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Trio

l’insegnate di…

By 24 Ottobre 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Era un caldo pomeriggio di maggio, un pomeriggio riscaldato da un sole che arroventava le pareti dell’università, caricando l’aria di un’inusuale calura estiva.
Ricordo che ero seduto nello stretto corridoio dell’istituto di letteratura italiana e pazientemente aspettavo l’arrivo della professoressa con cui dovevo sostenere l’esame di letteratura uno. Per mia fortuna ero l’unico studente iscritto a colloquio e dopo non molto tempo vidi aprirsi la porta dell’ufficio, e da lì comparve una donna che mi invitò ad entrare in uno studio rinfrescato soltanto da un misero ventilatore appeso al soffitto.
La professoressa mi disse con tono di comando di sedermi sulla sedia posta dinanzi alla sua scrivania, poi cominciò a rovistare tra il mio curriculum universitario e la mia vita privata, ed in breve tra noi s’instaurò un clima disteso e rilassato al punto tale che mi dimenticai d’essere uno studente che stava concordando i testi su cui sostenere un esame.
Intanto il caldo aumentava, cominciavo a patire la temperatura, ed anche la professoressa soffriva il caldo: si slacciò i primi due bottoni della camicetta, e mi offrì un bicchiere d’acqua da una bottiglia che teneva in un piccolo frigorifero nascosto dietro una libreria. Nel far ciò notai che camminava con passo “da sfilata”, mostrandomi quel suo corpo di donna matura, ma ancora straripante di bellezza.
Certo non avrebbe potuto permettersi di competere con le curve di una ventenne, ma il passare degli anni non aveva deturpato il suo fisico, anzi, direi che il tempo aveva aumentato la sua bellezza donandole l’arte del trucco, la sensualità del gesto, e l’arguzia con cui comporre frasi di un’ambiguità mirata: come potevo restar insensibile dinanzi a tutto ciò?, come potevo esorcizzare quel calore interiore che sentivo aumentare in me?
La mia eccitazione raggiunse il culmine quando lei s’avvicinò a me e, porgendomi il bicchiere, mi versò l’acqua mostrandomi la scollatura della camicetta: presi il bicchiere e sorseggiai l’acqua con la calma che non avevo, lei fece altrettanto puntando su di me i sui calmi occhi da una posizione rilassata ed eccitante: era appoggiata al bordo della scrivania, con la gamba destra leggermente piegata e sovrapposta alla sinistra, mentre le spalle erano gettate all’indietro mostrandomi un petto dolcemente rigonfio.
Non riuscivo più a contenere la mia eccitazione, avrei voluto alzarmi e scaraventarmi contro di lei, avrei voluto abbracciarla, baciarla ed amarla lì, sul tavolo stesso. Mi sentivo vittima d’un vero e proprio stupro: eccitato da quella donna che non potevo possedere, e contemporaneamente costretto a subire la voluta violenza del mio boia-docente.
In breve fui stanco di quell’atroce gioco perpetrato a mio danno e scherno: vuotai il bicchiere, mi alzai salutando la mia violentatrice e tentai d’abbandonare quell’ufficio. Ma il boia trattenne la mia mano nella sua; nulla disse, solo mi teneva stretto scrutando nei miei occhi un desiderio malamente celato. Poi non so se per pietà, o per egual eccitazione, o per il solo gusto dell’atto, la professoressa mi lasciò la mano ed avvicinò piano le sue labbra alle mie. In tutta risposta la strinsi ai fianchi, scendendo lentamente verso il suo culo, le sue cosce, le afferrai la stretta e corta gonna che indossava e la sollevai.
Eravamo ormai ebbri di noi stessi, ubriachi d’irrefrenabili desideri ci palpeggiavamo spogliandoci vicendevolmente. Non trascorse molto tempo che infine ci ritrovammo l’uno dinanzi all’altra, nudi, finalmente pronti a godere l’un dell’altro; ma proprio in quel lasso di tempo precedente alla penetrazione s’aprì la porta che dava alle mie spalle.
L’intruso era una stupenda ragazza, mia compagna di studi, e colpevole d’essersi intromessa in un momento tanto intimo quanto privato. Avrei voluto ucciderla all’istante, e di certo l’avrei fatto se non fossi stato vittima di un tremendo senso di vergogna. Per fortuna il mio boia, nonché complice, seppe prendere la situazione di petto, e sfruttando l’imbarazzo della ragazza- di certo molto maggiore del mio- iniziò a rimproverarla nello stesso modo in cui si rimproverano i bambini maleducati: là sgridò per essere entrata senza bussare e senza permesso, le fece notare la gravità del suo gesto e poi, visto che la ragazza era quasi in lacrime dallo spavento, le ordinò di non restare immobile su l’uscio aperto, ma di entrare chiudendo la porta a chiave.
La ragazza si mosse come un soldato si muove su davanti alla corte marziale, s’avvicinò alla professoressa con passo lento e tremante, farfugliò un paio di suoni incomprensibili; e poi il mio stupore varcò ogni possibile confine: la ragazza fu presa tra le braccia del nudo corpo della professoressa che iniziò a baciarla, prima cautamente, poi con femminile passione, ed infine con morbose attenzioni.
Se quei baci non erano accettati, non erano neanche rifiutati, così che io mi sentii pienamente autorizzato a masturbare la mia giovane compagne di studi, poi spogliammo lasciandola completamente nuda ed accaldata dalle mie precedenti carezze.
Così, nuda e calda, la ragazza fu teneramente bloccata dalla professoressa che- stringendole le spalle da dietro- si sedette sul bordo della scrivania, mentre io continuavo a masturbarle piano il timido sesso nascosto tra le gambe ancora serrate dal pudore.
Con molta pazienza riuscì ad aprirle le labbra, e non appena sentì il suo umido umore vaginale decisi di concludere quel gesto- preludio d’un atto più forte e soddisfacente: le afferrai le cosce, gliele divaricai senza incontrare grande resistenza ed accompagnai il mio membro dentro lo spacco della sua vagina. Lo sentì scivolare in lei, quindi la sollevai da terra e, tenendola così sospesa incominciai a ritmare appassionati affondi. Inizialmente lei quasi non mi guardava poi, con l’aumentare del ritmo e dell’intensità degli affondi, iniziò a condividere l’atto: prima con solo lo sguardo, poi con le mani, e con rantolii di piacere.
Dopo numerosi assalti lanciati col massimo vigore, sentì la vagina inondarsi d’un caldo orgasmo che giungeva tanto gradito quanto inatteso; feci per uscire da lei, ma la professoressa mi ammonì: disse che per completare l’atto e per poterne godere appieno avrei dovuto svuotarmi tra le sue cosce, bagnandola del mio caldo sperma. Obbediente agli ordini del mio insegnante ripresi a pompare tra le gambe della ragazza ormai stravolta, ed in breve unì in quel tempio il suo orgasmo al mio.
Finalmente uscì dal suo sesso fradicio di sperma, che non era riuscito a togliermi il desideroso di penetrare la professoressa: adagiammo la ragazza su d’una sedia, ed affondammo contemporaneamente le nostre lingue nella sua vagina scrigno custode di sensuali umori.
Poi il boia mi distese sul pavimento, si mise perpendicolarmente a me, sopra il mio turgido pene e, stringendolo nella mano sinistra, si chinò su d’esso, lo puntò tra le grandi labbra della sua vagina, e quindi lo prese dentro di sé, facendolo scivolare piano tra le calde pareti vaginali. La professoressa mi cavalcava piena d’ardori che erano figli della bramosia prima condivisa nello studio, ed ora finalmente libera di sfogarsi. Sborrammo contemporaneamente, non so se per merito dell’esperienza della mia insegnante o se per puro caso, ma quell’orgasmo mi è ancora oggi impresso a chiare emozioni che faticano a tradursi in precise parole.
Neanche il secondo orgasmo, seppur ben condotto, era riuscito a saziare le mie voglie: non feci in tempo ad aprir bocca che già la professoressa stava baciando la ragazza, mentre con la mano destra le invadeva lo stretto orifizio anale, gesto che preannunciava l’inevitabile destino dei nostri amplessi. La sventurata diede un urletto, un guizzo, e si liberò da quell’abbraccio, ma dietro di lei vi ero io, pronto a catturarla tra le mie braccia.
Nulla fece per svincolarsi dalla mia presa, ne urla, ne strattoni, ed anche se vi avesse tentato, con me a stringerla da dietro, e la professoressa da davanti, le sarebbe stato impossibile trovare una qualsiasi via di fuga. E così stringendola tentai d’entrarle nell’ano ma, non riuscì a penetrarla e credo che avrei di certo abbandonato l’assalto se il boia non avesse tratto dal frigo un vasetto di miele.
Spalmai il miele sul mio avido membro, sull’ano della ragazza e dentro lo stretto canale, puntai la cappella e gettai diversi assalti finche le fasce muscolari cedettero sotto le mie spinte, permettendo al mio membro di violare quella sua seconda verginità, di penetrare in quello stretto buchino, seppur non senza fatica.
Affondai quindi dei primi lenti e cauti colpi, poi, appena le pareti anali si furono rilassate, aumentai la violenza delle penetrazioni, ma in breve abbandonai il canale per portare il pene al volto delle due donne, le quali si gettarono prontamente su d’esso. Bastarono poche vigorose pompate per farmi godere d’un terzo orgasmo con cui bagnai il volto delle mie due complici.
In seguito ho incontrato la professoressa solo un paio di volte, e sempre in compagnia di una qualche nuova studentessa accompagnata dalla ragazza che aveva aperto la porta senza bussare.

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