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Il rappresentante 5 – Inizio dell’uso

By 4 Settembre 2023No Comments

Poco più tardi, François venne ad avvisarci che lì a dieci minuti avrebbe servito il pranzo, nel salone sottocoperta; Angela, che era appena arrivata da prua per sussurrare qualcosa al marito, fece una piccola esclamazione di disappunto e poi chiese: «Ma non vi piacerebbe, invece, mangiare qui? In fondo anche questo tavolo è adatto per pranzare…»
Stefano le fece pazientemente notare che sarebbe stato complicato per François servire il pranzo lì, avendo già apparecchiato ed essendo la cambusa a prua, ma Lei –ormai innamorata della sua idea- assicurò che avrebbero, lei e Marica, dato volentierissimo una mano al cuoco.
Così, andò a chiamare Marica e poi scesero sottocoperta, sbucando dopo poco con tovaglia e stoviglie; apparecchiarono e poi tornarono sottocoperta per portare un sontuoso piatto di portata di linguine con l’astice, da cui ci servimmo tutti, mentre il cuoco portava un Vermentino freschissimo ed una caraffa d’acqua ghiacciata.
Mangiammo, scherzammo, dovetti subire sorridendo i commenti garbatamente salaci su Marica, che restava trionfalmente nuda e, mi sembrava, con un poco d’imbarazzo (aveva capito che l’avevo vista, quando faceva la troia per quei giovanotti?).
Poi, dopo un branzino buonissimo ed una megamacedonia, le signore ci lasciarono per aiutare François a rigovernare, mentre Stefano proponeva un pokerino.

Mi sento una puttana…sono nuda…in mezzo a 5 uomini… umiliata… esibita… mio marito che fa l’indifferente comportandosi da perfetto cornuto…dove mi porterà… ci porterà tutto questo?
Comunque, abbiamo aiutato François, francese ma di evidenti origini nordafricane, a sgomberare ed ora che siamo tutti e tre in cambusa, come si chiama la cucina delle imbarcazioni, lui carica la lavastoviglie, preme il tasto di avvio… ma non succede nulla; cristando nella sua lingua, riprova ad avviare la macchina, ma questa non da segno di vita.
«E adesso come faccio, per i piatti ed i tegami sporchi? Dovrò andare a sentire Sasha per vedere se riesce ad aggiustarla…» «Non disturbare Sasha, sta pilotando» Lo interrompe Angela «Sono sicura che Marica sarà felicissima di aiutarti a lavare tutto…»
Trasalgo: «Ma… così??”?» allagando le braccia e facendo notare la mia totale nudità.
«Beh, no… sono sicura che François avrà senz’altro un grembiulino da imprestarti…» aggiunge Angela, in tono soave.
Lui annuisce, sorridendo a trentadue denti e… ed è solo una mia impressione il cenno d’intesa che i due si sono scambiati?
Angela, uscendo dalla cambusa, precisa: «Ah, François; nessuna formalità per la nostra amica: trattala pure come una di casa…» «Una di casa… certamente, signora!» Ride il cuoco.
Allora lei, prima di uscire, precisa meglio: “François, abbiamo fatto un patto, io e lei, per cui lei ORA farà TUTTO quello che le dirai di fare…”Ma tutto, eh?» fa un sorriso, che trovo vagamente inquietante e torna sul ponte.
Cosa sta succedendo? La curiosità mi dice di far finta di nulla e seguire il gioco –se c’è un gioco- ma ho paura, imbarazzo e vergogna per quello che mi stanno facendo e che -capisco!- mi porteranno a fare più avanti, qualunque cosa sia.
Vorrei dire “Basta!”, ma poi mi vengono in mente le allusioni al nuovo lavoro di Sergio…
Decido, fin che riesco!, di assecondare questa gente.
François mi porge un grembiulino, di quelli bianchi d cameriera di casa facoltosa, io lo guardo interrogativamente e lui mi da uno schiaffo! Non forte, ma comunque doloroso perché inaspettato!
Lo guardo stupefatta e lui ride: «Dai, ‘Signora’ –quanto sarcasmo in quel termine… quasi cattiveria, anzi!- mettiti questo e comincia a lavorare!»
Annichilita, obbedisco e comincio a lavare quanto è ammucchiato nel piccolo lavatoio d’acciaio.
Dopo pochissimi minuti, arriva Sasha e il cuoco, senza dire parola, gli scalda il cibo al micro-onde e glie lo serve; parlottano in un qualche dialetto che non capisco e Sasha mi guarda e ride.
Il cuoco mi ordina di continuare a lavorare e il marinaio, mentre mastica, mi palpa il sedere, mi stringe le natiche, sonda il mio culetto con un dito… Come faccio per protestare, il cuoco abbaia: “Continua!!!” e quindi, piangendo in silenzio, subisco anche questo oltraggio: un conto è essere costretta ad esibirgli le mie grazie, altro è essere così oscenamente esplorata e sondata!
Come finisce di mangiare, mi afferra per i capelli e mi piega davanti al cazzo che aveva tirato fuori, spingendomi la grossa cappella contro le labbra: non vorrei aprirle, ma con una mano mi tappa il naso e con l’altra mi tira dolorosamente i capelli. Appena schiudo la bocca, mi spinge tutto il suo –grosso!- arnese in gola e, impugnandomi per i capelli, mi scopa in bocca, come fossi un oggetto.
Dopo un paio di minuti, sento il suo cazzo sussultarmi in gola e capisco che sta per venire; mi avverte, in effetti, e mi diffida dal perderne anche solo una goccia: devo ingoiare tutto.
I suoi schizzi sono potenti e, pur piangendo per l’umiliazione, eseguo i suoi ordini nonostante i suoi schizzi sembravano non finire mai…
Poi mi scosta con un gesto brusco e cado a terra; mentre lui si ricompone, trovando il modo di oltraggiarmi ancora («Sempre al suo servizio, signora!» e ridendo dell’implicito insulto), François mi da una pedata nelle costole: «Dai ‘signora’: piantala di perder tempo, ché i piatti mica sono ancora finiti!»
Meccanicamente, ormai soggiogata, torno al lavabo e ricomincio a lavare.

Il poker proseguiva, quietamente, tanto per giocare; chiacchieravamo e Stefano, dopo un po’, disse che aveva contattato loro amici con altre ‘barche’ via radio e che li avremmo incontrati in una caletta dell’alta e rocciosa costa ligure.
Poi, con tono sarcastico, aggiunse: «Vediamo, Sergio, se Marica risulterà simpatica anche ai nostri amici… Sono persone del nostro ambiente lavorativo, sai? Sono conoscenze che potranno aiutarti molto, SE (rimarcò con la voce il “se”!) lavorerai con noi…»
Gli altri ridacchiarono e continuammo a giocare, mentre un turbine di idee e di immagini di Marica -immagini innocenti frammiste a quelle scandalose della sera prima, o di oggi, sulla prua del Sea Master- mi vorticava in testa.

Mentre lavo i tegami, sento la grossa mano di François che mi esplora il sedere, mi fruga la micetta, mi stringe i seni; mi fermo, affranta, in attesa di sviluppi, ma mi ingiunge di continuare a lavare.
Piango, umiliata, mentre estraggo un tegame dalla vaschetta del lavabo, piena di acqua sporca e lui continua a palparmi come per valutare un animale; con la coda dell’occhio, vedo che ha una potente erezione e, a giudicare da quanto i calzoncini lasciano immaginare, deve avere un attrezzo di dimensioni assolutamente fuori dall’ordinario.
Sto posando il tegame sul piano, quando la sua manona mi afferra la nuca e mi piega con la testa nell’acqua lurida: mi sento annegare, mentre lui, brutalmente, mi penetra nel culetto, a secco, dolorosamente!
Apro la bocca per urlare e mi si riempie di acqua unta di sporcizia; quando comincio ad avere il terrore di morire annegata in quella bacinella, lui mi alza la testa dalla vaschetta e continua a sodomizzarmi, incurante di tutto…
Il mio martirio dura pochi minuti, ma mi sento umiliata, ferita, usata.
La sua mano mi strizza il clitoride e questo provoca, inaspettatamente vista la situazione, un’ondata di piacere. Ma cosa mi sta succedendo??? Ma cosa sto diventando? Lo capisco mentre un incredibile orgasmo mi sconvolge: una troiaaaaaaahhhhhhhhh…

Durante la partita, avevamo continuato a bere: per darmi il coraggio di sopportare quello che sarebbe successo, da lì in avanti, io viaggiavo a whisky on-the-rocks: un ottimo anestetico per la coscienza…
Loro invece viaggiavano a succhi di frutta, ma non me ne fregava nulla: l’ubriacatura la vedevo come un porto sicuro, come il mio lettino –protettivo!- di quando ero bambino e sentivo i miei litigare di là.
Stefano ci aveva lasciati qualche minuto, per parlare alla radio e poi per dare indicazioni a Sasha su una nuova rotta da seguire.
Feci per alzarmi e cercare Marica, ormai non la vedevo da più di un’ora, ma Franco mi pregò, pur in tono deciso!, di aspettare ché Stefano sarebbe arrivato subito ed avremmo ripreso subito a giocare.
So capire quando un ordine mi viene dato, anche se camuffato da cortese richiesta, e restai…

Dopo lo… stupro (ecco!), François mi ha fatto finire di lavare tegami e stoviglie, ridendo delle mie lacrime di vergogna, rabbia ed anche dolore –viste le notevoli dimensioni dell’arnese del magrebino-, poi scompare per pochi istanti, mentre pulisco con lo spazzolone ed uno straccio il pavimento, e torna con Angela, che mi guarda disgustata: «Fai schifo! Hai i capelli bagnati e pieni di avanzi: sembri una puttana al seguito di una campagna militare dell’ottocento!
Vieni con me!» mi ingiunge e mi porta nella sua cabina; apre al massimo l’acqua calda della doccia e mi butta sotto: «Avanti, renditi presentabile, ché devi far bella figura con dei nostri conoscenti!»
Mi insapono ripetutamente i capelli -almeno tre volte!- per cercare di dimenticare l’odore e l’untume di quell’acqua dove ho rischiato di essere affogata.
Alla fine, sono uscita da quell’abbraccio rassicurante della doccia, mi sono asciugata e poi Angela mi ha truccata (anche se io, a parte un filo di rossetto, non uso farlo).
Quando ha finito, mi ha fatto vedere il risultato: labbra molto rosse, ombretto azzurro, fard -decisamente vistosa!- Mi aveva conciato proprio come una puttana.
Mi facevo schifo, ma… ma perché mi sentivo anche vagamente eccitata ed ansiosa di conoscere i loro conoscenti?
Poi mi da un miniabito e mi dice di indossarlo: bianco, minigonna a corolla e corpetto rigido, senza spalline, adatto ad una donna che avesse meno seno di me: il mio è sempre a rischio di esplodere fuori
Per completare il mio abbigliamento, mi ha dato un paio di zoccoletti di legno, col tacco a spillo alto dieci centimetri e la fascia dorata, ma più piccole di un paio di numeri, rispetto al mio abituale 41.
Glie l’ho fatto notare, ma lei mi ha detto di passeggiare per la cabina con quelle: tra l’impaccio del bordo degli zoccoletti che mi premevano sull’interno del tallone e i tacchi così alti, ai quali non sono per nulla abituata, mi trovo ad ondeggiare, insicura, ed sculettare oscenamente.
Angela, però si dichiara soddisfatta; poi si siede sul bordo del letto e mi dice di inginocchiarmi davanti a lei.
La accontento, ma lei mi dice di avvicinarmi di più: quando sono praticamente a sfiorare le sue ginocchia, le divarica, si scosta il tanga e mi afferra per i capelli, facendomi stampare la bocca sul suo sesso pieno e mi dice: «Dai troietta, fammi godere! Leccami!»
Cos’altro posso fare?
Così eseguo, aiutandomi con i polpastrelli, a sfiorarle le labbrine e poi schiudendogliele, percorrendone il solco con la punta della lingua fino alle piegoline che celano il bottoncino del piacere, che scappuccio e poi lambisco con la mia linguetta guizzante.
Lei si contorce dal piacere, mentre con una mano le accarezzo la pelle tenera dell’interno delle cose. mi impugna dolorosamente i capelli, pressandomi la testa ancora di più contro di sé.
Le mie labbra si impadroniscono del suo clitoride eretto e lo aspiro, lo succhio, leccandone la punta: lei viene quasi subito, riempiendomi la bocca dei suoi afrodisiaci umori; non ho altra alternativa che berli.
Angela si prende trenta secondi per regolarizzare il battito cardiaco, poi con un mezzo sorriso, commenta: «Sei davvero una brava troietta, abile ed ubbidiente: vedrai che ci divertiremo un sacco, insieme! Adesso vieni, che ti devo aggiustare il rossetto che ti sei sbavata dappertutto…»

Ormai il whisky mi aveva anestetizzato l’anima a sufficienza. Stefano dichiarò terminata la partita e “suggerì” che tutti andassimo nelle nostre cabine per darci una sistemata, visto che lì a tre quarti d’ora, saremmo stati ospiti sullo yacht di un loro amico.
Protestai, dicendo che avevo solo un paio di pantaloni estivi, un paio di polo e un pullover, ma lui rise di gusto e mi spiegò che si erano presi la libertà di procurarmi abiti adatti, che avrei trovato nella mia cabina; quasi distrattamente, aggiunse che la mia “stupenda signora” era a farsi bella con Angela e che l’avrei rivista a bordo dell’altro yacht…
L’alcol faceva egregiamente il suo dovere: non me ne fregava nulla di dove cavolo fosse e cosa diavolo stesse facendo la mia “stupenda signora”!!!
Andai in cabina, mi feci una sontuosa doccia, la barba, mi lustrai a festa, insomma; poi indossai i capi di abbigliamento che erano sul letto: una camicia bianca da smoking, un paio di pantaloni neri con striscia di raso sulle cuciture, un papillon ed una giacca bianco-panna.
Su un paio di calze nere, indossai scarpe nere lucidissime, che mi calzavano a pennello, come tutto il resto, d’altronde. Riflettei che avevano investito tempo e denaro, su di me… avevo paura di deluderli…

Lo yacht sta rallentando e ci avviciniamo alla porta della cabina: Stefano mi valuta con lo sguardo, annuisce sorridendo ed esce; faccio per seguirlo ma Angela mi afferra per un braccio e mi ferma: «Ricordati: a bordo dell’altra barca dovrai accettare qualunque cosa senza esitazione alcuna… e non chiedere soccorso a tuo marito; dovrai fare tutto quello che ti verrà chiesto, da chiunque, di buon grado e col sorriso sulle labbra!
Adesso andiamo!»
Annuisco, ma dentro di me mi chiedo quali altri umiliazioni ed abusi mi aspettano; vogliono che sia una vera puttana? Va bene! Li stupirò, accidenti a loro!!!

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