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Racconti Erotici Lesbo

ROMEA AND JULIET

By 7 Ottobre 2022No Comments

Le 17.40…ero in anticipo, come al solito. Di venti minuti, un’eternità. Come sempre, il mio senso della puntualità (o la mia insicurezza?) mi aveva fatto arrivare sul luogo dell’appuntamento molto prima dell’orario prestabilito. Capita sempre, a maggior ragione quando sono agitata o nervosa. E agitata e nervosa lo ero, eccome. Non sapevo cosa fare per per lasciare trascorrere il tempo. Sono entrata nel bar, ho iniziato a prendere un tavolo. Ho tenuto gli occhi fissi sul quadrante dell’orologio. Le 17,45, i minuti scorrevano lentissimi. Ho consultato l’orologio al polso, quasi per avere conforto, forse quello appeso al muro del bar andava indietro. Niente, 17.45. E’ arrivato un giovane cameriere, ha sorriso gentile. Ho chiesto un bitter, facevo meglio ad ordinare una camomilla. L’ansia mi divorava, il cuore batteva all’impazzata. Stavo ancora combattendo con me stessa, vittima di mille paure e retaggi culturali. Avevo creduto di essermene liberata, invece erano ancora lì a tenermi stretta tra i loro lacci.
Le 17.51, ancora nove minuti. Non passavano mai. Che poi…non volevo essere lì; ma cosa ci ero andata a fare. Ero ancora in tempo per finire il mio bitter, alzarmi, pagare e andare a casa. Potevo trascorrere una serata tranquilla a casa, a oziare sotto un plaid, con una buona pizza, che poi c’era anche “Masterchef” in tv. Sì, una serata tranquilla; come tutte quelle che stavo passando da un paio d’anni a questa parte. Perché ero in quel bar? Non era il mio territorio. Non avevo mai fatto queste cose. Queste cose non facevano per me. Ma non riuscivo ad alzarmi dalla sedia: avevo lavorato su me stessa, avevo vinto (quasi) tutte le mie resistenze, ed ero ad un passo dal traguardo, non ho voluto gettare la spugna proprio sul più bello.
Le 17.56, mi sono chiesta se lei fosse una ritardataria. E se non fosse venuta? E se non le fossi piaciuta? Magari era già lì fuori che sbirciava attraverso il finestrone del locale. Beh, in questo caso nessun problema, sarei andata a casa dove mi aspettava “Masterchef”. In fondo, me lo ripetevo sempre, non ero mica lesbica; il fatto che ultimamente avessi avuto delle fantasie non significava certo esserlo sul serio. La porta del bar si è aperta, sono trasalita. Non era lei, sono entrati due ragazzi. Lei poi non l’avevo mai vista, nemmeno in foto. Questo mistero era snervante quasi quanto l’attesa; oppure era il contrario, l’adrenalina che scorreva era l’antidoto alle mie serate da single passate in casa, concentrata su un libro, sbirciando la tv e assaporando una pessima cena riscaldata. A letto alle 23, peggio di Cenerentola. E sempre da sola. Oddio, meglio sola che stare con quello stronzo di Alessio; quanto della delusione mi aveva portata lì, in quel bar? O era stata l’insoddisfazione per il piattume della mia vita che conducevo, al netto delle colpe di Alessio?
Lo squillo del campanellino che ha segnalato l’apertura della porta mi ha rapita dal bosco fitto dei miei pensieri. E’ entrata una donna: eccola, era lei. Lo sapevo prima che me lo dicesse, prima che si avvicinasse e si presentasse. Istintivamente ho rivolto uno sguardo all’orologio: le 17.59, puntualissima. Si è guardata intorno brevemente, mi ha vista; anche lei ha capito subito e ha sorriso. Si è mossa con passo sicuro verso il mio tavolo, camminava sui tacchi con disinvoltura. Non era particolarmente alta, circa 1.60; aveva un modo di incedere sicuro, non autoritario ma autorevole. Si è piazzata davanti a me.
-Giulietta?
-Sì, sono io.
-Finalmente ci incontriamo, che piacere.
La voce era calda, pastosa, molto femminile. Mi sono alzata e ci siamo scambiate due baci leggeri sulle guance. Si è seduta di fronte a me, mi ha sorriso di nuovo. Era come me l’aspettavo? Sì, dopotutto sì, anche se mi dicevo che non mi aspettavo nulla, mentendo spudoratamente a me stessa. Era una bella donna, elegante, Aveva lineamenti marcati e morbidi allo stesso tempo. La linea del sorriso era demarcata da un rossetto color rosso acceso. Il mio era appena accennato, rosa pallido: un segnale, una spia delle nostre diverse personalità. Si è tolta il cappotto, mostrando una giacca sopra una camicetta bianca di ottima fattura. Emanava un buon profumo, Chanel se non sbagliavo. A vederla, mi confermava l’impressione suscitata nelle chiacchierate in chat: una donna sicura di sé e del proprio fascino. Io l’ho scrutata con l’espressione smarrita di una che sta per andare al patibolo. Anche lei ha ordinato un bitter, “per farmi compagnia”.
-Bene, eccoci qui. Delusa?
-No, no, perché?
-Potrebbe capitare. Incontrarsi dal vivo non è come chattare, l’impatto visivo è importante.
-Sì, vero..
-Comunque tu sei una ragazza carina.
Mi aveva fatto un complimento. Devo essere arrossita paurosamente perché lei ha sorriso di nuovo, con aria comprensiva. I suoi occhi erano grandi, leggermente tagliati a mandorla, espressivi di un’aria furba, scafata, maliziosa, ma non invadente. Era bruna, i capelli folti, luminosi, freschi di parrucchiere, tagliati corti ma non troppo, un po’ stile anni ’60. Aveva un bel taglio di labbra, il rossetto le donava parecchio. Le sue mani erano curate, ma senza ombra di smalto, non aveva dita lunghe e affusolate, bensì piccole e appena appena paffute. Mi ha chiesto come stavo, bene le ho risposto. Ha intuito il mio stato d’animo, mi ha esortata a non essere nervosa, eravamo lì per scambiare due chiacchiere da buone amiche. Le ho dato ragione. Ho cominciavo a tranquillizzarmi, il ritmo del cuore era tornato più o meno regolare. Lei era simpatica, eravamo amiche, appunto, e io non ero certo lesbica, no? Mi ha chiesto se il mio nome esatto fosse proprio Giulietta o invece Giulia.
-No, proprio Giulietta. Mio padre era un appassionato cultore delle opere di Shakespeare.
-E’ davvero un bel nome. C’è quella vecchia canzone dei Dire Straits, “Romeo and Juliet”….
-La conosci?! Dai, non ci credo. E’ la mia canzone preferita.
-E’ bellissima….come dice “…Juliet, I’d count the stars with you, every night…”…”Giulietta, conterei le stelle con te, ogni notte”…
L’ha detto guardandomi fissa negli occhi. Stava solo citando la canzone, con noncuranza, ma perché, ho avuto la sensazione che si stesse rivolgendo a me?
-Se ci mettiamo insieme, io per te potrei essere Romea.
Ha riso e ho riso anche io, ma la mia è stata una risata di prammatica, abbastanza nervosa. L’ha detto come una battuta, ma ero convinta che sotto sotto fosse seria. Ha percepito il mio imbarazzo, ha cambiato argomento. Sono rimasta ad ascoltarla, ho capito come devono essersi sentiti i marinai di Ulisse al canto delle sirene. Ha parlato di musica, di cinema, di poesia: come tante altre volte avevamo fatto in chat. Era una donna colta, piacevole. Mi ha parlato anche di lei, ripetendo cose che sapevo già: 46 anni (8 più di me), divorziata da tempo, senza figli, gestiva un negozio di abbigliamento. Mi ha detto di avere caldo, si è tolta la giacca. E’ rimasta con la camicetta, si è sbottonata i primi due bottoni. Ora la guardavo meglio: attraverso la camicetta, ho visto un reggiseno nero. Era formosa, portava almeno una quarta. Il seno sembrava che le stesse scoppiando, trattenuto appena dalla stoffa. Ha cambiato posizione, ha incrociato le gambe. Ho notato la sua gonna scura, e due gambe ben fatte, inguainate in un paio di calze nere. Mi è piaciuto starla a guardare, perché?
-Sei imbarazzata, Giulietta?
-Un po’ sì.
-In chat è più facile?
-Sì, vero.
-Protette dallo schermo, possiamo pensare di essere tutto o il contrario di tutto. Ma la realtà è un’altra cosa, ti mostra come sei, non sopporta le maschere. Tu come sei?
-Penso di essere quella della chat, non ho mai portato maschere.
-Quindi il tuo interesse verso le donne…
-Non lo chiamerei interesse….è più una curiosità.
-Sei stata delusa dagli uomini.
-Molto. Credo che non mi abbiano mai capita.
-Pensi che una donna potrebbe capirti?
Non ho risposto subito. L’ho guardata in viso, sentivo un forte calore arrostirmi le guance. Mi studiava con interesse. Non volevo stare sulla difensiva, intendevo mostrare di essere a mio agio, disinvolta come lei.
-Forse sì.
-Come mai?
-Noi siamo…diverse.
Una differente sensibilità, una superiore capacità di comprensione e di interazione. Ha annuito. Mi ha chiesto se avevo ancora quelle fantasie di cui le avevo parlato. Deglutendo per sciogliere il nodo che mi stringeva la gola, le ho risposto di sì. Mi ero masturbata anche il giorno prima pensando all’incontro, ma questo non gliel’ho detto. Mi ha chiesto come pensavo che sarebbe stato, con una donna. Avrei voluto avere la penna di Jane Austen per trovare le parole adatte, ma io ero solo una semplice impiegata di concetto; me la sono cavata con un banalissimo “bello”.
Lei è stata diretta, ha agito come una schermitrice; mi ha dato un paio di sferzate di assaggio, mi ha fatta danzare un po’, prima di piazzare l’affondo vincente. H
-Vuoi venire a casa mia? Abito qui vicino, due minuti a piedi.
Il sì mi è uscito dalle labbra di istinto, in modo meccanico. E’ schizzato fuori perché era l’unica maniera per non trattenerlo, legato ad antiche paure e remore. Sì, volevo andare da lei.
Ci siamo incamminate, il vento e il freddo si facevano sentire. Sono rabbrividita, lei se n’è accorta, mi ha messo le mani sulle spalle e mi ha strofinato la schiena, come per scaldarmi. Che gentile, dolce. Siamo arrivate ad un elegante condominio, siamo salite in ascensore. Quarto piano. Mi ha fatto strada dentro casa sua, un appartamento accogliente e confortevole. Mi ha fatta accomodare sul divano del salotto, mi ha chiesto cosa poteva offrirmi, ho detto “no, nulla, grazie”, ma ha insistito, mi ha portato un piccolo vassoio con dei salatini, delle patatine e un altro bitter! Abbiamo brindato di nuovo e spiluccato qualcosa, non so come, mi sentivo lo stomaco chiuso. Le ho fatto i complimenti per il gusto col quale aveva arredato la casa, mi ha ringraziata. Poi sono passata a parlare di piante. Mi sono resa conto di stare parlando troppo; forse stavo prendendo tempo? Lei ha risposto pazientemente, ha bevuto un altro sorso di bitter e si è alzata. Mi ha detto di avere una piccola sorpresa per me. Si è diretta verso il grande, vecchio stereo e ha messo su un vinile. Ho riconosciuto subito la chitarra di Mark Knopfler. “Romeo and Juliet”, inconfondibile.
E’ tornata a sedersi al mio fianco e ha iniziato a canticchiarla. Mi sono unita a lei. Abbiamo cantato insieme a voce bassa, gli occhi fissi l’una sull’altra. “…You and me, baby….how about it”….
Mi ha preso le mani tra le sue, erano calde e morbide. “…And I dream your dream with you, and now your dream is real…”…
Si è portata le mie mani alla bocca, me le ha baciate con dolcezza. “…Juliet, the dice was loaded from the start, and I bet…and you exploded in my heart”.
Mi ha accarezzato il viso col dorso della mano, mi ha guardata con quei suoi grandi occhi scuri. Mi ha baciata sulle labbra, il mio primo bacio con un’altra donna. Ho sentito la sua lingua muoversi piano ad incontrare la mia, ho avvertito una fitta al basso ventre e crescere dentro di me un’agitazione che non riuscivo a controllare. Sul piatto dello stereo, la canzone dei Dire Straits moriva come le mie inibizioni.
Con la sua bocca premuta contro la mia, mi ha ha sbottonato la camicetta con dita esperte che sapevano quel che volevano e dove trovarlo. Ha incontrato il mio seno coperto dal reggiseno, me l’ha accarezzato a lungo. Ho sentito una vampata bruciare alta dentro il mio corpo e qualcosa esplodere dentro il mio cervello, un big bang che dava origine ad un’altra me. Quando le sue mani sono venute a contatto col mio seno nudo, ho mugolato dal piacere; quando me l’ha baciato, titillando i capezzoli con la lingua, ho capito che era quel che avevo sempre voluto e stupidamente respinto. Mi sono distesa sul divano e ho aperto le gambe, aspettandola. Mi ha tolto la gonna e ha fatto scivolare giù le mutandine. Inginocchiata per terra, ha continuato a baciarmi. Mi ha accarezzato l’interno delle cosce, poi la fighetta ridondante di umori. Mi ha messo un dito dentro e mi ha strappato un sospiro di godimento. Mi ha presa per mano, mi ha condotta in camera sua. In piedi davanti al letto, mi ha fatto toccare il suo seno attraverso la camicetta, ne ho sentita la consistenza, i capezzoli grandi ed eccitati. Si è aperta la camicetta, ha tolto il reggiseno e mi ha guidato le labbra sui seni turgidi e duri. Le ho strappato una serie di gemiti, era così bello baciarglieli. Poi mi ha condotta a letto, ha finito di spogliarsi e mi ha raggiunta. L’ho vista in piedi, nuda, e ho avvertito un’altra scossa elettrica tra le gambe. Si è stesa sopra di me, il mio corpo unito al suo, come una cosa sola. Mi ha baciata con passione, sulle labbra, sul collo, sul seno. Mi sono sentita sua come non ero mai stata di nessun altro uomo prima. Fremevo dalla voglia: l’ho sentita sgusciare in basso, concentrarsi sul mio monte di Venere. Me l’ha aperta e ci ha messo dentro la sua lingua, l’ha stuzzicata con sapienza, mentre io ansimavo ad ogni suo tocco.
-Ah….ah…sì….così….
Mi ha infilato dentro un dito, affondando sino in fondo. Una volta che l’ha allargata, ha inserito un secondo dito. Mi sono sentita pervasa, riempita. Ho portato le mani alle tette, me le sono massaggiate mentre lei mi frugava dentro. I miei sospiri di piacere si sono fatti sempre più affannosi. Ho sborrato abbondantemente, scaricando tutta l’ansia, la frustrazione, la paura. Un orgasmo che mi ha svuotata. Sono rimasta cinque buoni minuti ad ansimare, mentre lei mi accarezzava dolcemente e mi riempiva di bacini e parole affettuose. Mi ha fatto sentire coccolata, bramata, protetta. Quando mi sono calmata, ho scoperta di stare ancora avvolta in un effetto placebo. Ho voluto ricambiare, sentirla ancora: l’ho abbracciata forte, l’ho circondata con le mie braccia. L’ho baciata sulle labbra con la stessa passione che aveva riservato a me. Quanto è bello il corpo femminile, mi sono chiesta come avevo fatto a negarmi tutto questo finora. Le ho baciato il collo e i seni, avidamente. Lei mi ha lasciata fare con tenerezza, aveva lo sguardo compiaciuto della maestra che capisce che l’allieva ha imparata la lezione. Mi sono soffermata sulle sue tette, enormi, piene. Le aureole brune erano perfettamente tonde, i capezzoli svettavano come frutti succosi. Ha parlato:
-Mmm….che brava sei, tesoro….hai una linguetta deliziosa….
Sentire che i miei baci le piacevano mi ha resa più intraprendente. L’ho fatta accomodare sul letto, schiena a terra. Mi sono sistemata al suo fianco, ho preso possesso totalmente del suo corpo. L’ho esplorato piano: era soffice, la sua pelle profumava di buono, di fresco. Ho portato la mano tra le sue cosce, era tutta umida. La prima volta che toccavo una fighetta non mia. L’ho massaggiata come facevo quando stavo da sola, fantasticando di accarezzare un’altra donna. Più l’accarezzavo, più il suo respiro si faceva affannoso. L’ho trafitta con le mie dita, facendola tremare. Le ho baciavo il seno, e ho spinto con le mie dita dentro di lei. Piano piano le sono entrata quasi dentro con tutta la mano. E’ venuta con un grido acuto e prolungato, e mi sono sentita la mano bagnata da schizzi violenti. Tutto il suo corpo ha vibrato nell’orgasmo, e lei mi è sembrata ancora più bella.
Si è girata verso di me, mi ha baciata di nuovo. Mi voleva ancora. Si è distesa sopra di me, la sua testa all’altezza della mia figa, ha messo la sua sulle mie labbra. Ci siamo leccate a vicenda, abbiamo goduto come matte. Mi sono fatta più audace, quel suo sedere monumentale mi piaceva tanto e le ho stuzzicato il buchetto. Ha avuto un sussulto.
-Ahhhh….sìììì…..così……
Ho insistito ancora, spingendo il dito sempre più in profondità. Lei mi ha leccata con abilità, ho sentito un languore farsi dentro il mio corpo, sempre più invasivo. Io sono venuta per prima, con un urlo; lei ha avuto un doppio orgasmo che l’ha lasciata senza forze, sopra di me,
Abbiamo trascorso la notte insieme. Abbiamo mangiato due panini sul letto, tutte nude. Ci siamo date ancora piacere l’un l’altra. Non so come sia andato a finire “Masterchef” né me ne importa. Sono entrata nel letto di una donna meravigliosa e non ne sono più uscita. E sì, ho capito di essere lesbica.
“…anyway, what you gonna do about it…”

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