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Prova di forza

By 11 Gennaio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

 

 

Nunzio aveva viaggiato tanto e così, da quando stavo con lui, capitava spesso che andassimo fuori; e questo mi piaceva. Conosceva bene l’Europa che, diciamolo, è tutta molto bella.

Ad aprile siamo stati a Vienna: dal mercoledì al sabato. Lui doveva presenziare ad una fiera del suo settore, qualcosa tipo arte e metodi per l’illustrazione e la grafica.

Durante il giorno me la svignavo e ne approfittavo per visitare quella stupenda città.

A colazione ci si arrangiava, perché poi, la sera, come capita spesso durante questi eventi, ci ritrovavamo a cenare in ottimi ristoranti.

Servizio impeccabile, “allure imperiale” e tante cose buone da mangiare.

Personalmente mi sono goduta di più le verdure, le patate e il riso, perché il loro modo di trattare la carne ma, soprattutto, l’onnipresente aroma di wurstel, non incontrava molto i miei gusti, tipicamente mediterranei.

Poi, devo confessare il mio peccato, cercavo di tenermi leggera, per arrivare affamata a fine pasto.

Nunzio mi aveva consigliato di non perdere di vista dolci e budini, ed io ho obbedito ciecamente, perpetrando veri e propri “blitz” nei confronti dei carrelli, ricolmi di pasticceria.

Alla chiusura della fiera, invece di rientrare subito in Italia, Nunzio propose che facessimo un salto a Bratislava. Disse che c’era stato di passaggio, tanto tempo prima, e che valeva la pena visitarla.

Così, nel primo pomeriggio, partimmo.

Una volta arrivati, scoprii che aveva già prenotato una stanza per il sabato notte, in un albergo, dignitoso sì, ma nulla a che vedere con il lusso dei giorni precedenti.

Mi chiesi quando Nunzio avesse fatto la prenotazione. Comunque, che importanza aveva?

Una volta in camera mi spiegò che aveva preferito un albergo commerciale perchè, quella, era una città particolare.

Aveva una zona turistica “disinfettata” e abbastanza stereotipata ma sicuramente non ricca come Vienna; in compenso, qui era molto piacevole mischiarsi tra i giovani e la gente del posto, per frequentare luoghi palpitanti di vita, durante la sera e la notte. Fui subito d’accordo.

Sono una ragazza senza troppe pretese e poi, Nunzio, non mi aveva mai delusa, turisticamente parlando.

Lungo la strada avevamo mangiato un panino, e appena fatta una doccia, davo per scontato che saremmo andati fuori, ma lui accampò mille scuse e suggerì che restassimo un po’ in albergo a ritemprarci, dopo quei giorni intensi.

Non molto convinta accettai comunque la proposta, pensando che, forse, aveva in mente qualche giochino tipico da camera da letto.

Non mi sarebbe dispiaciuto, visto che tra cene e impegni, nei giorni precedenti, eravamo rientrati talmente tardi, che mi pareva si fosse dimenticato della mia accogliente “farfallina”.

Che delusione provai, quando, dopo avermi abbracciata teneramente, si dedicò con tutto sé stesso, alla ricerca di una pennichella ristoratrice.

L’arietta frizzante di aprile e la stanchezza, dopo un attimo di delusione, si impadronirono anche di me e così riposammo, beati, fino alle sette.

 

Uscimmo abbastanza rapidamente per la cena; non sono di quelle che amano perdere troppo tempo davanti allo specchio; la sorte mi ha voluto abbastanza bella e proporzionata, tanto da potermi permettere una vita senza troppi compromessi “estetici”, almeno fin’ora.

A trentatré anni le forme però si erano leggermente arrotondate, sui fianchi e sul seno, trasformandomi da snella mannequin a prosperosa modella. I seni erano addirittura passati da una stentata terza ad una prorompente quarta.

Il gonfiarsi deciso delle mammelle, dentro una pelle elastica e robusta, faceva sì che, nonostante la dimensione, le mie poppe, fossero sode ed erette anche senza reggiseno, scatenando le fantasie di amici e colleghi.

La passione per il trekking mi permetteva di tenermi allenata e tonica, tanto da smaltire quegli eccessi di piacere che, a volte, mi concedevo a tavola.

Con Nunzio, raggiungemmo il centro della città; passammo davanti ad un castello imponente ed imboccammo una strada che costeggiava la splendida cattedrale. Poco dopo raggiungemmo un ristorante molto carino, si chiamava: Modrà, credo, e lì mangiammo divinamente.

Non dimenticherò mai un piatto molto diverso dai nostri, di cui conservo nostalgicamente la squisitezza: gli halusky. Somigliano agli gnocchi, ma più saporiti e conditi da un sughetto delizioso. Poi prendemmo del gulasch di manzo, profumato dagli aromi e accompagnato da verdure.

A ripensare a quel giorno, ancora mi torna l’acquolina e, lo confesso, anche un vuoto, una smania nella pancia: come una corrente sensuale, che mi provoca un brivido caldo, dalla spina dorsale fino alla nuca. Probabilmente collego quei sapori al prosieguo di una notte veramente speciale.

 

– Ma, cazzo, non mi dire che ci siamo fatti duecento chilometri per mangiare? – sbottai, appena rientrati in albergo, ero stufa di quella mollezza nel comportamento di Nunzio. In fondo, erano solo le nove e mezza!

Lui mi guardò divertito e disse, con tono misterioso:

– E chi ti dice che la serata sia finita? Cambiati, donna di poca fede, che tra un’ora ti porto fuori … – altro sorrisetto malizioso – E preparati ad una notte brava! –

– Ah, volevo ben dire! – gli sorrisi – Siamo vicini alla Transilvania, dopo la mezzanotte, arrivano i Vampiri! –

– Erica – disse Nunzio, prendendomi il mento con due dita – dove ti porterò io, i Vampiri, hanno paura a farsi vedere! – concluse con uno spaventevole “Uhuu, uhuuuuu” da lupo mannaro.

Intanto si dedicava alla sua valigia da cui, a sorpresa, estrasse dei collant neri pesanti, aperti sotto, per lasciare libera la zona erogena.

– Metti questi, la notte fa freddo! – disse.

Guardai quelle calze da sexy shop, ero perplessa:

– Ma guarda che questi sono contenitivi. – infatti erano molto spesse – Non ho mica le varici?! –

– Tu indossali, ragazza e fidati … del Lupo cattivo! –

Preferii non discutere: mi piacciono le sorprese e amo le novità.

Lui volle decidere anche del mio abbigliamento e continuò a sorprendermi.

Mi fece indossare una mini attillata nera, ed ai piedi dei calzerotti arrotolati e gli scarponi da trekking (li porto sempre con me, non si sa mai).

Per l’intimo, decise per me delle mutande nere, enormi, estremamente elastiche, che avevo preso per i giorni peggiori del ciclo. Sopra, un reggiseno a mezza coppa, con il corpetto, che avevo comprato nei saldi. Una sola volta ci avevamo giocato in una nostra “seratina fetish”: però ero certa di non avercelo messo io, in valigia.

Subito dopo, altro colpo di scena! Mi “regala” seduta stante, una camicetta a quadretti, di una o forse due misure più piccola rispetto al giro del mio seno.

– Questa la può indossare solo la Barbie … ma come mi hai conciata? – mi guardai allo specchio, schifata – Non penserai che io vada in giro così? Sembro Heidi che va a fare la puttana! –

Ma Nunzio mi zittì con un bacio sulle labbra, molto complice:

– Amore, te l’ho già detto, la notte qui è speciale e ci sono localini molto particolari. –

– Ma non capisco quest’abbigliamento, però. – ribattei – Una donna non dovrebbe essere più carina, la sera … no? – mi aveva abbastanza smontata e mi sembrava di dover partecipare a una festa di carnevale.

Nunzio rise, senza rispondere.

Mi rassegnai ad accontentarlo, sperando di non dovermene pentire. Uscendo dalla stanza, controllai davanti allo specchio in quali posizioni, la mini metteva di più in mostra il mio culetto, per starci attenta, non volevo eccedere e mi vergognavo un po’.

Appena fuori, ci perdemmo tra lo sciamare dei ragazzi per le stradine della città vecchia. Le undici erano passate da un pezzo.

Quando, camminando spediti tra la folla, mi resi conto che nessuno mi cagava più di tanto, mi sentii comoda e a mio agio, soprattutto grazie ai miei scarponcini, robusti e leggeri.

Con sorprendente dimestichezza, Nunzio infilò un vicoletto laterale, poi raggiungemmo una stradina che, alla fine, ci condusse ad un piccolo cortile, abbastanza fuori mano.

Una porticina, sotto una scritta fiocamente illuminata, portava ad una scala, che scendeva al di sotto del livello della strada.

Sul cartello di legno, in caratteri al neon, c’era scritto semplicemente: HARD.

Due buttafuori, all’ingresso, ci squadrarono, poi ci lasciarono passare, come se ci avessero riconosciuti.

Discese le scale, arrivammo in un locale, molto più ampio di quanto avessi potuto immaginare. Sembrava un vecchio magazzeno; i soffitti erano formati da volte a botte, che s’incrociavano su enormi pilastri quadrati.

Il rivestimento era a mattoncini rossi, molto vecchi, forse era quello originale; l’arredamento era in legno scuro e anch’esso aveva un aspetto estremamente vissuto ma robusto.

 

Non c’era odore di umido né aria stantia, era vietato fumare, però il calore umano che emanava dai numerosi clienti era tangibile.

Notai che qualcuno sorrideva a Nunzio, compreso il barista, un bel ragazzo di colore dalla faccia simpatica. Lui, invece, faceva del suo meglio, per evitare di mettersi troppo in vista, come non volesse farsi notare.

– Insomma – gli dissi all’orecchio – qui ti conoscono bene? –

Pronto, rispose:

– Ma che dici? Manco da questo paese da almeno tre anni. L’ultima volta ci sono stato con degli amici… mi sembrò carino. Qui salutano tutti perchè sono socievoli. – Non aggiunse altro.

Sedemmo al bancone, sugli sgabelli.

Nunzio ordinò una birra scura, io chiesi un Martini Gold con ghiaccio.

Approfittai della sosta per ambientarmi … c’era gente ma non era proprio pieno, forse era solo troppo presto per le ore “clou” della serata, anzi: della notte.

Controllai i proprietari di qualche sguardo insistente che mi sentivo addosso, per cercare di capire l’effetto che facevo sui presenti.

Un pizzico di vanità lo devo pur confessare e mi piacque scoprire una punta di apprezzamento e di desiderio in chi mi osservava.

Notai anche, non troppa sorpresa, che, a studiarmi, erano sia maschi che femmine.

Accavallai le gambe con civetteria, stando bene attenta a non mostrare che razza di mutande indossassi… comunque mi sentivo a mio agio.

Era bello constatare che, nonostante l’abbigliamento da gita scolastica, il mio bel corpo non passasse inosservato.

Dopotutto, ero ancora giovane e mi tenevo in allenamento, anche per il piacere di sentirmi sana. Pur non essendo altissima, sono un tipo slanciato con un bel culetto in bella vista, che, in ufficio, cercavo di mascherare con le giacche dei tailleur, per non creare disagio o false illusioni.

Insomma pur essendo sobria e riservata, non ero una bacchettona, anzi.

E questo lato del mio carattere mi piaceva!

Nascondere un po’ la mia femminilità, senza ostentare troppo il mio corpo, era un po’ il segreto della mia capacità di sedurre, volendo… ed al momento opportuno.

Adoravo donarmi al mio partner, soprattutto le prime volte, quando mi scopriva un poco alla volta, lasciandolo sempre più sorpreso e felice dei miei “doni” erotici e sensuali.

Amavo sorprendere insomma … forse perché, comunque, rappresentava il mio carattere ed il mio desiderio di essere sempre quella che dirige il gioco.

Nel locale c’erano tavolini e panche, la musica era soft, così come le luci.

Solo sul fondo, una zona con più luci, sovrastava uno spazio, leggermente sotto livello, quadrato e spoglio, apparentemente deserto.

Dopo una decina di minuti, sul bordo prospiciente la zona più illuminata, due ragazze presero posizione l’una di fronte all’altra.

Erano vestite entrambe col kimono, quello da lotta giapponese. Tenevano una spada in mano, quasi sicuramente finta.

Una era una biondina ma non sembrava slava, forse più inglese, dai tratti.

Era leggermente in carne, o solo rotondetta di costituzione, aveva un aspetto abbastanza scialbo, insomma: non era una meraviglia.

Di fronte a lei una ragazza orientale, forse giapponese, dal corpo sottile e flessibile come un giunco.

Qualcuno presentò le due, in inglese.

Una musica ritmata seguiva l’esibizione delle due “gattine”: consisteva in una danza che simulava un combattimento, almeno credo, da lontano non si vedeva troppo bene.

Pian piano le combattenti attrassero l’attenzione su di loro, perché sotto ai Kimono erano completamente nude e totalmente depilate.

Mentre si esibivano, si vedevano i seni e le parti intime, che facevano capolino, sotto la vestaglia bianca, ad ogni mossa che azzardavano.

Le ragazze fingevano anche di tentare di ricomporsi ma era tutta scena, infatti, il loro fingere di trattenere le vesti, non faceva che rendere più eccitante lo spettacolo.

Le spade vorticavano nell’aria e colpivano, fermandosi al primo contatto, credo senza fare troppo male.

Gli spettatori gongolavano e le incitavano: si fecero più attenti quando le ragazze con mosse abili e rabbiose, iniziarono a spogliarsi ed a bloccarsi tra di loro, mimando pose sempre più sconce.

Ci spostammo per metterci più a favore del palco e vidi che le ragazze, nel corpo a corpo, mimavano operazioni sessuali di tipo lesbico.

L’atmosfera si faceva calda e notai che molti uomini avevano la patta gonfia, senza preoccuparsi troppo di nascondere la loro erezione.

Ma c’erano anche ragazze: alcune si muovevano sui sedili, ancheggiando e toccandosi le gambe, eccitate.

Nelle file più nascoste, c’era un vecchio, abbigliato da marinaio, che si masturbava sotto il tavolo. Ne rimasi sbalordita,

L’uomo era seduto al limite della panca, le gambe aperte, quasi ad inginocchiarsi sul pavimento, con un avambraccio si sosteneva al tavolaccio su cui era appoggiato, mentre, con la mano libera si mungeva il pene, che era talmente lungo da sembrare finto.

Sgomitai Nunzio, esterrefatta, mentre notavo che anche altre ragazze occhieggiavano verso quella scena.

– Non ci fare caso – rise Nunzio, come se niente fosse – credo sia solo un attore, fa parte dello show! –

– Cosa? – Ero allibita: ma che razza di posto strano era mai quello?

Ora le ragazze avevano finito di combattersi e, diciamolo, anche di strusciarsi l’una contro l’altra. Sempre sui bordi di quello spazio vuoto, illuminato, si misero a quattro zampe sotto sopra, da vere contorsioniste.

Chi conosceva “il gioco” si avvicinava e leccava, con fervore, le loro parti intime, dilatate e sudate, magari erano anche venute, durante la lunga esibizione.

Dopo essersi rifocillati nella figa o nell’ano dilatati, i più audaci gettavano sui loro pancini qualche moneta.

Poco dopo le ragazze, ringraziarono, recuperando il denaro e andarono via.

Controllai la panca del vecchio sporcaccione: era sparito, di certo Nunzio ci aveva azzeccato.

Viste le stranezze che capitavano e la disinvoltura con cui lui le recepiva, ero sempre più convinta che conoscesse bene quel posto.

Comunque aveva avuto ragione, quella serata si presentava davvero diversa.

Complice il Martini, abbastanza alcolico, mi sentivo allegra e su di giri.

Intanto, come avevo giustamente intuito, il locale si affollava man mano che la sera lasciava il posto alla notte.

 

 

Molti dei nuovi arrivati, però, avevano espressioni più determinate, facce più decise, qualcuno dava l’impressione di non essere veramente il ritratto dell’onestà.

Ci spostammo di nuovo e cercammo un tavolino; per fortuna ne trovammo uno ancora vuoto, mentre sul palco, davanti al quadrato, un trans bellissimo, seminudo, il cui pene era coperto solo da un piccola conchiglia, iniziò a cantare in tedesco una canzone molto ritmata.

I suoi seni rifatti, invece, erano completamente esposti, sotto un bolerino di tulle nero e trasparente. Se fossero state tette naturali, non avrei potuto che invidiarle con tutta me stessa.

Era passata mezzanotte, l’animazione era alle stelle, ogni tanto tra la musica rock ci si accorgeva dello scoppio di qualche alterco, piccole risse senza conseguenze ma che mi misero una certa agitazione.

Lo dissi a Nunzio, che mi calmò con una semplice osservazione:

– Tesoro, hai fiducia in me? – disse con lo sguardo più ingenuo del mondo – Ti metterei mai in pericolo? Guarda, segui attentamente le mie istruzioni … – e mi prese per le spalle, facendomi girare in direzione di ciò che dovevo osservare.

– Ecco, vedi quei due ragazzoni a destra del palco, nella zona dei bagni? – l’ispezione continuò – E quello, vicino alla porta, con la giacca a strisce? E ce ne sono ancora… sono tutti buttafuori. E’ l’atmosfera del locale. Ma non temere, nessuno entra armato, niente coltelli. E’ uno stile. Come una serata a tema. Poi se qualcuno vuole misurarsi, si può recare su quel quadrato e risolvere la questione, dando anche spettacolo. Ma nessuno si fa male, tranquilla. –

“Sarà” pensai tra me e me, ma le facce da galera che erano arrivate negli ultimi minuti, mi rendevano un po’ perplessa.

Nunzio mi disse cha sarebbe andato a prendere da bere. Mi lamentai: perché non chiedere ad una cameriera? Ma lui si era già perduto nella calca.

Pochi minuti dopo, tre ragazze, che sembravano sul brillo, sedettero al nostro tavolo, senza nemmeno chiedere permesso.

Una, grossa e puzzolente di sudore, si mise proprio al mio fianco, al posto dove era seduto Nunzio.

Mi diede solo una brevissima occhiata, quasi disgustata, poi mi lasciò perdere. Non me la sentii di protestare, anche perché non conoscevo una parola della loro lingua complicata.

“Andiamo bene”, pensai tra me.

Una delle due ragazze sedute di fronte mi guardò, come se si accorgesse solo allora della mia esistenza.

Smise di parlottare sguaiatamente con le sue amiche e si rivolse a me:

– Si può sapere cosa tu hai da guardare? –

Io sussultai. La ragazza parlava italiano, come lo parlano le badanti: aveva capito subito da dove venivo.

– Ah, bene, lei parla italiano. – risposi – volevo solo dire che il posto, questo al mio fianco, è occupato dal mio ragazzo … è solo andato via, un attimo. – Fui contenta di poterle avvisare che ero accompagnata. Avevo paura che quelle tre iene mi mangiassero in un sol boccone.

La donna mi squadrò, poi, come se non avessi nemmeno aperto bocca, ritornò a discutere animatamente con le altre.

Intanto arrivò la cameriera con tre birre in barattolo e, alle sue spalle, Nunzio con i nostri bicchieri, colmi di Coca Cola.

– Ehi, visto? – dissi indispettita alla ragazza che parlava italiano – lui è il mio ragazzo!  –

Quella senza mai guardarmi, disse qualcosa alle altre, e tutte e tre sbottarono a ridere in modo volgare.

Guardarono Nunzio e lui sorrise … come un perfetto idiota:

– Bene – disse in italiano Nunzio – abbiamo compagnia! – prese per un braccio la cameriera e pagò anche le birre di quelle tre stronze.

– Ma che fai? – ci rimasi di stucco.

– Questo è tuo uomo? – disse la “badante”, poi, rivolta alle altre – E’ un bello ragazzo, si può sedere! – E di nuovo giù, a ridere

 

 

 

Quell’imbecille di Nunzio, intanto, invece di portarmi via, se la rideva, come se non aspettasse altro che fare amicizia con quelle tre volgaracce.

La donna che si era piazzata al mio fianco era la più grossa, di fisico e di età, dimostrava circa trentacinque anni.

Lineamenti da russa e col mento pronunciato di un bulldog.

Fece un sorriso a Nunzio che sembrava più una smorfia, e si spostò verso di me, col suo grosso culo bolscevico.

A furia di spingere e di ignorarmi, la stronza finì per farmi cadere dalla panca, con un ultimo colpo secco. Lo fece apposta.

Impreparata, finii col sedere a terra in una posizione così discinta che si videro in bella mostra, le mie collant a reggicalze e le mie mutande da educanda.

L’abbigliamento e la posizione suscitarono il ridicolo su di me, mettendomi improvvisamente in forte imbarazzo.

La culona improvvisò per l’occasione una sceneggiata che mi fece andare ancor più fuori di testa.

Fece un panegirico ad alta voce, fingendo di rivolgersi alle amiche, ma che tutti poterono sentire, infatti commentarono con risatine compiaciute il suo show.

Dopo aver fatto la stupida, la ragazza si alzò dalla panca e abbozzando un inchino di scuse, mi porse la mano per aiutarmi ad uscire da quella imbarazzante posizione.

Confusa e stupita, ci cascai … e le diedi la mano.

Arrivata a mezz’aria, la troia mi lasciò di botto, facendomi ruzzolare peggio di prima sul pavimento, impacciata dalle scarpe da montagna.

Le risate di quella massa di ignoranti arrivarono alle stelle.

Nunzio, intanto, seguiva la scena con una faccia da stronzo ed un’espressione divertita.

Ormai non pensavo più a lui, un velo rosso calò sui miei occhi. La russa si voltava in giro, mimando degli inchini e raccogliendo gli applausi degli amici: l’atmosfera si era surriscaldata.

Non ci vidi più, umiliata e arrabbiata, da terra dove mi trovavo, facendo leva sui gomiti scalciai verso l’alto, alla cieca; fatto sta che, la russa, prese un bella pedata, di pianta, nel culo e fece un balzo in avanti.

Non credo di averle fatto male ma di certo si adirò come una scimmia.

Dopo la sorpresa, forse finta e un po’ esagerata, ripensandoci, la ragazzona mi fu addosso in un attimo e abbassò talmente il viso sul mio che mi uccise solo con  l’alito puzzolente intriso di birra.

Raccolsi le mani al viso, convinta che mi menasse ma lei si limitò a prendermi per la camicetta, all’altezza del petto; con la sua forza mi sollevò quasi dal pavimento, poi, sciorinò sul mio volto una litania di offese.

Non capii una sola parola ma, in compenso, venni subissata dagli spruzzi di saliva che riversava dalle labbra carnose.

Un attimo dopo, invece di continuare quella che sarebbe potuta diventare una vera rissa, si rimise in piedi e con espressione disgustata, si allontanò dalla mia vista.

Incredibile!

Tirai un sospiro di sollievo, l’avevamo scampata bella: la serata poteva finire veramente male. Fortunatamente la gente che frequentava quel locale era meno aggressiva di quanto avessi temuto.

Mi alzai, aiutata da Nunzio che, finalmente, sembrava meno ebete e più preoccupato.

Una volta in piedi, però, mentre mi davo una spolverata alle mutande, visto che ormai la mia lingèrie era diventata di dominio pubblico, mi accorsi che qualcosa non andava.

Nel locale era caduto un silenzio pregno di aspettativa e tutti gli occhi erano puntati su di noi.

Sottovoce, per non dare nell’occhio, sussurrai al mio ragazzo:

– Ma … che c’è ancora, mica saranno razzisti? Perché ci guardano come fenomeni da baraccone? – cominciavo a preoccuparmi più di prima – credo sia meglio se ce ne andiamo … –

– Ehm, amore, non credo sia così semplice… – disse Nunzio abbastanza impacciato – vedi, la ragazza di prima, quella a cui hai dato un calcio … –

Lo guardai allucinata, mi sembrava che anche lui parlasse slavo, visto che non riuscivo a comprendere cosa diavolo volesse dire:

– Insomma, quella, – continuò lui con sguardo timoroso – ecco … lei, ti ha lanciato una sfida! –

 

 

 

– Sfidata? – a quel punto ero veramente nel pallone – Che cazzo vuol dire… quale sfida? Ma io chiamo la Polizia, qui siete tutti matti… – divenni veramente furiosa. Ora ce l’avevo anche con quel coglione di Nunzio; a un tratto lo sentii estraneo, lontano.

Dopotutto, la nostra non era una storia d’amore… quindi tra noi, a parte l’amicizia e una buona intesa sessuale, non c’era altro.

Lui mi fece segno di calmarmi ma io non ne volevo sapere, la mia mentalità “estremamente civile” poteva pure accettare una litigata improvvisa ma una sfida no… che roba. Cose da terzo mondo, da ghetto: trovavo quell’idea repellente, assurda.

Mi girai per uscire, dandomi un contegno di superiorità ma alle mie spalle trovai i due buttafuori di prima… deglutii per la paura.

Quelli non erano “ragazze”. Avevano le braccia conserte e l’espressione decisa, ognuna delle loro mani era grossa come il mio avambraccio.

L’attesa della gente era palpabile e, forse era solo un mia impressione, ma mi sembravano, tutti, un po’ sull’incazzato.

Ulteriore disappunto mi nasceva dal fatto che, quel maledetto locale, si riempiva nella notte, invece che svuotarsi.

Una sensazione di irrealtà mi prese e mi girò la testa, chiusi un attimo gli occhi per cercare di riprendermi.

Nunzio si frappose tra me e i due buttafuori, fece segno di prendere tempo, e quelli sembrarono ammansirsi.

– Gioia, purtroppo è andata così … mi spiace – disse piano – ma conosco questa gente, non ci mollano. Devi batterti con quella, credimi è la cosa migliore … solo in questo modo ce la caveremo senza danni. –

Strinsi gli occhi in una espressione di odio e di rabbia cieca. D’improvviso la situazione mi crollò addosso in tutta la sua drammaticità.

Fu come quando, in un incubo, l’ambiente familiare che ti circonda, all’improvviso, diventa terrorizzante e ostile. Provai paura.

In pochi minuti ero piombata dalla certezza pacata della civiltà al fondo della barbarie… ecco perché ci avevo messo tanto a razionalizzare quella situazione.

Mi ritrovavo a miglia e miglia da casa, in un locale malfamato, nel bel mezzo di un quartiere malavitoso di una città straniera e sconosciuta.

Il top, insomma!

Con me c’era un’eccellente illustratore pubblicitario milanese, abbastanza fighetto da sembrare una checca giuliva in mezzo a quella gente: già le femmine, erano più virili e violente di lui.

 

L’adrenalina si scaricò nel mio corpo e mi donò una certa lucidità… quantomeno mi aiutò a ritornare con i piedi per terra.

Non ce l’avevo con Nunzio, se non per avere sbagliato locale; ormai avevo capito che su di lui non potevo contare… era del tutto inadeguato alla situazione.

L’ombra di un dubbio mi sfiorò la mente: il mio uomo, dopotutto, non era un imbecille. Ma il pericolo era così incombente, che non potevo permettermi di crogiolarmi nelle riflessioni.

– Che devo fare? – chiesi, visto che, comunque, lui qualche parola biascicava di quella lingua tagliente – Dobbiamo prendere tempo… per cercare di scappare. –

– Tesoro, sono le tre di notte – disse – dove credi che arriveremmo? Ascoltami, io ci sono già stato in questi posti: stai al gioco! Queste risse sono più una scaramuccia di pose, una specie di balletto … ma non credo che raggiungano mai fasi violente. –

– Mi aiuti molto, sai? – dissi piena di sarcasmo – Ma insomma, che cazzo vogliono? –

– La grassona ti ha sfidato, adesso io provo a chiarire la cosa… ma ti prego non essere troppo preoccupata, per loro è uno spettacolo, una forma di bullismo… –

Che spiegazione confortante, maledetto lui e quel locale pieno di matti.

 

 

 

Nunzio si voltò per affrontare il gruppetto di energumeni che si era stretto intorno a noi.

In fondo al locale, sul quadrato che avevo notato all’inizio della serata,  la russa si era quasi spogliata, restando in mutande e reggiseno di lanetta verde, un tessuto grezzo e scambiato, probabilmente di provenienza militare.

Se ne stava in quella piccola arena, ora illuminata a giorno … il pavimento era bianco e antiscivolo, con le fughe e i bordi arrotondati.

Al centro notai una grata di scolo, del tutto fuori luogo e per niente rassicurante.

 

La donna batteva i pugni, come volesse scaldarsi: sembrava l’incredibile Hulk.

I clienti del locale, si erano fatti più vicini, mettendosi a favore di quella specie di ring. Il bagno di sangue sembrava scontato.

Vidi anche Nunzio che provava a spiegarsi con quella gentaglia e, poi, gli sentii alzare la voce ma questo fu un errore: venne spintonato in malo modo, verso un lato e quattro braccia robuste lo immobilizzarono, facendogli capire efficacemente di starsene buono, per evitare il peggio.

Più passavano i minuti, più quella situazione diventava grottesca.

Un momento dopo, toccò a me essere spinta in avanti, verso quella specie di buca, allora capii che non potevo sottrarmi a quella pericolosa avventura.

Quando arrivai a favore delle luci, la calca prese voce e si eccitò; arrivò quella che sembrava una badante e mi disse in italiano:

– Ok, vai su palco, adesso, e dimostrati forte e coraggiosa – sorrise maligna – non cagare sotto e non chiedi tu pietà … perché a tuo fidanzato gli strappano le palle! Vuoi tu questo? – Il sorrisetto si trasformò in una risata sguaiata. Poiché queste battute le aveva dette ad alta voce, i giovinastri lì intorno, le trovarono molto divertenti, tra l’altro erano pure mezzi ubriachi.

Mentre avanzavo ancora, la biondina mi tolse di dosso la camicetta, strappando gli ultimi due bottoni sopravvissuti dopo la colluttazione.

– Questa solo te impiccia. Vai … combatti, italiana! –

Un ultimo sguardo intorno: la russa grossa mi aspettava per massacrarmi e il suo sguardo diventava a ogni momento più minaccioso.

Lo sconforto mi pervase ancor di più quando mi accorsi che, sulla scala d’ingresso, da dove eravamo entrati, tra gli spettatori occasionali, c’era anche una coppia di poliziotti.

Certamente reduci dalla ronda notturna, si erano defilati, per farsi un sorso “a sbafo” approfittando dell’ora tarda.

L’indifferenza divertita e il distacco con cui sorseggiavano le loro birre, mi fece capire che qualsiasi ribellione sarebbe stata inutile… ero prigioniera.

Prima di spostarmi sotto le luci, feci un gesto, dimenticato, ma scolpito nella mia memoria giovanile: mi segnai con la croce ed a testa bassa scesi nel quadrato, sotto i riflettori abbaglianti.

 

Una specie di piccolo boato provenne dalla folla che si era creata intorno all’arena; solo allora mi resi conto di quanta gente fosse in attesa, per vedermi massacrare.

Mi accorsi anche che qualcuno, concitato, scommetteva dei soldi. Puntava su qualcosa che non riuscii a sentire: non potevo immaginare che puntavano i lori soldi, sull’incontro che stava per avere luogo. Al momento non lo capii.

Decisi, invece, di concentrarmi attentamente, quanto meno per limitare al massimo i danni fisici.

Io non sono una gran sportiva ma nemmeno un tipo sedentario, la passione per la montagna, soprattutto da ragazza, aveva plasmato il mio carattere ad accettare le sfide, a non darmi per vinta. E così decisi di vendere cara la pelle!

Mi voltai verso la mia avversaria che sorrideva, cattiva: aveva tutta l’aria di godersela un mondo.

La grossa ragazza mi stava di fronte, leggermente china in avanti, come una tigre pronta a balzare all’attacco.

Anche lei era completamente depilata sotto le ascelle e, da quel che riuscivo a vedere, anche sul pube. La ragazza che era con lei, la cinese, si avvicinò e mi diede un elastico, facendomi capire che dovevo raccogliere i capelli.

La russa aveva già i capelli fermati da una molla; questa attenzione per i peli mi lasciò perplessa.

Poi la donna uscì dal tappeto, prese una pompa, e aperta la manetta, la poggiò per terra. L’acqua, come un serpentello sinuoso, si sparse sul pavimento che era coperto da un specie di sabbia secca. Questa, assetata, accolse l’acqua, trasformandosi subito in argilla scivolosa.

 

La russa mi fece segno di togliermi gli scarponcini, mentre lei faceva altrettanto, con le sue scarpette da ginnastica consunte.

L’attimo di confidenza che mi diede, servì a rendermi ancora più vulnerabile: mentre ero ancora alle prese col secondo calzerotto, l’avversaria, liberatasi fulmineamente dalle scarpe, mi fu addosso e, con uno spintone, mi fece rotolare sull’argilla scivolosa, fino al bordo che dava sul pavimento esterno, spaccandomi le ossa contro le piastrelle.

Le risate generali scaldarono la sala, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno.

La russa, si rimise in posizione, senza scarpe e mi faceva segno di rientrare.

Approfittai di essere fuori e, senza più interessarmi del decoro, sfilai anche la gonnellina, che ormai mi impacciava soltanto.

Mi tenni i collant, forse mi avrebbero difesa un po’ nelle scivolate.

Avevo appena iniziato ed ero già tutta sporca e impiastricciata.

Tornai in lizza, cercando di capire quando sarebbe partito l’attacco dell’altra, per difendermi alla meglio.

La donna fece un paio di finte allargando le braccia, poi, roteando su sé stessa, riuscì a cogliermi impreparata sul lato sinistro.

Mi prese per il braccio, cercando di tirarmi in avanti per sgambettarmi; con l’altro braccio tentava di agguantarmi le spalle ma io mi difendevo alla meglio.

Purtroppo, era troppo più forte e pesante. Con una finta ed uno strappo, scivolò sulla schiena incuneandosi sotto di me che, perso l’equilibrio, le rotolai sopra schiantandomi, poi, nella melma a faccia in giù.

Per un attimo non vidi più nulla, cercavo solo di sputare fuori dalla bocca quell’impasto, sporco e puzzolente di umori umani.

Quando riaprii gli occhi, le luci mi abbagliarono per un attimo, poi vennero subito oscurate da una massa enorme che mi stava precipitando addosso.

La russa, salita su una barra laterale che nemmeno avevo notato, mi si era lanciata sopra come una valanga irrefrenabile.

“Sono morta!” dissi tra me e me.

Grande fu la mia sorpresa quando mi resi conto che la grossa ragazza, con abilità e attenzione, nel rovinarmi addosso si era ammortizzata sui piedi. Aveva aperto le gambe di quel tanto che bastava perché il suo corpo toccasse con decisione il mio, ma senza schiacciarmi.

Pensai allora che non volesse uccidermi subito, per rendere più lunga e divertente la mia agonia.

La mia avversaria si rialzò, rimettendosi in posizione di sfida.

Anch’io mi rimisi in piedi rapidamente, ancora sputando ma la russa non mi dava tregua; mi fu di nuovo addosso e, ancora una volta, dopo qualche segnale di resistenza mi ritrovai infangata ma, stavolta, a pancia all’aria.

Di nuovo l’altra mi saltò addosso ma senza finirmi.

Non volevo sperarci troppo ma cominciavo a convincermi che la donna combattesse da vera professionista: forse, pregai dentro di me, non aveva alcuna intenzione di farmi veramente male.

Quella fievole opportunità mi ridiede un filo di speranza di rivedere, viva, la mia casa, un giorno.

Mentre ci studiavamo, spostandoci l’una di fronte all’altra, con le gambe divaricate, pensai che, forse, aveva ragione Nunzio.

In realtà quello era solo uno spettacolo in cui la vittima inconsapevole ero io ma…. niente di veramente cruento o drammatico mi poteva accadere.

Con quella speranza nel cuore mi caricai: ormai ero eccitata e coinvolta;

decisi di non lasciare che tutto mi scivolasse addosso, cercai di fare del mio meglio per rendere pan per focaccia alla russa.

Tentai più volte di immobilizzarla, lei si liberava sempre, intanto sudava e puzzava.

Anche io, sotto il deodorante Allure, zampillavo sudore, per fortuna ancora senza tracce di sangue.

Ginocchiate calibrate si fermavano nella mia pancia, dandomi la nausea, ma senza ferirmi al punto di svenire; gomitate allucinanti raggiungevano il mio naso e i miei denti ma, nonostante la velocità e la potenza, il colpo si bloccava con maestria, un millimetro prima di fracassarmi i denti.

Dal canto mio, mi guardavo bene dal colpire veramente: fui lesta a capire che non dovevo farle veramente male, altrimenti le cose si potevano volgere al peggio.

Dopo dieci minuti di gioco duro, la folla era inferocita ed eccitata, tutti parteggiavano per la russa, tranne qualcuno che mi incitava sorridendo con lo sguardo carico di pietà.

Poi, la russa caricò, a testa bassa, come volesse farla finita e rotolammo di brutto, attorcigliate come due cagne in calore.

Non so come successe, non so se fossi stata veramente io a strapparglielo ma la donna si ritrovò, in mezzo alla pista, senza reggiseno, con i grossi seni dai capezzoli rosei, quasi infantili, esposti, davanti a tutti.

Per un attimo si guardò intorno confusa e cercò di ripararsi, con un braccio,

i due seni ballonzolanti.

La folla esplose in un urlo: ancora più gasata.

Tra gli altri, intravidi anche il volto di Nunzio che, tra le guardie di prima, sorseggiava beato un drink e si godeva lo spettacolo… quando si accorse che lo guardavo, cercò di mostrare un atteggiamento più sofferto, ma con scarso risultato. Adesso il suo sporco gioco mi era fin troppo chiaro.

La furia per essere stata messa in mezzo, cercava un obiettivo e con rabbia mi scagliai sulla russa, ancora confusa e mezza nuda, stavolta fui  io a cercare di bloccarla, allargando le gambe su di lei, appena cadde, sopraffatta dalla mia mossa.

Mi sedetti sulla pancia di lei e, ormai infuriata, le strappai di dosso anche le mutandine, gettandola nella melma.

La troia scalciava, a gambe aperte, e la sua figa spiccava rosea nel grigio dell’argilla.

Le agguantai le gambe dal davanti ma fu una mossa falsa.

Lei approfittò del punto di leva rappresentato dalle mie braccia e, agilissima, si inarcò verso l’alto, cosicché mi ritrovai la sua fregna, praticamente davanti alle labbra … e spingeva, per schiacciarmela sul viso.

Intorno, uomini e donne erano al parossismo … avevano capito che la lotta si scaldava sempre più.

Fui costretta a tirarmi indietro, sorpresa e disgustata, lasciai la presa e persi ogni controllo sulla mia avversaria.

 

Eravamo vicinissime.

Ci ritrovammo per terra, sottosopra una rispetto all’altra. La russa, allora, fece una mossa che mi rese ebete: si impadronì delle finte fettucce del mio collant a reggicalze e le slargò, trovando libero accesso alle mie mutande, fulminea le abbassò fin dove poteva permettere l’incastro con le calze ma ritrovarmi nuda, in mezzo a più di cento persone, era proprio inaccettabile per la mia mentalità.

Mi sentii come quando si sogna di uscire per strada e di accorgersi, troppo tardi, di essere nudi.

Persi ogni presa tentando di ricompormi, alla ricerca di una irripristinabile decenza: in effetti non avevo più niente per coprirmi.

Quella perdita di controllo mi costò cara.

La mia avversaria riprese il comando e dimostrò tutta la sua abilità … era una professionista e anche brava, purtroppo.

Come un grillo, si rimise in piedi e trascinandomi per le calze, le usò come tiranti per girarmi sotto sopra.

Ero a testa in giù nella melma, mezza schienata e agitavo le braccia come una marionetta per cercare di ricomporre l’abbigliamento a brandelli.

Le calze salirono verso l’alto, scendendo, in realtà, lungo le mie gambe e furono adoperate per bloccarmi all’altezza delle ginocchia.

Allora la ragazza, tenendomi come un salame, con un braccio strinse le mie gambe al suo petto mentre con la sua destra, con un gesto del tutto inaspettato, si avvinghiò al ciuffo di peli della mia vagina, oscenamente esposta allo sguardo di quei porci allupati.

Non avevo mai provato quel tipo di dolore, anzi, più che il dolore, era la paura stessa del dolore (cioè di quello che avrei potuto provare) a immobilizzarmi.

Erano tutte mosse a cui non potevo essere abituata, la nudità imposta e repentina, fece il resto… in pochi momenti, la situazione si era ribaltata.

Non era più un gioco di finte, adesso ero in balia della russa che mi sovrastava in forza e abilità.

Ero letteralmente spossata, mentre lei sembrava diventare sempre più appassionata e vigorosa.

Per fortuna le scivolai dalle mani ma solo per scivolare pesantemente col sedere, ora nudo, nella mota.

La gente era in delirio e le scommesse fioccavano, adesso erano tutti accalcati intorno al ring… aspettavano inferociti il finale di quella lotta: temetti il peggio, perché ormai era chiaro che il peggio non era ancora arrivato.

Gli spettatori intonarono una specie di coretto… ma capii che si trattava della ripetizione, ipnotica, di una parola sola.

In cuor mio sperai che non volesse dire: uccidila!

Infatti, non era così, lo capii un attimo dopo, in realtà significava: seno.

Mentre mi preoccupavo di capire, la russa mi scavalcò rispedendomi sul pavimento da cui, faticosamente, mi ero appena rialzata.

Si sedette, nuda, sul mio culo; sentii il fastidioso contatto della sua zona pelvica, indecentemente calda.

La russa mi tirò su per i capelli, costringendomi a inarcare il busto, allora infilò le mani sotto il mio reggipetto nero e, esagerando i gesti per eccitare quel gruppo di scalmanati, mi impastò i seni con le mani.

 

Non sentii veramente dolore ma maltrattò le mie povere “bocce” senza alcun rispetto, rimescolando con le grosse mani le mie tette e tirandomi per i capezzoli, spessi e carnosi.

Un vuoto allo stomaco si impadronì di me, mentre una calda corrente di piacere, del tutto irrazionale, mi invitava a cederle.

Non sapevo cosa mi avesse preso, adesso. Mi resi conto che, dentro di me, tutto ribolliva, cambiando completamente la mia ottica riguardo quella incresciosa vicenda.

Quando la mia avversaria iniziò a strapparmi il reggipetto e lasciò trasbordare i miei seni perfetti e nudi; quando vidi quelle facce eccitate e volgari che mi guardavano piene di libidine, invece di provare fastidio, mi riempii di orgoglio.

E godetti del fatto che la donna, in quel momento, fosse la mia padrona e che mi mostrasse a tutti, con studiata lentezza, come se i miei seni fossero “roba sua”.

Mi cinse con il grosso braccio sotto le poppe, in modo che entrambe fossero proiettate prepotentemente in avanti, rigonfiandosi più che mai.

Uomini e donne erano eccitati e allegri, allo stesso tempo, e una specie di grido trionfale accolse l’esposizione forzata del mio corpo nudo.

Ormai non ero più padrona di me, la russa mi teneva per i capelli e mi aveva vinta. Era ovvio!

Ciò che mi poneva completamente in sua balia, non era la forza né il dolore, era il piacere che stavo provando nel sentirmi stretta a lei. Mi vergognai di quella nuova e sconosciuta sensazione.

La mia padrona mi aveva domata.

Incurante del fatto che fossi più bella, che i miei seni fossero più torniti e femminili, si vedeva che lei non provava alcuna gelosia femminile nei miei confronti, anzi, godeva a mostrare il “suo” personale trofeo e il potere che ora poteva esercitare sul mio corpo.

A quel punto eravamo intimissime: la sua vagina era calda e presente mentre sedeva, a cosce aperte, sul mio culo.

I suoi seni, tronfi e sodi, mi pressavano la schiena ogni volta che lei mi sollevava per mettere, ancora una volta “in vetrina” i miei.

Mi dava in pasto a quella folla eccitata, che non faceva nulla per nascondere la propria esaltazione sessuale.

La donna, esperta dominatrice, aveva capito: ogni mio orgoglio aveva capitolato.

Un attimo dopo, mi si distese completamente addosso e rimase immobile, come un predatore blocca la sua vittima, per riprendere fiato ma senza perderne il controllo.

Approfittai di quel breve tempo morto per cercare di ritrovare un barlume di coerenza: la cittadina italiana, laureata, manager e, diciamolo, abbastanza borghese, rifece capolino nella mia mente… mi guardai intorno.

Mentre valutavo la situazione, intravidi il viso gaudente di Nunzio e incrociai il suo sguardo, eccitato come quello di tutti gli altri.

Lui sapeva, sapeva tutto fin dall’inizio…  lo odiai con tutte le mie forze.

Purtroppo il ritorno alla civiltà durò solo un attimo. La mia riservatezza signorile mi crollò addosso nuovamente, in un impasto di sangue e saliva: me lo offriva la russa che, torcendomi il collo all’indietro, mi diede il più violento, carnoso, sensuale, intimo e sporco bacio che avessi ricevuto in vita mia.

Nemmeno un camionista ubriaco mi avrebbe saputa baciare così.

Lei era sopra e grondava saliva e sudore salato, la sua lingua era spessa, calda, viscida come una lumaca piena di umori privati.

Avrei voluto resistere ma non ci riuscii: davanti a tutti, senza potermi mai più giustificare, mi lasciai baciare con trasporto succhiandole a mia volta la lingua e le labbra, in un abbraccio lesbico e sensuale mai provato prima.

Era il primo bacio segreto, proibito, orribile, ricevuto da una donna… e lo avevo condiviso con “appena”… poche centinaia di persone.

Persi la testa per alcuni, interminabili minuti, mentre la russa mi succhiava l’anima attraverso la bocca, le sue mani si perdevano sul mio corpo, carezzandomi con forza decisa le tette e l’inguine.

Come una vampira del sesso mi stava rubando la personalità, accuratamente costruita con anni di sacrifici, trasformandomi in una sgualdrina da trivio, pronta a leccarle il culo: a lei, così grossolana e, sicuramente, ignorante!

Eravamo li, in quella plastica posizione: lei a cavalcioni sulla schiena che mi palpava ed io, da sotto, inarcata, puntellata sulle mani che le offrivo la bocca, girandomi indietro.

Mi ero sollevata con tutte le forze, per il semplice piacere di permetterle di tastare le mie intimità, a suo piacimento.

Sembrava impossibile ma ero sottomessa e incapace di ribellarmi.

 

Quando ci staccammo, mi resi conto del dramma in cui mi ero cacciata: molti di quelli che ci osservavano arrapati e gaudenti, riprendevano con i telefonini ogni momento della mia capitolazione lesbica. Ma dato che, quella notte maledetta, io non ero più io… dopo averci pensato su per un attimo, ne godetti.

Non c’è che dire: l’eccitazione gioca davvero brutti scherzi alla psiche, ma non era tempo di fare filosofia.

La mia “battaglia” non era affatto finita. Ancora non sapevo che, colei che perde il combattimento doveva essere punita.

Mentre ci rimettevamo in piedi, la ragazza che parlava italiano ci raggiunse, tutta raggiante e sorridente, e ci prese entrambe per mano.

Poi si rivolse al pubblico e iniziò un discorsetto in lingua slava, che gli astanti sembrarono gradire molto, visti i fischi e le urla eccitate che lanciavano.

A me quasi veniva da ridere: accettavo con tranquillità di starmene nuda, tra tutta quella gente sconosciuta che apprezzava il mio corpo, ormai completamente esposto, senza nessuna vergogna come fosse un atteggiamento del tutto naturale.

Avevo perso ogni ritegno e mi sentivo come se non avessi mai fatto altro in vita mia.

Intimamente divertita, ebbi un flashback di tutte le facce di colleghi e di clienti che mi avevano spiata, cercando di non dare nell’occhio, pur di indovinarmi le gambe, il culo o i seni da sotto gli abiti castigati e sobri; quelli che normalmente indossavo durante il lavoro.

Poveretti… avrebbero dovuto vedermi adesso.

Sorrisi a me stessa.

Mentre la ragazza parlava al pubblico, mi sentivo sempre più calata nel personaggio della lottatrice professionista e… perdente.

Ero convinta di aver perso con onore … e che la fine di quel gioco fosse vicina.

Ascoltai tranquilla la chiacchierata e mi preparai a lasciarmi alle spalle quella stranissima avventura.

 

Un momento dopo, il mio “onore” sarebbe finito nelle fogne di Bratislava.

Ma io non potevo saperlo…

Quella specie di “badante” declamò ad alta voce il nome della vincitrice: Tatiana, sollevandole il braccio in segno di vittoria.

La gente accolse con tripudio la proclamazione, con fischi e applausi che non si placavano.

La ragazza, intanto, approfittando del casino che si era creato, mi si avvicinò e mi carezzò maliziosamente un seno, tastandomelo; stavo quasi per risentirmi, quando lei mi disse a bassa voce, fissandomi profondamente negli occhi:

– Adesso tu sei di Tatiana, sei schiava di lei, stanotte… non ti ribellare. Capito? E’ la regola! – poi sorrise – Ma tu non ti ribellerai, vero? Perché sei puttana, dentro di te. Si vede! – e dopo avermi pizzicato il mento con cattiveria, si voltò, ignorandomi completamente.

Non mi diede il tempo né di rispondere, né di chiarire. Mi arrabbiai molto, arrossendo per il bruciore di quella verità, che lei aveva pronunciato ad alta voce.

Credevo di essere diventata padrona della situazione … e invece, come uno schiaffo a freddo, mi ricordavano che ero solo una vittima, in quel casino incredibile in cui il maledetto Nunzio, mi aveva cacciata.

Ero una donna adulta e credevo di essere preparata a tutto ma adesso, ai bordi estremi della società civile, mi resi conto che tutto può cambiare intorno a noi, all’improvviso: mai avrei immaginato di provare le emozioni che mi pervasero quella notte.

Ero prostrata.

Le mie certezze erano sfumate in poco meno di un’ora. Tatiana mi aveva vinta e soggiogata.

Ma, contro ogni logica, da quando mi aveva baciata in bocca, non desideravo altro che essere sua. Non m’importava d’altro, in quel momento.

Né di Nunzio, né della gente che guardava e aspettava di assistere allo spettacolo della mia umiliazione… e cosa mai poteva interessarmi di loro? Il piacere nuovo che stavo conoscendo e provando, mi poneva vari metri al di sopra tutti.

Il pericolo che correvo, sperduta in quei vicoli bui, non mi faceva più paura, anzi… mi dava adrenalina.

Era come se avessi scoperto un’altra me stessa, con valori del tutto diversi: nessuna sicurezza, nessuna certezza nel domani… ero una zingara senza nome, che affidava il suo destino nelle mani di una lottatrice lesbica e incattivita.

La mia predisposizione a concedermi a un’altra donna, cosa che mi avrebbe fatto inorridire e vergognare fino a pochi minuti prima, adesso mi sembrava una ulteriore dimostrazione di superiorità… di grandezza.

Mi convinsi che molte delle ragazze presenti, non sarebbero mai state capaci di farlo e, comunque, incapaci di provare le mie stesse emozioni.

Probabilmente, mi dissi arrossendo, stavo sperimentando la stessa gioia che prova un cane a far felice il suo padrone.

Tatiana mi prese per mano, come si fa con i bambini ed io mi lasciai guidare senza opporre alcuna resistenza.

Arretrammo fino al bordo del ring, dove un inserviente ci proiettò addosso la pompa dell’acqua, ripulendoci alla meglio dall’eccesso di fango. Per fortuna era tiepida.

Poi il giovane mi prese in custodia e mi portò dietro le quinte, in un bagnetto abbastanza malridotto.

Mi lasciavo fare tutto… non capivo bene perché ma sapevo di goderne, dato che la mia figa era continuamente bagnata.

Mi fece sedere sul bagno e mi suggerì di fare i miei bisogni. Continuavo ad essere completamente nuda.

Mi infilò sotto una doccia caldissima e mi insaponò rapidamente con un sapone ruvido e sabbioso; con una spugna, frizionò il mio corpo, donandomi una sensazione rigenerante. Un profumo speziato, forse di patchouli, si espandeva nell’aria calda e umida.

Mi asciugò con un telo spugna bianco e pulito e mi riaccompagnò nell’arena, dove il pubblico attendeva di assistere alla mia punizione e di godere delle mie grazie, fino a poche ore prima gelosamente custodite.

 

La musica ritmata lasciò subito il posto ad un pezzo più soft, ricco di arpeggi delicati: il tempo era scandito dal basso e dalla batteria.

Nonostante la nudità, cercai di assumere una posa composta e dignitosa.

Il massaggio dell’acqua e del peeling effettuati dal sapone, avevano avuto sulla mia carnagione un effetto rivitalizzante e piacevole.

Mi sentivo bella e provavo un intimo piacere a mostrarmi senza veli e senza inibizioni: sicura di me nel mostrami non ne perdevo in dignità.

Tatiana mi aspettava seduta su una piccola panca. Anche lei era nuda, sembrava un gladiatore.

Anche lei si era lavata e sistemata, adesso si dimostrava meno brutta e più femminile nelle sue forme, forti e toniche.

Lo spazio su cui avevamo lottato era stato ripulito dalla mota. Le mattonelle erano lucide e sul fondo del quadrato era stato adagiato un piccolo tappetino di gomma, mi ricordava uno di quei “dormi-bene” che si portano in campeggio.

La donna mi squadrò e mi prese per mano, con una sorta di gentilezza determinata.

La sua mano forte mi strinse le dita… non riuscii a capire se quel gesto contenesse un messaggio.

Quello che mi fu chiaro dal primo contatto era che, il desiderio di essere sua, si amplificava all’inverosimile: adesso eravamo vicine e lei mi teneva per mano, senza interferenze e senza traduzioni.

Come una droga potente, questa sensazione di appartenenza, faceva sì che io, da leonessa della “city” mi trasformassi, per mano sua, in una pecorella obbediente. Non soffrivo di questo mio nuovo “status”, anzi, ne gioivo ed ero pronta a prostrami al suo volere con immensa gioia. Ero felice di darle piacere e scodinzolare ai suoi ordini.

Incredibile! Mai provato niente del genere, nemmeno per il primo che mi aveva avuta. Nemmeno per il primo amore di ragazza: mai.

All’angolo del ring c’era una presa d’acqua, di certo serviva per pulire facilmente quello spazio, piastrellato come un mattatoio.

Tatiana mi fece voltare e, cogliendomi impreparata, infilò nel mio retto una cannula. Il gesto fu talmente improvviso che il tubo, non troppo spesso, entrò, senza sforzo tra le mie chiappe.

Mentre ancora cercavo di capire, confusa e rossa di vergogna, mi resi conto che mi stava riempiendo, lentamente, l’intestino di acqua tiepida.

Avrei voluto voltarmi ma lei, con decisione, mi tenne bloccata, prendendomi per il collo. Poi mi sussurrò qualcosa all’orecchio, capii che mi invitava a starmene buona.

Quando la pancia mi sembrava esplodere e l’acqua cominciava a farmi male, la donna, esperta, non me la sfilò.

Mi fece arretrare, con molta difficoltà e impaccio verso la grata di scarico, al centro del piccolo spazio.

Usava la cannetta infissa nell’ano, come un perno, con cui riusciva a comandarmi e a guidarmi. Ero del tutto impotente e avevo il terrore di potermi lacerare l’intestino.

Mi premette sulle spalle per farmi accovacciare. Mentre eseguivo ero incapace di qualsiasi reazione, avevo la pancia piena d’acqua, come un otre teso; essere svergognata davanti a tutti, mi fece bagnare gli occhi di lacrime. Mi aspettavo di tutto ma non quella terribile umiliazione della mia più nascosta intimità.

Quando fui nella giusta posizione, le gambe divaricate e il foro dell’ano direttamente puntato sulla grata di scolo, Tatiana lentamente mi sfilò il tubo dal sedere.

L’acqua, senza più ostacoli, si scaricò dalle mie budella con un fiotto selvaggio prima, poi, successivamente, con una serie di gocciolii, mentre cercavo di liberarmi al più presto da quella costipazione.

Non pensavo di poter contenere tanto liquido nel culo: gli spruzzi sembravano non finire mai.

In cuor mio fui contenta di essermi completamente liberata, prima nel bagno e di non aver peggiorato il mio stato, lubrico e discinto, davanti a quella marmaglia.

Ormai non li vedevo neanche più: la vergogna e le lacrime mi avevano accecata e gli strepiti della loro lussuria, gridata e applaudita, mi giungevano quasi ovattati in quello stato di totale soggezione.

Non avevo mai provato tanto disagio in vita mia, soprattutto quando sentii, comunque, l’odore di budella calde provenire dalla pozza che si era formata sotto di me.

Tatiana mi costrinse in ginocchio, poi a quattro zampe come un cane, e con freddezza tagliente, appena fui in bella vista per tutta la platea, mi cercò nuovamente l’ano con il tubo e mi infilò, ancora una volta, con voluta lentezza.

Ero prona e aperta e, all’inizio, non sentii niente poi, pian piano, mi accorsi di gonfiarmi, come avessi un palloncino in pancia. Ero invasa dal liquido che si insinuava in ogni mio spazio interno, riempiendolo e pressando fino a farmi scoppiare… per un attimo credetti di svenire per la tensione e non capii più niente, perchè mi girava la testa.

Pensai addirittura che mi volesse torturare fino ad uccidermi, mentre mi passava per la testa una certa narrativa BDSM, che mi era capitata sottomano ma non era così.

Lei sapeva perfettamente come il mio buchetto avrebbe risposto a tanta sollecitazione, infatti, un istante dopo, l’acqua trovò una via di fuga, proprio ritornando verso il retto e uscendo facilmente dallo sfintere che, ora dilatato dal tubo stesso, non opponeva nessuna resistenza.

Così, per vari minuti, si innescò dentro me un perverso meccanismo circolatorio: adesso che i miei tessuti non opponevano più alcuna resistenza, pian piano quello sciabordio, che sembrava inarrestabile, mi portò il piacere.

L’acqua non mi faceva più male, la pressione si era bilanciata e sentivo il liquido rimescolarsi nel mio corpo per poi spruzzare, con un suono sguaiato, dal mio buchetto, zampillando intorno e scorrendo sulle mie gambe aperte e sui piedi nudi con un massaggio continuo: caldo, piacevole.

Ero troppo stressata, ormai, desideravo solo terminare quella terribile nottata con Tatiana.

Mi accorsi che anche quella pratica schifosa e cruenta, quel clistere fatto da una sconosciuta in un putrido locale di periferia, mi piaceva e mi faceva godere del mio nuovo “status” di schiava e di puttana, totalmente esposta al pubblico giudizio.

Anche quella passò, finalmente.

Mi toccò seguirla, sempre tenuta per mano come una scolaretta in punizione, fino al tappetino in fondo del quadrato.

Finalmente trovai la forza e il coraggio di guardarla.

“Strano” pensai tra me “un’ora fa mi disgustava ora mi pare una dea del Walhalla”.

La donna alzò lo sguardo e mi osservò soddisfatta, le piacevo e ne gioii.

Mi fece voltare su me stessa, guidandomi lentamente, per godersi il mio corpo e, di certo, anche per farlo godere, un’ennesima volta, a tutti i presenti.

Un piccolo brivido mi attraversò la schiena quando mi accorsi che prendeva, dal bordo della pista, un enorme fallo di plastica verde.

Le sue dimensioni erano tali da destare in me un rimestio in pancia e una certa preoccupazione, soprattutto per gli accurati lavaggi anali a cui ero stata sottoposta un momento prima.

Capii che rischiavo grosso… non voglio fare la santarellina e non disdegno il sesso di dietro ma mai avevo preso un fallo grosso come quello che stringeva Tatiana tra le mani: né di plastica, né di carne.

Ne valutai anche la lunghezza che di certo superava il mio avambraccio.

Le luci bianche erano quasi tutte state smorzate, mentre fari colorati illuminavano lo spazio occupato da me a dalla mia aguzzina.

Tatiana mi venne incontro, mi mise la mano sulla spalla come volesse dire: vieni che adesso mi prendo cura di te.

Mi affidò tra le mani il cazzone di gomma, il cui contatto mi diede una scossa eccitante. Valutai quel membro impossibile, non era duro, anzi, era morbido e assecondava i movimenti delle mani.

Al pensiero che la donna me lo avrebbe messo dentro e forse anche di dietro, mi resi conto che di sicuro avrei provato male; nella follia che mi possedeva, invece di soffrirne … mi convinsi che sarebbe stato stupendo, fatto da lei: perché più mi avrebbe squarciata, più mi sarei sentita in suo potere.

Nel locale si fece silenzio; solo una musica dolce e sensuale si rendeva complice di quella scena segreta.

In piedi, l’una di fronte all’altra, pronte ad iniziare un tipo di lotta completamente diversa e, per me, completamente nuova.

Tatiana avvicinò la sua bocca alla mia e, finalmente, mi baciò ancora, a lungo, facendomi sollevare sulle punte dei piedi e portandomi in paradiso.

Questa volta il suo bacio era diverso, meno rabbioso, molto più dolce, adesso che si era lavata e ripulita. Il contatto era molto più sensuale e la sua saliva densa e eccitante, sapeva di cannella.

Quando la sua si ritirò dal mio palato, toccò a me ispezionare con la lingua appuntita la sua bocca, lisciandole i dentini, appiattendomi sotto il palato: volevo che mi notasse, volevo che non dimenticasse mai più il bacio di una vera “signora”.

Ma, mentre succhiavo le sue labbra carnose, pensai che nemmeno io mi sarei mai più scordata di lei e dell’effetto segreto che mi aveva prodotto nell’anima.

 

Poi, con fare deciso, mi indirizzò la testa verso i suoi seni, porgendomi i capezzoli affinché li assaggiassi.

Si strinse i seni con la mano per tenerli vicini, a portata di labbra, erano duri e carnosi, e me li mise in bocca entrambi; non avevo esperienza, però li ricevetti in bocca volentieri e mentre succhiavo, con la lingua li carezzavo languidamente, ora l’uno, ora l’altro, con un movimento lento e circolare.

Sentivo la mia padrona sussultare, ogni volta che la lingua passava in mezzo ai capezzoli, turgidi e bagnati.

Intanto, con la mano libera, mi agganciò la figa con tre dita, letteralmente le usò come un amo, affondandomi nel bacino e bagnandosi del mio umore, adesso era abbondante e cremoso… da troppo tempo grondavo dall’utero e lubrificavo le mie grandi labbra.

Con un ultimo risucchio doloroso, mi baciò ancora, tirandomi la lingua fuori dalla bocca.

Poi si chinò sul tappeto e si mise lei a quattro zampe, con i genitali bene inarcato verso l’alto, perché tutti li apprezzassero.

Mi chiamò con un gesto della mano e io accorsi, fedele e disponibile. Mi chinai a mia volta dietro lei e, per la prima volta in vita mia, baciai la figa di una donna.

Le cercai il clitoride, scavando tra le grandi labbra, non mi fu difficile perché Tatiana ci sapeva fare e spingeva, con decisione, il bacino verso la mia bocca.

Contrariamente a me, la ragazza non si era lavata accuratamente e una serie di gusti nuovi, mai sentiti, mi invase la bocca: mi riscoprii vogliosa di imparare a conoscerli.

Gli odori mi entravano nel naso, forti e decisi, ed io facevo del mio meglio per assaggiarli, aiutandomi con la lingua: scavavo in quella fregna dilatata e impura, ripulendola con accurate, continue leccate.

Il profumo della sua urina si impregnava sui pori del mio viso, imbrattandoli e marcandomi del suo odore, come fanno i cani.

Dentro di lei dove puntavo la lingua, una patina chiara, leggermente frizzante, mi stuzzicava la libidine ed io la asportavo per inghiottirla, come fosse un nettare delizioso.

Con la punta delle dita, si passò sotto la pancia e mi sollevò il mento, indirizzandomi la bocca verso il buco del suo culo.

Avevo perso ogni ritegno in quel contesto: dare piacere alla mia padrona mi aveva trascinato in un paradiso orgiastico, nel quale tutto era permesso e il buon senso e la vergogna erano banditi.

Tantissime persone mi vedevano accucciata e prona a leccare il culo, rassegnata, di quella vacca. Con la bocca e con la lingua ne godevo, felice di mostrare al mondo la mia metamorfosi, la mia prostrazione.

Il suo fiore scuro era dilatato e rugoso, ero certa che molte volte era stato profanato da cazzi di ogni provenienza.

Più la immaginavo troia, e sporca, e più desideravo leccarle lo sfintere.

Cominciai a praticarle il “petalo di rosa”: un “gioco” volgare che mi era stato raccontato come una battuta da caserma. Ora diventava reale, per me. Spiattellavo la lingua, instancabile, sui due buchetti di Tatiana e, spontaneamente, le succhiavo quel tenerissimo velo di carne che separava il culo dalla fessura femminile.

La donna apprezzava, perché iniziò a mugolare e a sculettare con lentezza, come una mucca al pascolo: beata.

Poi si girò repentinamente, come non riuscisse più a starsene buona: passandomi sotto il viso si sdraiò con la schiena sul tappeto, eccitatissima.

Spalancò i suoi coscioni sodi e, agganciandomi con i polpacci alla nuca, mi trasse di nuovo in figa, con la bocca.

Con le mani mi teneva per le orecchie, come se volesse ribadire che quella che mi stava infliggendo, era la sua punizione.

Mai gogna fu più dolce per la vittima predestinata…

II suo orgasmo era vicino perché si dimenava e si inarcava, come se mi volesse dentro con tutta la testa… mentre io, nonostante mi facessero male le mascelle, non abbassavo il ritmo delle leccate pur di farla felice.

Ero talmente presa e avevo perso talmente il senso del pudore, che a, stento, mi accorsi che gli astanti più ardimentosi approfittavano della mia posizione per toccarmi il culo, per infilzarmi una o più dita ora in figa, ora nel sedere.

Donne e uomini, con un sorriso ebete, fingendo di farlo per gioco, davanti a tutti, volevano provare il brivido di toccare i miei punti più proibiti.

Ma non mi importava di nulla, adesso, perché la mia “padrona” mi stava spruzzando in bocca e in faccia un liquido caldo e trasparente: tutta l’eccedenza delle sue ghiandole sovreccitate, trovava sfogo attraverso i suoi stretti meati e mi schizzava in faccia il suo piacere bollente.

Tatiana mi venne in bocca, riempiendomi di estro, più delicato della sborra che, talvolta, avevo cercato di suggere da un maschio, per provare l’emozione dell’ingoio.

Con forza mi trascinò sopra il suo corpo e, continuando a venire sulle mie dita che ancora le frullavano la clitoride, ci baciammo a lungo con passione, tenendoci strette strette.

Il tempo di riprendersi. Il suo fiato affannoso mi entrava nei polmoni ed io… io lo conservavo come un’aria vitale di cui non riuscivo a fare a meno.

Dopo un poco la passione finì e Tatiana lasciò esplodere tutta la sua perversione; certo, per dar spettacolo ma anche per il suo piacere, decise che era il momento di “sacrificarmi” al pubblico pagante: “The show must go on”.

Chissà, pensai, se quelle persone avevano scommesso anche sui rapporti sessuali che avremmo consumato davanti ai loro occhi: non conoscevo quell’ambiente e non sapevo quali perversioni fossero capaci di inventarsi.

 

Anche se ero convinta che, a modo suo e per pochi istanti mi avesse “amata”, Tatiana si alzò e, con i piedi, mi schiacciò per terra le spalle lasciandomi col sedere all’aria.

Come un cacciatore si mette in posa sulla preda, mi pose la pianta del piede destro sulla spina dorsale, calpestandola e spingendomi verso l’altro piede, cosicché mi trovai le dita del sinistro sotto la bocca.

Non volevo disubbidirle ma proprio non immaginavo cosa fare.

Lei mi punì lo stesso, frustandomi col cazzo di gomma dietro la nuca, usandolo come un manganello.

Allora capii e iniziai a succhiarle le dita di quei piedi dall’odore pungente.

Non feci alcuna resistenza e, vinto il primo momento di disgusto, scesi ancora più in fondo nell’annullamento della mia personalità, leccando e suggendo dito per dito e passando la lingua, accuratamente, negli interstizi di quel suo piede, grosso e poco curato.

Sarei stata pronta a pulirle anche l’altro ma Tatiana aveva altre mire: si era installata sul pube una cintura borchiata, fatta apposta per sostenere il grosso pene verde.

Lo intravidi con la coda dell’occhio: era pendulo e oscillava a testa in giù, come un segugio che cerca la tana della sua preda.

La osservai impotente mentre infilava sul cazzone un profilattico e lo massaggiava per farlo aderire.

Poi, la ragazza calò su di me, sedendosi pesantemente sulle mie cosce che erano ben serrate.

La gente taceva di nuovo… esasperata da quei lunghissimi attimi di passione: attendevano che venissi sfondata.

Tatiana, con entrambe le mani cercava di domare quel cazzo molle e spesso, indirizzandolo, come una serpe, dietro di me.

Speravo di prenderlo in figa, finalmente… era tutta la sera che desideravo un vero orgasmo, pieno, definitivo; ma la donna aveva capito che avevo il culo quasi vergine e questo la eccitava certamente.

Più volte mi tentò il buchetto e altrettante volte, all’ultimo istante, il fallo, unto, scivolò via.

Ma Tatiana non demordeva, anzi… alla fine, la grossa testa verde trovò il mio culo e con la spinta selvaggia delle mani di Tatiana, mi spaccò in due il piccolo orifizio.

Il primo bruciore e il dolore della prima dilatazione forzata, fu tremendo.

Lei, ebbe pietà e lo tirò fuori.

Ma un momento dopo si distese tutta su di me, come fossi il suo materasso, e il cazzo ebbe di nuovo ragione del mio sfintere.

Allargò le sue gambe intorno alle mie e me le strinse, insieme alle chiappe.

Questo non mi aiutava nella dilatazione, al contrario, sentivo il pene in tutto il suo lungo viaggio nel mio corpo.

Tatiana iniziò a fottere con piccoli affondo del bacino. Intanto mi baciava il collo e le orecchie.

Il bruciore era sempre di meno, mentre il movimento sussultorio stimolava la mia fantasia erotica che, ancora una volta, ritornava a cercare il piacere.

Tutti erano arrapatissimi ormai e non pochi, ritirandosi nelle zone in penombra, si masturbavano senza far troppe cerimonie.

Anche prima avevo avuto modo di osservare che anche alcune ragazze si tastavano con le mani sotto le vesti.

Con la mano mi cercai il deretano e vi scoprii il palo, che spingeva nel mio corpo: ne avevo dentro una buona metà e già mi sentivo sfondare.

Per agevolare l’operazione e diminuire la pressione cercai di allargarmi il culo con le dita.

Ma Tatiana era terribile e non si accontentava di ciò che mi aveva già fatto subire: poco dopo mi uscì dal culo con un “plop” e mi tirò per i capelli affinché mi rimettessi in piedi.

Non so quale cenno lanciasse per farsi intendere, fatto sta che le sue due amiche ci raggiunsero rapidamente e, lasciandomi molto perplessa riguardo al mio destino, mi presero per le braccia e se le misero attorno al collo, come se volessero trasportarmi di peso; non capivo, riuscivo benissimo a camminare anche da sola, eppure…

In realtà, poi, non ci muovemmo di un passo; con i piedi toccavo agevolmente per terra, però le due donne mi sostenevano ugualmente: fu allora che Tatiana si mise di nuovo dietro di me e cominciò a palpeggiarmi le chiappe facendole ballonzolare alternativamente, schiaffeggiandole senza farmi troppo male.

Queste piacevoli operazioni mi fecero rilassare a dismisura ed io mi abbandonai un po’ tra le braccia delle mie aguzzine.

La ragazza che parlava l’italiano mi introdusse due dita in figa, come per valutare quanto fossi bagnata.

Poi la russa, alle mie spalle, partì all’attacco col suo “ariete” e, posizionata nel modo più idoneo, mi mise la punta del fallo, nuovamente, nell’ano.

Mi aveva già sfondata per bene, poco prima, così non provai alcun male perché il mio culo era ancora molto dilatato.

Disse qualcosa alle ragazze perché, tenendomi in loro potere, mi inarcassero un po’ in avanti, come se fossi affacciata ad un balcone. Poi, come un treno che avanza inesorabile in una galleria, cominciò a profanarmi, sprofondandomi tra le chiappe.

Lenta e inesorabile mi entrava sempre più dentro, senza forzare ma senza fermarsi: ogni sua stantuffata permetteva al dildo di insinuarsi più profondamente.

Capii che aveva deciso di farmelo prendere tutto e rabbrividii al solo pensiero.

Più che dolore, sentii sensazioni mai provate nel mio intestino; probabilmente il budello si adattava al cazzo esagerato, rimestandomi tutta, dentro.

Ormai era una gara tra lei che mi infilzava ed io che soffiavo il fiato per accettare una penetrazione così estrema, mai sperimentata prima.

Quando Tatiana si fermava e lo avevo tutto dentro, mi accorsi che le gambe non mi rispondevano più, per fortuna le due ragazze mi tenevano in piedi, così potevo essere impalata senza correre il rischio di cadere per terra e farmi male. Mi resi conto che il grosso cazzo pressava sui nervi sciatici, addormentando le mie facoltà motorie.

La punta del cazzo mi faceva male nella pancia ma non in maniera insopportabile, era la stessa sensazione che si prova dopo aver ricevuto un pugno nello stomaco. Ma andava bene lo stesso: il piacere che mi aveva invaso era superiore a qualsiasi controindicazione.

Tutti tacevano intorno e guardavano rapiti quella scena tra il piacere e la tortura.

Molti ragazzi adesso avevano i cazzi in mano e si erano messi in prima fila senza provare più nessuna vergogna, ne avrei volentieri succhiato qualcuno, se solo fossi stata in grado di piegarmi.

Tatiana mi faceva tenere immobilizzata per paura di farmi male, mentre compiva quell’inculata estrema e pericolosa.

Un attimo di raccapriccio si impadronì di me e sentii, ancora una volta, la testa girarmi: la russa mi penetrava completamente per alcuni secondi per poi uscirmi, praticamente, tutta dal culo ma, quando me lo spingeva tutto dentro, una bolla tondeggiante compariva all’altezza dell’ombelico… praticamente il grosso fallo mi aveva trapassata completamente. A quella vista, a ogni botta, temevo di venir meno per la paura.

Dopo avermi data una bella dose di colpi, che sembrava non dovessero finire mai, uscì da me definitivamente.

Io non riuscivo a stare in piedi da sola, le ragazze mi sostennero finché non venne portata, nello spiazzo, una panchetta rivestita di similpelle: mi stesero su quella a pancia in su.

 

Mentre le due donne mi tenevano le gambe alzate come fossimo dal ginecologo, la russa spietata, senza indecisioni, mi infilò nel culo, già spaccato, prima le dita, poi il dorso della mano e, infine, tutto l’avambraccio.

Ancora una volta stavo per perdere i sensi: avevo visto quel tipo di scena solo su qualche foto porno e non credevo si potesse entrare così, nel sedere di qualcuno.

Lei muoveva le dita dentro di me, con l’altra mano mi masturbava e mi frullava la clitoride,

A furia di ricevere quel massaggio incredibile, interno ed esterno, mi rilassai sulla panchetta. Ero completamente nelle mani delle tre troie, e mi eccitava subire: il piacere si impadronì di me, con un calore elettrico che invase ogni mia cellula.

Cominciai a venire con una furia che non avevo mai provato e, per la prima volta in vita mia, vidi sgorgare dalla mia vagina gli spruzzi violenti del cosiddetto “squirting”: un’azione sessuale che non credevo mai di poter compiere.

Venni a lungo, mentre sia io che Tatiana, ci lasciavamo andare in brevi urla sfrenate e liberatorie.

Quando tutto fu finito, Tatiana estrasse il braccio dal mio culo e le ragazze mi mollarono.

Ritornata padrona di me, mi adagiai sulla panca, su un fianco, con la faccia rivolta verso il muro sul retro: per ritrovare le forze, per riprendermi dal martirio subito dai miei tessuti, violentati, dilatati… esausti.

Accucciata sulla panca, sola con me stessa e con addosso mille occhi, mi abbandonai ad un ditalino, privato e meraviglioso.

Mentre continuavo a venire, sentii alcune gocce di potenti spruzzi, arrivarmi da tutte le parti sul corpo, alcune gocce mi bagnarono i capelli e il viso: dall’odore intenso capii che era sperma.

I ragazzi mi stavano sborrando addosso, a turno, facendosi spazio tra la folla; chi era “pronto”, si avvicinava e riversava su di me tutto il suo piacere.

 

Qualche minuto più tardi la musica di compagnia riprese, i gruppetti si sciolsero, la gente iniziò ad andare via.

Mi lasciarono a me stessa, spegnendo le luci su di me, per donarmi un minimo di discrezione.

Lo spettacolo che avevo dato di me era finito e lentamente ritornai alla lucidità.

Non ero pentita né dispiaciuta… per niente!

Ero tutta indolenzita e tremendamente stanca ma paga e felice, per tutta una serie di scoperte che avevo fatto sul mio essere donna e sulla ricerca del piacere.

Credevo di essere arrivata all’apice e, invece, non ero che una neofita nel mondo della perversione, che comunque mi stuzzicava e mi attraeva.

Mi preoccupai per le foto che erano state scattate da quegli sconosciuti ma, ormai, il gioco era fatto e non si poteva più tornare indietro.

Ma che importanza poteva avere, mi chiesi?

Ero la sola padrona di me stessa. Mi conoscevo meglio, adesso, e non avevo alcuna remora a mostrare il mio corpo e la mia sessualità.

Rialzandomi, mi accorsi che qualcuno mi aveva coperta con un accappatoio pulito, che però si era già inzuppato dello sperma, esagerato che mi avevano versato addosso.

Ritornai nel bagnetto, alle spalle del ring, e feci una doccia accurata e piacevole.

Nel bagno, appoggiati accuratamente su un mobiletto di plastica, trovai parte delle mie cose: i calzerotti, gli scarponcini, un coordinato intimo di cotone, ancora sigillato e della mia taglia.

La cosa che mi sorprese di più fu ritrovare i miei jeans più comodi e una maglietta nera: ero certa di aver lasciate quelle cose in albergo. Come erano finite li?

Allora mi ricordai di Nunzio, il ragazzo mi era completamente uscito di testa… ricordai che, quella sera, avevo cominciato da subito a dubitare della sua “buona fede”.

Feci due più due e capii che ero stata portata là apposta: niente era successo per caso e lui, Nunzio, sapeva perfettamente come sarebbe andata, anzi, certamente si era accordato con i gestori del locale, magari prima oppure, appena arrivati.

Provai un lieve senso di repulsione: il mio ragazzo aveva capito bene le mie potenzialità sessuali e non lo biasimavo per avermi portato li ma, adesso…

Come il Principe, secondo Machiavelli, si deve liberare dei suoi sgherri, sentii il bisogno di liberarmi di Nunzio. Ero decisa.

Quando tornai nella sala, lo trovai ad attendermi fuori, con una sorrisetto tra l’innocente e il furbetto; non dissi niente, ero troppo stanca per intavolare una discussione.

Con un po’ di paura constatai che camminavo ancora con le gambe leggermente aperte e avevo la sensazione di colare dal culetto ma, ne ero certa, anche quella sarebbe passata.

Uscendo, attraversammo la sala e davanti al guardaroba incrociai la mia “nemica”, Tatiana.

Anche lei completamente vestita, sorseggiava un liquore trasparente da un largo bicchiere..

Mi rivolse il sorriso di intesa più profondo e sconcertante che mai abbia provato in vita mia e i suoi occhi chiari, mi toccarono l’anima, profondamente.

Si avvicinò e senza dire nulla mi baciò rapidamente sulle labbra: naturalmente, ancora una volta, mi diede la scossa.

Poi si allontanò senza più voltarsi, anche le sue partner si mossero, passandomi affianco e fingendo di ignorarmi completamente.

Mi piacque pensare, romanticamente, che mi aveva attesa apposta, per salutarmi un’ultima volta.

La ragazza del guardaroba, invece, mi si avvicinò discretamente e mi disse, in perfetto italiano, a voce bassa:

– Tatiana desidera che tieni questo, per ricordo! – e mi fece scivolare un oggettino nella mano.

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