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Trio

Compassione

By 30 Ottobre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

La sorella di mia moglie era morta da circa dieci mesi, lasciando un figlio ancora piccolo e un marito distrutto che non riusciva a darsi pace. Filippo, il vedovo, sembrava non riprendersi dal luttuoso evento e più il tempo passava più appariva depresso e angosciato. Ci faceva pena. Tentavamo in ogni modo d’aiutarlo, ma certi frangenti della vita sono così tragici che niente può esorcizzarli, nemmeno la magia dell’affetto. Talvolta egli lasciava il bambino a dormire da noi e vagava per le vie deserte della città e i sentieri bui del parco fino a notte fonda. Oppure passava le serate a casa nostra e restava a lungo con un bicchiere in mano a fissare la televisione senza vederla, con lo sguardo perso nel vuoto, contagiando Flavia e me con la sua tristezza. Flavia aveva molto sofferto per la scomparsa della sorella e ora era preoccupata per le condizioni del cognato.
Ci prendevamo cura del bambino di Filippo al pari di nostro figlio. I due bimbi sono cuginetti quasi coetanei e frequentano la stessa scuola, per cui non era un sacrificio accudire nostro nipote. Lo facevamo volentieri. L’unico inconveniente era rappresentato dal fatto che avere bambini per la casa ci limitava nella libertà d’incontrare il nostro amico Giulio, col quale da qualche settimana avevamo intessuto una storia di sesso a tre. Giulio è stato il nostro primo compagno di giochi erotici cosiddetti trasgressivi. Ho raccontato in un altro scritto l’inizio della storia con lui.
In quel periodo accadde che una sera Filippo dimenticò nel nostro soggiorno la cartella del lavoro. Nel prenderla per riporla, la cartella si aprì e ne fuoriuscì il contenuto. Flavia ed io constatammo che la cartella conteneva, fra le altre cose, due film pornografici su cassetta VHS. Ne rimanemmo sorpresi.
Negli ultimi mesi avevamo sempre visto Filippo così affranto che ci eravamo convinti non potessero esserci altri pensieri nella sua mente all’infuori del dolore. Ma evidentemente non era così. D’altronde era comprensibile che un uomo della sua età, sano e prestante com’era lui, non potesse stare per lunghi periodi senza sesso, o almeno senza pensare al sesso. Non lo si poteva di certo biasimare. Ipotizzammo che la pornografia fosse il solo modo che egli avesse per trovare un attimo di sollievo al suo tormento, per sentirsi ancora vivo. Ci fece ancora più pena.
Allorché il giorno dopo gli restituii la cartella col suo imbarazzante contenuto, egli capì che avevamo visto cosa vi fosse racchiuso. Mi confessò di sentirsi spregevole, laido, per il fatto di non saper vincere la sensualità che lo tormentava, per l’ignobile contrasto di quegli istinti col doloroso ricordo di sua moglie. Cercai di fargli capire che non doveva sentirsi in colpa, poiché era naturale che provasse quegli ‘istinti’, come li chiamava lui. Dissi che lo comprendevo’ lo comprendevamo, Flavia ed io. Gli uomini sono strane macchine che inconsapevolmente producono da soli la medicina alle loro malattie più gravi, anche quelle dell’animo. La cosa finì lì, apparentemente senza lasciare strascichi.
Riferii a mia moglie il colloquio con Filippo e lei per l’ennesima volta fu colta da un moto d’affettuosa compassione per lo sventurato cognato. Gli era affezionata. Gli voleva bene per motivi ovvi, cioè perché era stato il marito di sua sorella, perché era il padre del suo adorato nipote, perché era un’ottima persona, ma in seguito avrei scoperto che nel suo sentimento d’affetto c’erano anche motivazioni meno innocenti.
‘Filippo ha bisogno di una donna,’ mi disse Flavia quel giorno.
‘Potremmo invitare a cena qualche ragazza, fargliela conoscere,’ proposi.
‘Non pensavo a una storia sentimentale.’ obiettò lei.
Quella sera avevamo lasciato il bambino a dormire dai nonni e aspettavamo Giulio, che arrivò di lì a poco, quindi ci mancò l’occasione d’approfondire il discorso su Filippo e le sue necessità di sfogo. Non ne parlammo più.
Il giorno dopo, Filippo venne a passare la serata da noi. Decidemmo che il suo bambino avrebbe dormito a casa nostra, così la mattina successiva lo avremmo portato a scuola insieme a nostro figlio. Dopo aver messo a letto i piccoli, accendemmo il televisore. Io mi sprofondai nella poltrona più vicina all’apparecchio televisivo, dando le spalle a Flavia e Filippo che si erano sistemati sul divano dietro di me. Li sentivo sussurrare.
I loro bisbigli mi suonarono strani, insoliti, così come le lunghe pause, però evitai di voltarmi. Ero tentato di vedere cosa combinassero là dietro, ma una specie d’ispirazione mi spingeva a guardare fisso davanti a me, come se fossi calamitato dal programma televisivo.
Non so se Flavia agì per un impulso improvviso o attuando un progetto meditato. In seguito mi disse d’averci pensato più volte, prima di farlo, ma senza la convinzione di farlo davvero. Più che altro fu una mossa istintiva, dunque, inspiegabile razionalmente. Allungò la mano sull’inguine di Fil e lo palpeggiò. Il membro di lui s’ingrossò rapidamente sotto la stoffa dei pantaloni.
Egli non abbozzò il minimo tentativo di sottrarsi alla carezza. Evidentemente confidava che non mi sarei voltato. Il medesimo sesto senso che guidava me, lo indusse a ritenere che non mi sarei voltato. Magari pensò perfino che Flavia ed io fossimo d’accordo, ma se lo pensò sbagliava. Non eravamo d’accordo, quella sera. In seguito sì, lo saremmo stati, ma quella sera io ero all’oscuro dell’iniziativa di mia moglie. Fil restò immobile. Lei, in silenzio, gli aprì i pantaloni, gli prese in mano il pene e lo masturbò.
Più tardi venni a sapere cos’era accaduto. Sospettavo qualcosa di strano, ma dopo che Fil se ne fu andato mi ostinai a non domandare nulla a Flavia, perché volevo che me lo dicesse spontaneamente. Lei tacque finché non ci fummo coricati, poi a letto, distesi uno accanto all’altra nell’oscurità, all’improvviso disse:
‘Ho dato un po’ di sfogo a Filippo.’
Lo disse in tono neutro, come riprendendo il discorso interrotto il giorno avanti, ma già quell’ambiguo accenno fu sufficiente ad accendere la mia eccitazione. Attesi che continuasse.
‘Gli ho fatto una sega,’ aggiunse infatti dopo una breve pausa.
La mia eccitazione ebbe un’accelerazione improvvisa e il pene mi guizzò sotto la stoffa del pigiama.
‘Ma Flavia’ è tuo cognato” osservai tentando di darmi un contegno.
‘Vuoi dire che non sei d’accordo? Da quando in qua sei geloso?’
‘Non è questione di gelosia. Mi sta bene che tu seduca uomini, lo sai. Non c’è cosa che mi eccita di più che vederti scopare con Giulio, per esempio, ma Fil è un parente, sia pure acquisito’ e poi ci sono i bambini’ insomma potrebbe essere pericoloso, capisci? Ti rendi conto di quali complicazioni potrebbero saltar fuori?’
Lei si voltò verso di me e infilò la mano sotto al mio pigiama, sbaciucchiandomi sulla guancia.
‘Ha un bel cazzo,’ mi sussurrò nell’orecchio.
Sapeva bene quale effetto avessero su di me quel genere di frasi. E io sapevo che di lì a poco avremmo fatto l’amore parlando del cazzo di Fil e di come lei lo aveva maneggiato.
‘Era pieno da scoppiare,’ aggiunse. ‘Non la finiva più di schizzare.’
Con Filippo cominciò così, con questi sotterfugi che avevano qualcosa di morboso, perché lui non era un tizio qualsiasi, un maschio da portarsi a letto senza pensarci più di tanto. Era uno di famiglia’ era stato il marito della sorella di Flavia, quindi entravano in gioco complicazioni aggiuntive. Sono convinto che una relazione con suo cognato sarebbe stata impensabile per mia moglie, qualora sua sorella fosse stata ancora in vita.
La sera successiva Flavia mise a letto i bambini e io mi sistemai nella poltrona davanti al televisore, mentre Filippo s’accomodò dietro, sul divano. Flavia ricomparve dopo aver addormentato i ragazzi, mi diede un bacetto sulla guancia, poi passò dietro con Fil. Io tenni lo sguardo fisso sul televisore, come se fossi interessatissimo al programma. In realtà non capivo niente della trasmissione. Dopo un po’ Flavia andò in bagno a lavarsi.
Immancabilmente, dopo la partenza di Fil, ne parlammo.
‘Sapessi che bel cazzo duro ha il mio cognatino,’ disse Flavia con una smorfia maliziosa.
Mi riferì che, mentre lo masturbava, Fil le aveva aperto la camicetta e palpato il seno, poi si era alzato mettendosi davanti a lei e le aveva eiaculato sulle tette.
Mentre la scopavo si rammaricò d’essersi lavata il seno. A lei piaceva che le succhiassi i capezzoli coperti di sperma ed era convinta che piacesse anche a me. In effetti non si sbagliava.
Queste pratiche serali davanti al televisore stavano diventando un’abitudine. La cosa assurda è che Fil ed io non ne parlavamo, mai nemmeno un accenno. Ad ogni modo, egli cominciò ad apparire più spensierato, in certi momenti perfino allegro. E questo era già un risultato.
Flavia sosteneva che io traevo beneficio dai suoi giochetti con Fil, poiché dopo aver pomiciato con lui si scatenava con me. Comunque le pareva strano che io non dessi una sbirciatina, considerato quanto mi piaceva guardare.
La sera seguente m’informò che Fil aveva sbagliato mira. Stava per venirle sulle tette, poi aveva alzato il tiro, cioè lo schizzo.
‘Mi ha sborrato in faccia,’ disse.
Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo. Non ne fui sorpreso, perché me lo aspettavo, perché lo desideravo. Le sborrate in faccia a mia moglie sono la mia più grande passione.
‘Lo ha fatto con intenzione,’ continuò lei. ‘Mi ha puntato il cazzo ben dritto sul viso e quando ha cominciato a schizzare non si è ritirato’ io nemmeno.’
Le mostrai l’erezione provocata dalle sue parole. La feci sedere sul bordo del tavolo di cucina e le somministrai una devastante sbattuta. Ero felice dell’impudicizia di mia moglie.
E così, con il passare dei giorni, il buonumore di Fil cresceva e crescevano anche le mie corna, che si aggiungevano alle corna che Flavia mi metteva con Giulio. Al nostro vecchio amico non dicemmo nulla di Fil, perché lei temeva che s’ingelosisse.
Fra me e Filippo persisteva la massima discrezione circa il nostro giochetto serale. Eppure era palese che entrambi sapevamo che l’altro sapeva, ma non accennavamo a quella cosa che ci gratificava entrambi, ognuno dal suo punto di vista.
Il gioco era eccitante, perfino caritatevole, visto che stava guarendo Fil dalla sua depressione, ma mi preoccupava che ci prendesse la mano. Pensavo che dovevamo porre un limite. In fondo eravamo parenti, anche se acquisiti, e poi c’erano i bambini. Continuare su quella strada poteva diventare pericoloso.
Flavia concordava, ammetteva che avevo ragione, ma nello stesso tempo dichiarava d’avere una gran voglia di scoparselo, il suo cognatino.
La volta successiva, dopo che Fil se ne fu andato, abbracciai Flavia e cercai di baciarla, ma lei si ritirò. Ero eccitatissimo e pregustavo le delizie erotiche in arrivo. Quel suo ritrarsi mi stupì. Lei si recò nel piccolo locale che funge da lavanderia e buttò un fazzoletto appallottato nel cesto dei panni sporchi. Quindi, visto che l’avevo seguita, si lasciò stringere fra le mie braccia, ma si rifiutò di nuovo di baciarmi.
‘Dovrei lavarmi i denti,’ disse.
‘Per quale motivo dovresti lavarti i denti?’ domandai.
‘Perché Fil mi è venuto in bocca.’
La sua turpe osservazione mi provocò come al solito. Respirai il suo alito inebriandomi all’idea che odorasse di sborra anziché dentifricio alla menta. Le infilai la lingua in bocca e lei me la succhiò.
Che provocante puttana, pensai. Sapeva benissimo che baciarle le labbra bagnate mi piaceva. Le spinsi forte l’erezione contro l’addome per farle sentire com’ero teso.
Mi raccontò che Filippo le aveva puntato l’uccello dritto sulla bocca, inumidendole le labbra con le prime goccioline che fuoriuscivano dal glande. Allora lei aveva dischiuso le labbra lasciandolo scivolare in mezzo. Lo aveva succhiato, si era lasciata scopare la bocca, poi al momento dell’orgasmo aveva messo le mani sul culo del cognato affinché non si ritirasse, in un silenzioso invito a goderle in bocca.
Avrei dovuto rimproverarla, dirle che aveva esagerato, invece restai passivo, succube della sua lussuria. Il lascivo odore del suo alito alla sborra mi arrapava. Lei mi spinse a sedere su una sedia e mi venne sopra.
‘Non ho ingoiato,’ mi disse fra un bacio e l’altro. ‘Avresti preferito che ingoiassi?’
Ecco il perché di quel fazzoletto buttato nel cesto dei panni sporchi. Mi cavalcava. Ondeggiava sopra di me.
‘Sei una troia,’ le sibilai.
‘Non lo faccio più, se non vuoi,’ sussurrò senza smettere di fottermi, ‘però sappi che farmelo godere in bocca mi piace da impazzire.’
Il famoso limite da non superare diventava sempre più indefinito. Il problema era che se Flavia cominciava coi pompini chissà dove saremmo andati a finire. Le ricordai l’inopportunità d’intessere una relazione stabile con Filippo. Ormai quel che era successo non si poteva cancellare, ma sarebbe stato il caso di smetterla. Lei assentì a malincuore. Mi giurò che non avrebbe mai scopato con lui senza il mio consenso.
Intanto lo stato d’animo di nostro cognato migliorava decisamente. Lo si capiva dalla rinnovata attenzione per le cose di tutti i giorni, le più svariate, come ad esempio lo sport o addirittura la politica. Parlava sempre più spesso e volentieri del suo lavoro, argomento al quale non aveva mai dedicato interesse dalla scomparsa della moglie. Ma soprattutto l’approssimarsi della sua guarigione lo s’intuiva da come egli tornava a prendersi cura del figlio.
In quegli ultimi mesi il piccolo era diventato un po’ come il nostro secondo bambino. Spesso dormiva da noi, lo accoglievamo quando tornava da scuola, lo seguivamo negli studi, gli preparavamo i pasti. Lo accudivamo, insomma, davvero come un secondo figlio. Ora Fil cominciava a reclamare i suoi diritti-doveri di padre. Ricominciava ad occuparsi del bambino senza che ciò gli costasse sforzo, come invece era avvenuto in tempi recenti.
Flavia era cosciente dei propri meriti riguardo alla rinascita di Fil e alla salvezza di ciò che restava della sua famiglia. Ne andava orgogliosa. Era convinta che gran parte del merito andasse ai suoi pompini.
Filippo evitava di manifestarmi aperta gratitudine, perché ciò avrebbe significato sfiorare l’argomento che ormai era tutelato da una specie di muto patto di silenzio. Ci annunciò che nell’azienda per la quale lavorava gli avevano proposto un incarico importante, con relativa promozione e aumento di stipendio. I dirigenti tornavano ad apprezzare la sua professionalità. Festeggiammo con un brindisi. Eravamo contenti di constatare come egli stesse pian piano tornando alla normalità.
Non riuscivo a proibire a Flavia di soddisfare con la bocca suo cognato, benché pensandoci a mente fredda mi proponessi di farlo. A lei piaceva succhiargli il cazzo, a me eccitava che le piacesse. Ogni volta erano una sferzata di libidine i suoi occhi accesi di voglia che mi fissavano, il suo alito all’aroma di sborra, la voce languida che diceva ‘mi ha riempito la bocca di sperma.’ Era la puttana dei miei sogni e consideravo una grande fortuna averla sposata.
Una sera notai che non passava dal cesto dei panni sporchi per buttare il fazzoletto.
‘Ho bevuto tutto,’ mi disse.
Non lo aveva mai fatto né a me né a Giulio, ma noi per la verità non glielo avevamo mai chiesto, mentre a quanto pare Filippo ci teneva, così lei lo aveva accontentato.
‘Perché non avrei dovuto accontentarlo?’ osservò. ‘A me la sborra mica fa schifo.’
Eravamo in bagno. Lei si piegò in avanti sostenendosi al lavandino e invitandomi a penetrarla da dietro. Intanto che la sbattevo, lei mi spiegava che ognuno dei suoi amanti aveva una preferenza particolare: Giulio era un patito del culo, Filippo dell’ingoio’ e a lei piaceva dare a entrambi quello che volevano.
Più tardi, a letto, avendo spento la fiamma della cupidigia, tornai a considerare l’opportunità di troncare la nascente relazione con Filippo. Lei si lamentò di non poterlo scopare, ma convenne che avevo ragione. Promise che avrebbe parlato con lui e gli avrebbe spiegato.
Il giorno dopo, Fil c’invitò a cena al ristorante per festeggiare la sua promozione. Nel pomeriggio, Flavia ed io ci accordammo affinché lei gli dicesse chiaro e tondo che era finita. Io li avrei lasciati soli qualche minuto per darle modo di parlargli. Quindi andammo al ristorante e passammo una piacevole serata in famiglia, con i bambini e i nonni. Dopo cena accompagnammo i nonni a casa loro, poi mi offrii di mettere a letto i ragazzi, così Flavia avrebbe avuto l’opportunità di parlare al cognato e chiudere la storia.
Aiutai i bambini a lavarsi e indossare i pigiami, li feci coricare e rimboccai le coperte, narrai loro una bella storia e li cullai con la mia voce finché non presero sonno.
Tornando in soggiorno, lo trovai deserto. Le luci erano tutte spente. Nell’oscurità mi accorsi che un flebile lume filtrava da sotto la porta della camera da letto. Capii trattarsi della luce dell’abat-jour sul comodino. Pensai che Fil se ne fosse andato e che lei mi aspettasse a letto. Temetti di trovarla avvilita. Aprii la porta piano piano. La scena che mi trovai di fronte mi lasciò senza fiato.
Lui la montava, la schiacciava, ondeggiava sopra di lei. Flavia boccheggiava. Il suo volto aveva un’espressione rapita e i lineamenti erano distorti dalla smorfia del godimento. I suoi occhi appannati si perdevano in un mare torbido di piacere. Era bellissima.
Il corpo di Fil s’incastrava alla perfezione in mezzo alle sue gambe aperte. La schiena di lui era arrossata e graffiata. La tensione del suo corpo era come concentrata nella contrazione dei glutei, segno della forza con cui si spingeva dentro di lei. Le dava colpi lenti, ma ben assestati in profondità. Ad ogni affondo lei pareva rimanere senza fiato: tratteneva il respiro e spalancava la bocca in un muto lamento, poi espirava soffiando a labbra strette, come se cercasse di fischiare senza riuscirci.
Spalancai la porta e avanzai di due passi. Fil aumentò il ritmo degli affondi senza diminuirne la forza. La puttana si morse il labbro inferiore e gemette con mugolante cantilena. Fu a quel punto che si accorsero di me. Lui s’immobilizzò. Lei gli mise le mani sui glutei, come per impedirgli di ritirarsi. Mi guardò. Si rese conto della mia presenza, ma intanto con le mani faceva pressione sul sedere del suo stallone, affinché le restasse dentro.
Nel ventaglio di alternative che mi si prospettavano, la più onorevole sarebbe stata incazzarmi, invece non seppi far altro che restarmene lì immobile, incapace d’insorgere, con la sensazione che stavo facendo la figura dell’allocco, incapace perfino d’assumere un’espressione un po’ più furba di quella che in quel momento sospettavo d’aver disegnata in viso.
Il gesto di lei, quel premere le mani sui suoi glutei affinché le rimanesse dentro, mi diede la misura di quanto fosse puttana. La desiderai come raramente l’avevo desiderata.
I suoi occhi mi fissavano. Vidi la sue labbra articolare parole che mi giunsero indistinte, in un sussurro pieno di ansia e di sospiri.
‘Avevo promesso, lo so’ perdonami’ ma non ci fermare’ ti supplico.’
Mossi ancora un passo verso il letto. Fil mi scrutò con un misto d’apprensione e sfrontatezza. Gli feci un cenno con la testa.
‘Va bene,’ mormorai, ‘fottila!’
La mia indole prendeva il sopravvento sulla ragione e sull’orgoglio. Vidi i muscoli di Fil contrarsi. Affondava di nuovo in lei. Flavia s’inarcò, reclinò la testa all’indietro gemendo, soddisfatta dell’epilogo, ebbra di lussuria. Alzò le ginocchia puntando i talloni sul materasso e sollevò il bacino per andargli incontro quando lui, dopo essersi brevemente ritirato, riprese a sbatterla.
Con movimenti lenti mi accostai al letto e poggiai i ginocchi sul bordo, percependone le oscillazioni trasmesse dal loro movimento. Misi la mano sulla coscia di lei. La carezzai fino all’inguine. Sentii il suo corpo vibrare, sussultare sotto i colpi del suo stallone.
‘Troia!’ le sibilai. Lei gemette di piacere.
I seni sui quali ero solito deporre baci e che adoravo veder baciati da Giulio, ora tremolavano al ritmo delle spinte del suo terzo maschio.
‘Falla godere!’ incitai lo stallone di turno.
Gli occhi acquosi di lei non si staccavano dai miei, eppure parevano non vedermi, velati com’erano, persi in profondità vertiginose.
‘Ti chiava bene?’ le domandai.
Misi la mano a coppa su una tetta e schiacciai col palmo il capezzolo turgido, pungente.
‘Puttana,’ le dissi. Era splendida.
A quel punto lei chiuse gli occhi. Capii che veniva, toccava la vetta massima del piacere. E anche lui si tendeva, spingeva forte e s’irrigidiva rimanendo piantato in profondità dentro di lei. Venivano all’unisono. Lei singhiozzò, lui cacciò un verso rauco, gutturale. In quell’attimo lei spalancò gli occhi fissandomi,
‘Mi piena’ mi riempie” ansimò.
Poi richiuse gli occhi e si lasciò andare alla vertigine dell’orgasmo, emettendo una specie di lamentoso ululato.
Allo sconvolgimento bramoso seguì il piacevole stordimento, il torpore del dopo-orgasmo. Fil si rilassò, abbandonando il peso del proprio corpo su di lei. La coprì con le membra divenute improvvisamente molli. Lei si sciolse in quieta dolcezza. Gli carezzò la nuca tenendolo avvolto in un tenero abbraccio. Parevano essersi dimenticati della mia presenza. Mi sedetti sul bordo del letto cercando di non disturbare. Attesi che recuperassero gradualmente la regolarità del respiro.
Dopo alcuni minuti, Flavia si volse verso di me e mi sorrise. Mi posò la mano sul ginocchio, in segno d’affetto, gratitudine, complicità.
‘Mi hai perdonato?’ disse.
Feci un gesto vago alzando le spalle. Lei spostò la mano sul mio inguine e sentì l’erezione sotto la stoffa dei pantaloni.
‘Sì, direi che mi hai perdonato.’
Mi aveva eccitato con la sua passione scatenata, ora continuava ad eccitarmi con la sua placida spudoratezza e perfino con l’espressione di sazia felicità del suo volto. Fil pareva del tutto a suo agio, così nudo e immobile sopra mia moglie. Lei strizzò con le dita il mio uccello, come saggiandone la durezza.
‘Hai bisogno di sfogarti pure tu,’ mi disse.
Poi esercitò una lieve pressione sulla spalla di Filippo.
‘Su tesoro,’ lo esortò accompagnando le parole con un bacetto sulla guancia, ‘ora fatti da parte e lascia il posto a mio marito.’

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