenti come gli uggiolii di una cagna, perché lui, mentre lei lo sbocchinava, si divertiva a calpestarle ritmicamente, in maniera tutt’altro che giocosa, le dita delle mani posate a terra.
‘Cazzo che strafiga questa! – esclamò l’uomo quando in televisione apparve una nuova ragazza seminuda, ed appena la cagna fece per sollevare il capo volendo valutare lei stessa la fonte di tanta ammirazione lui le schiaccio con le mani la faccia contro di sé e torse la punta della scarpa sulle dita di lei – succhia forte che questa m’arrapa!’ abbassò lo sguardo sulla cagna a quattro zampe ai propri piedi e pensò che, considerando la sola bellezza, se avesse potuto scegliere tra la ragazza tra le proprie gambe e quella in televisione, avrebbe comunque scelto quella tra le proprie gambe. Ricacciò quel pensiero. ‘Cazzo cosa darei per avere una così al posto tuo. – emise un profondo sospiro, vibrante ed arrochito dalle condizioni delle proprie vie respiratorie. – Sai cosa? La prossima volta mi paghi una bella puttana e lo facciamo in tre. Una di quelle escort bellissime da almeno trecento euro a botta… Bè, visto che chiederemo di farlo in tre ci vorrà qualcosa in più. Ti partirà uno stipendio, ma pensa a quanto godrò!’
L’unica cosa che apparve importante al cervello malato della cagna fu che lui stava dicendo che lo avrebbero fatto un’altra volta. Quindi era in ogni caso una buona notizia, e lei stava facendo bene, e felice di questo prese a succhiare di buona lena. Sentiva il cazzo vibrare tra le labbra, lo stava facendo godere, e presto avrebbe sentito il sapore della sua sborra. Lei gli dava il suo amore, e lui l’avrebbe allattata con le palle. Fremeva di gioia.
La mano che l’uomo le teneva sulla nuca strinse i capelli tra le dita del pugno, costringendo la troia a rallentare il ritmo della pompa. Nonostante questo la troia continuava a pompare famelica. ‘Ehi vacca. – fece lui, ma lei continuava a pompare, come si stesse drogando di cazzo – Ehi! – esclamò strattonando i capelli, sentì un gemito, poi finalmente l’attenzione della vacca – lo vuoi nel culo vero? Sei una rottainculo di sicuro, no?’
La cagna, ora ferma tra le cosce dell’uomo, lo guardava dal basso, il viso inclinato indietro, l’espressione resa buffa e stupida dalla cappella infilata tra le labbra. Lo osservò per qualche istante, e poi, come timorosa di una qualche altra trappola, prese ad annuire lentamente, facendo dondolare il cazzo davanti a sé. Certo che lo voleva prendere nel culo, lo avrebbe fatto godere ancora di più, lo avrebbe fatto legare a sé ancora di più.
‘Ma hai pagato solo per succhiarmelo… – disse lui con voce contrita, poi sospirò – Va bene dai! Quanti soldi hai?’ vedendo la ragazza esitare afferrò la borsetta che lei aveva appoggiato sul tavolo e la sollevò rovesciandola per farne precipitare il contenuto sul pavimento. Tra cui una piccola trousse che atterrando si ruppe e lo specchietto si capovolse sul pavimento riflettendo una delle luci del locale. ‘Quanti cazzo di soldi hai?’
La ragazza fremette di nuovo, e singiozzò mentre le lacrime riaffioravano nuovamente ai suoi occhi. E lui rise mentre lei si allontanava da lui per gattonare sul portafogli. Dopo averlo aperto ed ispezionato farfugliò, mostrando anche a lui il contenuto ‘Sessanta euro…’
Lui rise ancora. ‘Ah! Per sessanta euro al massimo mi faccio leccare il buco del culo! – emise un mugolio rauco e vibrante, prendendo tempo – Hai la carta di credito?’
La ragazza lo guardò irrigidendosi allarmata, ma dopo qualche secondo si decise ad annuire.
‘Ok rottainculo. Trecento euro e te lo pianto nell’intestino!’ e detto ciò ghignò laidamente fissandola.
La ragazza stirò le labbra tremanti in una smorfia di disperazione, fremette piagnucolando, tirò su col naso. Non aveva molti soldi, né con sé, né da parte. Viveva ancora con i genitori e lavorava per pagarsi vizi e vezzi. ‘Non li ho trecento euro… – ribatté con voce infantile e piagnucolante – Ne avrò centocinquanta…’
Lui la fissò per qualche secondo. A scavarle dentro, come volesse capire se stesse o meno mentendo. ‘E va bene pezzente! – sentenziò infine – sessanta, più centocinquanta, fa duecento – disse approssimando, o semplicemente non essendo abile con i conti – Va fuori a ritirarli allo sportello qua vicino. La nostra cassa è spenta, e non mi fido, non ho voglia di alzarmi a controllare che paghi tutti i soldi. Portami i contanti. – vedendola esitare rincarò – Muoviti!’
La cagna era disperata. Si era scoperta ed adesso lui la stava spremendo come un agrume, ma voleva quel cazzo, e lui sembrava non accettare scuse. Tremò all’ordine di lui e si alzò in piedi. ‘Torno subito…’ biascicò piagnucolante.
‘Dove corri? – chiese lui fissandola, e protese la destra aperta verso di lei – Prima i soldi… voglio un acconto, altrimenti chi me lo fa fare di tenerti da parte la sborra? Magari vuoi fregarmi!’ e detto questo scoppiò in una grassa risata, trovandosi molto divertente.
La ragazza ricacciò un singhiozzo deglutendo, annuì forzando un sorriso, volendo mostrar di gradire l’acume di lui, e gli diede i sessanta euro, poi, afferrata la borsa, zoppicò – causa la caviglia ancora dolente – verso l’uscita del pub.

L’aria fredda di quella sera di inizio estate, in complotto con il dolore alla caviglia, fecero tornare la lucidità nella testa della cagna lungo il tragitto che la portava allo sportello automatico. Mancavano una decina di giorni al prossimo stipendio, quei soldi erano gli unici che le restavano, li avrebbe dovuti chiedere alla madre per ogni altra evenienza. A tutti gli effetti non si poteva permettere di pagare il proprio datore di lavoro, era anche ridicolo pensare di farlo, una contraddizione in termini. Ma avrebbe rinunciato a quegli stivali che aveva deciso di comprare, avrebbe potuto farlo, ma non poteva rinunciare a quel cazzo. Mario era una persona particolare – mai si sarebbe sognata di definirlo crudele – se non fosse tornata subito, se non avesse colto quell’occasione, c’era la possibilità che non ne avrebbe avuta un’altra. Questo pensava, mentre, lucidamente, ritirava i soldi.

Rientrata nel locale, avvicinandosi al tavolo, sentì Mario sospirare pesantemente, ritmicamente, ed una volta al fianco di lui vide la pancia grassa, nuda e pelosa, tempestata di schizzi bianchi. La sua preziosa sborra era sparsa qua e là, e non dove doveva essere; quel magico, importantissimo momento era passato, se l’era perso. La cagna pensò questo e si fece statua di cera. Una statua a cui, dopo pochi istanti, tremarono in ordine, mento, mani, occhi e poi il resto del corpo. Schiuse le labbra calando la mascella ed emise un gemito soffuso e sibilante, come quello di un fantasma pronto a vendicarsi col tormento. Per l’ennesima volta le lacrime le si gonfiarono negli occhi, e stavolta grondarono sulle tempie.
L’uomo puntò il dorso contro lo schienale e ruotò il capo per guardare la ragazza al proprio fianco. Sollevò le sopracciglia con l’espressione di un tecnico informatico che viene colto a rubare dati da un computer durante la riparazione ‘Dai zoccoletta non fare così! – disse con voce incoraggiante – è che c’era una parecchio gnocca, ma proprio tanto! E perdere l’occasione di venire guardandola per aspettare il tuo culo era davvero una cazzata… Guardala dal mio punto di vista!’
La cagna ebbe un moto d’orgoglio. Sollevò una mano al viso, spinse i polpastrelli contro fronte e guancia cercando di sedare la rabbia ed al contempo coprire il pianto agli occhi di quell’uomo che per un istante non le parve meritevole di tanto patimento. Che cretina sono! pensò, e con voce ora tutt’altro che docile, ma bensì acida e piccosa starnazzò ‘Ho preso i soldi! – lo guardò sentendosi delusa, tradita – Ho fatto prima che potevo!’
‘Non abbastanza! – sbottò l’uomo mentre alzandosi repentinamente lasciò andare un poderoso ceffone contro la guancia della troia – Fossi tornata un minuto prima saresti stata in tempo per prenderti un clistere di sborra! Deficiente! Incapace!’ ringhiò quelle ultime due parole per sfogarsi, per non infierire ulteriormente su di lei, e detto ciò torno lentamente a sedersi, sospirando e tornando a guardarla dopo un paio di secondi. ‘Torna a quattro zampe. Smettila di stare in piedi come facciamo noi persone. Sei ridicola… – e poi la voce si fece dolce ed affettuosa – Su cagnetta…’
La cagna gemette e barcollò allo schiaffo, e l’orecchio sinistro prese a fischiarle. Uno schiaffo che la fece calmare, che la fece tornare lucida e ragionevole. Aveva sbagliato, aveva osato mancare di rispetto a quell’uomo meraviglioso, aveva fatto bene a picchiarla, ne aveva tutto il diritto. Questo pensò, e pentita si inginocchiò a terra con aria afflitta tornando a quattro zampe guardandolo dal basso ed in quella posizione si accorse di essere a proprio agio.
‘Brava la mia bestiolina…’ disse lui amorevole e le passo una mano sulla testa, carezzandola, per poi soffermarsi a grattarla dietro un’orecchio, e la lasciò fare quando la cagna voltò il viso per protendere la lingua prendendo a leccare devotamente quella mano. Si lasciò leccare per qualche secondo, poi, rendendosi conto che la lingua di lei stava passando sulla sborra colata sulla mano le diede un pesante schiaffo sulla testa ‘Troia approfittatrice!’
La cagna protese innocentemente la lingua contro le dita, per ringraziare la mano del padrone che la carezzava, solo dopo, effettivamente, si era resa conto che la suddetta mano era coperta a tratti dallo sperma e, incoscientemente, più interessata alla sborra che alla propria sopravvivenza, prese a leccarla. Fremette sentendo affondare le papille gustative nel latte vischioso. Quello era il sapore dell’amore, ne era certa, e mentre pensava questo emise un gemito rauco sentendosi rintronare dal colpo sul capo. ‘Non l’ho fatto apposta! – disse affranta, tanto da parer aver appena ucciso qualcuno per errore – Mi dispiace…’ e spostò il viso per andare stavolta a leccare il lato della coscia scoperta dove difficilmente avrebbe trovato della sperma… ma peli sì.
L’uomo rise, tossì e la carezzò di nuovo dove la aveva appena colpita ‘E va bene baldracca… – disse affettuosamente – In cambio dei sessanta euro che mi hai dato prima puoi leccare via la sborra. Ma siamo pari.’ e detto ciò allungò la mano piazzandola davanti agli occhi di lei.
La cagna fremette, nella sua mente suonava una marcia di trionfo, alzò il viso e protesa la lingua prese a passarla sulla mano, proprio come farebbe un animale. Raccolse la sborra con la lingua, ed ogni volta che la ritraeva per deglutire esclamava un concitato e commosso ‘Grazie!’.
Lui rideva beato e lei gli ripuliva accuratamente la mano dallo sperma, rivestendola di saliva. Era famelica, vorace, aggressiva quasi, scomparsa ogni traccia di sborra dalla mano lei gli si avventò contro, premendoglisi addosso, sulla pancia rigonfia, tanto da farlo gemere. Prese a leccargli il ventre, a succhiare via lo sperma dai peli, a recuperare la sborra ed inghiottirla, ed ogni volta che ingoiava emetteva un languido mugolio dal chiaro significato: che buona!
L’uomo sorrideva divertito guardandola dall’alto ‘Ti piace proprio eh? Schifosa. – e vedendola annuire contenta aggiunse con un sussurro insinuante, come quello di un marinaio pronto a svelar l’ubicazione d’un tesoro in cambio di qualcosa – Forse ho ancora qualcosa per te nei coglioni, sai? – attese qualche istante per aver tutta la sua attenzione. – Vuoi scoprire cos’è rimasto nei miei coglioni?’
La cagna continuava a gustarsi la sborra. Avrebbe strisciato nel fango per averla, recuperarla tra quei peli non era certo un dramma. Alle parole di lui – adesso prima di riuscire a temere un altro tranello – alzò il viso ed annuì concitata ‘Sì… sì… ancora sborra…’ disse come se non avesse la capacità di strutturare una risposta più complessa.
L’uomo lanciò una grassa risata seguita da qualche colpo di tosse, poi raschiò la gola. La cagna alzò il mento spalancando le labbra, protraendo il capo come un uccellino che reclama il cibo dalla madre. Le piaceva mangiare i suoi catarri, la sua sborra, adorava nutrirsi delle secrezioni di quell’uomo, era come se avesse fisicamente bisogno del suo corpo per sopravvivere. Così lui le scaracchiò in bocca, e lei, dopo aver accennato a masticare un paio di volte gustando il solido sputo, ingoiò.
Lui rise ancora, ed ancora tossì. Sputò di nuovo, come un bambino che ha preso gusto nel far qualcosa. E dopo averla vista nuovamente ingoiare a quel modo, come a dimostrarle il proprio apprezzamento, ridendo sonoramente le diede una pesante pacca sulla tempia che la fece ribaltare a terra. ‘Ci tieni tanto a prenderlo nel culo, vero mignotta? – disse dopo aver sospirato, guardandola, e vedendola annuire continuò con voce afflitta, dispiaciuto per lei – Però non bastano i soldi…’
La ragazza strizzò nervosamente le labbra, diede un’occhiata attorno, poi allungò verso di lui i centocinquanta euro appena ritirati, e sorrise ansiosa.
Lui prese i soldi scuotendo leggermente il capo ‘Questi erano solo per l’inculata, e mancherebbero comunque i sessanta euro che hai voluto spendere per mangiare la sborra. E per di più qua oltre all’inculata parliamo di una seconda sborrata. Capisci? – la guardò come si farebbe con un animale, con lo sguardo di chi si chiede se effettivamente l’interlocutore possa capire. Allungò il braccio sul tavolo poi, prendendo il cellulare che aveva raccolto da terra poco prima. – Era caduto questo dalla tua borsa… l’ho visto mentre eri fuori… mi piace. – disse dondolando tra le dita un moderno cellulare a conchiglia, uno che le era costato più di quanto gli avesse già dato – In cambio di questo puoi farmi un altro pompino. E stavolta col culo, pensa!’ dicendo questo ammiccò, poi grattò la gola, e nuovamente sputò verso di lei.
Teneva a quel cellulare e vedendo l’uomo proporre quello scambio la cagna si irrigidì. Lo guardò dal basso con espressione assorta e contrita, si perse nei pensieri, ma solo per un istante, perché sobbalzò quando lo sentì grattare la gola e si apprestò a spalancare la bocca per accogliere lo sputo sulla lingua. Sospirò assaporandolo, stinse le labbra e gustando quel sapore ricordò chiaramente perché era lì, e perché ci sarebbe restata. Il resto non contava nulla. Nemmeno il cellulare. Ed ancora senza rispondere con parole, ma solo con un gesto di tacito consenso, allungò il viso verso di lui, insinuandosi di nuovo tra le sue cosce, per protendere la lingua verso l’uccello, e prendere a leccarlo, per pulirlo e ritirarlo su.
L’uomo emise un rauco mugolio di approvazione guardandola dall’alto e poi disse con voce bassa ‘Che grosse tette da vacca che hai lì. Fammi sentire che effetto fanno attorno all’uccelo. – prese ad ispezionare il proprio nuovo cellulare – Veloce!’
La cagna sorrise contenta, felice di poter provare in un ulteriore modo a farlo godere come nessun’altra. Quando sì sentì incitare a sbrigarsi sobbalzò e ribatté prontamente ‘Sì! …scusami!’ e premendosi contro di lui – scivolando verticalmente contro l’uccello con il viso, il collo, il petto e le poppe – si tirò in ginocchio tra i suoi piedi.
Spinse le grosse tette attorno all’uccello non del tutto eretto e, dopo essersele afferrate con le dita, ce le strinse attorno prendendo ad impastarle contro il cazzo. Iniziò a dondolarsi su e giù con il busto, accompagnando i seni a masturbare l’uccello. Le mani, dal canto l’oro, stringevano le tette attorno al cazzo e le spingevano su e giù. A tratti parallelamente, a tratti inversamente, impastando l’uccello tra le grosse poppe. Mugolava e si spingeva con il corpo contro il cazzo, scrutando il volto dell’uomo dal basso.
Questi teneva le labbra serrate, fissando impassibile la televisione. Respirava lento e regolare, costringendosi ad imitare rigidamente una statua per trattenere ogni moto di piacere, onde non dare alcuna soddisfazione alla bestiola. ‘Niente, non sei buona nulla, cretina. Così non va. – mentì con tono freddamente credibile – Prova con il culo. Veloce!’
Quelle parole abbatterono la cagna, gli occhi le si fecero sgomenti, lo guardò con ansia, timorosa di venir scacciata per via della propria inutilità e si sollevò rapida ‘Sì… sì! Ddesso ti faccio un bel pompino con il culo… – sorrise dolcemente – Rilassati, vedrai che ti piacerà… sono brava… mi piace prendere il cazzo nel culo…’ disse lentamente, con lo scopo di eccitarlo.
L’uomo però era già fin troppo eccitato, il cazzo fremette sotto di lei e lui corrugò la fronte con espressione infastidità ‘Non me ne frega di quello che piace a te. Vedi di farlo piacere a me o ti sbatto fuori a calci, stupida.’ e detto questo strinse le cosce e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi per permettere alla stupida di montargli cavalcioni.
La cagna scivolò in piedi tra le sue cosce, e, dopo essersi tirata indietro per permettergli di stringerle, allargò le proprie per salire su di lui a cavalcioni. Si sedette sulle cosce dell’uomo e si soffermò a guardarlo negli occhi, a contemplare quel viso che amava, sorridendo dolcemente, innamorata e felice, desiderosa di riuscire a trasmettere anche a lui almeno parte di quell’emozione. Ed in risposta uno sputo giallo e colloso le impattò contro la sella del naso. “Muoviti demente!” si sentì dire, ed abbassando lo sguardò sollevò il busto per calare la mano destra ad afferrare la base del cazzo e potersi puntare la cappella tra le natiche.
Dopo aver impastato l’uccello tra le tette non c’era praticamente nessuna forma di lubrificazione, e la cagna se ne rese conto quando senti la cappella ruvida scivolare contro il buco del culo. Avrebbe fatto un gran male, ma non voleva farlo aspettare, e magari, con più attrito, lui avrebbe provato maggior piacere, quindi ne valeva sicuramente la pena. Pensando questo la cagna si puntò la cappella contro il buco del culo e prese a spingersi per farne scivolare la punta tra le natiche, una volta imboccato il cazzo si lasciò cadere con forza su di lui, impalandosi sull’uccello, avendo cura di accompagnare il movimento con lo scorrere verticale delle dita lungo l’asta.
Andò a sedersi sulle sue cosce emettendo un tremante latrato di dolore, ma anche l’uomo non riusci a trattenere un rauco gemito, e la cosa la rese felice, poi le tossi in faccia, sputacchiandole sul viso. La cagna si soffermò fremente di dolore, seduta sulle sue cosce per recuperare le forze, mentre il buco del culo pulsava attorno al cazzo, strizzandosi e rilassandosi sulla base dell’asta. La ragazza guardava sorridente l’espressione di lui adesso contratta e sollevò la destra per andare a raccogliere con le dita lo scaracchio appiccicato al naso, poi lo leccò dalle falangi deglutendo felice di sentire ancora quel suo cancerogeno sapore.
Lui prese a respirare affannosamente, davvero sorpreso. Aveva percepito un leggero dolore lui stesso quando lei era scesa sul cazzo, quindi non osava immaginare quanto ne avesse provato la troia. Era colpito e la fissò con espressione assorta per alcuni secondi, ma poi tornò a corrugare la fronte, facendosi severo. Dondolò il viso in avanti dandole una debole testata sul naso ed esclamò ‘Pompa il cazzo o mi addormento, imbecille!’
La cagna emise un mugugno al colpo della fronte di lui, e subito annuì ‘Sì… spanami per bene il buco del culo…’ disse con voce leggera e calda, provocante, ma subito dopo tornò a contrarre l’espressione in una smorfia dolorante, quando, poggiate le mani sulle spalle di lui, prese a scivolare in su, mungendo il cazzo con lo sfintere fino alla cappella, per poi lasciarsi ricadere su di esso. Compì quel movimento per quattro o cinque volte, poi, seppur il dolore continuasse a pulsarle nel culo, iniziò a farsi più sciolta. Abbracciò l’uomo andando a scivolare con la guancia contro quella di lui e protese la lingua per infilarla nel suo orecchio, leccandolo, insalivandolo e gemendoci contro. Prese a pompargli l’uccello di buona lena, mungendoglielo con il buco del culo, stringendolo mentre dalla base risaliva verso la cappella, e rilassandolo mentre ricadeva verso le palle. I gemiti presero a farsi sempre meno doloranti.
Mario se la godeva, fissava la televisione e teneva le braccia distese lungo i fianchi senza fare assolutamente nulla per partecipare. Stava zitto ora, concentrato sul cercare di soffocare ogni reazione che manifestasse godimento, e si rese conto che la troia sarebbe potuta riuscire a farlo godere in fretta in quelle circostanze. ‘Ti piace eh, animale?’ le chiese con voce bassa, per cercare di non tradire il proprio piacere.
La cagna saltellava sul cazzo sempre più velocemente, prendendolo nel culo e gemendo contro l’orecchio di lui, mentre ne succhiava il lobo in alcuni momenti, e spingeva la lingua nell’interno in altri, lavandogli l’orecchio con cura, ripulendolo dal cerume. Alla domanda di lui ritrasse il capo per guardarlo negli occhi con espressione contratta dal piacere e dal dolore. Prese a fissarlo con sguardo devoto e disse con voce rotta dai gemiti e concitata ‘Sì, amore mio, da morire! Erano mesi che aspettavo questo momento! Sei bravissimo… mi stai facendo godere da impazzire’
‘Lo vedo anche da me che stai godenso… Sei ridola! Mi stai sbavando sulla pancia come una lumaca. mi fai schifo! – dicendo questo l’uomo abbassò lo sguardo verso la figa della troia, che ad ogni movimento si strusciava contro la sua pancia sbrodolandoci contro. – E poi te lo ripeto, non sono cattivo… è fastidioso avere la tua faccia davanti che mi guarda a quel modo quando a me di te non frega un cazzo. Voltati su, troione… piegati sul tavolo e vedi di muovere meglio il culo perché mi sto rompendo le palle! Mi hai pagato per sborrare, non per perder tempo, quindi vedi di darti da fare, demente.’ diede un paio di colpi di tosse che gli rimbombarono vibranti nei bronchi malandati, e prima che la cagna si potesse voltare le afferrò i capelli sulla nuca e grattò la gola a lungo, per regalarle un abbondante scaracchio che potesse gustarsi per il resto della scopata.
Sentendolo rispondere a quel modo ai propri sguardi ed alle proprie parole la cagna corrugò tristemente la fronte, come se stesse per piangere, ma non appena lo sentì prepararle la pappa spalancò la bocca ed accolse lo sputo sulla lingua, poi, schiacciando la lingua al palato e gustandone il sapore, si sollevò per voltarsi lentamente ed arrivare a dargli la schiena. Riprese l’uccello fino alla base con un gemito e torse i fianchi strofinando il culo sulle sue cosce, spingendo le natiche contro la morbida pancia prominente e dondolando circolarmente i il bacino per cullare il cazzo contro le pareti del retto.
‘Piegati che non vedo la televisione, rompipalle!’ esclamò lui lasciandole andare un pesante pugno tra le scapole che le rimbombò dolorosamente nel torace, poi, facendo ancora forza, la schiacciò contro la superficie del tavolino. ‘Se ti ritiri su ti sfondo la testa come si fa con gli animali inutili come te.’
La cagna lanciò un gemito tremante al pugno sul dorso, ed il dolore la scosse. Schiacciò le poppe sul tavolino e premette le mani su di esso per far leva sulla superficie di legno, oltre che sul pavimento, e prendere a martellare l’uccello con il culo; lanciando mugugni violenti e sordi per il dolore che quei movimenti le causavano la cagna prese a lavorare di addome e cosce iniziando a sollevare ed abbassare il culo sul cazzo. Movimenti veloci, forti e decisi, che presto le diedero il fiatone. Più si impegnava e più lui si sforzava di non manifestare piacere, ma la cagna non si dava per vinta e con disperazione continuava a lavorargli il cazzo, pompandolo con lo sfintere e trizzando il buco del culo ritmicamente, ogni volta che risaliva l’asta, per mungerlo per bene.
L’uomo si sentiva sempre più vicino e si torceva cercando di trattenersi. Riprese a giocherellare con il cellulare cercando di distrarsi, e soprattutto faceva l’impossibile per limitarsi a sospirare e deglutire di quando in quando. Ad un tratto alzò lo sguardo verso il televisore e disse ‘Questa spesa la facciamo rientrare in quello che hai già pagato, visto che non sei buona a farmi godere da sola.’ detto questo compose il numero che compariva in televisione e dopo qualche istante disse con voce calda ed ansante ‘Ciao tesoro… Sono qua tutto solo… sto usando uno di questi aggeggi per farsi le seghe, ma non sono buoni a granché, non riesco a venire e ho pensato di chiamarmi… – la cagna esitò solo un istante, la sentì fremere, ma subito riprese a pompargli il cazzo con il culo – Oh… mi aiuti tu bellezza? E non sai quanto pagherei per averti qua… – soffocò un gemito – Ti bacerei e ti leccherei tutta… Sono bravo, sai? – decise di lasciarsi andare e prese ad ansimare più pesantemente – Solo sentirti mi fa arrapare… sì, dimmi cosa mi faresti…’
La cagna aveva staccato il cervello oramai, non accettava l’idea di non essere in grado di dargli il piacere che desiderava fargli provare, di dimostrargli tutto il proprio amore svuotandogli per bene le palle, ma pareva fosse così, quindi decise di impegnarsi maggiormente. Fini praticamente per entrare in competizione con la donna al telefono, serrò le dita attorno al tavolo, spinse le punte degli stivali contro il pavimento e ansimando affannata e dolorante prese a pompargli il cazzo con maggior vigore, dondolando i fianchi nel muoversi.
‘Cristo… sei fantastica… se continui a dirmi così riuscirai a farmi sborrare anche con questo affare…’ disse Mario con la voce sempre più rotta dal piacere e dopo aver pronunciato un paio di “sì” in risposta a qualcosa, iniziò effettivamente a sborrare. Prese a scaricare gli schizzi nel culo dell’aggeggio per farsi le seghe, premendocisi contro sollevando i fianchi, ed iniziò a lanciare gemiti rauchi, che si sarebbero potuti definire anche grida. ‘Dio, sei stata grandiosa – riprese con voce ansante e provata – Grazie, ti adoro, non ce l’avrei mai fatta senza di te. – sospirò pesantemente, soddisfatto, ed aggiunse – Sei stata così brava che meriti un regalo! Adesso non ti scocciò più, ma lascio la chiamata attiva finché non si esaurisce il credito… Ciao bellezza.’ detto questo posò il cellulare sul tavolino.
La cagna fremette e mugolò intensamente sentendo gli schizzi risalirle l’intestino, inarcò la schiena e continuò a pompare il cazzo senza fermarsi. Scivolava fino alla base e strizzava il buco del culo risalendo, per mungerlo bene, per cercare di tirare fuori tutta la sborra, di farlo godere il più possibile; e sentirlo gemere a quel modo le riempì il cuore di gioia, tanto che lacrime di commozione tornarono ad affiorarle sul viso. Si convinse che quelle parole – i complimenti ed i ringraziamenti – fossero rivolte a lei, sentiva di metirarle, sapeva di essere stata lei ad averlo fatto godere così tanto, e si fece bastare quella convinzione.
La cagna si sollevò solo quando Mario le disse di farlo con un secco ‘Togliti dai coglioni, sborratoio.’ espressione che acquisiva un netto senso letterale in quella specifica circostanza. Lo sborratoio si tolse dai coglioni, spingendosi avanti, lasciando il cazzo, e distendendo il busto sul tavolino, esausta, le gambe tremanti per il dolore e la fatica.
L’uomo si alzò in piedi e si sgranchì le gambe stirandosi e sbadigliando lentamente. ‘Su, lasciala andare sul pavimento adesso. – le disse, e vedendo lo sguardo interrogativo della zoccola esclamò – La sborra, imbecille!’ e restò in piedi a fissarla.
La cagna si trascinò via dal tavolino e si accoccolò sulle gambe, alzò lo sguardo sull’uomo, trovandosi fissata, ed arrossì, imbarazzata per la posizione in cui si trovava, calando nuovamente lo sguardo. Fissò il pavimento e rilassò lo sfintere, spingendo leggermente, facendo colare fuori la sborra, lasciando che grondasse sul pavimento.
Quando la sborra smise di uscire l’uomo sollevò il piede destro per dare una pedata contro la spalla della cagna e ridere vedendola rovinare con la schiena a terra. Ridere, tossire, tossire ancora, grattarsi la gola e spurata a terra, sulle chiazze di sperma. ‘Non provare ad alzarti bestia. Striscia con la faccia lì sopra e lecca via tutto.’
La cagna obbedì, e mentre si voltava un altro sputo denso le impattò contro la guancia, e nell’avvicinarsi allo sperma un altro grumo giallo si spiaccicò sulla sua fronte. Ansimando pesantemente allungò il viso sullo sperma, e senza nemmeno bisogno che lui lo chiedesse di nuovo protese la lingua ed iniziò a leccare il pavimento raccogliendo la sborra ed il muco con la lingua. “Guarda su.” si sentì dire da Mario, e quandò alzò lo sguardo lo vide scattarle una foto con il cellulare.
‘Ecco. Questa la invidio ad Elena, così la stampa e la attacchiamo dietro il bancone!’ esclamò convinto e divertito, ridendo raucamente e guardando sul display la foto della cagna che leccava la sborra dal pavimento, con il viso decorato da sputi e la matita nera colata lungo le guance con le lacrime. Chiuse il cellulare e riabbassò lo sguardo sulla troia, alzò di nuovo il piede destro e glielo premette contro il viso per farla scivolare indietro. Dopo averla così scostata schiacciò la scarpa sulla pozza di sputi e sperma e lo ruotò lentamente. Fatto ciò sollevò il piede porgendo la suola alla cagna. ‘Lecca.’ disse, e con sua sorpresa non dovette ripetersi.
La cagna guardò con occhi velati di eccitazione e devozione la suola che le veniva offerta, e già prima che lui le ordinasse di farlo stava protendendo il viso verso di essa. Oramai era chiaro che era sua, che avrebbe fatto tutto ciò che lui voleva, e le stava bene, tutto andava bene finché lui si fosse interessato a lei, finché le avrebbe detto di far qualcosa, qualsiasi cosa. Protese la lingua e prese a passarla contro la suola sporca.
L’uomo guardò per alcuni secondi la cagna, divertito e soddisfatto, poi riprese ad armeggiare con il cellulare. Dopo un po’ riuscì a rimuovere il coperchio sul retro e tirò fuori la scheda di memoria appartenente alla cagna. ‘Ti interessa questa?’ chiese distrattamente tenendo l’oggettino tra i polpastrelli.
La cagna aveva le labbra e la lingua sporche di sperma e muco, ma anche di qualcos’altro di non meglio definito che macchiava il pavimento del locale non ancora lavato. Sollevò il capo guardando la scheda ed annuì decisa ‘Sì, per favore! Ho tutto memorizzato lì.’
Mario attese la risposta mosse le dita attorno alla piccola scheda, la piegò nel mezzo in un verso, poi nell’altro, fino a spezzarla in due, ed a quel punto lasciandola cadere a terra davanti all’animale disse con voce seria e pacata ‘Tieni. – poi richiuse il cellulare e lo mise in tasca – Stasera ti porto a casa mia. La notte mi capita almeno una volta di dovermi alzare per andare a pisciare. Con te accanto al letto non avrò bisogno di andare fino in bagno. Ma non ti aspettare di avere altra sborra, quella va pagata.’ attese qualche istante guardandola, poi chiese con voce affettuosa ‘Tappeto o pavimento?’
Non badò nemmeno alla scheda distrutta, sentirgli pronunciare quelle parole la fece rinascere. Non riusciva a crederci, iniziò a fremere di gioia. Ce l’aveva fatta! Lui la voleva. Poteva stravedere per quell’oca di Elena, ma non se la portava a casa! Era felice e con voce commossa e piagnucolante di gioia rispose ‘Tappeto!’
‘E pavimento sia!’


Per critiche, commenti, opinioni o qualsiasi altra cosa contattami pure. Sono più che disponibile a scrivere qualcosa a quattro mani, quindi se pensi di avere una visione dell’erotismo affine alla mia contattami pure.
la_cagna@live.it

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