Skip to main content
Trio

LA SCOPERTA INATTESA

By 15 Aprile 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

di piratablu
E’ una storia vera, forse triste o magari buffa, ma vera. Se ti va e hai lo stomaco forte vai avanti e leggi, sennò fermati qui. A me le ha fatte bruciare forti le pareti dello stomaco vivere quelle cose ed anche riviverle ora mi dà una sensazione quasi di dolore fisico, ma magari a qualcun altro queste cose faranno solo sorridere. In un certo senso mi piacerebbe saperlo, così per curiosità, ma poi la vergogna prevale, vedere qualcuno sorridere di questo mio pezzo di vita mi potrebbe indubbiamente tirare su, ma potrebbe anche farmi star male. Allora la lascio qui la mia storia, alla lettura di tutti ed al commento di pochi, di quei pochi che nel leggerla mi riconosceranno e mi faranno sapere che ne hanno pensato.

Ci siamo sposati giovani, inesperti. Tutti e due venivamo da un lungo fidanzamento finito male, molto male e la passione era esplosa tra noi. Tutto bene per anni, finch&egrave la noia fece capolino tra le pieghe della nostra vita ed, ahim&egrave, anche tra le lenzuola. Ed allora iniziarono quei giochetti che spesso si fanno per aumentare l’eccitazione, quando l’eccitazione che dovrebbe venire naturalmente ‘. naturalmente non viene. Giochi innocenti, di parole, di racconti immaginari. ‘Cosa faresti se non fossi io?’ Una benda sugli occhi a rendere il gioco più simile al vero. Ed i giochi fatti raccontando di cose che potevano venire nel futuro lasciavano il passo ad una grande eccitazione e ad un amplesso esplosivo. Il mio pene raggiungeva dimensioni ragguardevoli. La durezza era quella che doveva. La sua vagina si dilatava. Era morbida, avvolgente, vellutata e l’orgasmo ci prendeva maestoso e violento.
Ma quando il gioco che io suggerivo entrava nel passato. ‘Cosa avrai mai fatto quando non mi conoscevi? Quante mani sconosciute hanno toccato il tuo fiore delicato?’ Allora lei si rabbuiava, il gioco finiva e di sesso neanche a parlarne.
Lo so, lettore mio, letta così fa sorridere, ma a viverla una cosa non la vedi se non ti si para davanti nella sua evidenza,. Ed evidentemente per me evidenza non era!
Il dubbio entrò in me, forse non c’era stato solo il suo primo fidanzato, forse la sua storia non era lineare come la mia. Iniziai a chiedere, in tutti i modi possibili. Subdolamente, direttamente, ma mai una risposta, una risposta chiara. Finch&egrave un giorno provai col vino, sì il buon vecchio vino rosso che scioglie le lingue. E seppi. Seppi che c’era stato un altro, un grande amore, un uomo più grande, ma che ‘niente’ era successo.
Tra me e me decisi ed inquadrai la cosa tra gli amori platonici. Ripresero i giochi e, com’&egrave vero che non c’&egrave miglior cieco di chi non vuol vedere, io non ponevo fantasie sul passato. Non per pensiero, non per riflessione. Non mi venivano e basta. Ed esploravamo nuove frontiere. Il buchino proibito di mia moglie non lo fu più e lei frugava vicino all’ingresso del mio. Spingeva contro l’ano con il suo dito, spingeva e mi eccitava, ma poi non affondava. Io lo desideravo ma non chiedevo.

Passarono un paio d’anni quando un giorno fui io la ‘vittima’ del buon vino rosso. Ero alticcio e la mia prudenza inconsciamente voluta smise di esser tale. Ero dentro di lei, l’eccitazione era al massimo. Pompavo furiosamente, ma mi fermai malizioso. ‘Se quando eri fidanzata col tuo ragazzino dell’epoca te lo avesse fatto un altro avresti goduto come godi ora?’ E tornò il buio. All’improvviso si raffreddò. Le pareti morbide della vagina le sentivo diverse. Il sorriso di piacere era ora una smorfia di fastidioso dolore. Quasi non me ne resi conto, il vino rosso fa miracoli! Ma poi, quando giunsi all’acme del mio piacere e lo rovesciai copioso sulla sua pancia e sui suoi seni bianchissimi, allora vidi l’espressione del suo viso, e ricollegai tutto.

Dovevo sapere, dovevo! Feci mente locale a tanti piccoli episodi del nostro primo passato, ma non trovavo indizi di alcun genere. Non ce n’erano in effetti. Pensai a tutti gli amici comuni, ma ovviamente i miei amici non potevano saper nulla di lei ed i suoi, se pure avessero saputo qualcosa di una storia che necessariamente era stata clandestina, perché avrebbero dovuto raccontarne i particolari a me? Particolari di cui io però ero goloso, affamato. E si sa che un animale affamato usa ogni suo istinto per sfamarsi. E purtroppo ebbi l’idea buona.
Chissà perché tutte le ragazze carine hanno un amico gay con cui vanno in giro e lei da ragazza non era da meno alle altre. Lui viveva in una città vicino alla nostra, ma tornava ogni due settimane. Quando uscivamo in comitiva mi divorava con lo sguardo. Se gli avessi promesso qualcosa avrebbe fatto crollare la cortina di omertà? Si poteva provare. In fondo non sarebbe poi stato tanto diverso dal nostro giochino proibito. E comunque dovevo fare qualcosa per risolvere l’ossessione. L’animale affamato aveva bisogno di cibo!
Io che rifuggivo sempre le rimpatriate con i vecchi amici ne organizzai subdolamente una. Dissi a mia moglie che aveva chiamato il vecchio amico, mentre lei parlava a telefono con un’amica. La tipica situazione in cui infastidisci talmente tanto la tua partner che lei dimentica qualsiasi cosa tu le abbia detto. Però il tarlo entrò nella sua testa. Quindi a lei venne in mente di chiamarlo dopo poco. In meno di un’ora la pizza era già fissata per il sabato successivo.

Se era una checca 5 anni prima ora lo era senz’altro di più. D’altra parte non aveva una relazione fissa per cui, mentre lui raccontava della sua situazione di libertà pavoneggiandosi davanti a tre coppie sposate, io pensavo tra me e me chissà quanti cazzi avrà assaggiato nel frattempo!
Si esce dalla pizzeria alticci. La birra non &egrave come il vino rosso, ma ne bevi in quantità l’effetto &egrave lo stesso. La moglie spettegola con le due amiche. I due mariti della comitiva si sono allontanati per recuperare le auto. Ho dieci minuti. Li devo giocare bene. Ma la belva affamata si sa che &egrave spietata, non commette errori. E non ne commetto.

‘Cosa combinavate quando uscivate prima che io la conoscessi?’ Lui &egrave ubriaco. Inizia a rispondere. ‘Ma mica uscivamo insieme. Io ero la copertura di cui lei aveva bisogno per liberarsi del fidanzatino, ottima perché lui non mi sopportava perché omosessuale e quindi mai sarebbe uscito con noi, ed io avevo bisogno di una copertura femminile perché allora vivevo in famiglia. L’appuntamento di fine serata era alle 3, il tempo di ricomporsi e si tornava a casa. Qualche volta era un appuntamento pomeridiano ed allora il ritrovo era a poca distanza dal luogo di incontro dell’uscita serale.’ Silenzio imbarazzato. Capisce in un barlume di lucidità di aver detto troppo. Ma ormai ha detto. Io gli chiedo cosa intende per ricomporsi. Lui parla come in trance. ‘Dopo il sesso a volte ci sono delle macchie, il seme nei capelli puoi non vederlo, così come le macchie sui vestiti, un’amica ti può avvisare e così ti puoi presentare a casa o all’appuntamento successivo in condizioni accettabili’. E’ eccitato. Vuole raccontare di se, ma io non &egrave di lui che voglio sapere.

Chiedo di lei. Parlo con comprensione ed intimità forzata. ‘Lei lo copriva ed era una cara amica ad avvisarlo delle macchie sui vestiti o degli schizzi nei capelli (che schifo ‘ penso tra me). E tu in cosa la coprivi?’ A questo punto ecco che scatta l’omertà dell’amica. Si, questi gay ragionano proprio come donne. Sono amiche e lei non la tradisce.

‘No. Se vuoi sapere cosa facesse chiedilo a lei. Io non te lo posso dire.’

Ma l’animale &egrave davvero affamato. Disposto a tutto.

‘Non me lo diresti per nulla al mondo?’

Lui si blocca. Come paralizzato. ‘Domani pomeriggio a casa mia.’ Non dice altro.

Che dire di come sto in questa notte di attesa. E c’&egrave bisogno di dirlo? Eccitato, spaventato. Poi ci penso a quello che ho promesso. Mi immedesimo nella situazione. Mi faccio schifo, ma la belva ha fame.

Abita in una città né vicina né lontana. Poco più di un’ora in auto. Un’ora lunghissima però. Arrivo. Lui mi aspetta. Fa caldo, molto caldo. Entro in casa. E’ in canottiera e boxer. I boxer sono di quelli con l’apertura davanti. Non dice una parola, mi prende la testa e mi spinge a guardare verso il basso. Il suo uccello &egrave uscito dall’apertura del boxer. Punta verso l’alto ed &egrave paonazzo. Penso tra me e me per risollevarmi. ‘Sarà timido?’ Sorrido da solo. Lui fraintende, ovviamente. Come può pensare che io abbia fatto un pensiero così idiota. Mette l’altra sua mano sulla mi spalla e spinge verso il basso. Io faccio resistenza. A questo punto &egrave lui a sorridere sardonico. ‘Ma non volevi sapere?’ Lo odio, ma mi abbasso in ginocchio davanti a lui, apro la bocca ed inizio a succhiare come in vita mia ho visto solo mia moglie fare.

La mia fidanzatina non mi faceva mai pompini. ‘Mi fanno schifo’, diceva. ‘Lo fanno solo le puttane.’ Forse avrei dovuto crederle, invece mi dispiacevo. Mia moglie però &egrave una maestra. ‘Me lo hai insegnato tu’, diceva nei primi periodi quando ci siamo conosciuti. Poi la prima notte di nozze chissà perché invece del regalo di una verginità, che era stata regalata anni addietro a qualcun altro, ebbi il regalo della notizia che lei i pompini li faceva regolarmente al suo fidanzatino. ‘Era un modo di dire me lo hai insegnato tu’, mi disse con una risatina che non scorderò mai, ma che le perdonai subito perché alla risatina seguì uno dei suoi pompini capolavoro.

Avrei dovuto ascoltare la mia fidanzatina e sopportare il fatto che aveva perso la testa per un ragazzone di trent’anni e che ovviamente gliel’aveva data al primo appuntamento. Ed al successivo. Ed al successivo ancora. Stupido orgoglio di gioventù. Fossi rimasto con lei ora non sarei qui con il cazzo di un frocio che mi scopa la bocca.

Ora lui si ferma. Vuole incularmi. Non lo dice, però. Non ne ha bisogno. Prende un tubetto con su scritto vaselina ed io capisco cosa vuol fare. Di solito non &egrave che la si usi come dentifricio.

Senza che lui me lo chieda, mi tolgo pantaloni e mutande e mi metto col busto steso sul tavolo.
Quando entra non &egrave che usi tanta delicatezza. Ho letto di tanti racconti in cui viene usato prima un dito, poi un altro. Invece qui &egrave tutto più rapido. Spalma la vaselina sul glande paonazzo, ne mette un mucchietto sul mio ano (piacevole sensazione di freschezza che presto passerà). Lo poggia e spinge. Il dolore &egrave forte e più del dolore &egrave forte il bruciore. Nelle storie che si leggono si narra di una pausa, quasi un fatto contemplativo prima che chi &egrave alle spalle inizi a pompare. Anche qui non &egrave così. La pompata prende subito il suo ritmo, né lento né veloce, ma forte e ogni stantuffata rinnova dolore e bruciore. Proprio non &egrave cosa cui abituarsi. Non &egrave come nei racconti. Non &egrave come il nostro gioco.

E, quasi mi possa leggere nel pensiero, mentre io inizio a domandarmi quanto possa durare, mi chiede di voltarmi. E’ una confezione di farmaci che mi mostra. Il nome &egrave fin troppo noto ed anche il sorriso beffardo ha qualcosa di familiare. Credo di essermi preso quasi un colpo a leggere quelle sei lettere. Viagra.

E sento le sue parole. ‘Ho preso qualche aiuto, così abbiamo tutto il tempo. Anzi durerà decisamente un bel po’. Cosa volevi sapere? Ah, della tua bella mogliettina. Ti incuriosisce se anche lei qualche volta aveva delle macchie sui vestiti? No. Mai. Però era sempre sconvolta quando scendeva da quell’auto ed a volte mi raccontava. Noi eravamo ragazzi e quello nell’auto era un uomo. Aveva una garconniere dove andavano a scopare’

Intanto il ritmo andava avanti senza pietà. Senza variazioni. Stesso dolore. Stesso Bruciore. Ed io ascoltavo quasi fossi stato in trance. D’altra parte mi sembravano storie immaginarie. O almeno rivisitate da una mente perversa da frocio. Lei non aveva mai usato quella parola con me. Fare l’amore, o altri modi di definire l’unione dei due corpi le erano propri. Non era mai stata volgare.

‘Sei sorpreso da questa terminologia, eh? Ma che credi di conoscere tutto? Erano proprio parole sue. Mi diceva che col suo ragazzo lei ci faceva l’amore, ma con quell’uomo era diverso. Era sesso allo stato puro. Era scopare senza limiti. Ah, naturalmente sempre completamente nuda, in quella casetta con le finestre senza tende, per questo non c’erano mai macchie sui vestiti. Mi raccontò della prima volta che c’era andata, quando l’aveva scopata in culo senza visitare prima la sua vagina. Per lei era stata la prima volta e quando rientrò nella mia auto era ancora sconvolta. Dovemmo andare al bar a bere qualcosa di decisamente forte prima di poterci presentare all’appuntamento dove l’aspettava il suo ragazzino.’

Mi chiede di voltarmi. Un altro sguardo beffardo mentre procede con i colpi selvaggi. ‘Ti preoccupi del passato, invece che del presente. Eppure in questo momento ufficialmente lei &egrave con me, mentre invece si starà scopando qualcuno, come al congresso di Venezia dello scorso anno. Come a quello di Torino dell’anno prima. Ieri alla pizza mi ha detto che non esiste andare ad un congresso senza farsi una buona scopata’

No, &egrave troppo. A questo non credo, non ci posso credere. E questa enorme bugia mi rasserena
Intanto che il dolore ritmicamente continua, eterno, la mia mente inizia a frullare pensieri complicati. Lo faccio sempre quando non voglio pensare a qualcosa cui non mi va di pensare. E ritmicamente c’&egrave un qualcosa di molto ingombrante cui non pensare! Eh già, il presente. E chi cavolo ci pensava. Ma &egrave una cosa assurda, che non &egrave, che non può essere. Me ne convinco sempre più, ad ogni colpo. Anche se ormai, con questa brillante idea che ho avuta, con l’impegno che ci ho messo per perseguirla, il passato mi si &egrave svelato in tutta la sua cruda realtà. Ma cavolo, penso, parliamo di passato! Ed ognuno ha pur il suo diritto di portare avanti la sua vita come preferisce. Tutto mi sembra naturale, con una sua logica. Come se io avessi sempre saputo. Non mi importa, davvero!

La bestia non ha più fame, &egrave sazia.

Dopo oltre un’ora da quando &egrave iniziata, l’operazione sta per volgere al termine e questo lo capisco chiaramente dall’accelerazione dei colpi e del respiro. Sento il mio culo in fiamme finalmente bagnato. Poi lui si ritrae. Ovviamente di botto, ‘per sentire meglio’ ‘ dice, in realtà per infliggermi con l’uscita l’ultimo dolore al passaggio del glande attraverso l’ano. L’ultima piccola grande umiliazione

E’ finita. Sono in auto e sto tornando a casa. Mi faccio schifo. Mi sento colpevole per i miei piani razionali, che sono stati così freddi da andare oltre la mia stessa natura più intima. Ho un’ora o poco più per metabolizzare anni di pensieri e di ossessioni. Ed in un’ora ogni tassello va a posto. Ricostruisco le sue vicende di anni addietro come un film visto un po’ di tempo addietro la cui trama non ti &egrave chiara. Tutto qui! La bestia davvero non &egrave più affamata. E’ dolente, triste, ma non ha più quell’impellente bisogno di cibo di prima. Il senso di colpa aumenta mentre salgo le scale di casa. Indugio davanti alla porta e sento dall’interno la sua voce allegra e cristallina mentre scherza al telefono con un’amica. Una voce pulita, che mi ha dato fiducia e gioia per anni. Apro la porta e la colpa aumenta mentre vengo allegramente salutato da un ‘ciao’ e da un ‘ti devo raccontare una cosa incredibile’.

‘due volte, dopo tanti anni che non ci vedevamo con la checca ‘ come la chiami tu ‘ in due giorni ci siamo visti due volte. Non la trovi una cosa stranissima? Oggi abbiamo passato tutto il pomeriggio insieme. Era ancora in città e siamo stati in giro per negozi a ridere e scherzare come anni fa’

La bestia ha di nuovo fame ‘..
Sento l’acqua che scroscia di là nella stanza da bagno. Sono steso in una penombra, di certo non voluta da me che amo la luce, sì anche in quel genere di situazioni in cui tutti (ma proprio tutti?) dicono che il buio &egrave meglio. Steso sul letto ‘ scomodo ovviamente ‘ di una camera che non &egrave la mia camera, a fissare un soffitto che fortunatamente &egrave abbastanza simile ai soffitti che mi sono familiari. Uno scroscio allegro, che mi dà sicurezza, non il fruscio d’acqua di un rivolo cadente da un rubinetto timidamente aperto, fortunatamente la ragazza almeno in questo non ha pudori.

Ma facciamo un passo indietro, sennò l’incauto lettore che mi ha seguito nelle mie disavventure, non ci si raccapezza per niente. Dunque, dove eravamo arrivati? Ah, sì!

In quel modo, diciamo così, rocambolesco, avevo scoperto quel che avevo scoperto della dolce mogliettina. Del passato antico. Di quello recente. Quando si inizia a scoprire qualcosa &egrave sorprendente come poi tutto ti si dipani con una velocità assurda. Ogni giorno indizi su indizi costruivano prove. E prove su prove raccontavano fatti. E ad un certo punto avevo deciso di farle capire che sapevo. Non era stato complicato da pensarsi, tantomeno da farsi. Una cena fuori, un bicchiere di troppo, il suo telefonino poggiato da me sul comodino di lei, ‘dimenticandomi di spegnerlo’ e si rideva e si scherzava. Avevo portato la conversazione già mentre rincasavamo su quel suo collega la cui moglie aveva deciso di conoscere intimamente praticamente tutti i colleghi del marito. Una vendetta per una storia vecchia, evidentemente non dimenticata. Ormai erano state scoperte le storie sia vecchie che nuove e tutti si apprestavano a vivere felici e contenti: il collega libero della moglie cornificatrice, la moglie libera dagli incubi del passato, gli avvocati di entrambi ed un giudice che almeno per una volta avrebbe chiuso un atto di separazione senza dover ascoltare le solite lagnanze. E scherzando io dicevo alla mia consorte: ‘tanto siete tutti uguali, assatanati’, e lei si scherniva ma ridendo sotto i fumi dell’alcool. Un po’ indignata, ma non muta e furente come quando le parlavo del passato. Era bastato andare in bagno e rimandare dal mio telefonino al suo un suo sms che avevo intercettato con i ringraziamenti del suo ultimo accompagnatore ad un congresso. La notte era stata indimenticabile, chiaramente, e c’era la richiesta pressante di un bis, insomma un qualcosa di difficilmente equivocabile. Rientrando in camera sornione avevo sentito il rumore del suo silenzio, ma lei era stata ben felice di interromperlo vedendo il mio sguardo eccitato, anche se forse era spaventato più che eccitato e aveva spezzato il silenzio con quella sua risata cristallina, cui io non sapevo resistere. ‘Sei uno ‘.’ la parolaccia era proprio quella che mi mandava in bestia, ma i suoi occhi brillavano di quel sorriso, di quello sguardo a cui io in anni non avevo ancora imparato a resistere. I nostri due corpi si erano uniti e la cosa aveva funzionato. Pare funzioni sempre a trarre d’impaccio coniugi in lite, in imbarazzo o in altri stati d’animo non risolvibili con discussioni cosiddette civili. Anche perché poi uno dei due risulta spesso imbrattato di roba appiccicosa, si deve lavare, quando torna l’altro dorme o finge molto bene di farlo. Il discorso pot&egrave così riprendere il mattino successivo o meglio iniziare, visto che la sera prima non una parola era stata scambiata. Il mattino &egrave più facile affrontare argomenti spinosi per due motivi. Il primo &egrave che c’&egrave un limite di tempo stabilito. C’&egrave l’uscita per andare al lavoro. Quindi anche qui c’&egrave una comoda scappatoia per i coniugi in difficoltà verbali. Poi il mattino porta sì la luce, ma anche una serie di comodi schermi dietro i quali parlare senza essere visti. Non credo saprò mai se si eccitò raccontandomi mentre faceva la doccia del congresso e del collega congressista che le aveva fatto una corte dolcissima. Io lo sapevo, no, che lei non ama dormire da sola? E mai avevo voluto accompagnarla. Avrei passato il resto della giornata a cercare di ricordarmi quando me l’aveva chiesto, ma non ci sarei riuscito. Neanche nelle giornate successive a dire il vero! La sera il solito mal di testa ci privò della gioia di una litigata sul fatto che lei mai mi avesse chiesto di accompagnarla. Sensazioni forti risparmiate per la mattina successiva, quando una mia domanda un po’ stupida trovò una risposta meno stupida. La verità non lo &egrave mai. Certo che non c’era stato solo il bacetto della buonanotte per il benefattore che le aveva fatto compagnia. D’altra parte se avevo letto il messaggino lo sapevo, no? Ora nella sua voce c’era un cocktail di astio, soddisfazione ed eccitazione che solo una donna che confessa quello che non dovrebbe sa usare. Volevo i dettagli? Ero diventato un maniaco che aveva fatto tutto questo per avere il racconto dei dettagli. Ora la voce era un urlo, ma stranamente non riusciva a perdere né astio, né soddisfazione né eccitazione. E dal corpo nudo dietro il vetro translucido della doccia provenivano frammenti di verità. Che mi credevo io, che il fatto di sedermi a tavola e pretendere il piatto caldo servito fumante mi rendeva più maschio? C’erano maschi che sapevano essere più maschi di altri senza bisogno di usare una donna come serva ‘.. Il telefono che trillava nervoso mi impedì di chiedere alla dolce consorte, ed avrei voluto farlo nel modo più volgare possibile dopo l’affronto subito, se si riferiva alle dimensioni della virilità e di come le avesse misurate queste dimensioni. Il mio collega, che mi bloccò 30 minuti al telefono, consentì ad una insolitamente truccata moglie di sgattaiolare dalla porta di casa, senza rispondere ad una domanda che non avevo formulato. Ebbi il tempo di vedere la giovane e familiare figura di donna controluce che si allontanava nel corridoio. Ebbi anche il tempo di percepire dal movimento del tonico seno che quasi si distingueva sotto la stoffa della camicetta, illuminata dalla bella luce del mattino, che sotto la camicetta il reggiseno non c’era. Strano però, lo portava sempre. Non mi mancò il tempo di sentire le porte del guardaroba all’ingresso aperte e chiuse con foga, la porta di casa che si chiudeva. Forse dovrei dire sbatteva, sarebbe una definizione più corretta. Ovviamente non mi mancò neanche il tempo di pensarci e ripensarci tutto il giorno a quella mezza frase di mia moglie. Poteva mai essere che alludesse così volgarmente alle misure del ‘. No, non era possibile. Poi lei che aveva sempre detto che non &egrave importante il quanto, ma il come. E non era mancato il tempo, in una giornata tutta trascorsa a rimuginare, per concludere che avrei dovuto far pace e godermi la mia serenità. Non ci fu tempo di farla invece quella sera la pace. Ero già a letto quando arrivò. Avevo tentato di chiamarla più volte al cellulare. Sempre staccato. Ah, già, c’era una conferenza in città. Probabilmente non poteva parlare. Le mandai un sms cui in una pausa della conferenza mi pot&egrave rispondere. Avrei potuto scaldarmi le polpette del giorno prima, lei sarebbe rientrata molto tardi. E quasi non la sentii rientrare, anzi ora ricordo di essere stato svegliato non dalla porta ma dal rumore della doccia e di essermi sorpreso della doccia fatta sia di mattino che di sera. Ora il ricordarmene non mi stupisce più! La doccia serale ci salvò dalla ripetizione della scena il mattino dopo, ma non ci salvò per sempre. Nella settimana successiva ci furono altre docce ed io ebbi tutti i dettagli dei congressi. Delle misure di altrui virilità. Ma perché nel racconto di mogli adirate uno si ritrova sempre molto indietro in questa speciale classifica? Molto indietro &egrave un modo elegante per descrivere un ultimo posto. E dietro quel vetro translucido mi fu fatta la proposta di giocare a carte scoperte. Potevamo restare insieme in nome dell’affetto che ci univa, ma perché doversi nascondere? Perché, anche dopo che io sapevo, lei aveva dovuto umiliarsi e nascondere un suo innamoramento ed il fatto di non potere non far l’amore con l’uomo che desiderava? Questa volta il mio collega rompi’. salvò me e non lei. Mi salvò dal domandarle perché mai era stata un’umiliazione doversi nascondere ed a quale situazione potesse mai riferirsi dopo che io avevo saputo? No, non mi dire che ‘. una settimana prima mentre io mangiavo le polpette scaldate ‘. e dire che io le odio le polpette scaldate! Poi, la sera, di nuovo quello sguardo cui io non sapevo resistere. E durante, sì, proprio durante me lo richiese. In quelle circostanze non c’&egrave nessuno che ti venga in aiuto e poi non &egrave il momento migliore per dire di no ad una donna. Ed io non dissi no. Da quel giorno tutto fu alla luce del sole. Non che tutto poi fosse molto strano, molto diverso da quello che si sente in giro, che succede negli uffici. C’&egrave quella che ha la storia col direttore dell’altro ufficio. Quella che ha una relazione col collega di stanza. E’ solo che ti sembra strano quando quella &egrave tua moglie. E comunque io dovevo assolutamente avere qualcosa da raccontarle. Non potevo, quando era il mio turno di stare sotto la doccia, sentire un giorno di più la sua domandina divertita ed impertinente. Allora niente da dichiarare io? E perché rideva al mio no? Avevo deciso. Avrei incontrato quella ragazza con cui ero in una delicata corrispondenza da quando avevamo chiacchierato a lungo in occasione di un meeting di lavoro. E dire che mi ero anche sentito in colpa di aver fatto una cosa così. Avevo deciso però di non dire nulla a mia moglie per non provocarle un dispiacere. Mi sembravano tempi remoti, invece si trattava solo di due mesi prima.

Ed eccomi qui a ricordare questa marea di avvenimenti fissando questo soffitto che almeno &egrave un soffitto familiare in questo posto che familiare non &egrave. Siamo d’accordo, siamo in Italia, ma caspita c’&egrave un abisso tra le parti nostre, il sud assolato e questo nord che in novembre &egrave un po’ grigio. Dico un po’ tra me e me solo per tirarmi su. In effetti sono arrivato con un volo stamane e non ha smesso di piovere un secondo. Il volo ufficialmente &egrave per Milano, nel senso che non ho voluto dir nulla di dove andavo e cosa facevo. Sono credo duecento chilometri più ad ovest. E certo non sono in viaggio per lavoro. Lo so, siamo d’accordo di giocare a carte scoperte, ma chi se la sente? Comunque dire bugie mi ha fatto stare sempre in tensione. Quindi sono in tensione. E poi questa ragazza. Me la ricordavo carina, ma forse &egrave qualcosa più che carina. E’ una brava ragazza. Non &egrave una che va la prima volta con uno sconosciuto. Poi mi dico che sono uno stupido. E’ un’occasione unica. Appuntamento fuori l’albergo per una passeggiata, che &egrave stata molto rapida. Passeggiare sotto la pioggia, poi! E’ vero che ci sono i portici, ma l’umido ti entra nelle gambe. Il giro ci porta di nuovo a passare sotto il mio hotel. Lei deve fare pipì, i bagni della hall li stanno pulendo. Saliamo in camera. E continuo a pensare tra me e me se ci devo provare o meno. Dire che sono bloccato &egrave poco. Diciamo che ho una paura fottuta a fare questa cosa per la prima volta.

Continuo a sentire il rumore dell’acqua che scroscia. Si starà sciacquando il viso. Mannò, le ragazze mica usano l’acqua! Hanno tutta quella roba che si passa tra tamponi, ovatte e miriadi di batuffoli varii. No, troppo lungo per essere un lavaggio di mani.

Il bidet?

Si sta facendo il bidet alle 12:30?

Si sta preparando addirittura ed io sto pure a farmi dei pensieri su! Una brava ragazza timida ‘. Maddai che non ne esistono più! Questa sicuro ci sta! Ci provo!

E non solo ci provo, ovviamente ci riesco. Ci baciamo. Facciamo l’amore in modo dolcissimo. Poi lo rifacciamo in modo meno dolce. Quello che facciamo nel secondo round non solo &egrave meno dolce, ma soprattutto richiede che ci si lavi per potersi rimettere gli abiti addosso. Diciamo che i corpi sono un po’ imbrattati di qualcosa di appiccicoso. Va tolto per igiene. Va tolto per evitare di dover spiegare come mai i vestiti sono macchiati.

Ci scherziamo su. Lei ha un fidanzato, ma &egrave in crisi. Forse si lasceranno. Restiamo un po’ abbracciati. Fa freddo e poi la fame inizia a farsi sentire. Vai prima tu. No vai prima tu. Ma le camere d’albergo con due bagni non le hanno ancora inventate? Ridiamo di nuovo.

Vado prima io. Il bagno &egrave pulito. Un bel bagno nuovo, con i pezzi igienici di marca. Di solito controllo i bagni quando prendo le camere d’albergo, ma stamattina avevo altro per la testa e non l’ho fatto. Il lavabo &egrave di quelli larghi, di quelli che non ti obbligano a fare attenzione che non cada l’acqua fuori. I miei preferiti. La tazza &egrave montata un po’ bassa. Le odio così. Se la seduta si prolunga ti si addormentano le gambe. C’&egrave una specie di angolo. Dietro c’&egrave la doccia dove mi dirigo automaticamente. Una bella doccia, lunga, calda. Ci voleva.

Esco dalla doccia con la sensazione di aver perso qualcosa. Qualcosa non c’&egrave.

Non c’&egrave il bidet!
Una sera, anzi una notte. Stesi uno al fianco dell’altra sul letto sfatto. Sudati, la finestra &egrave aperta e la serranda su a metà, quel tanto che consente di far passare l’aria in una calda notte d’estate, ma non consente da fuori di vedere due giovani corpi nudi, appagati. Le mani si sfiorano. Le dita si intrecciano. Il racconto inizia. Lei ha bisogno di raccontare. Io ho bisogno di ascoltare. Io non so usare le sue parole, che pure sono dolcissime, userò le mie, racconterò un film che quella notte con gli occhi chiusi ho visto. Quelle scene che io ho vissuto nelle sue parole, con le sue parole.

Ero stato, come dire, petulante. L’avevo aggredita già al mattino con le mie domande stupide. La mia fissazione sul passato, ma cavolo, invece di vivere uno se ne va a rimuginare sulle cose vissute da altri? Pare si chiami gelosia. Alcuni la chiamano possessività. Forse &egrave banalmente invidia. E l’avevo fatto proprio in quella giornata consacrata alla leggerezza e all’allegria.

Lei la aspettava da tempo, era una cosa programmata, attesa, desiderata. Certo, lei preferisce l’improvvisazione, le cose che ti arrivano e non sai neanche perché e tutte le sue storie avevano avuto un inizio così. Ma poi le relazioni vanno portate avanti. Ti devi nascondere dai colleghi, dalle colleghe, dai coniugi ed i familiari tutti. Programmare diventa una necessità, per poter vivere la leggerezza. Una pesantezza necessaria. E mentre si faceva la doccia quel marito petulante dall’altro lato del vetro a fare domande sui suoi segreti, che ormai conosceva anche, era quasi ‘.. mannò era un marito e basta. Un bambino che aveva perso la sua sicurezza, il cui pupazzo preferito era caduto nel fango. E le faceva tenerezza. E quella tenerezza si trasformava in eccitazione. E l’eccitazione in rabbia. Uscendo splendida dalla doccia, vedeva che la sua rabbia provocava dolore in lui. Lui che non capiva che il suo astio non aveva niente a che fare con quello che gli aveva raccontato. Lui, sempre fissato col passato, non capiva che la rabbia era solo e semplicemente perché stava cercando di rovinarle quella giornata tanto attesa. Lei sentiva la sua voce uscire forte ed astiosa dalle sue labbra, non si riconosceva quasi e ringraziò quel rompipalle del migliore amico del marito e la sua telefonata provvidenziale. Le dette il tempo di recuperare l’animo adatto a prepararsi. Perché, se &egrave vero che programmare le cose uccide la spontaneità, almeno ti regala quei deliziosi momenti dedicati alla preparazione. Truccarsi allo specchio ammirando il viso, il collo, il seno. Sapendo che tra poche ore sarebbero stati ammirati e sarebbero stati baciati e non sarebbe stato affatto spiacevole. Lo osservò dopo essersi truccata. Lo vide parlare al telefono con la testa tra le mani. Forse aveva esagerato, ora voleva eccitarlo, farlo partecipare. Sì, era un bambino da consolarsi per la perdita del pupazzo. Il pupazzo era lei, lo sapeva bene, ed il fango in cui era caduta ‘.. anche quello lo conosceva bene ‘.. le venne da ridere a pensarci. Era felice e decise cosa avrebbe indossato come abbigliamento intimo. Niente!

E passò controluce davanti al consorte sempre lì, seduto un po’ depresso e curvo sulla sedia, con il telefono in mano. La camicetta era bianca. Un passaggio non troppo veloce, fatto apposta per fargli capire. E lui non poteva non aver visto il suo seno ballare libero. Gli voleva bene e voleva che anche lui fosse felice con lei, non che tenesse il muso così. Gli avrebbe fatto anche capire che era senza mutandine, ma quel testone parlava e parlava. Se solo avesse chiuso in tempo il telefono gli si sarebbe seduta davanti, anzi nò, si sarebbe controllata le calze alzando di quel pò la gonna, quanto sarebbe bastato. Ma quel cretino continuava a parlare! Vabb&egrave, non fa niente, ormai era ora di andare. Nel chiudere il guardaroba per la fretta gioiosa quasi sbatt&egrave le ante. Si mise la giacca del tailleur. La visione non era per tutti. Chiuse di corsa la porta di casa dietro di se e si avviò per le scale. Scendeva veloce.

Carlo la aspettava giù. L’auto era veramente tremenda. Ma perché attirava tutti e solo uomini che non lavavano mai la macchina? Un dito di polvere sul cruscotto. Un tappeto di brandelli di fazzolettini per terra. Sul cofano l’immancabile scritta ‘lavami’. Un’auto vecchia e che comunque non era mai stata un’auto di valore. Ma d’altra parte a lei il denaro non interessava. Ne guadagnava di suo. Il marito ne guadagnava di suo. Di un uomo era ben altro che le interessava. L’intelligenza, sicuro, poi la bellezza, non secondo i cosiddetti canoni classici, ma l’intensità dello sguardo, poi il timbro della voce, poi ancora l’odore, quello sì era essenziale fosse gradevole, poi ” e le venne da ridere da sola!

Carlo amava vederla ridere e non ebbe più dubbi sul dove portarla. Presero l’autostrada. Le stesse vie che d’estate richiedono ore di coda, in primavera scorrono veloci. In meno di un’ora erano in quella località balneare, tanto famosa che ci vengono da tutto il mondo. Soliti pensieri, soliti discorsi. Noi che l’abbiamo vicino non ne approfittiamo mai di quest’angolo di paradiso. Quel Carlo era un po’ banale, però.

La sua villetta era carina, due livelli, fortunatamente, dato che il piano terra era di un umido pazzesco fuori stagione. Il piano superiore era dotato di uno di quei sistemi di riscaldamento ultrarapidi. Suo marito avrebbe capito immediatamente di che tipo si trattava. A lei non importava, le bastava che funzionasse.

Ed in quel genere di circostanze funzionare vuol dire poter tenere il soprabito per soli pochi minuti, poi far saltare via la giacca del tailleur. Al convegno privato non &egrave che servisse poi un abbigliamento formale. Quando Carlo vide il movimento libero sotto la camicetta ebbe un singulto. Meno male che riuscì a controllarsi, a fare tutto come va fatto. Fosse stato per il suo istinto la avrebbe abbracciata da dietro con passione e baciata sul collo, facendo così la figura del ragazzino. Ma non era più un ragazzino. Aveva esperienza ormai e riuscì a controllarsi, a tirar fuori le tazzine per il caff&egrave, pronte all’uso in una casa che, invece, avrebbe dovuto essere in disuso in quel periodo dell’anno. E così un momento di passione era andato perso per sempre. Quel Carlo era da cambiare! Lei rideva di questo suo pensiero e lui pensava lei ridesse di quella ultima barzelletta, sentita alla radio mentre l’andava a prendere, e che le stava raccontando con fare teatrale. Meno male che esiste la radio!

Il caff&egrave era pessimo, naturalmente. Non si lascia il pacchetto di caff&egrave giusto arrotolato in una casa chiusa ed umida. Non si chiude la macchinetta ancora bagnata, ben serrata ed a posto suo nello scaffale. Tutto molto perfetto, tranne il caff&egrave, appunto. La sua opinione sugli uomini non &egrave che migliorasse in questo genere di circostanze.

Ma ora lui le veniva dietro, le cingeva la vita sorridendo. I denti, quelli sì molto belli. Una fila di zanne bianche, dritte, tra un po’ le avrebbe affondate dove doveva, almeno così sperava. Per una volta la speranza non fu vana. Quando, dopo una carezza audace, qualche bottone della camicetta scappò via dall’asola, la stretta dei denti su un capezzolo fu la giusta continuazione di quel bacio morbido che, partito dalle labbra era arrivato fin lì, anche se sul collo si sarebbe pure potuto fermare un pochino in più. Non era forte la stretta. Forse lei avrebbe voluto di più, ma ‘. Al solito bisogna chiedere. Tanto a questo tipo di richieste chi dice no? E Carlo non le disse no. Il dolore era dolce e lei si sentì bagnata. Anche lui la sentì bagnata. E fu un caprone. Le fu addosso troppo in fretta. Le fu dentro troppo in fretta e troppo in fretta ne uscì. Era proprio da cambiare quel Carlo.

Chissà se sapeva cucinare. A quel primo assaggio della giornata era seguita una passeggiata, condita di chiacchiere banali. Un aperitivo nell’unico bar aperto fuori stagione. Ma non era meglio andare al ristorante? No, lui voleva dimostrare di essere un mago dei fornelli. La preparazione del pasto fu lunga e meticolosa. Il pranzo fu lungo. Ci sono bocconi che sono difficili da buttare giù! Ma tutto questo la metteva di buon umore ancora di più. Avrebbe mangiato poco, il che faceva bene alla linea e le avrebbe consentito di non fare attendere troppo gli ardenti bollori dell’amante. Poi si poteva godere la faccia del suo uomo mentre era costretto, in pratica unico commensale, ad ingurgitare quella robaccia che aveva preparato. Chi &egrave causa del suo mal pianga se stesso.

Al mattino presto e dopo pranzo. Tutti gli uomini ti saltano addosso in questi orari pazzeschi quando non ti andrebbe proprio. Carlo non fu da meno. Almeno c’&egrave il vantaggio che ‘. diciamo dimensionalmente sono al top! E, ad essere onesti, le dimensioni di Carlo erano forse il motivo principale per cui era ancora il suo amante. Lo era diventato per caso, sorprendendola una sera con un’audacia non immaginata. E lei non gli aveva detto di no. E lo era rimasto per questo suo pregio nascosto.

Questa volta le cose andarono decisamente meglio. Un cuscino sul tavolo da pranzo, il busto poggiato su, un uomo dietro che fa il suo dovere egregiamente. Niente male! Quando lei sentì dal rumore del suo respiro che stava per finire la carica, lo interruppe e si voltò. Voleva sentirne il sapore, e lo sentì.

Il pomeriggio assolato di primavera portò con sé un’altra passeggiata carica di banalità e la sera invece riportò il fuoco negli inguini degli amanti. Era quella che normalmente sarebbe stata ora di cena. Lei stava ordinando le cose nella sua borsa, dopo averle rovesciate tutte sul letto. E’ incredibile quante cose ci vadano in una borsa e quanto non ci sia mai il tempo di metterle in ordine. Pettine, cellulare, rossetto, una piccola foto. Una foto speciale. Lei iniziò a raccontarla a Carlo. Una foto di quasi 10 anni prima. Il suo primo fidanzato e dietro, passava in lontananza quasi per caso, l’uomo che l’aveva iniziata alle vere gioie della vita. Questa cosa eccitò l’amante di quella giornata allegra. Per come era stata detta. Per i tanti sottintesi. Si sentì un ragazzino. La baciò con passione all’improvviso. Si sentiva stupido ed invece stava forse salvando il suo ruolo. Ormai si erano quasi preparati a tornare ed erano vestiti. Si slacciò i pantaloni e le fu sopra. Poi dentro. Era stata proprio una buona idea non indossare l’intimo. Il letto cigolava ritmicamente ed il telefonino suonava. Lei chiese a Carlo di fermarsi. Era casa. Lui si fermò, ma senza uscire. Lei rispose, mentre lui iniziò a stringerle con forza, con cattiveria, un capezzolo. Avrebbe voluto gridare, gridare di dolore, gridare di piacere. Non poteva. ‘Pronto ‘. No, non mangio, faccio tardi. Puoi scaldarti le polpette’. Lui era sempre dentro di lei e le stringeva forte ora tutti e due i capezzoli, torturandoli con saggezza. Quando si rendeva conto che il dolore era troppo, mollava. Poi riprendeva a pizzicare con cattiveria la sua carne e riprendeva il piacere. ‘No, non &egrave niente ‘. La voce un po’ bassa perché sono stanca ‘. Anzi vai a dormire senza aspettarmi’. La chiusura del telefono ed un urlo furono tutt’uno. ‘Carlo ma sei uno ‘..’ Carlo non rispose. Risposero le molle del letto che ripresero a cigolare, sempre più forti.

Il rientro a casa era stato silenzioso. C’&egrave sempre una strana malinconia alla fine di una giornata bella, alla fine di una giornata allegra. La doccia aveva lavato via dalla sua pelle le tracce di un uomo che l’aveva fatta star bene. E la buonanotte di un altro uomo cui voleva bene l’aveva fatta sentire di nuovo a casa.

Questa notte d’estate fa caldo. L’amore &egrave stato splendido. I nostri due corpi sudati ed accaldati sono qui a raccontarsi la passione, il sesso. Forse trovo il coraggio di raccontarle di me. No, forse no. Forse un’ altra volta.

Leave a Reply