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Racconti di Dominazione

Una vita in discesa

By 18 Marzo 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Federica aveva sempre considerato la sua vita come una lunga e comoda discesa.
Appena nata, aveva avuto dalla sorte una buona mano di carte: bella, ricca, sana e con dei genitori meravigliosi.
A scuola era sempre stata la prima della classe, ma era anche benvoluta da tutti.
Qualsiasi sport praticasse le riusciva benissimo.
Ai tempi del liceo si era fidanzata con Alberto, un ragazzo dolce, intelligente e naturalmente ricco.
Si erano laureati entrambi con 110 e lode e si erano messi subito a lavorare.
Alberto era subentrato al padre nella direzione dell’impresa di famiglia e lei aveva trovato un lavoro importante e retribuito ottimamente.
Naturalmente si erano sposati e tutto sembrava andare per il meglio.
Insomma una vita felice e piena di soddisfazioni.
Due anni prima qualcosa, improvvisamente, si era rotto.
Prima la malattia dei suoi genitori, spazzati via in sei mesi, poi la crisi del loro matrimonio.
In apparenza non c’era nulla che non andasse, tipo corna e tradimenti.
Semplicemente il loro rapporto, nato sui banchi di scuola, dopo parecchi anni, si era esaurito e non c’era nulla che potesse farlo ripartire.
Si erano separati senza tanti problemi poi, un brutto giorno, l’impresa di Alberto aveva fatto crack.
Una serie di elementi concomitanti, come il fallimento di un suo grosso cliente, che aveva lasciato un buco notevole nel bilancio, la forte esposizione con le banche, dovuta ad importanti ed onerosi ammodernamenti decisi proprio poco prima che scoppiasse la crisi, avevano causato il disastro.
Alberto si era trovato praticamente sul lastrico, impossibilitato anche a pagarle gli alimenti.
Manco a farlo apposta, dopo neanche un mese, lei si era trovata sulla scrivania la lettera di benservito: riduzione del personale.
Aveva cercato un altro lavoro, ma non era facile, per una persona iper specializzata come lei, in grado di elaborare importanti piani industriali, trovare un lavoro, magari semplicemente normale.
Infatti, chi cerca un’impiegata o una segretaria, non vuole una persona così preparata.
Naturalmente i soldi erano finiti ed era stata costretta a ridimensionare molto il suo tenore di vita.
Prima aveva rinunciato al prestigioso appartamento in centro, poi ai vestiti della sua boutique preferita, poi aveva dovuto vendere anche la macchina perché non riusciva più a mantenerla.
Insomma la sua vita era sempre in discesa, ma intesa come una strada ripida e piena di pietre, che la stava portando sempre più giù, fino al fondo.
Mesi prima aveva finalmente trovato lavoro come commessa in un negozio di abbigliamento.
Vendeva roba da quattro soldi, che lei, solo poco tempo prima, non avrebbe degnato neanche di uno sguardo.
Purtroppo gli sguardi, e non solo quelli, non mancavano certo al principale del negozio.
Federica non aveva neanche trent’anni e, anche se aveva smesso di curarsi come un tempo, era una donna molto attraente.
Le altre l’avevano messa in guardia, se volevi conservare il posto, prima o poi dovevi dargliela.
Nei suoi confronti aveva un minimo di soggezione, perché si rendeva conto di non avere a che fare con la solita ragazzotta di periferia, e per un po’ le aveva girato intorno senza tentare nulla.
Quando, un pomeriggio che erano soli, aveva rotto gli indugi, era stato decisamente esplicito e sgradevole.
Per un attimo Federica aveva temuto addirittura che provasse a violentarla, ma poi alla fine, dopo essere stata palpeggiata ed insultata, era riuscita a guadagnare l’uscita, umiliata, furiosa, con la maglietta strappata e, soprattutto, di nuovo disoccupata.
Era molto dura prendere l’autobus alle sei del mattino, ma il nuovo lavoro, che aveva trovato da pochi giorni, aveva questi orari scomodi.
Sulla vettura c’erano alcune donne che probabilmente facevano il suo stesso lavoro, ormai aveva imparato a riconoscerle, osservando le sue colleghe.
Sguardo stanco con occhiaie profonde, le mani mani rosse e screpolate, abbigliamento un po’ approssimativo e quell’aria sgarrupata, che le accomunava a prescindere dall’età.
Lei non aveva ancora quell’aspetto ma sicuramente, se avesse continuato, sarebbe diventata come loro.
I primi giorni il proprietario l’aveva mandata insieme a Samanta (senza acca), per darle una mano.
La sua compagna aveva più o meno la sua età, ma, a guardarla bene, sembrava sua zia.
La pelle piena di rughe e di smagliature, i capelli di un colore rosso violaceo molto poco credibile, mostravano i segni indelebili di troppe tinture eseguite male e con prodotti di scarsa qualità.
La gonna di (finta) pelle nera e le calze vistose, mettevano in evidenza le sue gambe un po’ troppo grosse e non perfettamente dritte.
Lei invece era vestita con una tuta grigia firmata, una delle poche cose, del suo guardaroba, adatte all’occasione.
Samanta partiva tutti i giorni da una borgata lontanissima e doveva alzarsi parecchio prima di Federica.
La sua vita era stata esattamente l’opposto: pessima mano di carte alla nascita e, da subito, una strada in salita, ripida ed accidentata.
Il padre non l’aveva neanche conosciuto. Aveva smesso di andare a scuola dopo la seconda media e, a sedici anni, era rimasta incinta ed era scappata con un uomo, parecchio più grande di lei, e tossico.
Aveva perso il bambino, poi il suo uomo aveva pensato bene di farsi ammazzare dai Carabinieri durante un tentativo di rapina ad una farmacia.
Si era sempre arrabattata, tentando di sopravvivere in qualche maniera, senza finire troppo nella merda.
Ora, finalmente, da due anni, aveva trovato questo lavoro stabile, e per lei era come aver toccato il cielo con un dito.
Quando lavoravano fianco a fianco, o quando chiacchieravano sull’autobus, Federica si chiedeva se sarebbe diventata come lei, a forza di fare quel lavoro.
Comunque ormai, tranne qualche caso particolare, il principale la mandava da sola, visto che aveva imparato tutto quello che c’era da imparare.
Aprì il portone con le chiavi.
Se ricordava bene, l’ufficio era al primo piano.
La targhetta d’ottone diceva
Premiata Ditta
Ferrario & Pasqualazzi
import – export

Oltre il portoncino d’ingresso c’era una porta con i vetri fumè, con la stessa scritta ripetuta in grande, con lettere dorate.
Doveva sbrigarsi, perché le pulizie dovevano terminare assolutamente prima delle 8,30.
Il principale, su questo era stato tassativo.
Lei aveva dieci minuti di ritardo e quindi avrebbe dovuto volare.
Prima spolverare tutte le scrivanie, con particolare cura per quelle dei due signori con il nome scritto sulla porta, visto che erano loro a pagare, poi una passata veloce di aspirapolvere sulla moquette.
Infine la cosa più spiacevole: i bagni.
C’era sempre qualcuno che la faceva di fuori e, quando entrava, la puzza le dava il voltastomaco.
Proprio quando aveva finito, maldestramente urtò il secchio rovesciando tutta l’acqua.
Accidenti, avrebbe dovuto ripassare lo straccio da capo e cercare di asciugare il disastro che aveva combinato.
Proprio oggi che sono arrivata dieci minuti dopo, pensò.
Naturalmente i guai non vengono mai da soli.
Aveva appena risistemato il pavimento che le cadde un orecchino.
Cercò di prenderlo al volo per evitare che finisse nel water ma riuscì solo a farlo volare lontano.
Lo sentì tintinnare contro la parete e poi sul pavimento, dietro la tazza.
Doveva recuperarlo alla svelta e togliere il disturbo.
Il punto dove era probabilmente caduto, era angusto e poco illuminato, quindi si inchinò in avanti sulla tazza, cominciando a tastare alla cieca.
Meno male che ho già pulito tutto, sennò sai che schifo, pensò.
Assorta nel tentativo di recupero dell’orecchino, non aveva fatto caso all’orologio, che ormai segnava le 8,35, né tanto meno, al rumore della porta che si apriva.
Se ne stava tranquilla, piegata a novanta gradi sulla tazza del cesso e fu veramente sorpresa quando si sentì afferrare i fianchi da due manone.
‘bene bene, finalmente riprendiamo le buone abitudini.
Ehi, ma tu sei nuova? Non ti avevo mai visto.’
Si ricordò che Samanta, una volta, le aveva detto che in certi posti era possibile arrotondare il magro stipendio, trattenendosi oltre l’orario di lavoro, e quell’ufficio era uno di quelli.
Lì per lì non le aveva dato retta, pensando che Samanta la stesse prendendo per i fondelli, come faceva spesso, ma ora non era più così sicura.
Doveva chiarire subito l’equivoco increscioso.
‘no ‘ aspetti, signor …’
Ripensò alla targhetta sulla porta e si buttò.
‘… Ferrario …’
‘Pasqualazzi. Ferrario viene più tardi.’
‘ecco, io ho perso un orecchino …’
Le sue parole non le sembravano molto credibili.
Se veramente trattenersi dopo le 8,30 poteva significare essere disposte a certe prestazioni, lei, che si era fatta trovare piegata a novanta gradi e con il culo in fuori, avrebbe dovuto faticare parecchio per chiarire l’equivoco con il signor Pasqualazzi.
‘lo cercheremo dopo, signorina.’
Disse mentre con una mano le bloccava i polsi contro la parete maiolicata e con l’altra le abbassava i pantaloni della tuta fino alle ginocchia.
Federica cominciò a gridare ma lui, per tutta risposta, le tirò verso l’alto le mutandine facendole entrare in mezzo alle natiche e dentro la vagina.
Poi cominciò, sempre tenendo la stoffa tesa, a muoverle da una parte e dall’altra, ora tirando ora allentando.
Piano piano le sue urla si abbassarono di volume, fino a trasformarsi in una specie di sospiro.
Quando, alla fine, tirò giù anche le mutandine, mandandole a far compagnia ai pantaloni della tuta, Federica era pronta.
Era così bagnata ed aperta, che rimase profondamente sorpresa della facilità con cui il suo pene le era entrato dentro.
Il signor Pasqualazzi la trombò per bene, con grande impegno, poi le disse di sbrigarsi a rivestirsi, perché alle nove sarebbero arrivati gli impiegati, e non era il caso che si facesse trovare così. In ogni caso, se voleva, poteva ripassare dopo le diciotto ed avrebbe fatto anche la conoscenza con il suo socio, Ferrario.
Prima che lei andasse via le mise in mano venti euro.
Aveva venduto il suo corpo, ad uno sconosciuto, per venti euro.
Se due anni prima qualcuno le avesse detto una cosa del genere, gli avrebbe riso in faccia.
Sull’autobus che la riportava a casa, si accorse di avere la tuta bagnata in mezzo alle gambe, perché non aveva fatto neanche in tempo a lavarsi e lo sperma rimasto dentro di lei dopo aver superato la barriera dello slip, le stava colando sulle cosce.
A casa, dopo essersi fatta una lunga doccia, rimase a lungo seduta, a guardarsi quei venti euro, posati sul tavolo di cucina.
Si era sempre guadagnata da vivere usando le sue capacità intellettive, ultimamente, in questo periodo disgraziato della sua vita, usando le sue mani, ora per la prima volta, si era servita della sua fica.
Puttana.
Era una puttana?
Beh, tecnicamente sì, anche se era avvenuto per sbaglio, in seguito ad una serie di circostanze eccezionali, che non si sarebbero più ripetute.
Ma le era piaciuto?
Questa era la domanda più insidiosa, a cui non avrebbe voluto rispondere.
Insomma, Federica, ti è piaciuto? Hai goduto a farti scopare da uno sconosciuto?
Lo rifaresti?
Sì, aveva goduto da morire. Non sapeva se dipendeva dal fatto che, una volta separatasi da suo marito, avesse avuto pochissimi rapporti sessuali, oppure erano le condizioni particolari in cui tutto era avvenuto.
Allora, riepiloghiamo: ti è piaciuto farti scopare da uno sconosciuto, nel cesso, piegata a novanta gradi e tenuta ferma contro la parete. Hai goduto da matti, come non ti capitava da un mucchio di tempo o forse, addirittura, come non ti era mai capitato.
Lo rifaresti?
Beh, adesso non esageriamo. Non credo che in futuro tornerò a trovare il signor (come cavolo si chiama?) Pasqualazzi, o il suo socio.
E per che cosa? Perché ti piace o per venti euro? O per tutte e due le cose?
Ora era veramente confusa.
Trovava sempre meno motivi per non rifare una cosa che le piaceva e che oltretutto, le avrebbe dato una mano a rimpinguare le sue entrate così risicate.
Nell’altra sua vita, quella in discesa dall’altra parte, non avrebbe avuto senso, ma ora era tutto diverso.
Due giorni dopo ne parlò con Samanta. Lei era molto più pragmatica sulla faccenda.
Per un certo periodo, si era anche prostituita, per strada.
Ne era venuta fuori con due denti spezzati dal suo protettore ed una fastidiosa malattia, che l’aveva tormentata per un paio di anni.
‘se ti va di farlo, perché ti piace, e ti aiuta anche ad arrivare alla fine del mese, non vedo alcun problema.
Nessuno ti verrà mai a rompere le scatole. è sufficiente che pulisci bene l’ufficio, quello che fai dopo sono solo cazzi tuoi.’
Il ragionamento non faceva una piega e le ultime parole erano decisamente appropriate alla situazione.
Qualche giorno dopo, si trovò a passare davanti a quell’ufficio.
Aveva appena pulito l’agenzia di una banca vicina e per un attimo la balenò il pensiero di andare a trovare il signor Pasqualazzi.
Ma sei impazzita?
Aveva accelerato il passo, superando il portone.
Ancora due isolati, poi avrebbe preso l’autobus e sarebbe tornata a casa.
Un’altra serata da sola, a guardare la televisione in cucina, davanti alla sua magra cena.
Poi si sarebbe collegata ad internet con il suo portatile, ed avrebbe inviato il suo curriculum a qualche altra società.
Naturalmente, tra le esperienze di lavoro non aveva messo la ditta di pulizie.
Era un mucchio di tempo che mandava messaggi su messaggi, ma in genere, riceveva una risposta ogni venti, naturalmente negativa.
Si fermò davanti ad una vetrina.
Il pomeriggio non indossava mai la tuta: aveva un completo nero, gonna e maglietta, corto e scollato, che metteva in mostra le sue gambe lunghe, solo per le scarpe aveva scelto dei mocassini comodi, perché trovava fastidioso lavare i pavimenti con i tacchi alti.
Cercava, per quanto possibile, di non uniformarsi al look delle sue colleghe di periferia, almeno finché ci sarebbe riuscita.
Si aggiustò velocemente i lunghi capelli neri e tornò indietro.
Era parecchio tardi, sicuramente gli impiegati erano andati via, anzi, forse l’ufficio era chiuso.
Da dietro la porta a vetri si intravedeva il salone con le scrivanie, praticamente al buio, ma oltre, dove c’erano le stanze dei due soci, c’era la luce accesa.
Suonò il campanello e subito dopo sentì lo scatto della serratura.
‘permesso?’
‘sì, avanti. Chi è?’
Ed ora cosa gli diceva.
‘sono ”
L’altra volta, non si erano certo presentati, anzi neanche ricordava bene la faccia di Pasqualazzi, visto che, per la maggior parte del tempo del loro breve incontro, era stato dietro di lei, anzi, ad essere precisi, dentro di lei, da dietro.
‘… sono la donna delle pulizie.’
‘ah, è lei, la ragazza nuova, bene bene.
Venga pure.
Ero sicuro che sarebbe tornata.’
Era comparso davanti alla porta della sua stanza.
La sua voce, cortese ed educata, contrastava vivacemente con l’aspetto da vecchio orco. Pasqualazzi, infatti, era un omone grande e grosso, con due mani gigantesche ed un faccione largo ed un po’ butterato. Avrà avuto un’età tra i cinquanta ed i sessanta anni, ma lei non riusciva bene a stabilirlo.
‘si accomodi pure signorina ‘?’
‘… Federica.’
‘bene, Federica. Questa sera abbiamo un po’ più di tempo e potremo fare le cose per bene.
Il mio socio è andato a comprare un po’ di pizza, vista che avevamo del lavoro arretrato da sistemare. Ora lo chiamo al cellulare e gli dico di prendere qualcosa anche per lei. Va bene?’
Federica fece cenno di sì con la testa.
‘intanto si accomodi.’
Con la mano aveva scansato la carte che ingombravano la grande scrivania di legno scuro.
Federica lo guardava perplessa.
‘beh, signorina Federica, spero che non voglia rifarlo in bagno, questa sera possiamo stare molto più comodi. Su, si poggi sulla scrivania.’
Con le mani la fece chinare, facendole piegare il busto sul piano di legno che aveva appena liberato dalle carte.
‘ecco brava, così.
Ora allarghi per bene le gambe.’
Federica sentì il rumore del nastro adesivo che veniva srotolato, poi l’uomo le spostò la caviglia sinistra fino a portarla in corrispondenza della zampa della scrivania.
In un attimo fece fare diversi giri al nastro da pacchi marrone, che teneva in mano e poi lo recise con i denti.
Prima che lei potesse fare il minimo movimento, aveva fatto lo stesso con la caviglia destra.
Era bloccata in una posizione veramente oscena, con le gambe completamente divaricate.
‘ma cosa sta facendo? Per favore …’
‘non si preoccupi, sono sicuro che le piacerà. Si fidi di me.’
La fece rialzare in piedi.
Si sentiva in equilibrio precario, era sicura che, se lui non l’avesse sostenuta, sarebbe caduta rovinosamente all’indietro, trascinandosi la scrivania.
In un attimo le sfilò la maglietta.
‘lei è veramente una bella ragazza. è un vero peccato che si butti via così, a pulire i pavimenti in giro per la città.
Le aveva slacciato il reggiseno e le stava carezzando le tette.
Fu questione di un attimo. Le passò le mani dietro la schiena e, prima che lei potesse fare la minima opposizione, le legò strettamente gli avambracci con il reggiseno che le aveva appena tolto.
Federica era spaventata ma, allo stesso tempo eccitata.
Pasqualazzi la rimise di nuovo giù e le arrotolò la gonna fino alla vita.
‘bene, vedo che la sua bella cosina è già a buon punto.
Non mi sbagliavo. Vedrà che apprezzerà moltissimo il trattamento.’
Quale trattamento?
Le tirò di nuovo le mutandine e ricominciò il giochino dell’altra volta.
Federica, che era già eccitata, sentendosi la stoffa che le entrava dentro, strofinandosi sul clitoride già bello duro, cominciò a muoversi ed a sospirare.
Quando fu sicuro che fosse cotta a puntino andò verso la scrivania e prese un grosso taglierino, da un barattolo pieno di penne e pennarelli.
‘aiuto! Cosa vuol farmi?
Per favore non mi faccia del male, farò tutto quello che vuole ma non …’
‘ma no, signorina Federica. Ma cosa ha capito?
Stia tranquilla. Le farò tutto quello che voglio, che sarebbe anche tutto quello che vuole lei, ma non le farò nulla di male. Non mi permetterei mai.
Questo serve solo per eliminare della stoffa inutile.’
Tirò decisamente verso il basso la parte inferiore dello slip, arrotolata e bagnata e, con un colpo secco, tagliò la stoffa.
Arrotolò più volte, intorno all’elastico delle mutandine che le cingeva la vita, il lembo di stoffa posteriore, rimastole in mezzo alle chiappe e lasciò l’altro, quello anteriore, libero di penzolare verso il basso.
‘ora non resta che preparare il suo bel sederino.
Prese, da un ripiano vicino, una lunga riga millimetrata, di plastica trasparente, e la impugnò a due mani, come se fosse uno spadone medievale.
La colpì di piatto, con parecchia energia, proprio in mezzo al sedere, facendo un rumore sordo, una specie di ciafff soffocato.
‘ahiii! Ma fa male!’
‘certo che fa male. Cara Federica. Ma le fa anche piacere. Questo non può negarlo.’
Accidenti a lui, aveva ragione.
Già quando l’aveva legata alla scrivania si era eccitata tantissimo ma ora, la consapevolezza che l’avrebbe colpita con quell’affare, fino a farle diventare il sedere viola, la stava facendo impazzire.
La colpì parecchie volte. Il bruciore si era fatto fortissimo e sentiva i suoi umori che, rilasciati dalla vagina aperta, le cominciavano a colare lungo le gambe.
Si fermò solo quando rientrò il suo socio.
‘guarda un po’ Emilio, che bella sorpresa.’
‘accidenti, niente male, veramente niente male.
Comincia tu, io intanto vado a mettere le birre in frigo, sennò si scaldano.’
Pasqualazzi non se lo fece ripetere due volte e cominciò subito ma, a differenza dell’altra volta, glie lo infilò nel culo.
Federica non aveva mai amato molto questa pratica, l’aveva fatto solo poche volte con il marito, più che altro quando aveva il ciclo, e poi non si aspettava questa soluzione.
Nonostante lui lo avesse preventivamente spalmato con vaselina o qualche altra cosa simile, provò parecchio dolore quando lo sentì entrare in mezzo alle sue natiche allargate dalla posizione innaturale in cui si trovava.
Cercò di rialzarsi in piedi, ma lui, con fermezza la rimise giù, senza smettere di spingere.
Si fermò solo quando era entrato tutto.
‘tutto bene signorina Federica?’
Che gli doveva dire? Che le faceva un male cane ma, allo stesso tempo le piaceva da matti?
‘sì, sì, tutto bene, ma, per favore, faccia presto, perché fa parecchio male.’
‘non si preoccupi, è come con le scarpe nuove, vedrà che, dopo le prime volte, le calzerà come un guanto.’
L’idea che un cazzo, conficcato nel suo ano, potesse calzarle come un guanto, la fece sorridere, ma fu solo un attimo, perché il signor Pasqualazzi aveva cominciato a muoversi avanti ed indietro dentro di lei.
Le bastò pensare alla sua situazione: legata alla scrivania, con il sedere sicuramente pieno di segno violacei e penetrata profondamente nell’ano, per farle raggiungere quasi subito l’orgasmo.
Anche lui, accorgendosi di quello che le stava accadendo, non tardò a raggiungerla, strappandole anche un grido di dolore quando, al culmine, lo spinse ancora più in fondo.
Quando venne fuori la fece rialzare.
Era indolenzita ma soddisfatta.
Arrivò il socio, Ferrario, con una lattina di birra in mano.
‘beva qualcosa, signorina. Mi sembra molto accaldata.’
Federica si scolò mezza lattina mentre sentiva lo sperma che le usciva dall’ano dilatato e le scolava sulle gambe.
Ferrario, a differenza dell’altro, era alto e magro, con un vocione da baritono, ma sembrava anche lui una persona civile ed educata.
Già, le davano rispettosamente del lei, signorina di qua, signorina di là, mentre se la scopavano, dopo averla legata.
Ferrario le prese dalle mani la lattina mezza vuota e la fece piegare nuovamente.
Ora toccava a lui.
Passato un momento iniziale, in cui aveva sentito una fitta molto forte, era entrato facilmente, nonostante gli sembrasse decisamente più robusto di quello del suo socio.
Forse dipendeva dallo sperma rimasto dentro che aveva lubrificato la cavità, oppure ‘ la faccenda delle scarpe nuove funzionava davvero.
Solo l’ultimo pezzo entrò a fatica. Doveva averlo parecchio lungo e Federica cominciò a gridare, quando lui lo spinse fino in fondo, al punto che sentì i testicoli sbatterle contro il sedere.
‘su, da brava, ancora un piccolo sforzo, ci siamo quasi.’
‘aiuto! ‘ basta, per favore, non ce la faccio più. Fa troppo male.’
‘solo un attimo di pazienza. Faccia la brava ‘
Federica?
Ho sentito che si chiama così.
Non posso interrompere ora, sul più bello.’
Aveva infilato una mano sotto la sua pancia, sollevandola leggermente dal tavolo ed aveva cominciato ad accarezzarla.
‘Federica, lei ha una fichetta calda e deliziosa. Sono sicuro che ora va molto meglio.’
Le aveva afferrato il clitoride e lo stava strizzando tra due dita, mentre, contemporaneamente, aveva aumentato l’intensità e la frequenza dei suoi movimenti.
Il tono della voce di Federica era cambiato ed i suoi vocalizzi preannunciavo un orgasmo imminente e clamoroso.
Quando fu tutto finito, pensò che il signor Ferrario le aveva letteralmente sfondato il culo (accidenti, stava cominciando ad usare le stesse espressioni di Samanta), ma non era troppo dispiaciuta della cosa.
Pasqualazzi tornò sul discorso delle scarpe e aggiunse che occorreva battere il ferro finché era caldo.
Evidentemente gli piacevano i proverbi.
Così optarono per una seconda passata.
Alla fine era stanchissima ed avrebbe voluto che la slegassero, ma non avevano affatto finito.
Sempre lasciandola nella stessa posizione, si dedicarono con molto impegno alla sua fica.
Fu un operazione complicata, anche perché, dopo tutto il da fare che avevano avuto con il suo culo, erano un po’ affaticati, ma alla fine riuscirono nell’intento, con lei che, ormai, non sapeva più bene dove finiva un orgasmo e dove cominciava quello successivo.
Quando la slegarono dovettero sorreggerla ed aiutarla a sedersi.
Divorò con grande appetito una paio di pezzi di pizza, si finì la sua lattina di birra e poi andò a darsi una sistemata in bagno.
Le misero in mano quattro banconote da cinquanta euro e si congedò da loro con la promessa che sarebbe tornata tra una settimana, alla stessa ora.
La notte era calata da un pezzo e sentiva freddo con quel completo leggero, che aveva indossato pensando di tornare prima del tramonto.
In particolare, le dava fastidio l’aria fresca della sera, che le filtrava tra le gambe nude, senza più lo slip.
L’unica nota positiva era quando le folate di vento si incuneavano sotto la gonna e le alleviavano un po’ il bruciore del suo sedere arrossato.
Federica, aveva pensato molto a quella singolare serata, ma alla fine aveva concluso che non era stata affatto male e che duecento euro a settimana facevano circa novecento al mese (visto che un mese è composto di quattro settimane e mezzo), che rappresentavano più di quello che guadagnava facendo le pulizie.
Così aveva preso a frequentare regolarmente i due soci e non era affatto pentita, anche perché la faccenda delle scarpe si era rivelata vera, visto che ora riusciva a farsi inculare senza troppi problemi.
Samanta all’inizio le aveva tenuto un po’ il muso perché, glie lo aveva confessato, qualche volta, in passato, quando aveva bisogno di soldi, si fermava dai due soci, ma ora, che avevano stabilito un rapporto duraturo con Federica, non la chiamavano più.
Cominciava a pensare che la sua discesa si fosse arrestata. Certo, magari non ci sarebbe stata la risalita, ma visto come erano andate le cose negli ultimi tempi, ci avrebbe messo la firma a continuare così.
Quando quella mattina di inverno il principale della ditta di pulizie le convocò tutte, c’era nell’aria un certa tensione.
Lui aveva un’aria seria ed imbarazzata ed iniziò il discorso prendendola molto alla larga.
Federica capì subito che ci doveva essere qualche problema grave.
Alla fine sputò il rospo: l’impresa era in difficoltà, il lavoro, specie a causa della crisi, era calato, insomma ‘ non c’era più posto per tutte.
Taglio del personale del 20%, partendo dalle ultime arrivate.
Indovina un po’ chi era l’ultima assunta? Lei, naturalmente.
Di nuovo disoccupata. La strada riprendeva a scendere.
Aveva solo una fonte di guadagno: i due soci.
Certo, ce la poteva fare benissimo, ma le sembrava una occupazione un po’ troppo aleatoria. Se un giorno fosse arrivata una nuova ragazza, magari più giovane di lei, l’avrebbero scaricata su due piedi.
Proprio per dimostrare che il trend negativo della sua vita non si era affatto interrotto, quando dopo un paio di giorni tornò in quell’ufficio, trovò ad attenderla soltanto il signor Ferrario, con la faccia triste e sconsolata.
Il suo socio era all’ospedale, colpito da una grave ischemia.
Se la sarebbe cavata, ma, quasi sicuramente non avrebbe più potuto lavorare e (pensò Federica) continuare a trombare.
Ferrario fece lo stesso il suo dovere e lei tornò a casa un po’ prima e con la metà dei soldi.
Quattrocentoventicinque euro al mese, non bastavano assolutamente.
Se non trovava alla svelta un nuovo lavoro, avrebbe dovuto abbandonare la casa.
Intensificò l’invio di copie del suo curriculum, ma i giorni passavano ed arrivavano solo poche risposte negative.
Ora era indietro con l’affitto e tra un po’ le avrebbero anche staccato la luce, così non avrebbe neanche potuto usare il computer, ammesso che servisse a qualcosa inviare curriculum che venivano regolarmente buttati nella spazzatura.
Quando un giorno, arrivando davanti al portone dell’ufficio vide dei facchini che caricavano scrivanie ed armadi su un grosso camion dei traslochi le prese un colpo.
La ditta aveva chiuso.
Pasqualazzi se ne stava in una casa di riposo, mezzo paralizzato, su una sedia a rotelle, mentre il suo socio, Ferrario, se ne era andato in Argentina, ospite di suo figlio, e non sarebbe più tornato in Italia, almeno così le riferì il portiere.
Piangendo disperata, telefonò a Samanta. In fin dei conti era l’unica amica rimasta.
‘non ti preoccupare, per un po’ puoi stare da me.’
Con un furgone scassato, di un amico di Samanta, fecero, di notte, per evitare che il padrone di casa, che avanzava diversi mesi di affitto, potesse beccarla, il trasloco.
Samanta abitava in una borgata sperduta oltre i confini della città.
Bisognava prendere tre autobus, di cui l’ultimo, era frequentato da gente incredibile, e poi c’era da fare un discreto tragitto a piedi, lungo una strada sterrata priva di illuminazione ma, in compenso, piena di buche, che, prima di arrivare a quel piccolo abitato, fatto di case abusive e fatiscenti, costeggiava un campo nomadi.
Ora, oltre ad essere senza soldi, era anche praticamente in esilio, a due ore dalla città, sbattuta in una landa desolata.
Mentre Samanta era al lavoro, cercava di tenere un po’ in ordine la casa, e magari andare a comprare qualcosa da mangiare.
Doveva anche stare attenta, perché dopo il tramonto, la strada, anche a causa della mancanza di lampioni, diventava pericolosa, anzi, veramente, avrebbe dovuto dire che diventava più pericolosa, visto che anche di giorno non erano rose e fiori.
Il terzo giorno, mentre tornava con una busta della spesa, era stata inseguita da due uomini.
Il loro atteggiamento era inequivocabile, visto che uno, per qualche secondo, si era anche abbassato i pantaloni, e lei aveva cominciato a correre a perdifiato, cercando di scansare le buche piene di fango.
Era arrivata a casa, con la lingua di fuori e le gambe sporche di fango, terrorizzata e consapevole che, prima o poi, sarebbe accaduto.
Samanta, quando glie lo aveva raccontato, aveva alzato le spalle.
Per lei non aveva grossa importanza. Se qualcuno voleva scoparsela, facesse pure.
A lei bastava portare a casa la pelle, che, in quel posto, era già tanto.
Federica avrebbe voluto andarsene, ma non aveva assolutamente un altro posto dove andare, e poi, le sembrava offensivo nei confronti della sua amica, che le aveva generosamente offerto ospitalità.
Era passata solo una settimana da quel tentativo di aggressione e lei se ne stava tranquillamente tornando a casa.
Tutto sommato si sentiva sicura perché era giorno pieno e c’erano altre persone sulla strada.
I cinque ragazzi erano sbucati all’improvviso da dietro un cespuglio e l’avevano circondata.
Venivano sicuramente dal campo nomadi che aveva appena superato.
L’avevano trascinata nella boscaglia sotto gli occhi di altre persone che avevano fatto finta di niente, perché, come le aveva detto spesso Samanta, in quel posto la gente si faceva i cazzi suoi.
I ragazzi, i loro, invece, li avevano tirati fuori subito, insieme ad un bel coltello a serramanico, tanto per toglierle ogni dubbio sulle loro effettive intenzioni.
L’avevano fatta inginocchiare e, mentre due la tenevano ferma, un altro si era sbottonato i pantaloni.
Sotto la minaccia del coltello gli aveva dovuto fare un pompino, poi, a turno, anche agli altri quattro.
Visto che ci si trovavano, uno di loro l’aveva fatta mettere a novanta gradi, bloccandole il collo sotto il braccio piegato, mentre gli altri la spogliavano.
Si erano alternati più volte, lodando a più riprese il suo culo bello aperto e la sua fica accogliente e bagnata.
Appena finito erano spariti con la stessa rapidità con cui erano apparsi ed a Federica non era rimasto altro, dopo essersi rivestita, per quanto possibile, di riprendere la via di casa.
Aveva incontrato subito Samanta che, vedendola tardare, le era venuta incontro.
Vedendola in quello stato, spettinata, con la maglietta strappata, la faccia ed i vestiti impiastrati, che camminava zoppicando perché le si era anche rotto un tacco, aveva capito subito cosa era successo.
A casa, dopo averla infilata sotto la doccia era riuscita un po’ a farla calmare.
Federica era umiliata e furiosa.
Umiliata perché aveva dovuto subire la violenza da cinque ragazzini, probabilmente anche minorenni e furiosa perché non aveva mai amato fare pompini.
Anche quando andava a trovare i due soci, si era sempre rifiutata, nonostante loro le avessero spesso proposto una sostanziosa cifra extra.
Ma soprattutto, e questo ci mise un bel po’ ad ammetterlo, era furiosa con se stessa perché anche questa volta, in cui la violenza era reale al 100% e non simulata, come succedeva con Pasqualazzi ed il suo socio, aveva goduto moltissimo.
In questa sua discesa, sempre più in basso, stava diventando una troia, disposta ad andare con chiunque.
‘e se anche fosse? Che male c’è?’
Aveva ribattuto Samanta.
‘se ti piace farlo, fallo pure.
Senti, ma a questo punto, potresti cercare di ricavarne qualcosa.
Io non ti voglio proporre di battere il marciapiede, perché rischieresti di fare una brutta fine, ma ogni tanto, qualcuno in casa, tanto per non perdere l’abitudine e contribuire alle spese, potresti pure farlo.
Io, in borgata conosco tutti, se vuoi, qualcuno fidato, disposto a farsi una scopata con una bella ragazza come te, lo trovo.
Se lo fai con un po’ di discrezione, senza esagerare, puoi riuscire a non attirare l’attenzione dei papponi della zona ‘
Così cominciò questa nuova fase per Federica.
Samanta le aveva portato una bella scorta di preservativi, perché i suoi amici erano fidati, ma non necessariamente sanissimi.
Tutto sommato non le dispiaceva, anzi ‘
Certo, se avesse dovuto scrivere sul curriculum la sua attuale attività avrebbe dovuto indicare qualcosa come prostituta casalinga.
Se chi voleva assumerla le avesse chiesto maggiori delucidazioni, avrebbe potuto rispondere che viveva in una topaia, ai limiti del mondo civile, insieme ad una ex prostituta e si guadagnava da vivere facendosi sbattere da un mucchio di uomini, per quattro soldi.
Chiedeva poco perché i suoi clienti erano dei poveracci e poi, a lei comunque piaceva.
Naturalmente non avrebbe mai potuto dire cose del genere, soprattutto perché nessuno l’aveva mia chiamata e, probabilmente, neanche l’avrebbe chiamata.
Era passato quasi un anno da quando si era trasferita da Samanta e la vita scorreva lenta, senza particolari sussulti.
Aveva l’impressione che il poco movimento, visto che da quella volta dei cinque ragazzi con il coltello aveva cercato di limitare le uscite e, chissà, forse il vivere in quell’ambiente deprivato, lentamente stessero trasformando il suo aspetto.
Si stava convincendo che, in breve tempo, sarebbe diventata come la sua amica che aveva avuto dalla vita una cattiva mano di carte.
Così quel giorno, dopo aver congedato un grassone pelato che aveva sudato sette camicie per venirle nel culo, quando aveva controllato la posta in arrivo ed aveva trovato un messaggio, aveva pensato all’ennesimo rifiuto.
Era di una grossa multinazionale che aveva aperto da poco un importante ufficio in città.
Il posto che offrivano era molto prestigioso e lei aveva scritto giusto per scrupolo.
Le venne quasi un accidente quando lesse che doveva presentarsi per un colloquio fra tre giorni.
Quella mattina aveva scelto con cura il vestito adatto, tra i pochi ancora in condizioni decenti, nel suo ormai misero guardaroba, e si era alzata prestissimo, visto che doveva prendere i famigerati tre autobus.
Lungo la strada pregò di non fare cattivi incontri, perché non si sarebbe potuta assolutamente presentare con il vestito in disordine e macchiato di sperma.
Quando si sedette sulla poltrona, davanti al capo del personale, incrociò le dita.
Era molto stupito che una persona delle sue capacità e della sua esperienza fosse rimasta fuori dal giro per tutto quel tempo.
Lei inventò una scusa, accennando a certi impegni di famiglia improrogabili, poi la conversazione si spostò su argomenti tecnici.
Aveva avuto la netta impressione di aver fatto colpo, anche fisicamente, da come lui le sbirciava le gambe.
La risposta arrivò dopo tre giorni.
Squillò il suo cellulare.
Era il capo del personale che le comunicava che il posto era suo, poteva prendere servizio da subito.
Samanta fu contenta per un verso, ma tutto sommato le dispiaceva separarsi dall’amica che probabilmente non avrebbe più rivisto.
Le lasciò in regalo il televisore e tutte le cose che un anno prima aveva trasportato lì, quando aveva dovuto abbandonare la sua casa.
Andava ad abitare per un po’ in un residence e, oltre ai vestii, non le serviva nient’altro.
Quando, il furgone scassato dell’amico di Samanta, lo stesso che l’aveva accompagnata all’andata, un anno prima, aveva imboccato la statale che l’avrebbe riportata in città, Federica pensò che quella strada era in discesa, ma per il verso giusto. Il nuovo lavoro andava a gonfie vele.
Nel giro di pochi mesi aveva abbandonato il residence e si era affittata un piccolo appartamento in un bel quartiere residenziale, si era ricomprata la macchina ma, soprattutto, Federica era rifiorita.
Le cure di un buon centro estetico e, soprattutto, l’aver ripreso il suo abituale stile di vita, l’avevano fatta ridiventare la splendida trentenne di prima.
Per fortuna non era diventata come Samanta e le sue disgraziate colleghe.
Povera Samanta, qualche volta la sentiva per telefono. Le voleva bene perché era stata l’unica persona, nel momento più difficile della sua vita, ad offrirle un aiuto.
Certo, ripensandoci bene, le aveva offerto uno schifo di casa, in un postaccio infame, ma era tutto ciò che poteva metterle a disposizione.
La sostanziosa iniezione di denaro, che ogni mese affluiva nel suo conto in banca, le dava sicurezza ed ormai era convinta che le brutte esperienze del suo passato recente fossero solo un lontano ricordo, e la sua vita avrebbe continuato ad andare in discesa per il verso giusto.
Ora aveva una grande stanza tutta per sé, una segretaria a disposizione ed era stimata e rispettata da tutti.
Anche lì, in quel grande ufficio, c’erano le donne delle pulizie.
Il servizio era svolto da una grande ditta e lavoravano sempre in divisa.
Qualche volta che si era trattenuta fino a tardi, le aveva viste aggirarsi per i corridoi, con il loro camice azzurrino, spesso spingendo un carrello di plastica, dello stesso colore, pieno di secchi, stracci e scopettoni.
Nonostante l’aria più professionale che le conferiva il camice, guardandole in faccia, erano esattamente della stessa razza delle sue ex colleghe.
In particolare le faceva un po’ tenerezza una, che vedeva spesso nel corridoio che portava alla sua stanza.
Piccolina, magra, con i capelli nerissimi ed il viso segnato da una vita non certo agevole.
Avrà avuto una quarantina d’anni e da giovane, doveva essere stata molto carina, con quegli occhi scuri e vivaci.
Ora aveva un’aria affaticata e sofferente, di chi lavora troppo senza avere soddisfazioni e non sta bene in salute.
Quella sera, uscendo dalla stanza per andare in bagno l’aveva vista appoggiata al muro del corridoio, con gli occhi lucidi e l’aria di chi sta per stramazzare al suolo da un momento all’altro.
‘si sente male? Aspetti che l’aiuto.’
‘non è niente. Devo finire di pulire poi vado a casa. Manca solo il bagno degli uomini. Devo finire.’
‘ma vuole scherzare? Non vede che non si regge in piedi? Ora l’accompagno al suo stanzino, si cambia e fila dritta a casa. Non si preoccupi per il lavoro. Poi chiamo la vigilanza e li avverto che lei si è sentita poco bene.’
La pilotò fino allo stanzino, lungo il corridoio, dove le donne delle pulizie tenevano le loro cose.
Lei aprì con un chiave la porta, si tolse il camice e lo sostituì con un giaccone sdrucito, appeso nello stanzino, e se ne andò dopo aver preso una vecchia borsetta nera.
Federica la vide sparire in fondo al corridoio, e pensò che avrebbe sicuramente dovuto fare un lungo tragitto prima di arrivare a casa.
Aveva lasciato lo stanzino aperto. Beh, avrebbe messo il carrello lì dentro e poi avrebbe consegnato la chiave alla vigilanza, giù all’ingresso, al momento di andare via.
Nel palazzo avevano un servizio di polizia privata, con tanto di agenti in divisa, muniti di cinturone, pistola e manette.
Le sembrava un po’ un’americanata, però tutto sommato, quando si tratteneva da sola, fino a tardi, le dava una certa sicurezza, sapere che c’era qualcuno che vigilava su di lei.
Trovò divertente guidare quel carrello di plastica. Nella ditta dove aveva lavorato non erano certo così raffinati e aveva sempre dovuto fare diversi viaggi con secchi e scope.
Quando passò davanti al bagno degli uomini, ricordò le parole di quella donna e parcheggiò il carrello di lato alla porta, poi tornò allo stanzino e si mise il camice.
Ma sì, avrebbe dato una mano a quella poveraccia, e poi era curiosa di scoprire se si ricordava ancora come si faceva.
Il camice le andava un po’ stretto perché lei era più alta ed aveva i fianchi più larghi, ma in qualche maniera riuscì ad indossarlo.
Prese il necessario per pulire i sanitari, si infilò i quanti di gomma arancione che aveva trovato poggiati sul manico del carrello ed entrò.
Prima di iniziare si legò i lunghi capelli scuri con un elastico, per stare più comoda.
Pulì per bene i lavandini nell’antibagno e passò i cessi.
Anche se questo era un ufficio di un certo livello, frequentato da persone di buona cultura, la puzza era la solita.
Chissà perché gli uomini non riuscivano mai a fare centro.
Sentì un rumore di passi all’esterno e le venne in mente Pasqualazzi.
Ma no, il povero signor Pasqualazzi, probabilmente stava in una casa di cura, mezzo paralizzato su una carrozzina e forse lo dovevano aiutare anche per pisciare.
A quell’ora, magari, era l’addetto alla vigilanza che faceva la ronda.
E se fosse entrato e l’avesse riconosciuta?
Cosa gli avrebbe detto, che aveva la sindrome della donna delle pulizie?
Beh, vedendo il carrello fuori dei bagni non sarebbe certo entrato e poi, se pure avesse dato una sbirciata dentro, avrebbe visto una donna con il camice azzurro, di spalle, chinata a pulire un cesso.
Invece era entrato, deciso, come se sapesse dove andare e cosa fare.
‘eccomi qua, ho fatto un po’ tardi ma sono arrivato.’
L’aveva afferrata per le spalle e poi le aveva preso le braccia tenendola forte per i polsi.
Prima che potesse protestare, Federica aveva sentito un rumore metallico e si era trovata ammanettata al tubo che portava l’acqua della cassetta al water.
‘ehi, ma non sei quella solita.
Però, mi sembri anche meglio, un po’ più in carne.’
Federica cominciò a gridare, pensando che così avrebbe potuto richiamare la vigilanza.
Già, la vigilanza l’aveva appena ammanettata, c’erano solo loro due, nell’ufficio, a parte un altro che stazionava in portineria, due piani più sotto, e non avrebbe certo sentito le sue urla.
‘ehi, ma come sei vestita elegante. E che sei, la regina delle donne delle pulizie?’
Le aveva sollevato il camice ed ora le stava tastando il culo, senza alcun ritegno.
Federica sentì che stava cominciando ad eccitarsi.
Accidenti, questo non doveva succedere. Non aveva certo bisogno dei pochi spiccioli che poteva darle quell’uomo.
Ci aveva messo un attimo ad abbassarle calze e mutandine, dopo averle alzato il vestito e fu anche molto rapido a ficcarglielo nel culo.
‘uauuu! Bello spanato!
E qui davanti come va? Sentiamo un po’.’
Disse mentre le infilava le dita nella fica.
Come andava?
Andava come era andata tante volte, bagnata fradicia e già eccitata prima di cominciare.
A differenza della sua prima volta con il signor Pasqualazzi, questo aveva le mani libere, e, dopo averle sbottonato camice e camicetta, si appese letteralmente alle sue tette, strizzandogliele.
Federica aveva preso a fare dei mugolii inequivocabili muovendo contemporaneamente il culo, finché lui, che era proprio arrivato al limite, le allargò ancora le cosce e glie lo spinse tutto dentro, gridando mentre la inondava.
‘aspetta un attimo, non uscire, fammi finire.’
Si mosse un po’ avanti e indietro, con l’uomo che l’assecondava con scarsa convinzione, finché non raggiunse l’orgasmo.
Si riposò cinque minuti e poi cominciò a strofinarglielo sulla fica.
Lei gridava di gioia mentre lentamente lo sentiva rinvenire.
‘dai, dai! Mettilo dentro. è pronto, non ce la faccio più.’
Tornò a strizzarle le tette, mentre lo spingeva dentro.
Questa volta durò di più e lei riuscì a godere con tutta calma.
‘stai buona lì, torno fra cinque minuti.’
Federica si chiese come avrebbe potuto andarsene, visto che era ammanettata al tubo.
Cercò di sedersi a cavalcioni del water, ma lo slip ed il collant parzialmente abbassati, le impedivano di allargare le gambe a sufficienza.
Così si alzò in piedi mentre lo sperma le colava lungo le cosce.
Sentì delle voci nel corridoio.
‘ehi, bella moretta, ti ho portato anche il collega che sta giù in portineria, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere.’
Beh, in fin dei conti, per diverso tempo lo aveva fatto con i due soci, perché non poteva farlo con due della vigilanza? Poi, pensandoci bene, aveva sempre subito il fascino degli uomini in divisa.
‘avevi proprio ragione, ha veramente un bel culo.
Io, quasi quasi, prima di cominciare, gli do un’aggiustatina.’
Lo sentì armeggiare dietro di lei, poi lui poggiò la pistola, dentro la fondina, in terra, a fianco del water.
Il colpo, vibrato con forza con il cinturone, la prese di sorpresa.
La colpì diverse volte, strappandole grida di dolore.
‘ti piace vero?’
‘sì, da impazzire, ma adesso basta, mettilo dentro.’
Come le entrò dentro, il contatto della lampo dei pantaloni aperta, con la pelle scorticata ed arrossata delle sue natiche fu doloroso, e Federica si accorse di provare ancora più piacere.
Altro che la riga di plastica.
Lui, muovendosi, continuava a sfregare sulla sua pelle causandole delle fitte dolorose che però amplificavano il suo piacere.
Se ne era accorto ed ora le stava passando le unghie sui solchi lasciati dalla cinghia.
‘ti piace proprio tanto, vero?
Non ti preoccupare, prima di ficcartelo nel culo, te ne do un altro po’.’
Fu di parola e lei rimase lì, con le chiappe protese, a subire questa ulteriore punizione.
Quando ebbe finito, l’altro prese di nuovo la parola.
‘senti bella, ti daremo un piccolo extra, ma ci devi fare pure un bel pompino, sono sicuro che sei bravissima.’
‘no, quello no. Per favore quello no.’
Ma perché tutti volevano pompini da lei?
‘dai su non fare tante storie, che vuoi che sia un pompino.’
L’aveva liberata dalle manette e dopo averla presa per i capelli legati dietro la nuca, la fece girare.
‘oddio! Ma ‘ dottoressa ‘ io credevo ‘ cioè non credevo …’
Disse quello che la teneva stretta per i capelli, rimasto come paralizzato, incapace di mollare la presa, mentre l’altro, a bocca spalancata, non sapeva che dire.
Per i due era stato un vero e proprio shock trovarsi faccia a faccia con uno dei principali dirigenti della società.
Avevano scopato, inculato e frustato una persona che gli avrebbe sicuramente fatto perdere il posto.
Ma che cavolo ci faceva lì, vestita da donna delle pulizie.
Federica li abbandonò alle loro paure ed ai loro pensieri e si infilò nel bagno delle donne per cercare di darsi un po’ una sistemata.
Non avrebbe fatto nulla contro di loro, per tanti motivi.
Primo perché, se li avesse denunciati, avrebbe dovuto spiegare per quale motivo, dopo aver indossato la divisa delle pulizie, si fosse messa a pulire i cessi e poi, se fosse venuta alla luce la sua precedente esperienza di lavoro, non ne sarebbe uscita molto bene.
Infine c’era l’altro motivo, inconfessabile: le era piaciuto da impazzire, al punto che avrebbe voluto rifarlo.
Quei due sicuramente, da come lei aveva partecipato, qualcosa avevano capito, ma erano letteralmente terrorizzati dalla possibilità di essere denunciati e licenziati, e non avrebbero mai parlato.
Da quel giorno, infatti, le rare volte che la incontravano, mormoravano un cenno di saluto ad occhi bassi e cercavano di togliersi dai piedi alla svelta.
Un giorno, un paio di mesi dopo quel fatto, incontrò il secondo, quello che l’aveva frustata con il cinturone.
‘passi nella mia stanza tra cinque minuti, perché le devo parlare.’
Si fece trovare seduta alla sua scrivania.
L’uomo entrò nella stanza e rimase in piedi a qualche metro dalla scrivania.
Lei non gli disse di sedersi.
‘quanto date alla donna delle pulizie?’
‘prego?’
‘le ripeto, quanto date alla donna delle pulizie quando ve la scopate nel cesso? è più chiaro cosi?’
‘trenta ‘ trenta euro, quaranta con il ….’
‘pompino?’
‘sì, sì, quaranta con il pompino.’
‘a testa, voglio sperare?’
‘sì, a testa, naturalmente.’
Era una conversazione assurda, surreale, e quell’uomo in divisa, sembrava disperato, incapace di recuperare il controllo della situazione, incalzato dalle domande di Federica.
‘trenta euro.’
‘cioè?’
‘cioè cosa? Trenta euro e basta.
Ma è cretino? Lei mi deve trenta euro soltanto, visto che il pompino non glie l’ho fatto e non glie lo farò.
O forse pensa che io, per il fatto che guadagno molto più di lei, debba farlo gratis.
Le cose che non si pagano non valgono nulla. Non glie lo ha insegnato questo, la sua mamma?
Allora, li ha o no questi trenta euro?’
Stava rovistando nel portafogli, con aria sconsolata.
‘ne ho cinquanta interi …’
‘mi dia questi cinquanta, che le do il resto, altrimenti non la finiamo più.’
L’uomo, intascato il resto aveva girato le spalle per uscire dalla stanza.
‘ma dove sta andando? Non ho ancora finito.
Quando lo vede, dica al suo collega di passare a portarmi i suoi trenta euro.
Un’ultima cosa: quando fa il turno di notte?’
‘dopodomani.’
‘va bene, dopodomani , mi tratterrò in ufficio fino a tardi.
Ora può andare, e si ricordi di dire al suo collega dei trenta euro.’
Il giorno dopo, entrando in ufficio, la mattina presto, trovò proprio quel vigilante, al bancone di ingresso.
Lui la salutò con insolita cordialità e Federica notò sul suo viso, un sorrisetto vagamente ironico.
Lei lo fissò per qualche secondo. Prima d’ora l’aveva guardato solo di sfuggita.
Era giovane ed atletico.
Il cranio completamente rasato e la divisa gli davano sicuramente un’aria dura e decisa.
Bene, l’indomani si sarebbe sottomessa volentieri a quel bel tipo.
Per la sua seconda avventura nei bagni dell’ufficio scelse un abbigliamento adatto: un vestito rosso corto e scollato, con sotto un reggiseno molto succinto ed un perizoma, entrambi neri, autoreggenti scure e scarpe con il tacco alto, dello stesso colore del vestito.
Era emozionata ed eccitata e riuscì a combinare ben poco, durante tutta la giornata.
Verso le sette di sera le sembrò di sentire dei rumori per il corridoio e si affacciò.
Non c’era nessuno e, davanti alla sua stanza, era parcheggiato il carrello delle pulizie, con un grembiule poggiato sul manico.
Senza pensarci su neanche un momento, indossò il camice e spinse il carrello, lungo il corridoio, fino al bagno degli uomini.
Questa volta si sarebbe potuta risparmiare le pulizie, perché i bagni erano già perfettamente puliti.
Lo avrebbe trovato già dentro ad aspettarla?
Nell’antibagno non sembrava esserci nessuno e le porte interne erano tutte spalancate tranne l’ultima, semiaperta.
Si diresse verso il primo wc, quello della volta precedente, quando avvertì un rumore leggero e subito dopo si sentì afferrare per le spalle.
‘bentornata, regina delle donne delle pulizie.’
La spinse dentro, abbassò con un piede il coperchio del water e la mise a sedere.
Aveva le manette in mano e lei, docilmente, si fece passare le braccia dietro la schiena e poi bloccare i polsi al tubo di scarico della cassetta dell’acqua.
‘benissimo, oggi riprendiamo la lezione da dove l’avevamo interrotta la volta precedente.
Ti sarai chiesta perché ti ho legato in questa posizione?
Oggi faremo un po’ di pratica con i pompini.’
In un attimo le fu tutto chiaro. La volta precedente l’aveva scampata perché, scoperta la sua identità, testa rasata e l’altro, terrorizzati dalla possibilità che lei li denunciasse, avevano desistito.
Ora invece, visto che la proposta era venuta proprio da Federica, aveva ripreso coraggio.
Non aveva nessuna intenzione di fare pompini. Non le era mai piaciuto fare queste cose e non l’aveva mai fatto in vita sua, a parte quella brutta esperienza con i cinque ragazzi rom.
‘brutto bastardo, non ti azzardare ad avvicinare il tuo cazzo puzzolente alla mia bocca e, per rafforzare il senso delle sue parole, gli diede un calcio ad una gamba, colpendolo appena sopra al ginocchio.
Lui, per tutta risposta, le rifilò un manrovescio che le fece sbattere la nuca contro la parete, poi estrasse da una tasca un altro paio di manette e le saltò addosso.
Dopo una breve ed inutile lotta, Federica si trovò con le ginocchia allargate ed i piedi nudi sollevati da terra, con le manette che le serravano le caviglie, a contatto con la parte posteriore del basamento del water, mentre le sue eleganti scarpe rosse erano finite lontano, in un angolo del pavimento.
Era una posizione scomodissima e dolorosa, con i muscoli delle gambe in tensione.
‘allora, sei pronta per cominciare?’
‘prova solo ad avvicinarti che te lo stacco con un morso …’
‘oh, certo, potresti tentare una cosa del genere, ma hai idea di cosa potrebbe accaderti, dopo?
Stammi a sentire bella mia.
Tu in questo ufficio sei una importante, una che comanda, ma quando la sera decidi di entrare nel cesso degli uomini con il camice addosso, sei soltanto la donna delle pulizie, una poveraccia che arrotonda lo stipendio con qualche piccola prestazione sessuale.
Quando sei qui, fai quello che diciamo noi.
Quando sei qui, ammanettata, ti devi far scopare a nostro piacimento e se noi ti chiediamo anche un pompino, ci fai un pompino e devi fare tutto per bene, come hai fatto l’altra volta.
è chiaro?
Ora tu apri la tua bella boccuccia e ti cominci a dar da fare.
Bada bene, che se sento i tuoi dentini soltanto sfiorarlo, te li spezzo tutti, uno ad uno, con il calcio della pistola, e poi te li faccio ingoiare, prima di ricominciare.’
Con l’indice della mano sinistra le stava carezzando le labbra, mentre, con l’altra mano, aveva impugnato saldamente il suo arnese già in erezione.
Federica sentiva l’odore acre del suo pene, sicuramente non particolarmente pulito, mentre l’indice dell’uomo cercava di farle schiudere le labbra.
Fu presa da una fitta allo stomaco, se l’altra volta, sotto la minaccia di un coltello, era stato possibile, ora era diverso, perché quest’uomo avrebbe preteso che lei lo facesse di sua spontanea volontà, per di più provandoci anche gusto.
Era veramente troppo, non ci sarebbe mai riuscita: non solo non si sarebbe eccitata, ma non avrebbe mai preso in bocca quel coso.
E invece alla fine le sue labbra, lentamente, si schiusero, lasciandone entrare appena la punta, poi, quando lui lo spinse dentro con decisione, aprì bene la bocca per lasciarlo passare e subito dopo la richiuse, senza stringere troppo, cercando di non toccarlo con i denti, per evitare che lui mettesse in atto le sue terribili minacce.
Pensava che avrebbe vomitato per lo schifo, invece si accorse che il peggio era passato, e che tutto sommato non era una situazione così spiacevole.
Lui si stava eccitando e lei avvertiva distintamente sulle labbra le pulsazioni del sangue che affluiva attraverso la vena in rilievo che percorreva il suo pene.
Si rese conto che se lo stringeva un po’ con le labbra, oppure lo sfiorava con la lingua, lui aveva delle reazioni molto evidenti.
Il fatto che lei potesse comandare l’eccitazione di quell’uomo, semplicemente manovrando il suo pene con la bocca, le faceva provare una strana sensazione di onnipotenza, che si scontrava con la pesante e dolorosa forma di dominazione a cui era nel frattempo sottoposta.
Lei era incatenata ed immobilizzata in una posizione scomoda ed innaturale, eppure le bastava stringerlo un po’ di più tra le labbra per sentirlo quasi vibrare.
Ora lui aveva cominciato a muoversi in su ed in giù e lei lo sentiva entrare ed uscire nella sua bocca.
Tra un po’ avrebbe raggiunto l’orgasmo e le avrebbe riempito la bocca con il suo seme caldo, senza che lei potesse far nulla, perché, ammanettata mani e piedi al water, era in grado di muovere, a malapena, soltanto il collo. Era la cosa che temeva di più di tutta la faccenda, perché ricordava ancora le sensazioni orribili di quel giorno di circa un anno prima. Non avrebbe mai dimenticato lo sperma che le entrava a forza in gola, dopo averle riempito la bocca, mentre lei cercava disperatamente di sputare, e poi, come aveva finito con uno, ecco presentarsi un altro per ricominciare tutto da capo.
Ora, secondo quest’uomo, avrebbe dovuto farselo piacere.
Impossibile, assolutamente impossibile.
Aveva aumentato il ritmo, sentiva che quando lo spingeva dentro, la punta le toccava la gola.
Venne all’improvviso, dopo essersi fermato ed irrigidito per un attimo, scaricandole in bocca tutta la forza della sua sessualità.
Aveva superato la prova?
Era rimasta a bocca aperta, semi soffocata, con lo sperma che le colava fuori, bagnandole il mento e scendendo sul collo, per poi fermarsi sul colletto del camice azzurro.
Lui la guardava con aria seria: non sembrava troppo soddisfatto e scuoteva la testa.
‘guarda bella, che se mi devo fare una sega uso le mie mani e non la tua boccuccia.
Il pompino lo devi fare tu.
Significa che lo devi leccare, succhiare e, quando senti che è il momento giusto, le tue belle labbra si devono trasformare in una specie di mano che lo stringe per bene e poi va su e giù, su e giù.
E quando ho finito, prima ti devi ingoiare tutto e poi lo devi succhiare per bene in modo che quando lascia la tua bocca sia perfettamente pulito.
Adesso ci riprovi e cerchi di impegnarti un po’ di più, e se non va ancora, continueremo, a costo di farti passare tutta la notte ammanettata alla tazza del cesso.
Intanto, per familiarizzare un po’ con lui, ora gli dai quella bella ripulita di cui ti dicevo.’
Dopo averlo abbondantemente scappellato, lo aveva di nuovo posizionato davanti alla sua bocca.
‘su da brava, tira fuori la lingua ed immagina che sia un bel gelato.’
Si rese conto che, stranamente, cominciava da abituarsi e la sensazione di schifo stava scemando.
Cominciò a leccarlo, asportando con delicatezza i grumi di sperma rimasti.
Sotto l’azione della sua lingua stava iniziando a tornare in erezione e, quando le sembrò abbastanza duro, se lo ficcò in bocca, chiuse le labbra intorno al tronco e risalì lentamente fino ad incontrare l’ingrossamento della cappella.
A questo puntò iniziò a succhiarlo vigorosamente.
L’uomo aveva mandato un grido soffocato e le aveva messo le mani sulla nuca mentre lei sentiva che cominciava a bagnarsi.
Allora cominciò ad andare su e giù con la bocca, cercando di prenderlo tutto, rendendosi conto che sarebbe stato possibile raggiungere l’orgasmo anche in quella maniera.
Sentiva il perizoma che le entrava dentro, mano mano che la sua vagina bagnata ed eccitata, si apriva.
Si scostò un attimo e riprese a leccarlo. Ora le sembrava che fosse diventato enorme, non capiva se dipendeva dal fatto che era vicinissimo al suo viso, oppure era tutto merito suo e di quello che stava facendo.
La sensazione che aveva provato prima, solo per pochi attimi, di essere lei a comandare il gioco, nonostante la forma di dominazione a cui era sottoposta, ora era molto più netta: si rendeva conto che, con qualche tocco di lingua, dato nel punto giusto ed al momento giusto, poteva fare di lui quello che voleva.
Ormai era pronta, il perizoma le premeva sul clitoride gonfio, sarebbe bastato soltanto spingere sull’acceleratore per pochi secondi, e lui sarebbe partito senza più fermarsi, trascinando anche lei nell’orgasmo.
Quando decise che era giunto il momento, gli diede prima una strizzatina con le labbra e subito dopo riprese a lavorarlo per bene con la lingua. Lui le prese la testa e lo spinse dentro fino in fondo, mentre lei, ormai prossima all’orgasmo, gridava.
Sentì lo sperma che le inondava la bocca mentre le sue unghie, attraverso il grembiule, le si piantavano nelle spalle.
Ebbe la sensazione che la sua vagina stesse letteralmente esplodendo.
Il sapore non le sembrava più così orribile.
Questa volta lo pulì così bene che fu lui, alla fine a dire basta e dovette quasi aprirle la bocca a forza, per poterlo estrarre.
‘brava, hai visto che hai imparato subito?’
‘ti prego, liberami le gambe, non ce la faccio più a stare in questa posizione.’
‘ma vuoi scherzare? Abbiamo appena iniziato.
Ero così convinto delle tue capacità, che ho fatto venire un po’ di colleghi. Ora tocca a loro.’
Uscì dal bagno ed aprì la porta.
Nel corridoio si sentivano le voci di diverse persone.
Apparve un uomo, sempre con la divisa della vigilanza.
Si tolse il cappello e gli lo piazzò in testa.
Era grasso e calvo.
Tirò fuori dalle pieghe della sua pancia un affare corto e molliccio e gli lo sventolò davanti al naso.
Federica pensò che non sarebbe mai riuscita a farglielo drizzare, invece, poco dopo, si ritrovò a succhiare un affare tutto sommato abbastanza duro.
Fu una faccenda lunga, perché probabilmente, in quel bagno si erano radunati tutti i vigilanti in servizio nell’ufficio.
Quando anche l’ultimo se ne fu andato, ricomparve testa rasata.
La liberò dalle manette e lei gli cadde praticamente addosso, perché, dopo essere rimasta tutto quel tempo in quella posizione, non riusciva a stare in piedi.
‘su, su con la vita!
Non abbiamo mica finito. Adesso leviamo questo bel perizoma, e facciamo tutto il resto.’
Si ritrovò di nuovo ammanettata al tubo, nella stessa posizione della prima volta.
Era stanchissima e le ginocchia le si piegavano.
Testa rasata pensò bene di puntellarla: sentì infatti che le stava allargando le chiappe con le mani.
Un attimo dopo, il suo pene, dopo esserle entrato fino in fondo nell’ano, provvedeva a farla tornare con le gambe completamente stese.
Sentiva distintamente, proveniente dal corridoio, il brusio degli altri, in attesa del proprio turno.
La riaccompagnò a casa che era quasi l’alba, e, prima di farla scendere, le mise in mano una busta.
‘c’è una bella cifra qui dentro, abbastanza di più di quello che diamo all’altra ‘ donna delle pulizie. D’altra parte la mia mamma mi diceva sempre che le cose vanno pagate per quello che valgono, altrimenti non si apprezzano.
Buonanotte, regina delle donne delle pulizie.’
Per un po’ di tempo Federica aveva fatto in modo di non trattenersi in ufficio fino a tardi.
Era preoccupata e spaventata per quello che aveva provato quella notte.
Molte volte si era chiesta perché avesse fatto tutto ciò, visto che non aveva alcun bisogno di quei soldi. Quando aveva cominciato era in pessime condizioni economiche, ma ora, con quello che guadagnava, non c’era nessuna giustificazione, esisteva una sola risposta plausibile alla sua domanda: era una lurida troia.
Testa rasata si comportava con lei in maniera impeccabile. La salutava educatamente, esattamente come faceva con gli altri dipendenti.
Anche gli altri vigilanti si comportavano in modo assolutamente normale, ma lei ricordava le loro facce una ad una.
Non poteva essere sicura che tutti quanti l’avessero inculata, alla fine, perché lei era di spalle, ma ricordava perfettamente il sapore dei loro cazzi e le reazioni che avevano avuto quando aveva iniziato a succhiarglielo.
Era venerdì pomeriggio e voleva sbrigarsi ad andare a casa.
Da qualche mese aveva una relazione con un uomo sposato. Si trattava di un famoso primario ospedaliero.
Avrebbero trascorso il week end insieme, in un piccolo agriturismo, e lei doveva ancora preparare i bagagli.
Arrivata davanti al portone di casa, aveva infilato le mani nella borsetta per prendere le chiavi.
Accidenti, non le trovava.
Tornò indietro, fino alla macchina, forse erano cadute lì dentro.
Svuotò completamente la borsetta sul sedile. Niente da fare.
Un flash improvviso.
Prima di uscire dalla sua stanza d’ufficio, le era caduta la borsetta sotto la scrivania. Aveva rimesso in fretta, alla rinfusa, gli oggetti caduti ed era andata via.
Ecco, sì, le chiavi erano in ufficio.
L’unica era tornare indietro a prenderle.
Fece la strada guidando velocemente. Se arrivava in ufficio prima delle diciassette, avrebbe potuto mettere la macchina in garage, senza farsi notare.
I dirigenti avevano il telecomando per aprire il garage dell’ufficio, però, ad una certa ora, per motivi di sicurezza, il cancello veniva bloccato dalla vigilanza.
Il venerdì questo avveniva alle diciassette e lei non voleva assolutamente far sapere, a quella gente, che era rientrata in ufficio.
Sedici e cinquantasette. Premette il pulsante e la serranda d’acciaio si alzò rapidamente.
Dopo, per uscire, avrebbe dovuto farsi aprire, ma a quel punto, in macchina e davanti all’uscita del garage, non avrebbero potuto farle niente.
Prese l’ascensore che l’avrebbe portata direttamente al suo piano, senza passare davanti alla portineria.
Il corridoio era deserto.
Vide il carrello delle pulizie di lato alla porta del wc degli uomini.
Accostò l’orecchio alla porta socchiusa. Da dentro venivano dei rumori leggeri, poi avvertì dei gemiti sommessi.
La curiosità era troppo forte e, nonostante si rendesse conto del pericolo di essere scoperta, si affacciò nell’antibagno.
La moretta triste, la donna delle pulizie magra e con gli occhi scuri, se ne stava buona buona dentro ad uno dei cessi, ammanettata al tubo dell’acqua, con il camice sollevato ed i pantaloni abbassati.
Aveva il sedere piccolo ed un po’ piatto, ma in mezzo alle chiappe allargate e sporche di sperma, si vedeva un bel buco, rotondo ed arrossato.
Chissà se anche lei, a parte il sedere sicuramente più in carne, si presentava alla stessa maniera?
‘Chi è? Sei tornato? Dai finiamo, ché devo tornare a casa.’
Federica uscì in fretta, prima che la donna si voltasse e la potesse riconoscere.
Si affrettò a raggiungere la sua stanza, perché il vigilante poteva tornare da un momento all’altro.
Si mise carponi sotto la scrivania. Dietro i cavi del computer c’era un pacchetto di fazzolettini, evidentemente caduto dalla borsetta, ma delle chiavi nessuna traccia.
‘Cercavi queste?
Me le ha date la donna delle pulizie, ma poi ho pensato che saresti tornata a prenderle ed ho deciso di aspettarti.
Stai tranquilla, dopo, quando avremo finito, te le restituisco.’
Un minuto dopo era nel bagno, ammanettata, al posto dell’altra.
La ex ragazza carina dagli occhi scuri l’aveva guardata per un attimo, stupita, prima di passarle il camice azzurro.
Si era strofinata rapidamente un po’ di carta igienica in mezzo alle gambe, prima di rivestirsi, tirandosi su le mutande bianche con l’elastico sbrindellato, seguite immediatamente dai pantaloni.
‘Buon fine settimana, dottoressa.’
Federica pensò che forse, nelle sue parole c’era un po’ d’ironia.
Intanto testa rasata aveva preso il cellulare e stava chiamando qualcuno.
‘Sì, è tornata.’
Mentre telefonava stava già cominciando a spogliarla.
‘Certo che sono sicuro. è già pronta, legata nel cesso e me la sto per inculare.’
Sì, da come le stava allargando le chiappe, poteva confermarlo anche lei.
‘Senti, io adesso ho da fare. Inizia il giro di telefonate ed avverti tutti. Sarà una bella nottata.’
Aveva richiuso il telefonino e Federica sentì il suo cazzo che iniziava ad entrarle dentro e ripensò alle chiappe magre, con il buco allargato, della donna che era appena andata via.
Chissà che aspetto avrebbe avuto il suo culo la mattina dopo.

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