Skip to main content
Racconti di Dominazione

Una moglie annoiata (Giovanna)

By 18 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Giovanna si sporse in avanti per prendere il bicchiere dal tavolino tondo di vetro.
Faceva caldo ed aveva ancora sete.
Giorgio, suo marito, le diceva spesso che non bisognerebbe mai dissetarsi con l’alcol, ma a lei era sempre piaciuto il Martini.
Lo aveva preparato leggero, però questo era il quarto, e cominciava a sentirsi un po’ strana.
Cosa deve fare una donna giovane e bella, che ha sposato un uomo ricco ed importante, se non ha mai nulla da fare?
Per esempio, poteva prendere il sole nel giardino della sua villa, davanti alla piscina, e bere un bel Martini.
La villa era grande, ma quello che l’aveva stupita, quando cinque anni prima, si erano trasferiti lì, abbandonando il lussuoso appartamento in centro, era la vastità del parco che la circondava.
Aveva passato i primi giorni a camminare, per scoprire il suo nuovo regno. Era contenta come una bambina a cui avevano regalato la casa delle bambole, ma poi, piano piano, si era resa conto di essere finita in una specie di prigione dorata.
Prima le bastavano dieci minuti per arrivare in centro, ora doveva fare un lungo tragitto con la macchina per raggiungere la città.
Le amiche, passato l’entusiasmo dei primi momenti, venivano a trovarla di rado e lei si era impigrita.
Così, a trentasette anni appena compiuti, Giovanna passava molte ore ad oziare.
Quella mattina si era alzata tardi, aveva indugiato parecchio in bagno e, dopo essersi fatta una bella doccia, aveva passato un po’ di tempo a pettinare i suoi capelli biondi e lunghi.
Si era truccata con cura, anche se quel giorno non doveva andare da nessuna parte, e, infine, dopo aver fatto colazione, si era messa in costume a prendere il sole davanti alla piscina.
Sola.
Lei ed il Martini.
Suo marito non c’era.
Suo marito non c’era mai.
Suo marito era un medico importante, che passava più tempo in ospedale che a casa.
Suo marito era fuori per un convegno e l’aveva lasciata, sola, per tutta la settimana.
‘ma no, cara. E’ inutile che vieni anche tu. è una cosa noiosissima. Aspettami a casa.’
Quando otto anni prima aveva sposato quell’uomo, freddo, distaccato e abbastanza più grande di lei, sapeva che non sarebbe stato quel matrimonio d’amore e di passione che lei aveva sognato, quando era un’adolescente ingenua, ma non si sarebbe mai aspettata di finire in gabbia, come un animale dello zoo, mostrata soltanto a qualche ricevimento importante.
La moglie del prof. ‘., bella donna …, certo è parecchio più giovane ‘
Era sola in casa, perché Maria, la domestica romena, quel giorno non sarebbe venuta.
Sola, a parte Lisimba.
Già, non lo aveva neanche considerato. Forse perché era negro? No, lei non era mai stata razzista. Non aveva pensato a Lisimba perché lui viveva in una casetta, lontana dalla villa e si occupava solo del giardino e della piscina. Non entrava mai in casa ed aveva avuto poche occasioni per parlare con lui.
Sapeva solo che veniva dal Kenya.
‘Lisimba, ma tu non non assomigli affatto a ‘ come si chiamano? Ah, sì, i Masai’
‘signora, nel Kenya ci sono molti popoli, i Masai vivono solo nell’altopiano, la maggior parte delle persone è come me.’
Parlava bene italiano e suo marito, una volta, le aveva detto che era anche istruito, aveva addirittura una laurea.
Certo, Lisimba non aveva affatto l’aspetto sottile e filiforme dei Masai che aveva visto tante volte nei documentari in tv, infatti era alto, ma robusto e massiccio, con un viso largo e rotondo.
Ora stava lavorando, oltre la piscina, con una vanga, per prolungare l’illuminazione esterna in quella zona del parco.
Poteva vedere la sua schiena nuda, lucida per il sudore, brillare sotto il sole.
‘Lisimba’
‘sì, signora’
‘vieni un momento qui, per favore’
L’uomo posò la vanga e venne verso di lei, a passo veloce.
Indossava solo dei pantaloncini azzurri, al ginocchio, e delle ciabatte di gomma.
Giovanna non l’aveva mai osservato con attenzione: aveva un fisico possente che le fece pensare, per un attimo, agli schiavi, condotti in catene in America, secoli prima.
‘fa molto caldo, vero?’
‘veramente, signora, io non sento mai troppo caldo qui, in Italia’
‘vedo che sei molto sudato. Bevi qualcosa’
‘veramente, signora ‘ non so se posso …’
‘ma certo che puoi’ le disse Giovanna porgendogli un bicchiere pieno di Martini.
‘grazie ‘ è buono’
Certo che è buono, sennò non ne bevevo mica quattro, pensò Giovanna.
Si alzò per prendere il pacchetto di sigarette e capì subito che il quarto Martini, bevuto a stomaco semi vuoto, forse era stato di troppo.
Era abbastanza malferma sulle gambe e quando tentò di spostarsi in avanti, perse l’equilibrio e si appoggiò all’uomo, finendo con il viso contro il suo petto sudato.
Per un attimo rimase come stordita dall’odore forte e penetrante della sua pelle.
‘signora, si sente bene?’
‘sì, certo’
Cosa stava combinando, che le prendeva?
Con le braccia si era aggrappata al collo dell’uomo ed ora stava strofinando il suo viso contro il suo petto possente.
‘signora … per favore ‘ non fare così’
Ecco, ora si sarebbe ritratta, avrebbe ripreso le distanze e gli avrebbe detto: ‘scusami tanto, Lisimba, ho avuto un attimo di capogiro, forse il caldo, ora, per favore, torna a lavorare.’
Invece non aveva parlato, ma stava leccando e baciando il petto sudato di quel grande uomo nero.
Per un attimo le mani di lui si erano posate sui fianchi di Giovanna come se volessero allontanare il suo corpo, cercando di resistere alla tentazione, ma fu solo un attimo, poi si spostarono sulla sua schiena e lei si sentì stringere con gran forza.
L’aveva sollevata di peso, passandole una mano sotto il sedere, senza nessuno sforzo apparente.
Doveva assolutamente riprendere il controllo della situazione, era veramente disdicevole, per una signora, farsi scopare dal giardiniere negro, ma la nebbia dei Martini non si voleva diradare e cominciava già a sentirsi bagnata, in mezzo al costume.
La trasportò così, sollevata da terra, con i capelli biondi che svolazzavano, per un bel pezzo del parco, e la mise giù in un punto in cui l’erba era più folta, dietro un cespuglio di rose.
Giovanna aveva chiuso gli occhi e sentiva solo le mani di lui che la toccavano e le slacciavano il reggiseno del costume.
L’erba era tiepida e le faceva il solletico sulla schiena, sulla schiena e ‘ sul sedere.
Riaprì di colpo gli occhi. Le aveva sfilato anche lo slip del costume ed era completamente nuda, anzi erano completamente nudi.
La sua vagina, aperta e bagnata, ed il suo grande affare nero, in piena erezione, uno di fronte all’altra, erano chiari segnali di quello che sarebbe accaduto fra poco.
La penetrò con gran forza, ma lei non ci vide alcunché di violento, era solo la natura, la forza della natura.
Venne quasi subito, sbatacchiandola a terra e lei rimase delusa, perché avrebbe voluto un po’ più di tempo per raggiungere l’orgasmo.
A sorpresa, ricominciò immediatamente, questa volta lei fu pronta a cogliere il momento giusto e riuscì ad arrivare all’orgasmo, proprio mentre lui la riempiva di sperma per la seconda volta.
Era ancora stordita quando lui le entrò dentro di nuovo. Ma come cavolo faceva, possibile che le sue batterie si ricaricavano quasi istantaneamente?
In tutto la scopò cinque volte, poi, la riprese di nuovo tra le braccia e la riportò verso la villa. Si fermò solo davanti alla piscina e si lasciò cadere nella vasca insieme a lei.
Il freddo dell’acqua la riportò alla realtà.
Accidenti, aveva fatto una cazzata, che avrebbe potuto compromettere tutta la sua vita futura.
Non avrebbe più dovuto avvicinarsi a Lisimba.
Era stato solo un momento di debolezza, dovuto alla solitudine, alla noia e ‘ ai Martini.
Una signora non si fa scopare dalla servitù.
Uscì rapidamente dalla piscina e si avvolse nell’accappatoio.
Mentre fumava una sigaretta guardò nel parco, oltre la piscina.
Lisimba aveva ripreso il suo lavoro e, sempre a torso nudo, continuava a scavare con la vanga.
Tutto come prima, non era successo nulla. Per tutta la settimana Lisimba aveva girato alla larga da lei e dalla villa.
Anche Giovanna aveva evitato di incontrarlo.
Quando, il sabato, suo marito era tornato dal convegno, all’inizio lei aveva provato un po’ di imbarazzo.
Si sarebbe accorto della sua tensione?
Se le avesse detto qualcosa le avrebbe risposto che aveva mal di testa.
Le donne hanno spesso l’emicrania, con questo possono giustificare tante cose e nessun marito può accertarsi se hai realmente mal di testa, neanche se è un medico famoso ed importante.
Invece niente, suo marito non aveva notato nulla.
Tutto normale.
Suo marito era come sempre: gentile, distaccato ed indifferente.
Il lunedì successivo aveva deciso di prendere la macchina ed andare in città, visto che suo marito sarebbe restato tutto il giorno in ospedale.
Naturalmente non aveva toccato alcol, perché doveva guidare.
Stava scendendo i gradini di uno stretto passaggio, tra la villa ed il magazzino, per raggiungere il piazzale del garage.
Si incrociarono proprio nel punto più stretto.
‘buongiorno, Lisimba.’
‘buongiorno, signora.’
Buongiorno e basta, come se giorni prima non fosse accaduto nulla.
‘Lisimba’
Lui si era voltato.
‘mi spiace per l’altro giorno. è accaduta una cosa che non doveva succedere …’
‘mio padre diceva sempre che non ci sono cose che non devono succedere.
Ci sono soltanto cose che succedono e cose che non succedono.
Quando succede qualcosa è perché c’era motivo perché questa accadesse.
Hai capito, signora?’
‘credo di sì. Io avevo bevuto troppi Martini …’
‘no, signora, non hai capito. E poi oggi non hai bevuto Martini.’
Erano molto vicini, lui la guardava in una maniera strana e lei si sentiva strana.
Ora cominciava a capire.
Le mani dell’uomo si erano infilate sotto la gonna e le stavano accarezzando le cosce.
Lei era appoggiata al muro e non poteva scostarsi, ma sapeva che non era questo il punto.
Era perfettamente sobria e cosciente, consapevole di quello che sarebbe successo.
Fu lei a sfilarsi le mutandine, per eliminare ogni possibile dubbio, e Lisimba, che si era nel frattempo tolto i pantaloncini da lavoro, la sollevò prendendola sotto le ascelle.
La teneva stretta contro di lui, poi cominciò lentamente a farla scendere, e Giovanna, con la gonna sollevata ed appiccicata contro il corpo dell’uomo, planò direttamente su quel grande coso nero.
Le labbra della vagina si aprirono al suo passaggio e cominciarono ad inghiottirlo.
Sembrava non finire mai, finché lei si ritrovò nuovamente con i piedi per terra e senza fiato.
Lisimba cominciò subito a muoversi dentro di lei e Giovanna si ricordò che doveva far presto, se voleva raggiungere l’orgasmo.
Fece in tempo, e rimase contro il muro, sorpresa dalla rapidità e dalla naturalezza di quanto era avvenuto, mentre lo sperma le colava lungo le gambe; poi lui la prese per mano e la condusse alla casetta, in fondo al giardino, dove abitava.
Quel giorno lo fecero diverse volte, nella stanza piccola e ordinata di Lisimba.
Qualche giorno dopo, Giovanna si preparò con cura, come faceva tutte le mattine e si diresse direttamente alla casetta in fondo al parco.
Perché succedeva questo?
Ora aveva la risposta, semplice, come le parole del padre di Lisimba: perché era quello che lei voleva.
Quando lui, stupito, aprì la porta, disse soltanto ‘tuo padre aveva ragione’, prima di entrare e spogliarsi.
Era iniziata così, in maniera semplice, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e forse lo era.
Ormai cominciava ad abituarsi ai tempi diversi del suo amante africano. Sapeva che lui l’avrebbe penetrata diverse volte di seguito, in maniera intensa ma molto rapida.
Quindi, se lei non riusciva a raggiungere l’orgasmo, non doveva preoccuparsi, perché ci sarebbe riuscita all’assalto successivo.
Si vedevano spesso, in media due o tre volte alla settimana e, mano mano che migliorava il loro feeling, provavano cose nuove.
Lui manifestò presto il desiderio di metterglielo di dietro, ma Giovanna aveva un po’ paura.
‘dai signora’ le dava sempre del tu, ma non riusciva a chiamarla per nome. Lei la trovava una cosa ridicola: scopavano con frequenza da mesi e lui si ostinava con quella parola buffa.
‘non è vero che è troppo grande. è una fissazione delle donne bianche. Il mio giocattolo è assolutamente normale, forse un pochino più grande di quello di tuo marito, ma ti assicuro che non ti succederà nulla.
Giovanna non era convinta e, per farsi perdonare, cominciò a leccarglielo per bene finché lui non la supplicò di metterselo in bocca e di farlo venire.
La volta successiva Lisimba tornò alla carica, dicendo che il suo culo era troppo bello per non provarlo e Giovanna, finalmente acconsentì.
Passato qualche momento iniziale di paura, perché il suo arnese era veramente grande, Giovanna si tranquillizzò e trovò la cosa molto soddisfacente, anche perché lui, dietro, sembrava durare un po’ di più, permettendo alla donna di raggiungere l’orgasmo con una certa calma, masturbandosi.
Così, al loro repertorio, si aggiunse anche questo.
Il tempo scorreva tranquillo e Giovanna aveva lasciato perdere la bottiglia del Martini.
Un giorno il marito tornò un po’ prima dal lavoro e la fece sedere nel grande salone sul divano, di fronte al televisore.
‘ti voglio far vedere una cosa.’ Accese il televisore ed il lettore di dvd.
In quel momento entrò Lisimba.
Aveva messo un paio di jeans ed una maglietta pulita.
‘buongiorno signore, buongiorno signora.’
‘Lisimba, siediti pure sul divano, accanto a mia moglie.’
Era rimasto fermo un attimo, imbarazzato, prima di sedersi, mentre Giovanna, istintivamente, si era spostata per fargli posto.
Un orribile pensiero aveva attraversato la mente di Giovanna e sicuramente anche l’uomo che sedeva con lei sul divano, non era affatto tranquillo.
‘vi voglio far vedere un breve filmato, molto interessante. Non ha un titolo, ma penso che potremo trovarlo insieme.’
Fece partire il dvd con il telecomando e Giovanna immediatamente ebbe la conferma che le sue paure erano assolutamente fondate.
La scena si svolgeva nella stanza da letto di Lisimba. L’uomo e la donna, completamente nudi, erano perfettamente riconoscibili, come era chiaro quello che stessero facendo.
‘aspettate che alzo un po’ il volume perché l’audio è molto interessante.
Ti sta piacendo molto, qui, Giovanna, ascolta che bei gemiti ahhh ahhh’ e anche il nostro amico giardiniere, sentilo come ulula, sembra un gorilla in calore.’
Giovanna stava immobile con la bocca aperta, mentre Lisimba era rimasto impietrito, davanti allo schermo, con le mani affondate nelle ginocchia.
‘andiamo un po’ avanti veloce. Volevo farvi vedere il pezzo in cui tu glie lo metti per bene nel culo, o preferite vedere il pompino finale?
Lisimba non ti ho detto di alzarti? Dove vai?’
‘signore, vado a fare i bagagli. Credo che dovrò cercarmi un altro lavoro.’
‘e perché mai? Sei un ottimo giardiniere. Hai sempre fatto il tuo dovere.
Giovanna, tu vorresti mandar via Lisimba?’
‘Giorgio ‘ ti prego …’
‘ah, aspetta ‘ Lisimba. Forse hai pensato che ti voglio cacciare perché ti scopi mia moglie?
E che problema c’è? Sono mesi che sono al corrente di tutto.
Se mia moglie è contenta e si diverte, perché dovrei impedirglielo.
Forse è più salutare qualche palmo di cazzo, piuttosto che ingozzarsi di Martini dalla mattina alla sera.
Ho sempre speso tanti soldi per farla felice, e poi tu vieni pagato per fare il giardiniere, mia moglie te la scopi nel tempo libero, quindi non mi costi nulla.
Anzi facciamo una cosa, da ora Giovanna si trasferisce da te, andate pure in camera a preparare i suoi bagagli.’
Giovanna si era alzata in piedi.
‘Giorgio, ti prego, non fare così …’
‘vai a preparare le tue cose e ricorda che qui dentro ci entrerai soltanto quando avremo ospiti, perché, anche se sei una troia, per ora rimani mia moglie e non voglio far brutta figura con gli amici.
Ah ‘ dimenticavo. Il titolo del film.
Potrebbe essere la bella e la bestia.
Oppure il negrone e la bella padrona.
Avete qualche idea?
Niente?
Lisimba. Portati via la troia. Per oggi ho finito.’ Al tramonto, Lisimba e Giovanna, carichi di valigie, si diressero verso la casetta in fondo al parco.
Quella sera cenarono insieme, in silenzio.
Improvvisamente si era trovata cacciata di casa, privata di macchina, soldi e carta di credito, costretta a vivere in una casetta di una camera, un cucinino ed un bagno minuscolo, insieme ad un negro che conosceva appena.
Certo, erano mesi che scopavano insieme, ma a parte quello non sapeva nulla di Lisimba.
Nonostante il letto abbastanza piccolo, che li costringeva a dormire praticamente attaccati, quello notte non fecero nulla, perché erano troppo abbattuti per quanto era successo.
Le scenata di sua marito era stata terribile: con il suo gelo sarcastico era riuscito ad umiliarli profondamente.
La mattina dopo Giovanna si alzò presto e preparò la colazione per entrambi.
Davanti alla tazza con il caffellatte scoppiò a piangere.
Lui le accarezzò i capelli.
‘dai signora, non fare così, col tempo ti perdonerà’
‘non chiamarmi signora, non sono più la signora, tu non conosci mio marito. Non mi perdonerà mai, mi distruggerà per vendicarsi.’
‘Giovanna’
Era la prima volta che la chiamava con il suo nome.
‘Lisimba ti darà la forza per non farti distruggere.’
Nei giorni successivi Giovanna provò più volte a parlare con il marito, ma lui neanche le rispondeva.
Disse soltanto, una volta: ‘quando sarà richiesta la tua presenza, ti manderò a chiamare.’
Ormai Giovanna passava molto tempo nella casetta, perché il marito le aveva proibito di usare il parco e la piscina, ed aveva dato ordine alla domestica, di riferire ogni sua trasgressione.
Usciva qualche volta, solo di sera, quando il marito non era in casa, ma, per gran parte del tempo restava nella casetta, ad aspettare Lisimba.
Naturalmente avevano ripreso a scopare, ora anche più tranquilli, visto che erano insieme e non dovevano certo nascondersi.
Lo facevano praticamente tutti i giorni, con soddisfazione sempre maggiore.
Lisimba era ammirevole ed instancabile e Giovanna, delle volte, pensava che non le importava più di tanto aver perduto i lussi del suo matrimonio.
Una sera suonò l’interfono. C’era un collegamento tra la villa e la casetta del giardiniere, che veniva usato però molto di rado.
Rispose Lisimba, anche perché il marito non voleva nessun contatto, neanche verbale, con Giovanna.
Rimase un po’ in ascolto poi disse soltanto: ‘va bene signore.’ e mise giù.
Giovanna, domani c’è una festa alla villa e tu dovrai andarci.’
‘cosa ha detto esattamente, mio marito?’
‘sei sicura di volerlo sentire?’
‘sì, sono sicura.’
‘va bene. Ha detto domani alle 19 c’è una festa ed è necessaria la presenza ‘
‘ la presenza della troia. Deve essere qui un’ora prima, con il vestito azzurro.’
Il giorno dopo Giovanna si preparò con cura e con largo anticipo. Non voleva mancare un’occasione per cercare di farsi perdonare da suo marito, anche se, conoscendolo, era parecchio scettica.
Quella sera erano stati invitati diversi colleghi di Giorgio. Erano tutti primari dell’ospedale in cui lui lavorava, tranne un paio, che dividevano il loro tempo tra una clinica privata e l’insegnamento universitario.
‘aspetta un momento, metti questa, sul vestito sarà perfetta. Ricordati di restituirmela prima di andar via.’
Le stava porgendo una collana di perle naturali che le aveva regalato due anni prima, alla fine di una vacanza.
Quando l’aveva cacciata di casa, le aveva permesso di prendere i vestiti e le scarpe, ma sui gioielli era stato irremovibile.
Ricordava anche cosa le aveva detto allora: ‘devi ringraziarmi per non averti fatto uscire da questa casa nuda e scalza, ma i gioielli che IO ti ho comprato rimangono qui.’
Cominciarono ad arrivare gli ospiti e Giorgio si comportava con loro in maniera naturale, come se quella fosse una serata come tante altre.
Le sussurrò nell’orecchio ‘sorridi, sorridi troia’.
Giovanna avrebbe voluto mettersi a piangere, scappare via, ma non poteva.
Si allontanò dal marito e provò a parlare un po’ con le mogli dei suoi colleghi, che conosceva appena, per cercare di non pensare alla sua situazione.
Finita la cena lui la prese un attimo in disparte.
‘ora viene il bello della serata. Tu devi intrattenere un po’ le signore, mentre io porto i miei amici giù di sotto, alla sala hobby, per fargli vedere qualche bel filmato. Vediamo se indovini di cosa si tratta?’
‘oddio, no! Ma sei impazzito? Vuoi far vedere a tuttti …’
‘ma no, non a tutti, solo ai maschietti. Non sarebbe elegante deliziare le signore con le tue prodezze. Lascerò ad ognuno di loro il compito di raccontare, con le parole giuste, quello che hanno visto. Oppure, se preferisci, posso rimanere io con le signore e il film glie lo spieghi tu ai miei colleghi. Potresti fare anche qualche dimostrazione pratica estemporanea.’
Non aspettò la risposta di Giovanna e batté due volte le mani.
‘un attimo di attenzione.
Ho promesso di far vedere ai miei colleghi un filmato su alcune nuove tecniche della medicina, che mi è appena arrivato. Suppongo che le signore non siano interessate, quindi loro potranno rimanere qui con la padrona di casa, mentre non ci trasferiamo al piano di sotto.
Prometto che ruberò poco tempo ai vostri mariti.’
Giovanna era rimasta con le signore.
Guardava ogni momento la porta a vetri che conduceva al piano di sotto.
Quando si sarebbe aperta lei sarebbe stata una donna finita.
Le altre continuavano, ignare, a conversare amabilmente.
Lei sentiva arrivare ogni tanto qualche brandello di conversazione, ma il suo sguardo e la sua mente erano sempre fissi su quella dannata porta.
Finalmente rientrarono.
Giorgio, davanti a tutti, aveva un sorriso beffardo stampato sulle labbra.
Gli altri seguivano in silenzio, ma tutti, proprio tutti, appena entrati nel salone, con lo sguardo andarono a cercarla.
La stavano guardando con insistenza, senza ritegno, lei non era più la signora di un loro illustre collega, era soltanto la troia che si faceva scopare dal giardiniere negro.
Sicuramente si stavano chiedendo quanto fosse largo il suo culo dopo che il negro ci era passato decine di volte, oppure se lei riusciva a ficcarselo completamente in bocca senza soffocarsi.
Durò pochi secondi, poi ognuno di loro raggiunse la rispettiva consorte.
Così ora stavano riferendo alle mogli cosa avevano visto nello scantinato.
Giovanna sentiva appena il brusio sottovoce delle persone più vicine, ma non aveva certo bisogno di sentire le parole.
Ora era rimasta sola, al centro della sala, sotto gli sguardi di tutti.
Poteva immaginare i pensieri di quelle donne, giovani e vecchie, belle e brutte, che la fissavano, incuriosite, scandalizzate o addirittura schifate.
Avrebbe voluto sparire, fuggire via, ma lo sguardo di Giorgio, in piedi, dall’altra parte della sala, appena appoggiato al grande pianoforte a coda, era più che sufficiente a mantenerla inchiodata lì.
La serata finì prima del solito, data la situazione imbarazzante, e gli invitati se ne andarono alla spicciolata.
Tutti salutarono e ringraziarono Giorgio, mostrando di comprendere la sua triste situazione, e, naturalmente, ignorarono Giovanna.
Solo un paio di loro, sotto lo sguardo vigile e preoccupato delle mogli, le fecero appena un cenno di saluto, prima di uscire.
‘bene. La festa è finita. Puoi ridarmi la collana e tornare a farti scopare dal tuo bel negrone.’
‘Giorgio, ti prego, ma perché …’
‘la collana.’
Giovanna si tolse la collana e lui la spinse fuori, chiudendo subito la porta a vetri che dava sulla piscina.
Quella sera Giovanna ebbe quasi una crisi isterica e Lisimba impiegò parecchio prima di riuscire a calmarla e farsi raccontare cosa era accaduto.
‘Lisimba, non ce la faccio più. Ti prego, portami via di qui.’
‘e dove andiamo? Io non ho soldi e tu neanche. Che facciamo fuori da qui, senza casa e senza lavoro?’
Lui aveva ragione. Giorgio l’avrebbe costretta a rimanere fino a che lo avrebbe voluto e poi…
Cosa sarebbe successo alla fine?
L’avrebbe riammessa in casa, dopo la terribile punizione oppure l’avrebbe comunque cacciata?
Sicuramente, dopo che l’aveva svergognata davanti a tutti i suoi colleghi, lei non avrebbe più potuto essere la sua signora.
E allora perché prolungare questa lunga ed inutile agonia?
‘Giovanna, ti sei fatta più bella.’
‘ma no, sto diventando ogni giorno più brutta, e poi mi sto ingrassando, a forza di stare sempre chiusa qui dentro.’
Erano a letto e lui le stava carezzando il sedere nudo.
‘ingrassata? Ma vuoi scherzare?
Prima avevi la pancia troppo piatta, e poi, hai fatto un culo fantastico, molto meglio di prima.’
‘non è vero, lo dici solo per consolarmi, sto diventando grassa e flaccida …’
Lisimba le aveva allargato le chiappe e lo stava lentamente infilando dentro.
‘ci credi ora, che mi piace?’
‘Sì, sì ‘ ci credo.’
Era bastata una settimana perché Giovanna dimenticasse, almeno parzialmente, la brutta avventura della festa.
Ma sì, suo marito l’aveva umiliata, tutti i suoi colleghi pensavano che era una troia, aveva perso ogni cosa ma gli restava Lisimba.
Lisimba ed il suo cazzo.
Sì.
Il piacere che provava con lui avrebbe supplito alla mancanza di tutto il resto.
Quella mattina, quando si era svegliata, Lisimba non c’era.
Si ricordò che doveva andare a riparare il muro di cinta, oltre il boschetto.
Non si sentiva bene. Le girava la testa ed aveva una nausea strana.
Andò in bagno e si passò un po’ d’acqua fredda sulla fronte, ma la nausea aumentava.
Le passò per un attimo un pensiero.
Era incinta?
Ma no, che fesseria, prendeva regolarmente la pillola da anni, perché suo marito non voleva figli.
Su questo era stato categorico quando si erano sposati.
‘se pensi di volere figli, ricordati che io non sono il marito che fa per te.’
Aveva continuato a prenderla anche ora che viveva con Lisimba.
Ne aveva ancora tre scatole di scorta, nell’armadietto del bagno.
Le mestruazioni.
Lei aveva sempre avuto un ciclo molto regolare.
Quando era stata l’ultima volta?
Aveva la testa vuota, non riusciva a ricordare.
Nella borsetta teneva un calendario tascabile sul quale metteva sempre un pallino rosso, in corrispondenza del primo giorno.
Rovesciò il contenuto della borsa sul letto e cominciò febbrilmente a rovistare.
Eccolo.
Ritardo! Maledizione, un ritardo di tanti giorni.
Non poteva essere, la pillola era sicura, quasi infallibile.
Andò in bagno, aprì l’armadietto e tirò fuori le medicine.
Nelle confezioni c’era il solito blister, con segnati i giorni della settimana in inglese, era tutto regolare.
Ne tolse una e la guardò.
C’era qualcosa di strano, ora che la stava osservando meglio, non le sembrava la solita pillola che prendeva da anni, poi guardò meglio il blister: era stato aperto e poi accuratamente richiuso, ma osservandolo da vicino, si vedeva qualche sbavatura di colla.
Perché? Perché Giorgio le aveva fatto una cosa del genere?
Poteva essere stato solo lui.
Non poteva essere incinta. In quella situazione.
Si mise una vestaglia addosso e corse fuori, scalza, incurante della pioggia fitta che scendeva da un paio d’ore e che aveva inzuppato il terreno.
Cominciò a tempestare di pugni la grande porta a vetri.
Lui era in poltrona e stava leggendo il giornale, ma si alzò subito e venne ad aprire.
‘cosa vuoi, troia?’
‘sono incinta?’
‘E’ normale che tu sia incinta.
Ragiona, hai trentasette anni, sei in ottime condizioni di salute e non hai alcun problema di tipo ginecologico, sei quella che si dice una donna pienamente fertile.
Stai insieme ad un negrone che, da qualche mese, ti pompa dentro litri di ottimo sperma, pieno di vitalissimi spermatozoi e, ultimo ma sicuramente più importante, da un po’ di tempo, al posto della pillola anticoncezionale, stai prendendo un placebo.
Sai cos’è un placebo, vero?’
‘maledizione, ma perché?’
‘e me lo chiedi? Hai sempre detto che volevi un figlio, ed io ti ho accontentato, ho pensato che se ti piaceva tanto il tuo negrone, avresti avuto piacere anche a farci un figlio.
Certo non potrò accoglierlo in casa, il bimbetto color cioccolata, tutti penserebbero al giardiniere, vedendo la sua carnagione. Non trovi?’
‘ma io non posso avere un figlio in queste condizioni. Devo abortire.’
‘e perché mai? Sei in ottime condizioni di salute, te lo dico come medico, e puoi tranquillamente portare a termine una gravidanza normale. Non ci penso per niente a farti abortire.
Ti devi rassegnare, dovrai sentire crescere dentro di te quel piccolo coso nero.’
‘come farò ad allevarlo in quella casetta minuscola? Non c’è spazio neanche per me e …’
‘io non ti ho detto che dovrai allevarlo, ho detto solo che lo dovrai partorire.
Per il resto non so, ci devo ancora pensare.’
Giovanna era scappata via in lacrime.
Ora la loro situazione si era fatta anche più grave, perché una fuga, già difficile date le loro condizioni, era praticamente impossibile con lei incinta, o peggio, con un bambino piccolissimo.
‘Lisimba, portami via! Ha detto che dopo, mi toglie il bambino. Vuole farmelo fare per forza, per poi togliermelo. Perché?
Portami da te, in Kenya.’
‘in Kenya? Me sei impazzita?’
‘ci sono stata anni fa, con mio marito. E’ bello.’
‘scommetto che sei andata a Malindi, e poi ti hanno portato a vedere qualche animale in un parco, con un aereo da turismo.’
‘sì, come lo sai?’
‘e tu pensi che il mio Kenya sia quello?
Pensi che io sia venuto qui a tagliare l’erba e a pulire la piscina perché mi divertiva?
Giovanna io abitavo in una baracca di lamiera e dovevo fare tutti i giorni dieci chilometri a piedi per andare a scuola.
E poi non ho soldi per l’aereo.
Dai, vieni qui e non pensarci.
Ecco perché stavi ingrassando.
Il tuo culo migliora di giorno in giorno.’
Le aveva abbassato le mutandine e le stava carezzando le chiappe.
Lui adorava infilarglielo lì, e Giovanna pensò che, mano mano che sarebbe cresciuto il bambino, sarebbe stato più prudente evitare il davanti.
Cominciò a toccarla in mezzo, era appena bagnata ma si stava già aprendo.
Quando le prese il clitoride tra due dita lei cominciò a muoversi.
Sicuramente il marito stava riprendendo tutto. Aveva sistemato diverse telecamere nascoste e gli aveva proibito di toglierle o coprirle.
Cominciò a spingerglielo dentro e Giovanna gridò di piacere; stava cercando di agevolarne l’ingresso e, quando lo sentì sufficientemente dentro, cominciò a muoversi lentamente per stuzzicare Lisimba.
Era come un grande felino. Una volta lui gli aveva detto che il suo nome indicava proprio il leone, in Tanzania, da dove era venuta sua madre.
E il leone abboccò subito. L’aveva afferrata forte per le spalle e lo sentiva spingere con forza dentro di lei.
Giorgio, maledetto guardone. Schiatta!
Sì, mi faccio inculare dal mio negrone. Mi hai tolto tutto, ma questo non puoi levarmelo.
Mi faccio inculare e godo come tu non puoi neanche immaginare.
Poi lo farò entrare nella mia fica e lui mi scoperà fino a che non mi sentirò scoppiare e, per finire, gli farò un pompino che tu non osi neanche immaginare.
E lo farò tutti i giorni.
Continua pure a riprendere.
Metti in fila tutti quei maledetti dvd, ti torneranno utili per farti le seghe, stronzo.
Lisimba le era venuto dentro. Aveva sentito, con le ultime sue contrazioni, più forti delle altre, lo sperma che la inondava.
Le era bastata un’ultima toccatina al clitoride gonfio e duro, per raggiungerlo in paradiso.
Era arrivata all’orgasmo con rabbia, pensando a Giorgio ed a tutto quello che le aveva fatto.
Ora l’avrebbe fatto entrare davanti.
‘piano Lisimba, ricordati il bambino’
Il bambino. Aveva diversi mesi di tempo per pensare a come risolvere la situazione.
Il tempo passava, la pancia di Giovanna cresceva, il suo corpo si modificava, ma per Lisimba non era cambiato nulla e continuava a scoparla con lo stesso impegno di prima.
Giovanna non aveva più messo piede nella villa, perché Giorgio si disinteressava completamente di lei, che, arrivata ormai al settimo mese, mostrava una pancia decisamente voluminosa.
Quel pomeriggio pioveva, più o meno che l’ultima volta quando Giovanna, sconvolta, era corsa a bussare alla villa.
Il suono inaspettato dell’interfono li fece sobbalzare entrambi.
‘sì, signore.’
Giovanna lo guardava ansiosa di capire il significato della conversazione.
‘va bene signore.’
Aveva messo giù.
Devi andare da lui, subito.
Giovanna si vestì. I suoi vecchi abiti non le andavano più e Giorgio le aveva impedito di prenderne altri.
Sopra aveva messo una felpa, senza reggiseno, perché le tette le si erano gonfiate e quelli che aveva portato dalla villa erano di due taglie più piccoli.
Per il sotto si era fatta dare da Lisimba i pantaloni di una sua tuta, perché i suoi vestiti attillati non avrebbero mai potuto contenere il pancione che si portava appresso.
Si mise un paio di zoccoli, prese l’ombrello che lui le porgeva ed uscì.
La pioggia fitta le ricordò subito l’ultima volta che aveva fatto quel tragitto e la sgradevolezza della conversazione con Giorgio.
La porta a vetri era semi aperta e lui l’aspettava nel salone.
‘hai un aspetto un po’ malmesso. E’ la gravidanza che ti affatica troppo oppure è il grosso cazzo del tuo negrone che ti comincia a pesare?’
‘Giorgio …’
‘ti ricordi il prof. Maletti?’
Solo allora Giovanna si accorse che non erano soli: seduto sul divano c’era un uomo.
Certo che ricordava Maletti, era uno dei colleghi di Giorgio ed era anche presente a quella festa.
Lo ricordava perché era l’unico ad avere la moglie di colore.
Una donna bellissima, alta e magra, che aveva fatto l’indossatrice prima di sposarsi.
‘il dott. Maletti, era rimasto molto impressionato dal filmato dell’altra volta.
Gli ho fatto avere, in seguito, parecchie delle tue performance migliori, ed ha espresso il desiderio di cimentarsi anche lui.
Oltretutto è molto attratto dall’idea di farlo con una troia incinta.
Ora tu, prima di …’
Giorgio, per favore questo non puoi …’
‘zitta, non mi interrompere. Non ti sto chiedendo di fare una cosa, ti sto dando un ordine.
Tu ora vai in bagno, dovresti ricordarti la strada, ti fai una bella doccia e cerchi di darti un po’ una sistemata, poi lo vai ad aspettare nella stanza degli ospiti.’
Dopo aver fatto la doccia, lasciò i vestiti in bagno ed andò nella camera degli ospiti.
Giorgio non era ancora soddisfatto, dopo aver umiliata davanti a tutti, ora aveva deciso di offrirla ad un collega.
Magari tra qualche giorno l’avrebbe chiamata nuovamente per farla provare a qualcun altro.
Entrò Maletti e subito chiuse la porta.
Accidenti a lui. Non gli bastava la moglie bellissima che aveva.
Senza dire nulla si era spogliato e glie l’aveva subito infilato nel culo.
‘che fai? Perché non ti muovi come quando sei con il tuo bel negrone?’
Giovanna cominciò a muoversi.
Ci impiegò parecchio tempo e lei cercò di non eccitarsi. Doveva succedere solo con Lisimba.
Cominciò poi a toccarla.
‘dai, ora voglio infilzare questo bel pancione, ma prima devi essere pronta.’
La stava toccando sempre più in profondità e lei sapeva che non avrebbe retto ancora per molto.
‘ma che bel pisellino che hai qui. Che succede se lo stuzzico un po’?’
Le aveva stretto il clitoride tra l’indice ed il medio, entrambi piegati, e stava muovendo alternativamente le due dita.
‘ecco, ora mi sembra che vada meglio. Senti come sta diventando duro.’
Giovanna aveva cominciato ad ansimare, non avrebbe voluto, ma le era assolutamente impossibile resistere.
Quando lo infilò dentro non potè fare a meno di gridare.
Maledetto, sbrigati, prima che io raggiunga l’orgasmo, non voglio godere con te.
Entrava ed usciva, sbattendo sulla sua pancia prominente, e lei si sentiva sempre più bagnata, mentre il clitoride pulsava e sembrava quasi voler scoppiare.
Forse, il provare a trattenersi era stato anche peggio.
Basta, era meglio farla finita, così, per un attimo pensò che dentro di lei ci fosse Lisimba, e l’orgasmo arrivò di colpo, improvviso ed incontenibile, al punto che prese di sorpresa anche l’uomo, che arrivò giusto in tempo, quando lei ormai si stava abbandonando sul letto.
‘adesso facciamo una piccola pausa, poi voglio vedere come lo sai succhiare.’
Si era acceso una sigaretta.
Lisimba non avrebbe aspettato tutto quel tempo.
Lisimba era molto meglio.
Lisimba ‘
Erano tanti mesi che si metteva in bocca il pene di Lisimba, grande e nero e le era sempre piaciuto, ora invece, per la prima volta dopo tanto tempo, ebbe un conato di vomito quando lui le avvicinò quell’affare sporco di sperma.
‘che c’è? Non ti piace? Lo preferisci di un altro colore? Puliscilo bene prima, so che lo sai fare, ho visto come lavori bene con la lingua. Dai sbrigati che poi ti rimandiamo a casa.’
E così finì il lavoro per cui era stata mandata a chiamare.
Uscì dalla stanza nuda come era entrata e si diresse verso il bagno. Si sarebbe lavata e poi avrebbe recuperato i suoi vestiti.
‘dove vai troia? L’uscita è da questa parte. La doccia te la fai a casa del tuo negretto. Riprenditi i tuoi stracci.
Fuori di qui.’
Giorgio, le stava porgendo la felpa ed i pantaloni con cui era entrata e le indicava la porta aperta.
Giovanna si vestì in fretta. Si sentiva fradicia in mezzo alle gambe ed aveva la faccia sporca di sperma.
Fuori diluviava e lei aveva dimenticato l’ombrello, ma Giorgio aveva già chiuso la porta e così si incamminò mestamente sotto la pioggia.

Fortunatamente, Giorgio non la fece più chiamare, né per Maletti né per qualcun altro dei suoi colleghi.
Lisimba, quando quella sera l’aveva vista tornare in condizioni pietose si era infuriato ed aveva preso un specie di machete, che usava a volte per rendere praticabile il sentiero del boschetto.
Voleva uccidere quel bastardo. Era veramente fuori di sé e, per la prima volta, parlando di suo marito, non aveva detto il signore.
Ci mise una mezzora buona per calmarlo. All’inizio, egoisticamente, aveva pensato di lasciarlo andare, in un sol colpo si sarebbe vendicata delle angherie di suo marito e se ne sarebbe anche liberata, però voleva bene a Lisimba e quindi lo fermò.
Lui l’aiutò a lavarsi poi andarono a dormire.
L’ultimo periodo passò in maniera decisamente tranquilla.
Giovanna si muoveva di meno perché la grande pancia la intralciava nei movimenti e si stancava subito, ma a letto no.
I loro rapporti non si erano affatto diradati, l’unica differenza era che il suo compagno, consapevole della condizione di Giovanna, cercava di tenere a freno la sua esuberanza.
Quando erano ormai al nono mese, suonò l’interfono.
‘passami la troia.’ Disse a Lisimba senza preamboli.
‘fra pochi giorni tu partorirai. Il bambino nascerà in casa. D’altra parte sono un medico e credo di essere in grado di far nascere un bambino.
Mi sono preso un po’ di giorni di ferie e non mi muoverò da casa.
Quando romperai le acque (e ti assicuro che te ne accorgerai), mi chiamerai con l’interfono e poi verrai alla villa, da sola.’
Tre giorni dopo, nel primo pomeriggio, Giovanna si era appisolata, mentre Lisimba era andato fuori a sistemare della legna.
Si svegliò nel letto tutto bagnato e capì che era giunto il momento.
Quando arrivò alla villa Giorgio la condusse nella stanza degli ospiti, dove aveva allestito una specie di sala parto.
Per la prima volta, dopo tanto tempo si trovava da sola con suo marito e si rese conto che le sembrava un estraneo.
Il letto, dove due mesi prima era stata con Maletti era rivestito da un lenzuolo bianchissimo e da una parte, su un tavolinetto, era stata disposta una serie di attrezzi.
Le scoprì la pancia gonfia e l’auscultò con cura.
‘il bambino sta bene. Nascerà in maniera assolutamente normale.’
In quel momento entrarono nella stanza il prof. Maletti e sua moglie.
Che ci facevano quei due lì?
‘ti starai chiedendo perché Maletti e la sua signora siano qui.
Come ben sai anche loro non hanno figli, ma a differenza di noi, entrambi avrebbero voluto tanti bambini.
Purtroppo Constance, non potrà mai avere figli a causa di una malformazione congenita.
Restava l’adozione ma sono sposati da poco e lei non ha ancora la cittadinanza.
A questo punto, l’unica possibilità era trovare una madre in affitto, che poi cedesse il figlio a loro.
La cosa, per essere credibile, era possibile solo con una donna di colore, altrimenti nessuno avrebbe creduto che il bambino fosse figlio di Constance.
Stavano cercando una donna africana sana e disposta a farlo, quando è capitata la tua avventura con Lisimba ed ho pensato: non c’è differenza tra un bambino mulatto con padre bianco e madre nera ed uno con padre nero e madre bianca.
Perché non utilizzare una persona che avevo già in casa e potevo seguire giorno per giorno.
Lisimba era sanissimo, perché gli avevo fatto fare tutti i test possibili prima di assumerlo, e così ti ho fato lo scherzetto della pillola.
Da come scopavate, scusa Constance per il linguaggio, ero sicuro che ti avrebbe ingravidato in quattro e quattr’otto.
Ora tu scodelli il bimbetto, loro se lo portano a casa e dichiarano che è figlio loro, tu poi te ne torni tranquilla nella casetta del giardiniere.’
Giovanna era rimasta esterrefatta.
Non avrebbe mai potuto lontanamente immaginare una cosa del genere.
Ma che razza di persone erano?
Suo marito la guardava con aria trionfante: finalmente era riuscito a distruggerla.
Era un anno che la tormentava e la umiliava ed ora aveva raggiunto il suo obiettivo.
Maletti la guardava con un sorrisetto da schiaffi. Sicuramente ricordava bene cosa era successo in quella stanza solo due mesi prima. Ecco perché tanto interesse a lei, anche se lui non era il padre, aveva comunque voluto scoparsi la madre di quello che sarebbe diventato suo figlio.
Solo Constance, la moglie, aveva un’aria imbarazzata e dispiaciuta.
‘fuori! Fuori di qui, maledetti bastardi!
Fuori tutti e due.’
Aveva detto quelle parole urlando e piangendo.
‘ma Giovanna …’ per la prima volta dopo un anno non la chiamava troia.
‘io e Maletti siamo due medici e ti dobbiamo aiutare a partorire …’
‘ho detto fuori! Rimane solo lei. Se vuole il mio bambino se lo deve prendere.’
Era rimasta sola con Constance che aveva un’espressione disperata.
‘non fare quella faccia, sono io che devo partorire e sono io che non vedrò più mio figlio.’
Arrivarono le prime contrazioni e Giovanna ricordò tutto quello che aveva letto durante la gravidanza.
Suo marito non si era opposto a farle avere dei libri sull’argomento ed ora capiva bene perché: aveva tutto l’interesse a far andare in porto l’operazione, visto che riguardava un suo amico.
In tutto ci vollero tre ore e, alla fine, Constance dovette chiamare suo marito perché il bambino era molto grosso e non riusciva a venir fuori.
Giovanna lo vide appena un attimo, nero e sporco di sangue, ma era vivo e piangeva.
Venne Giorgio a terminare il lavoro.
‘solo un paio di punti, era molto grande, quattro chili, ed abbiamo dovuto fare un taglietto.
Vacci piano quando riprendi l’attività con il tuo negretto.
Ah, giusto per tua curiosità, era una bella femminuccia. Peccato avrebbero preferito il maschio, ma ci sarà tempo per riprovarci.
Dai, ora devi alzarti e tornare alla tua casetta.’
‘Giorgio, per favore, non ce la faccio, lasciami qui solo per stanotte.’
‘no, assolutamente no.’
E così la fece alzare.
Giovanna non si reggeva in piedi assolutamente e fece una fatica terribile per arrivare fino al salone.
‘a proposito. Ti presento ‘Mbolo, il nuovo giardiniere.’
‘cosa?’
‘ho dovuto licenziare Lisimba, il tuo bel negretto, perché si stava affezionando troppo a te.
Voleva rimanere a tutti i costi, ma siccome era clandestino non ha avuto troppa scelta.
Gli ho dato un bel biglietto aereo ed anche un po’ di soldini. A quest’ora dovrebbe essere già in volo per Nairobi.’
‘no. Perché? Non ti basta tutto quello che mi hai fatto …’
”Mbolo è un ottimo giardiniere ed ha accettato con piacere il lavoro che gli ho proposto.
Naturalmente gli ho anche detto che in casa avrebbe trovato una troia da scoparsi tutti i giorni. Gli ho fatto vedere qualche dvd ed ha detto che era felicissimo di continuare il lavoro del suo predecessore.
Ora ti accompagnerà a casa.
Non ti preoccupare, gli ho detto, per qualche giorno, di mettertelo solo nel culo, non vorrei doverti ricucire di nuovo.’
E così se ne tornava nella casetta in fondo al parco, nel peggiore dei modi: senza il bambino ed in compagnia di un uomo sconosciuto, di cui avrebbe dovuto soddisfare gli appetiti sessuali.
Quella sera, nella casetta del giardiniere, Giovanna sperimentò subito le doti di ‘Mbolo.
Era da pochissimo in Italia e, a parte un dialetto africano incomprensibile, conosceva solo poche parole di Inglese, che mischiava tranquillamente con qualche termine italiano, malamente storpiato.
Così faticò parecchio a capire che aveva fame e lei doveva preparargli la cena.
Evidentemente non gli importava nulla se quella donna aveva appena partorito e non si reggeva in piedi.
Il tono della voce e l’aspetto minaccioso la convinsero che era meglio evitare discussioni e così gli preparò da mangiare.
Era più o meno alto quanto Lisimba, ma era brutto e grasso, con una faccia cattiva, tutta butterata ed emanava un odore orribile, un misto di orina e sudore.
‘Mbolo si sedette ed iniziò a divorare, usando alternativamente le posate e le mani, la cena preparata da Giovanna.
Lei ne approfittò per darsi una lavata e cambiarsi, visto che ormai, non avendo più la pancia, non era necessario ricorrere ai pantaloni della tuta.
Quando rientrò in cucina ‘Mbolo aveva appena finito di mangiare.
Si pulì con la manica la bocca bagnata dall’ultima sorsata di vino che aveva bevuto attaccandosi direttamente alla bottiglia, emise un potente rutto e si alzò.
Senza dire nulla, la prese per i lunghi capelli biondi e la trascinò in camera da letto.
Un attimo dopo Giovanna si trovava sbattuta sul materasso a pancia in giù.
‘Mbolo non perse neanche tempo a spogliarla: le infilò le mani in mezzo alle chiappe e le strappò le mutandine nere che si era appena messa, e, prima che lei potesse rendersi bene conto di quello che stava accadendo, si era trovata dentro il suo cazzo puzzolente, piantato bene in profondità.
Era troppo stanca per provare qualcosa, e poi, ‘Mbolo non aveva alcun interesse a lei, stava soltanto soddisfacendo un suo bisogno e lo aveva infilato nel primo buco a portata di mano.
Le brutte sorprese non erano ancora finite.
Quando uscì dal suo corpo, immediatamente, la fece rotolare giù dal letto a calci.
Non c’era spazio per Giovanna su quel letto e, poiché quello era l’unico posto su cui sdraiarsi, in quella piccola casa, per la sua schiava restava solo il pavimento.
Quando lei, avvolta in una coperta per ripararsi dal freddo che emanavano le piastrelle, si addormentò, ‘Mbolo, piazzato proprio in mezzo al materasso, a pancia in giù e con le gambe divaricate, russava rumorosamente.
La mattina successiva, quando Giovanna, piena di dolori, per il parto recente e per aver dormito sul pavimento, si svegliò, il suo nuovo compagno non c’era.
I guai ricominciarono quando ‘Mbolo tornò a casa.
Iniziò subito a gridarle insulti incomprensibili poi, improvvisamente, la colpì con un pugno in faccia che la mandò a sbattere contro il mobile della cucina.
Era ancora seduta per terra, stordita e dolorante, quando lui la rimise in piedi tirandola per i capelli.
Con l’altra mano cominciò a prenderla a schiaffi. Dei colpi violentissimi che le facevano girare la testa da una parte e dall’altra, alternativamente.
Solo alla fine comprese che era adirato con lei perché non aveva trovato il pranzo pronto.
Quando, dopo aver preparato da mangiare, riuscì ad andare in bagno e si guardò allo specchio, le prese un colpo.
Oltre ad un ematoma enorme, sullo zigomo destro, dove era stata colpita dal pugno, il suo viso, gonfio e pieno di lividi bluastri, sembrava una maschera grottesca, e, come se non bastasse, perdeva sangue dal naso ed aveva un profondo taglio al labbro.
La sera fece in modo di preparare la cena per tempo e filò tutto liscio.
Per il futuro avrebbe dovuto sempre fare in modo di prevenire le sue richieste, e così, quando lui si alzò, Giovanna andò direttamente in camera da letto, per non farsi nuovamente prendere per i capelli.
Inaspettatamente, quando lei si sdraiò sul letto, ‘Mbolo cominciò a colpirla selvaggiamente con la cinghia dei pantaloni.
Cosa aveva fatto di sbagliato, questa volta?
Lo capì solo dopo un po’, quando ormai il suo sedere era pieno di segni violacei.
In mezzo alle sue urla, aveva sentito qualcosa tipo ‘mutandi’.
Non voleva che mettesse le mutande, evidentemente, voleva essere libero di ficcarglielo nel culo quando voleva, senza perdere tempo.
Questa volta lo fece due volte e, alla fine, se lo pulì strofinandolo per bene sulle gambe di Giovanna.
Per qualche giorno riuscì ad evitare le botte, facendo molta attenzione: pranzo e cena dovevano essere in tavola al suo arrivo, ma non da troppo tempo, perché non amava mangiare le cose fredde, niente mutande, quando aveva finito di scoparla doveva essere rapidissima a liberare il letto, ecc…
Aveva cominciato a farsi fare dei pompini da lei.
La prima volta, stavano in cucina e lui, dopo aver finito di mangiare, si era piazzato con la sedia in mezzo alla stanza, si era aperto i pantaloni e le aveva indicato, con una mimica molto eloquente, cosa doveva fare.
Giovanna, presa alla sprovvista, aveva gridato che non voleva farlo.
Certo, pensando alle botte che rischiava di prendere, si era pentita subito del suo gesto impulsivo, ma ormai era troppo tardi.
L’aveva fatta inginocchiare per terra e le aveva legato le caviglie con lo scotch da pacchi che aveva preso dal cassetto della cucina, poi le aveva fatto mettere le braccia dietro la nuca e le aveva legato anche i polsi.
Quando lo vide prendere lo spazzolone per lavare i pavimenti e svitare la parte terminale, tenendone soltanto il manico, cominciò a tremare.
La prese a bastonate con metodo. Decine di colpi, sulla schiena, sul petto, sulla pancia, sufficientemente forti da togliere il respiro per il dolore che causavano, ma non abbastanza da romperle le ossa.
Solo più tardi, quando, rimasta sola, si tolse i vestiti, si rese conto della durezza della punizione che le aveva inferto.
Alla fine spezzò in due il bastone, sul ginocchio e glie ne ficcò una metà nel culo, spingendolo bene in profondità.
Quando si spostò con la sedia in avanti, avvicinandosi a lei, Giovanna aprì la bocca e, docilmente, richiuse le labbra sul suo pene.
Fece il suo dovere fino in fondo, senza entusiasmo ma senza tirarsi indietro.
A lui sembrò andar bene e, quando venne il momento, la costrinse ad ingoiare tutto, tenendole a lungo la bocca chiusa a forza.
La obbligò pure a bere un bicchiere di vino rosso.
Giovanna, da quel giorno dei Martini, sul bordo della piscina, non aveva più bevuto alcolici, e le fece uno strano effetto, sentire il sapore del vino mischiato a quello dello sperma.
Se ne andò a lavorare in giardino dopo averle tagliato lo scotch che le bloccava polsi e caviglie, lasciando a lei il compito spiacevole di sfilarsi il bastone dall’ano.
Dopo un paio di settimane cominciò a scoparla anche davanti. Evidentemente, riteneva pronto anche l’altro buco.
Sì, per ‘Mbolo lei non era una donna, era solo un bel pezzo di carne con dei buchi, in cui lui infilava il suo grande cazzo nero, per provare piacere, soltanto questo.
Per la prima volta in vita sua, Giovanna si accorse di non provare nulla mentre scopava. Lo faceva soltanto per evitare danni, poi, la notte, stretta nella coperta, si masturbava pensando di essere con Lisimba.
Scoprì che, quando usciva, ‘Mbolo la chiudeva sempre in casa e si portava la chiave appesa al collo.
Lei aveva trovato, in fondo ad un cassetto, un’altra chiave, ma non aveva il coraggio di usarla, perché temeva la reazione del suo irascibile coinquilino.
La conservò soltanto pensando ad una qualche possibile emergenza.
Un giorno ‘Mbolo entrò in casa con un grande sacco di tela grezza, aprì l’armadio e cominciò a metterci dentro tutte le cose di Giovanna.
Biancheria, vestiti, scarpe. Stava ficcando tutto dentro, senza neanche prendersi la briga di togliere le stampelle.
Giovanna guardava, incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
Alla fine le indicò i vestiti che aveva addosso e lei, rimase nuda.
Da quel momento sarebbe stata nuda, sempre, giorno e notte. Al massimo, se aveva freddo, poteva avvolgersi nella coperta che usava per dormire.
Circa due mesi dopo il suo rientro nella casetta con ‘Mbolo, le tornarono le mestruazioni.
Il suo organismo, dopo il parto stava tornando alla normalità, ma per quanto tempo?
Cominciò a contare i giorni, ma il mese successivo, non accadde nulla.
‘Mbolo la scopava regolarmente tutti i giorni, non avrebbe avuto scampo, sarebbe rimasta incinta di nuovo.
Prestava attenzione ad ogni piccolo dettaglio, cercando di ricordare come si era sentita la volta prima.
Quando una mattina, appena alzatasi, dovette correre in bagno a vomitare, ne fu sicura.
Era incinta, di quel mostro, di quel lurido animale.
Perché?
Ricordava le parole di suo marito quando aveva partorito la bambina.
Evidentemente, ora doveva produrre il maschietto per il prof. Maletti e sua moglie.
Alla fine dei nove mesi le avrebbero sicuramente tolto il bambino.
Se fosse stata un’altra femmina?
L’avrebbero lasciata con ‘Mbolo finché non fosse riuscita a scodellare quello giusto?
Comunque riuscì a spiegare a ‘Mbolo il suo stato.
Come supponeva, la cosa lo lasciò indifferente, ma stette più attento.
Sicuramente, la salute del bambino era considerata importante e, da quel giorno, non la picchiò più sulla pancia, limitandosi al resto del corpo.
Perché ‘Mbolo continuava a picchiarla, per i motivi più futili, tranne quando beveva.
Quando beveva, infatti, la picchiava senza alcun motivo, tranne quando beveva troppo.
Quando beveva troppo si addormentava con la testa nel piatto, in cucina, e lei aveva un paio d’ore di tregua. L’unica scocciatura era pulire il suo vomito dal tavolo e dal pavimento.
Diverse volte aveva pensato di avvelenarlo con una bella cucchiaiata di topicida nella minestra, ma non aveva il coraggio di fare una cosa simile e così tirava avanti.
Vedeva il suo corpo deformarsi ed afflosciarsi, perché una donna vicina ai quaranta anni come lei, senza nessuna cura fisica, è destinata a sciuparsi rapidamente.
Da quando era stata segregata in quella casetta, non aveva più visto un centro di bellezza, e la sua pelle era un vero disastro.
I capelli poi, lasciati incolti da più di un anno, erano cresciuti in maniera disordinata, e, qua e là, apparivano diversi fili bianchi.
Le mani erano spaccate e screpolate perché in quella casa non c’era la lavatrice ed era costretta a lavare tutto a mano.
Il suo corpo si stava sfasciando: i seni cadenti, la pancia piena di smagliature, in parte dovute alla gravidanza, in parte alla sua mancanza di movimento causata dalla prigionia, mentre il suo bel culetto magro e sodo, si era allargato ed appiattito.
Ora, da quando ‘Mbolo le aveva tolto i vestiti, aveva questo sfacelo davanti agli occhi ogni momento della giornata.
L’unica cosa che non mancava era il cibo e così, per noia e per disperazione, aveva preso a mangiare senza ritegno.
Ingrassava a vista d’occhio e, naturalmente anche la sua pancia cresceva, ma per tutt’altro motivo.
Dentro di lei cresceva il figlio di ‘Mbolo.
Stava portando in grembo il figlio di una bestia, una lurida bestia, incapace di provare qualsiasi sentimento.
Eppure nonostante questo, non riusciva a provare rancore per quel bambino, anzi non riusciva neanche ad odiare suo padre. Provava solo schifo per quell’essere che la trattava non come una schiava, ma come un oggetto.
Odiava invece, con tutte le sue forze, Giorgio.
Quando suo marito l’aveva costretta a vivere nella casetta con Lisimba, aveva pensato che, dopo una punizione solenne, l’avrebbe perdonata o, almeno l’avrebbe riammessa in casa. Credeva che, se non l’aveva scacciata subito, prima o poi sarebbe tornato sui suoi passi.
Quando poi era dovuta tornare lì con ‘Mbolo, aveva capito che non avrebbe avuto mai pietà di lei e che avrebbe fatto di tutto per distruggerla.
Si rendeva conto che, a meno di un miracolo, il suo destino era segnato, e la sua vita aveva preso una china discendente che l’avrebbe portata all’annientamento totale in breve tempo.
A meno di un miracolo.
Lei non aveva mai creduto ai miracoli e quindi, quando quella mattina suonò l’interfono con la villa, la cosa la lasciò indifferente.
Giovanna non aveva il permesso di rispondere all’interfono, quindi, se ‘Mbolo non era in casa, Giorgio avrebbe richiamato più tardi o, se era urgente, l’avrebbe cercato nel parco.
Suonava sempre un paio di volte, due trilli brevi e distanziati tra di loro.
Quella volta, invece era stato un suono prolungato, come se si fosse incantato il pulsante.
‘Mbolo era appena uscito e sarebbe tornato tra diverse ore.
L’interfono suonò ancora, a lungo, e Giovanna, istintivamente rispose.
‘…aiuto…’
‘Giorgio’
‘Giovanna ‘ aiuto…’
Chiedeva aiuto e non l’aveva chiamata troia, come ormai faceva da più di un anno.
Prese la chiave dal cassetto e uscì di corsa avvolta nella coperta.
Non aveva idea del perché stava facendo una cosa simile.
Se stava male, che schiattasse. Non erano affari suoi, e poi ‘Mbolo, quando si sarebbe accorto della sua fuga, le avrebbe staccato la pelle a bastonate.
La porta a vetri era chiusa e la casa sembrava vuota.
Solo guardando meglio scorse il corpo del marito semi disteso nel grande salone, ad un metro dal telefono.
Non era certo in grado di venirle ad aprire, quindi, l’unica cosa era sfondare la vetrata.
Scoprì quanto in realtà sia difficile rompere un vetro, in apparenza così fragile.
Il primo colpo, che vibrò usando una sedia di ferro da giardino, non ottenne alcun effetto e lei rimbalzò all’indietro, rischiando di cadere.
Soltanto al terzo tentativo la vetrata si infranse e riuscì ad entrare, facendo attenzione a non ferirsi i piedi nudi.
Giorgio era ancora vivo, dopo aver citofonato, aveva cercato di raggiungere il telefono, ma era crollato ad un metro dalla meta ed ora stava lì, con il braccio proteso inutilmente verso il tavolino tondo dove troneggiava l’apparecchio che forse avrebbe potuto salvarlo.
Era sudato ed aveva paura.
Un infarto.
Giovanna si accorse di aver detto la parola ad alta voce.
Il marito fece cenno di sì con la testa poi disse con voce strozzata ‘chiama ‘ telefona’
il grande medico, che sconfiggeva le malattie più difficili, era stato battuto da un banalissimo infarto.
L’illustre professore, protagonista dei più importanti convegni medici mondiali, stava morendo e non era in grado di salvare la vita di se stesso.
Forse una telefonata tempestiva lo poteva salvare, ma lui non era in grado di farla.
Poteva farla sua moglie, o meglio, la troia.
Certo, era più di un anno che la chiamava così ed ora lei, se avesse dimenticato questo, se avesse dimenticato anche tutto il resto, forse avrebbe preso in mano quel telefono ed avrebbe chiamato il 118.
Giovanna era sicura che Giorgio stesse pensando a qualcosa del genere.
Si sedette per terra, vicino a lui, ma non così vicino che il marito potesse in qualche modo toccarla e prese il telefono dal tavolinetto.
Giorgio la guardava, incapace di parlare, ma il suo sguardo era una supplica disperata.
Giovanna tirò un po’ il cavo e si mise l’apparecchio sulla pancia.
‘sono al quinto mese. Si vede la pancia vero?
Mi sto divertendo da morire con il nuovo giardiniere, ma sicuramente lo sai, e magari hai collezionato tutti i dvd con noi due.
Tu ti starai chiedendo se farò o meno questa telefonata, perché è l’unica cosa che ti interessa, in questo momento. Vero?
Non ti voglio tenere sulle spine.
Tranquillo farò questa telefonata.
Dovrai solo aspettare un minuto.
Un minuto per ogni calcio che mi ha dato ‘Mbolo in questi mesi.
Un minuto per ogni pugno, per ogni schiaffo o per ogni bastonata.
Aspetterò un minuto per ogni volta che mi ha violentato, o me lo ha messo nel culo.
Ah, dimenticavo. Un minuto per tutte le volte che ho dovuto succhiare il suo affare schifoso.
Aspetterò.
Anzi, aspetteremo insieme, come è giusto che sia per marito e moglie.’
Non parlò più dopo quello sfogo e rimase a fissarlo mentre lottava con la morte.
Durò parecchio, suo marito, prima di afflosciarsi definitivamente a terra.
Lei aspettò ancora cinque minuti, per essere sicura, poi sollevò la cornetta e telefonò.
Quando arrivò l’ambulanza, Giovanna si era data una rassettata e aveva indossato un vestito trovato in casa.
Il medico, venuto insieme agli infermieri, non poté far altro che constatare il decesso.
Mentre lo stavano portando via, arrivò la moglie di Maletti.
Subito dopo la prima telefonata, Giovanna aveva chiamato a casa del collega del marito ed aveva detto a Constance, di venire al più presto alla villa per una cosa importante.
Le spiegò subito cosa era accaduto.
‘vuoi riprenderti la bambina?’
‘hai paura di questo vero?
Tra un po’ inizierà a parlare ed a camminare, ormai la sua mamma sei tu.
E poi dovrei spiegare troppe cose che invece preferisco tenere per me.
La storia finisce qui, mi terrò quest’altro bambino, cercando di non pensare a suo padre.
Io non parlerò e penso che tu farai altrettanto, visto che hai dei motivi migliori dei miei per tacere.
Ti voglio chiedere soltanto un ultimo favore: devo prendere un po’ di cose mie nella casetta del giardiniere e, per il mio stato, non posso fare troppi sforzi, ho pensato che tu mi potresti dare una mano.
Lascia pure qui la tua borsa, torniamo indietro tra cinque minuti’
Si incamminarono insieme nel parco. Giovanna guardò l’orologio, dovevano fare presto, perché ‘Mbolo sarebbe tornato a casa tra una mezzora.
Naturalmente non aveva nulla da prendere in quella casa, visto che tutte le sue cose erano finite in un sacco diversi mesi prima.
Doveva soltanto lasciare lì, al posto suo, una principessina di cioccolata.
Constance, ignara di tutto, entrò in casa, dopo che Giovanna ebbe aperto con la chiave.
Quando sentì la porta chiudersi si voltò ma non vide nessuno, capì che qualcosa non andava solo quando senti il rumore della serratura che veniva chiusa dall’esterno.
Giovanna si era portata appresso un blocchetto di post-it ed un pennarello.
Lasciò un biglietto attaccato alla porta:
DIVERTITI CON QUESTA
Sotto ci aggiunse uno scarabocchio che ricordava la firma di Giorgio e se ne andò, rimanendo comunque nelle vicinanze.
Sicuramente sarebbe andato su tutte le furie non trovando nulla da mangiare.
Quando lo vide arrivare si appostò fuori.
Si sentiva la voce di ‘Mbolo che gridava ma anche quella di Constance che gli rispondeva per le rime. Di certo lei non era abituata a trattare con persone così rozze, ma se ne sarebbe presto accorta.
Sentì un colpo sordo, seguito da un grido di Costance, poi altri colpi, accompagnati da grida sempre più acute.
Lui aveva ripreso ad insultarla e, tra un strillo e l’altro si sentivano i singhiozzi disperati della donna.
Andò a farsi un giro. Sarebbe ripassata più tardi, a vedere come se la cavava.
‘Mbolo si trattenne fino alle quattro del pomeriggio, sicuramente aveva trovato interessante la novità.
Prima di tornare alla casetta, prese il cellulare dalla borsetta di Constance e cercò il numero del marito.
‘dimmi cara’
‘no. Non sono la tua cara Constance. Sono la troia che ti sei divertito a scopare.
Non mi interrompere e stammi bene a sentire.
Giorgio mio marito è morto poche ore fa. Un infarto.
Quindi il gioco che avete portato avanti fino ad ora è finito.
Devi farmi solo una cortesia.
Vieni qui alla villa, vai alla casetta in fondo al parco e spiega a quel maiale che la sua opera di giardiniere (e non solo quello) non è più necessaria, gli dai un po’ di soldi di buonuscita, te lo carichi in macchina e lo metti sul primo aereo, treno, nave, quello che cavolo preferisce, purché questa sera sia lontano da qui.
Un’ultima cosa, cerca di fare presto perché è in dolce compagnia.
L’ho lasciato con la tua cara mogliettina, pensavo che avendo più o meno lo stesso colore, andassero d’accordo, ma ho l’impressione che non ci sia il giusto feeling tra loro due.’
Chiuse la comunicazione e tornò alla casetta del giardiniere.
Il marito di Constance, anche correndo come un disperato, avrebbe impiegato almeno un’ora, prima di arrivare.
Constance era in camera da letto, sdraiata per terra con la faccia in avanti.
Aveva i vestiti a brandelli ed era piena di lividi. In mezzo al suo culetto snello e rotondo, spuntava il manico dello scopettone.
‘allora, principessa, che ne pensi del giardiniere? Un tipo originale vero?
Che dici, lo togliamo questo scopettone dal culetto?’
Si lamentò appena mentre Giovanna sfilava con cautela il bastone dal suo ano.
Si ricordò che quando era capitato a lei, aveva dovuto fare da sola, ed era stato poco piacevole.
La mise a fatica a sedere sul letto.
Era veramente in uno stato pietoso, perché ‘Mbolo si era accanito su di lei, riempiendola di pugni e bastonate, oltre a violentarla più volte.
Aveva il setto nasale fratturato, la bocca piena di sperma e parlava a fatica.
‘perché?’
‘perché cosa?
Perché lui fa così? Perché è una bestia. Questo è il solo modo di comportarsi che conosce.
Ha fatto esattamente così con me, per otto mesi, tutti i santi giorni per otto mesi.
Ti chiedi come si fa a resistere? Semplice, se non hai scelta resisti, cercando di stare attenta, di non dargli occasioni.
Oppure volevi sapere perché io ti ho fatto questo scherzo?
Adesso te lo spiego.
Il tuo amato consorte, prima che nascesse la bambina, ha pensato di divertirsi con me.
Voleva togliersi lo sfizio di fottersi una troia incinta.
Ero alla fine del settimo mese ed ho dovuto fargli il servizio completo.
Sì, hai capito bene, principessina di cioccolata, intendo avanti, dietro ed anche in bocca. Ed è stato anche molto esigente.
A proposito, quando te lo ficca in quel bel culetto magro, tu ti muovi un pochino per farlo godere di più, o rimani ferma come una statua di marmo?
Ha anche avuto da ridire sul pompino finale.’
‘E’ vero?’
‘certo che è vero. Prova a chiederglielo guardandolo bene dritto negli occhi.
Un’ultima cosa, poco fa ho chiamato tuo marito e gli ho detto cosa è accaduto.
Lui sta venendo a prenderti, ma ci impiegherà un po’.
Ti consiglio di cominciare a preparare la cena per il giardiniere, perché se quando torna non trova tutto pronto si incazza di brutto. è inutile che ti descriva quello che potrebbe succedere.’
Tre giorni dopo ci fu il funerale.
Fu una cerimonia singolare.
Davanti il carro grigio scuro, molto elegante, della miglior agenzia di pompe funebri della città, dietro la vedova sconsolata, con un vestito blu che non nascondeva minimamente la sua gravidanza.
Giovanna aveva scelto il blu, perché non amava il nero e poi, lei non era affatto in lutto: sotto i grandi occhiali neri, i suoi occhi non piangevano affatto.
Aveva scoperto che Giorgio non aveva parenti e quindi nessuno, oltre a lei, avrebbe seguito il feretro da vicino.
Dietro, a debita distanza, venivano gli amici e colleghi del defunto, con le rispettive consorti.
Mancavano soltanto Maletti e Constance, ma erano pienamente giustificati.
Molti di loro erano stati presenti a quella terribile festa, che Giovanna non avrebbe mai dimenticato, ed anche gli altri sicuramente sapevano, ma sostenne tranquillamente lo sguardo di tutti, quando si misero in fila e le fecero le condoglianze.
Finita la cerimonia, tornò a casa e si mise al lavoro, perché aveva un mucchio di cose da fare.
Passò giorni in casa a frugare tra i documenti ed a mettere a posto ogni cosa, in vista dell’imminente trasloco.
Giorgio non aveva toccato le sue cose e così scoprì che i vestiti che non aveva portato alla casetta erano rimasti tutti al loro posto.
Una volta, rovistando in soggiorno, le capitò tra le mani una bottiglia di Martini.
Tolse il tappo e annusò, le venne in mente che mille anni prima, fuori, davanti alla piscina …
Scoprì che suo marito era anche più ricco di quello che lei supponeva e, amministrando attentamente le rendite che venivano dai titoli e dagli immobili affittati, avrebbe potuto campare da signora per il resto dei suoi giorni.
Giorgio, forse perché convinto che lei fosse totalmente in suo potere, non aveva intrapreso alcuna azione nei suoi confronti, quindi Giovanna era a pieno titolo la vedova e, in assenza di parenti in vita, ereditava tutto.
Certo, c’era gente che sapeva della sua triste e sordida storia, ma dei tre protagonisti principali oltre a lei, uno era sottoterra, uno sperduto forse in Kenya e l’altro chissà dove.
In quanto ai coniugi Maletti, era sicura che se ne sarebbero stati buoni buoni.
Nel frattempo aveva affittato la villa ad un diplomatico saudita e si era trasferita in un lussuoso residence del centro.
Non aveva alcuna intenzione di rimanere lì e poi voleva stare in città, perché doveva rimettere a posto il suo corpo.
Voleva arrivare alla fine della gravidanza in ottima forma. L’hostess era stata molto gentile.
Le hostess sono sempre molto gentili con le signore sole che viaggiano con un bambino di pochi mesi.
Quando poi le signore viaggiano in prima classe, sono ancora più gentili.
Le aveva detto che, ora che il bambino aveva sei mesi, era giunto il momento di ricongiungersi con suo marito, desiderosissimo di conoscere il suo primo figlio.
Beh, più che bugiarda, forse era stata un po’ imprecisa.
L’uomo che doveva raggiungere non era proprio suo marito, anche perché l’unico marito che aveva avuto, era rimasto in Italia, più o meno un metro sotto terra.
Quest’uomo non aveva la minima idea che lei stesse venendo in Kenya con suo figlio di sei mesi, anzi, tecnicamente, quel bambino non era neanche suo figlio.
Un pasticcio. Tutta questa storia era un pasticcio ed una follia.
Stava andando a cercare un uomo nero in un paese enorme e per lei sconosciuto, abitato da milioni di uomini neri.
Non aveva la minima idea di dove potesse trovarsi il suo uomo nero.
Aveva soltanto tempo e soldi per cercarlo e lo avrebbe trovato.
Magari lo avrebbe trovato in un villaggio con moglie e figli, oppure qualcuno le avrebbe indicato la sua tomba, oppure avrebbe girato a vuoto per mesi.
No. lo avrebbe trovato, il suo Lisimba. Ne era sicura.
Gli avrebbe detto ‘questo, anche se non è proprio nostro figlio e come se lo fosse. Voglio vivere qui, in questo paese, con te e lui.’
Il bambino si era svegliato.
I primi giorni lo aveva guardato con apprensione, temendo di scoprire in lui una qualche somiglianza con ‘Mbolo, poi si era convinta che assomigliava a lei ed un po’ anche a Lisimba, anche se non aveva senso.
Lo guardò. Era un bambino bellissimo e dolce.
L’hostess passò di nuovo e le disse che tra un’ora sarebbero atterrati a Nairobi.

Leave a Reply