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Racconti Trans

Per Sara

By 4 Giugno 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

“Sei proprio sicuro di volerlo fare?” mi chiese Sara.
Aveva pianto quando le avevo comunicato la mia decisione; aveva pianto durante il tragitto in macchina; e ora, stava per rimettersi a piangere anche lì fuori dall’appartamento.
“Devo farlo!” le dissi io, abbracciandola e carezzandole i capelli.
Era una ragazza molto carina e molto ambiziosa, con un sacco di sogni per il futuro; ed ora a causa di un preservativo difettoso era rimasta incinta, e le sue ambizioni rischiavano di infrangersi.
Ci servivano velocemente soldi per un aborto, e non potevo lasciarmi scappare quell’occasione di guadagnarli tutti in una volta.
“Perch&egrave non dovrei farlo io?” mi chiese.
Rimasi in silenzio; non sapevo se dirle che era compito di un ragazzo proteggere la sua donna, o più semplicemente ammettere che ero geloso.
La baciai sulla punta del naso e la salutai.
“Adesso vado. Sei sicura di volermi aspettare qui fuori?” le chiesi
“Ti aspetterò in macchina. Non voglio andarmene senza di te” disse, stringendo le braccia attorno al mio collo.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, a guardarci, poi mi staccai da lei e andai verso la porta con l’intenzione di suonare il campanello, poi ci ripensai: dal taschino della camicetta di Sara, spuntava un rossetto.
Infilai le dita nel taschino, approfittandone per sfiorare il suo seno piccolo ma attraente, e afferrai il rossetto.
“Come portafortuna” le dissi, sorridendole. Quindi suonai al citofono e poco dopo ero nell’appartamento.

Lui mi accolse con un gran sorrisone; era un idiota quarantenne, il doppio della mia età, palestrato e lampadato. Mi stava sui coglioni da tempo, ma quando era venuto a sapere della situazione mia e di Sara, mi aveva fatto la proposta che non avevo potuto rifiutare.
“Sei venuta davvero! Non ci speravo, sai?”
“Non sono una ragazza” gli dissi, irritato.
“Mi spiace contraddirti, ma per le prossime due ore sarai una ragazza” disse, sorridendomi mentre versava della vodka in due bicchieri; “la MIA ragazza”
Rabbrividii; quando mi passò il bicchiere lo accettai volentieri e scolai il contenuto in un sorso. Se dovevo fare quella cosa, preferivo essere il meno lucido possibile.
“Vieni, andiamo in camera mia” mi disse, dopo essersi bevuto il suo bicchiere.

Appena entrati in camera da letto, lui si sdraiò a gambe divaricate sul grande letto matrimoniale (e non essendo lui sposato, sospettavo che lo usasse con le prostitute…e con me. Ma io forse rientravo nelle prostitute…).
C’erano due grandi guardaroba contro il muro; lui me ne indicò uno e mi disse di aprirlo.
Lo feci: era pieno di abiti da donna, di ogni tipo e di ogni misura; i quattro cassetti all’interno erano dedicati alla biancheria intima: uno per le mutandine, uno per i reggiseni, uno per i perizoma e l’ultimo per i collant.
“Scegliti un paio di mutandine e un reggiseno e vai a metterteli” mi disse.
Presi un paio di indumenti a caso; come per i vestiti, anche la biancheria era di colore e misure varie. Inoltre era quasi tutta usata e non lavata, il che significava che era stata rubata. Quanti anni ci aveva messo per raccimolare un simile tesoro?
In ogni caso, dopo aver preso mutandine e reggiseno, uscii dalla camera per spogliarmi dei miei vestiti ed entrare, per la prima volta in vita mia, nei panni di una donna.

Quando rientrai, vidi che non ero l’unico ad aver cambiato vestiario: anche lui si era tolto i pantaloni, e ora esibiva un paio di boxer sotto cui si vedeva già un discreto gonfiore.
“Sei uno schianto” mi disse
Non capivo cosa ci trovasse di tanto bello in quello che vedeva: &egrave vero che non avevo molti peli e che avevo un bel fisico…ma era pur sempre un fisico maschile!
“Prendi un paio di scarpe con tacco” mi disse, e io ne cercai un paio che fossero abbastanza grandi per i miei piedi; quindi le indossai e cercai di stare in equilibrio.
“Adesso cammina avanti e indietro”
Non provai nemmeno a ribellarmi: mi misi a camminare avanti e indietro sul tappeto ai piedi del letto, faticando a non cadere.
Quando mi chiese, o meglio mi ordinò, di sculettare mentre camminavo, mi sforzai oltre ogni pudore e mi misi a camminare come una top model in passerella. E nonostante non avessi mai indossato dei tacchi, riuscii anche nell’impresa di non cadere a terra.
Gettai un occhio a lui, mentre mi “esibivo” in quella sorta di sfilata: mi accorsi che aveva infilato una mano nei boxer e la stava muovendo lentamente.
“Brava. Ora mettiti dei vestiti!”
Mi accorsi che stavo per mettermi a piangere; mi sentivo troppo umiliato. Ma per amore di Sara, decisi di continuare a stare al gioco.
Frugai nel guardaroba cercando abiti che fossero il meno compromettenti possibile; trovai un paio di jeans e una felpa rosa con dei cuoricini: non potevo lamentarmi.
Indossai i jeans, che erano piuttosto stretti e aderivano al mio sedere facendolo sembrare quello invitante e succulento di una ragazza; poi la felpa rosa. Guardandomi allo specchio del guardaroba, più che una mezza ragazza sembravo un mezzo finocchio.
Mi chiese di mettermi a quattro zampe: per un attimo temetti che volesse scoparmi, ma fortunatamente si accontentò di guardarmi in quella posizione che, a suo dire, rendeva il mio sedere molto femminile.
“Ora cambiati. Mettiti una gonna.”
Mi tolsi con enorme dispiacere i jeans, non perch&egrave mi piacesse avere il culo di una femmina, ma perch&egrave coprivano quelle mutandine patetiche. Fui invece piuttosto felice di liberarmi della felpa; preferivo quasi la vista del reggiseno.
Stavolta fu lui a dirmi cosa dovessi indossare: per cominciare, mi fece mettere un paio di calzini scozzesi lunghi fino alle ginocchia; quindi una gonna, anche questa scozzese, del tipo che indossano le collegiali americane. Per finire, un toppettino estivo blu, smanicato e che lasciava nudo l’ombelico. Se il reggiseno fosse stato imbottito, avrei avuto la parvenza di una ragazza, forse.
A lui dovevo piacere molto, perch&egrave aveva aumentato il ritmo della masturbazione.
“Vieni qui, troietta mia” mi disse
“Si era detto niente sesso” dissi io, preoccupato.
“E chi ti scopa? Voglio che balli sopra di me”
Prese un telecomando dal comodino, e fece partire la musica dallo stereo; si trattava, come sospettavo, di una canzone dance.
Mi issai sul letto, e mi misi in piedi sopra di lui, a gambe divaricate, in modo che lui potesse guardarmi sotto la gonna.
Non mi piaceva la musica da discoteca, e non l’avevo mai ballata; tuttavia avevo visto qualche volta ballarla Sara, e cercai di imitare lei.
Scuotevo i fianchi e le braccia a ritmo della musica, ad occhi chiusi e con le guancie in fiamme, come una ragazzina alla sua prima volta in discoteca che si vergogna; sentendo la gonna svolazzare attorno ai miei fianchi mi sentivo molto sensuale; o forse, era solo il pensiero di Sara. In ogni caso, mi sentivo per la prima volta molto femminile.
Quando la musica cessò, mi fermai anch’io, come se avessi perso ogni carica; buon segno, significava che non ero stimolata dai vestiti che indossavo, ma dalla musica.
Partì il secondo brano, un ritmo più duro e techno; ripresi a ballare, di nuovo imitando quello che avrebbe fatto Sara. Stavolta tenevo gli occhi aperti, così quando li abbassai vidi che i boxer di lui erano spariti sotto le sue ginocchia, e ora il suo pene puntava dritto sotto la mia gonna.
Rimasi a bocca aperta, come una ragazzina che vede un pene per la prima volta; ovviamente non era così, ma di certo era la prima volta che ne vedevo uno così grande. Giudicai che doveva essere quasi trenta centimetri.
Continuai a ballare, e per quanto mi sforzassi, non riuscivo n&egrave a serrare la bocca, n&egrave a distogliere lo sguardo da quel pene, come se avessi paura che potesse allungarsi ancora fino a raggiungere le mie mutandine…e ancora oltre.
“Che ti succede, piccola?” mi chiese lui, felice della mia reazione a quella vista.
Io provai a parlare, senza riuscirci; rallentai la mia danza improvvisata, fino a fermarmi del tutto. Quindi crollai sulle ginocchia, finendo con il sedere sui suoi stinchi e con il viso sulle sue cosce, a pochi centimetri da quella mazza.
Allungai le mani d’istinto, per afferrarla, come per constatare che era effettivamente reale e non il frutto della mia immaginazione. La presi tra entrmabe le mani e la tastai tutta, dalla base alla punta. Era calda, dura e soprattutto reale.
Partì la terza canzone, un ritmo costante ma tranquillo, e gliela menai a ritmo, senza distogliere gli occhi dalla punta lucente e bollente, e senza chiudere la bocca, come ipnotizzata da così tanta virilità.
D’un tratto fui contenta che non ci fosse andata Sara con lui; probabilmente avrebbe finito per dimenticarsi del motivo principale, i soldi, per dedicarsi alla perversione, come io stavo facendo.
“Vuoi farci qualcos’altro?” mi chiese lui, distogliendomi dai miei pensieri.
Fermai la masturbazione e lo guardai; avvicinai la bocca, poi ci ripensai. Cercai qualcosa in tasca, ma ovviamente avevo tolto i pantaloni. Uscii a prenderli di corsa e ne tirai fuori quello che stavo cercando: il rossetto di Sara.
Era di colore blu, quello che mi faceva impazzire quando era sulle sue labbra, o meglio ancora impresso alla base del mio pene.
Mi risistemai dov’ero prima, seduta sulle sue ginocchia, e mi chinai nuovamente sul suo arnese; passai il rossetto sulle mie labbra tre o quattro volte, velocemente, e quindi schiacciai le labbra perch&egrave si imprimesse meglio.
Quando mi apprestai ad inghiottire la punta, fu lui a fermarmi.
“Aspetta. Non mi hai ancora detto il tuo nome” mi disse.
Lo guardai smarrita, poi capii: se dovevo essere la sua ragazza, dovevo per lo meno presentarmi.
Mi ci volle meno di un secondo per decidere, o meglio, per capire quale fosse il mio nome da ragazza.
“Mi chiamo Sara” gli dissi, sorridendogli accattivante. “Sarò la tua Sara Pompinara”
E detto questo, diventai una Pompinara.

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