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Trio

Venerdì Ovattato

By 29 Gennaio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

– Neve –

Una fitta gragnola di fiocchi bianchi mi investe già al primo gradino oltre la soglia. Per terra ancora poco o nulla, ma quel che appena mi imbianca le spalle in poco tempo cambierà il riverbero all’orizzonte. La mattina inizia ondeggiando come le foglie di nuvola che mi investono; dopo il loro tuffo, abbracciano il cristallo e vi si immergono, in un sorriso. Le respiro, sereno: fra poco tutto avrà inizio. Assaporo.

Mille pensieri mi agitano le tempie. Superati di slancio e caparbietà vari impedimenti, ne rimangono una manciata: una relazione in ritardo cronico per Valentina, l’incertezza della neve sul treno di Amelia e la ricerca, sin’ora vana, di un particolare regalo per entrambe.

Milano è bella con la neve. Rallenta il ritmo e respira profonda.

– Mattina inquieta –

Disperdo cortesia e malizia nel bistrot che inaugura le mie mattine; cappuccino alla cannella, fitte di profumo mi scalano le narici, intense: chiudo gli occhi e migro su una pista, sci ai piedi, ghiaccio alle lame.

Non disturbo Valentina: sotto pressione, le interruzioni dispedono. Qualche refolo d’aria mi rinfresca di pensieri suoi. La vedo nel bianco: rughetta a lato labbra, solco al mento, sguardo luminoso, ciuffo bruno. Amelia è in treno, la vedo nel vetro del cellulare: ride, bimba impertinente. Il fiume di parole mi investe, biondo e frizzante, dal cellulare; orgogliosa del proprio istinto, contro tutto e tutti. Strana alchimia, tra noi: leggera come i fiocchi che mi bagnano il guanto e densa quanto il manto che trasfigura ciò che avvolge.

Inizio il mio turbinare mattutino. Voci, rumori, la testa vi galleggia. Un termine inizia a echeggiare: ovattato; assurgerà a ritornello nelle ore. Entro ed esco da negozi di intimo, spiazzando di decisione le commesse, non ancora pronte a clienti pervasivi: ‘due mascherine di pizzo?’. Non è così facile. Disoriento scrupoli di concorrenza con avvolgenti onde d’iride e avorio, verso nuove strade.

L’idea di incorniciare loro lo sguardo mi fece balzare dalla sedia, la mattina che conoscemmo Amelia, in centro. Allora, illuminarmi e congedarmi fu tutt’uno. Rimasero stupite nel vedermi scomparire all’improvviso; molto meno Val: qualsiasi cosa avessi in mente, sarebbe stato per il loro piacere. Di slancio in Rinascente, con lo sguardo deciso del cacciatore, conscio di dove incrociar la preda: due occhi verde-azzurri, celati da raffinato pizzo, uno sfondo di immagini rubate a scenografie celebri. A richiesta, non ci fu verso. Tentai alternative, in seguito, rubando spazi al lavoro. Niente. Profetizzando maggior fortuna, ora varco numerose soglie; da come sono accolto, trasmetto emozioni.

Un “davvero?” allarga palpebre e sorriso all’elegante proprietaria di un negozio di lingerie, orgogliosa: un plauso alla distintiva raffinatezza che propone e uno alla caparbietà dei miei passi. Mi precede, ondeggiando l’anca di soddisfazione, sino a un angolo: ne raccoglie una, di luminoso pizzo smeraldo, l’adagia agli occhi e ne rapprende i lembi alla nuca, sensuale. Abbassa il capo e mi taglia la gola con lo sguardo incorniciato. é evidente quanto mi attanaglia. La bacio di parole per lunghi minuti, tra confezione, scontrino e fruscii, soppesando quanto a lungo cercato mentre volteggia tra le sue mani curate. Che non disdegnerei si dedicassero a quel che mi pulsa dentro. Illumino il selciato accostando la porta, in silenzio, dietro le spalle. Pregusto chi mi riempirà la giornata e le vene.

– Amelia –

Poco dopo, Val chiama; con la voce ancora impastata di lavoro, rilassa gli avambracci e si abbandona all’immaginario. Solco di gomma il bianco; nervose occhiate a mie e altrui incertezze, e parcheggio, ad accogliere Amelia. Imprime decisa il tacco a spillo sulla banchina, finalmente. Persone, scale mobili, pacchi, treni, pannelli multimediali e stracci d’umanità; da un angolo una figura chiara ed elegante, divide oriente e occidente. L’emozione mi attraversa, scorgendola, e mi rallenta per un attimo il passo. Esplode un sorriso che mi investe come fuoco d’artificio.

Il cappellino scuro e gli occhiali bruniti celano ai più la luminosità del volto; un morbido pelo, lucido e chiaro, che l’incorona gustosamente a Svetlana, incornicia lo splendido décolleté. Già dalla prima volta lo sguardo aveva indugiato su quelle morbide valli, pronunciate il giusto. Accoglierle sul palmo, mimando una coppa, rimane ancora il miglior tributo. Lo spolverino raggrinzito ai fianchi la staglia in un’ombra affusolata; gli stivali scuri ne innalzano la figura ben oltre i miei desideri. Camminiamo appaiati, gomiti allacciati, sorrisi velati d’estraneità. Girata una colonna bruciamo le distanze: un bacio intenso ci sconfina nell’intimo. La guardo, un passo indietro: interpreta pulsioni ondeggiando le mani; un pensiero, che non sento il bisogno di zittire, ‘se chi ci passa accanto sapesse quel che abbiamo in mente ” la fa ridere di gusto. Sguardi e sorrisi canzonano passeggeri, valigie, cantieri e polvere. Contorno necessario.

Amelia. Accolta tra noi da sconosciuta, d’istinto; abbandonata a noi, d’istinto. La incrociai tempo fa in un angolo virtuale: schiena tornita, bionda cascata selvaggia, slip succinto, pareo trattenuto ai fianchi di cornice a rotondità attraenti. Sfrontata nel donarsi, elegante nel porsi. Complici senza sforzo o artifici, naturalmente affini, confessioni e desideri, liberi e discinti. Subito parte del branco, rapita dalle nostre spire.

– Moquette e specchi –

Ripreso contatto con l’aria pungente, scivoliamo verso l’hotel; passi incerti tra selciato imbiancato e tacchi alti. Trascino un pesante trolley nero, che refola lussuria al tintinnio di giocattoli erotici. Oltre i turbinii della pesante porta, sorrisi aperti volano al bottone maliziosamente libero, sulla camicetta candida: una hostess dagli occhi pungenti ci investe di lampi d’avorio. Mentre espletiamo le formalità l’avvolgiamo in pensieri privati, impastati di desiderio: le assonanze dei nostri nomi si spalmano sul palato mentre decantiamo come via delle spezie i chilometri che ci separano dalla nostra destinazione, nella neve. In poco tempo è certa che oggi non è lavoro. Un augurio, ammantato di pudica malizia, ci apre gli occhi: “Buona fortuna, di qualsiasi cosa si tratti.”.

Verso la camera, un vassoio con i resti di una colazione per due e un tagliando Non disturbare per terra, vicino alla porta: flash d’intimità clandestina. Varchiamo la soglia di una stanza ampia, profumata, perfetta. Il primo sguardo è all’idromassaggio, che fa capolino attraverso la porta socchiusa del bagno; favoleggio onde di calda schiuma che ammiccano dal bordo e una gamba nuda, di donna, che le cavalca. Qualche fremito d’eccitato nervosismo rallenta i nostri primi passi; sono in camera con Amelia, senza Val, tra tacchi alti e bottoni. Sogghigna, bimba golosa e impenitente, mentre plano sul suo seno con lo sguardo, zuccheramente fasciato di viola. Le soppeso i fianchi, aggrappati a lunghi sbuffi neri, sul vestito panna. Un sopracciglio goloso si innalza.

Vago rapito per la stanza, scivolando alle sue spalle mentre si sorride allo specchio; le fiato addosso un ‘aspetta un attimo’ falsamente discreto. Fisso nel riflesso l’incavo della sua spalla, mentre con le nocche scosto la ciocca bionda che lo sovrasta. Le decanto il mio desiderio a fauci aperte; a un palmo, ritraggo i canini e spalmo sulla sua pelle un pudico succhiotto, a labbra increspate. Un pensiero, ‘desideri da non sprecare’, mente spudoratamente ai miei fianchi tesi, che urlano la voglia di fotocopiarla allo specchio. La cavalco di pensieri impuri.

Val non è con me, tra noi; leggera inquietudine, combattuto tra il dare libero sfogo alle pulsioni che mi attraversano e l’assenza di lei, troppo profonda per banchettare senza. Amelia mi guarda, ostentando serenità; con un sorriso enigmatico la rimando a nuove intensità. Scherziamo sulla neve e sui giocattoli, uscendo. A ritroso lungo i corridoi, sia vassoio che cartellino sono scomparsi; in loro vece solo briciole evocatorie, a terra.

In ascensore, le sue labbra abbracciano le mie, la lingua si insinua. Ci sveliamo, così, il sapore dei nostri desideri. Squilla d’improvviso il cellulare: Val si materializza in mezzo a noi. Le nascondo di non aver interrotto solo parole, ‘ci siamo distratti’ è la fumosa malizia. Amelia mi scosta col gomito, schiaffeggiandomi con lo sguardo. Sincronia perfetta, la telefonata.

Orientato alla porta girevole, legno e oro antico, navigo con lo sguardo la hall: cerco il bianco della seta e quello sguardo pungente. Me lo sogno addosso, da dietro un paravento, sottolineato da un sorriso goloso. Usciamo, l’aria frizzante ci rischiara la fronte di pensieri e desideri. Un trolley nero ci insegue.

– Valentina –

Verso Val, il traffico incespica, scivola e arranca. Sguardi nervosi o smarriti intorno, non ci sfiorano né distraggono. Pochi chilometri di incroci e code, parcheggiamo in un angolo conosciuto. Il viso appannato di Val transita, sguardo sfuggente e sorriso emozionato. Uno stivale nero fa capolino dall’auto, un grande cappuccio verde nasconde parte del viso da cui traspaiono scintille. Da qualche passo mi accarezza il volto con le labbra. Perfida, mi infuoca di desideri.

é d’obbligo curarsi di chi ci passeggia intorno; le nostre labbra sognano un più intimo tepore. Mi attraversa, questa donna. L’auto mi cela i tratti del saluto tra Amelia e Val; sorrido, pensando al calore dei sensi che deve aver sciolto la neve, in quell’angolo. Branco complice di anime inquiete.

– Il viaggio –

Scricchiolii sotto le gomme, tergicristalli e montanti corollati di tormentate colline, bianca cornice appannata agli angoli. Il paesaggio, fuori, è una fiaba di ovattato silenzio. Campi candidi, merlettati d’alberi, carichi di soffice. L’emozione depura il grigiore di camion, auto e scarichi. Musica, parole, spicchi di pelle. A tratti mi oriento allo specchietto, incrociando lo sguardo di Val, più intenso e luminoso che mai. Le gambe di Amelia, a portata di polpastrello, sono una calamita; sorvolo le ginocchia, fasciate di calze scure, a palmo aperto, l’accarezzo, incido impronte. Ho la mente sospesa. Sinapsi normalmente iperattive risultano solo parzialmente vigili. Capisco con difficoltà e in ritardo l’umorismo, le allusioni, le provocazioni. Mi canzonano, sorridono di quanto non sia in me. Giornata particolare.

Finalmente, giungiamo alla strada sterrata della cascina proprio mentre un trattore libera l’ultimo, impervio tratto dalla neve. Una buona stella protegge nostre le ore più intense. Temerari e tenaci, apprezzati da chi ci accoglie.

– La cucina –

Faccio strada, tratteggiando solchi sulla neve, a beneficio dei loro tacchi puntuti. Il nostro respiro volteggia con l’aria, pungente come spilli. Profumo di legna che arde e un corto pennacchio che si innalza, alto sulla porta delle sale ristorante. Addentiamo il gusto della complicità da un tagliere di salumi e formaggi; le parole volano, sincrone alla neve, la vista e la mente si perdono a rincorrerle.

Divaghiamo verso altri, che indugiano sulla porta; si interrogano sulle nostre mani, intrecciate sulla tovaglia bianca. Una di loro sorride, mentre disperdiamo gli sguardi perplessi. Fotografo con la mente le variopinte emozioni del momento. Riappacificati i languori, è tempo di lasciare respirare la pelle.

– La SPA –

Un caldo abbraccio ci avvolge di denso profumo. Il persistente scroscio, da varie fonti, conferma che l’elemento liquido qui regna sovrano. Intorno a noi la piscina ondeggia sotto le travature antiche, coronata da vetrate e luci soffuse; un’impetuosa cascata a fustigare le spalle, idromassaggi, un percorso a piedi nudi con ciottoli levigati e cascatelle alle caviglie, e poi il caminetto, i lettini candidi e le tisane calde. Dall’altra parte l’area relax, celata da una porta in legno chiaro, offre bagno turco, sauna, doccia scozzese, ampio angolo lettura e sala massaggi. A separarle, fitti armadietti e spogliatoi.

Richiamo momenti vissuti. Un libro, una finestra sui campi verdi, noi due seduti sul vimini, a piedi nudi, tempie a contatto. Un angolo di piscina, assurto da pubblico a privato, dove ancora sguazza l’animale impudico. Una doccia scozzese, momenti disturbati di sessualità trasgressiva, mani che graffiano i suoi fianchi. Uno spogliatoio, ebbro di profumi e sapori, impronte di mani aperte e contratte contro il muro, urla soffocate nella spugna. Polpastrelli che spalmano crema abbronzante, nervi che sussultano. Emozioni ancora vivide: Val.

Appartato in spogliatoio, libero il torace dalle contrizioni di cravatta e bottoni. Dalla fessura, l’occhio cade sul moto di due piedi nudi: Val parla e mostra qualcosa ad Amelia. Mi fermo un attimo ad assaporarle, non visto. Si spalmano di profumi e parole. Sono belle. Estraggo dalla borsa un costume, nero, fasciante, a pantaloncino. Accuratamente scelto per oggi, ad attendere loro, polpastrelli e labbra su di me.

Affronto per primo la splendida piscina, dal fondo palladiano, azzurro tenue. L’essenza di questa giornata speciale lambisce, tiepida, le mie spalle. Percepisco appena, da voci lontane, la presenza di un uomo ed una donna, dietro al caminetto, dalla parte opposta della piscina. Rimango un lungo attimo sul bordo, riempiendomi le tempie di onde riflesse su pareti e soffitto e distillando l’odore denso del cloro tra le mille ricorrenze olfattive. Assaporo il silenzio mentale. Inspiro profondo e abbraccio il liquido immobile, in lento volo a fendere, senza respirare, occhi chiusi. Una larga scia febbricitante insegue le mie spalle, che solcano decise la superficie piatta. Le mie energie impetuose sono frenate dalla consistenza del liquido, al quale ancora non sono assuefatto; schiena e spalle sono ancora frenate dall’abito blu, riposto nel buio dell’armadietto. Il respiro amplificato in acqua e l’eco delle bracciate violano l’intimità del luogo, finchè qualche vasca di silenzio restituisce finalmente l’equilibrio tra corpo e mente.

Due figure eleganti ammiccano e mi sfilano al bordo; gli accappatoi volteggiano placidi verso una panchetta. La loro pelle sfavilla di tenui riflessi mentre si immergono, silenziose. Sorrido. Difficile dare un valore al piacere del momento.

– La piscina –

Val turba la superficie come un delfino gioioso, tra bracciate superficiali e planate subacquee, braccia distese lungo i fianchi, a solleticare il fondo.

Amelia disegna origami a pelo d’acqua. Termina le sue planate all’angolo, sugli ampi gradini, cornice all’idromassaggio. M’intrufolo al suo fianco, pelle a pelle. Alziamo lo sguardo in silenzio oltre le vetrate, cornici argentee a quadri di bianco cadente. Amelia preme sul bordo e la superficie dell’acqua prende a bollire sulla nostra pelle. Gioia di bimba nel suo sguardo: osserva estasiata il basso soffitto, le luci tenui, l’acqua appena increspata, le spalle lucide di Val che vi scivolano sopra. Gode ai miei occhi, pieni di lei.

Val inanella bracciate, con stile elegante, sintesi assuefatta a mille ripetizioni. Ammiro il movimento fluido delle sue braccia, che a tratti affiora, a tratti scompare, a cucire la superficie d’acqua; ruota plasticamente la mano, prima di affondarla. Mi scivola davanti, accarezzandomi con lo sguardo. Lascia che le gambe ed i fianchi di Amelia, sdraiata sotto il pelo dell’acqua, si staglino in mezzo a noi. Ci dedichiamo a lei. I nostri polpastrelli danzano silenziosamente sulla sua pelle, prima timidi, poi sfrontati. La mia mano aperta percorre il suo ventre, sino all’inguine, scostandone appena lo slip. Occhi chiusi, respiro intenso, gemiti. Con lo sguardo Val mi descrive il moto delle sue mani, sulla stessa pelle. Amelia si abbandona a noi.

La coppia è in acqua e ci osserva, divagando, a tratti incredula, a tratti scomposta; sguardi che disperdiamo con sorrisi d’indifferenza. Presi dal gioco, improvvisamente un ragazzo è di fianco a noi. Circondati, in quell’angolo, con il resto della piscina deserto. Val appare decisamente più attenta a non sconvolgere oltre misura gli improvvisati e inebetiti spettatori, mentre Amelia ha sfrontatezza e disinvoltura inattese, sia verso gli ospiti che verso Val. Brama improvvisa di essere solo con loro: senza freni, saremmo. Selvaggiamente mi risuona nella mente.

Sono rapito. é desiderio a lungo inconfessabile, mordere due donne insieme. Valentina, anima gemella, sinuosa e selvatica, profondamente penetrata in me. Amelia, gioiosa, istintiva, sfrontata, contraddittoria e sensuale. Ora, qui, pelle a pelle, scopro l’intensità del desiderio che ne scaturisce. Non è semplice trovare un equilibrio tra loro. Il piacere di regalare ad Amelia e il timore di togliere a Val. La voglia di attraversare Val senza emarginare Amelia. Ci vorrà tempo.

La sinuosa vicinanza di Amelia e gli sguardi taglienti di Val hanno il loro prepotente effetto, increspandomi gli angoli più bui. Assecondo i gemiti di Amelia e solco di polpastrello le sue valli. Alla vista della pelle d’oca, Val sguaina uno sguardo fendente, che mi annega in nuove densità di sangue. Ebbri dei nostri sensi, ci aggrovigliamo vicini al bordo, immersi in bolle spumeggianti. Chi assiste ci trapassa di eccitazione incredula. D’un tratto, Val si scosta, zigzagando a distanza, vibrante interprete dei nostri moti. Le allungo una mano, la voglio parte. Non risponde, sorride, impercettibile diniego col capo: pagherei per sapere cosa pensa. Sono dibattuto tra il tuffarmi senza ritegno su Amelia, i cui baci e carezze hanno già sortito i giusti effetti sul mio vibrare maschile, e l’attenzione per la mia compagna, Val, che non sopporto distante. Qui e ora, men che meno.

Amelia ruota su sé stessa, porgendomi la schiena. Sale a cavalcioni e scorre, schiacciandomi all’inguine ciò che le punta il coccige; con gustosa sorpresa, tuffa la mano ad afferrarlo. Il suo palmo gode delle pulsazioni che mi provoca. Perso in mezzo alle bolle, scosto lo slip con le dita e penetro, in moto libero a fibrillare contrazioni; mi inonda la mano, gemendo. Rincorro Val con lo sguardo; è lontana, all’altro capo della piscina. Non la vedo bene. Un lampo bianco avorio dal suo viso. Pagherei per sapere cosa pensa.

Devo alternare la passione a circospetti moti di pudore. Una ragazza si affianca al ragazzo; la coppia, stanca di effusioni subite, si allontana. Due ragazze la sostituiscono; sussurrano a viso chino, guardandoci. Ancora circondati, spazzo via qualsiasi illusione d’intimità. Improvvisa, la ragazza si gira verso di noi, avviluppando sott’acqua il palmo al profilo turgido che mi solca il costume; ci rimane più d’un attimo, poi ritrae. Mi guarda e accenna qualcosa; non sento, non chiedo, concedo spazio alla malizia nei nostri occhi. Le mie due compagne ridono di malizia quando spiego ai loro sorrisi perplessi l’accaduto. Il camino prende vita e fiammeggia, precorrendo.

Entrambe si allontanano, in rapida successione; sento le loro risate tra gli scrosci della cascata sottile, a solcarle le spalle. Respiro a lungo tra le bolle, contando i riflessi delle loro chiome bagnate, prima di raggiungerle con decise bracciate. Dal centro benessere una ragazza scorre il bordo della piscina; mentre cerco parole di giustifica ai nostri moti, vedo che accende solo le candele, in silenzio. Emanano luce fioca: solo col buio regaleranno la calda atmosfera che chiediamo loro.

– I lettini –

Amelia si muove per uscire dall’acqua; la anticipo e l’abbraccio con un accappatoio morbido. Val piroetta in acqua senza sosta, trapassandoci con occhi di bambina felice; enfatizza sguardi e risposte. Col piede la spruzziamo di passione. Amelia mi avvia ai lettini, Val ci segue in acqua; all’idromassaggio emerge, porgendomi le mani. I palmi si fondono. Mi specchio nei suoi occhi, radiosi.

Niente accappatoio, l’acqua è il suo elemento. Due gocce si rincorrono sulla sua schiena. Amelia sembra già dormire, oltre il camino. Di nuovo il dilemma: come donare all’una senza togliere all’altra. Mi sdraierei al suo fianco, ma desidero anche angoli e attimi con Val. Difficile, né vorrei dover scegliere. Opto per una terra neutrale, di fronte; chiudo gli occhi, lasciando che il tempo aiuti a smussare gli angoli. Val sparisce e riappare. Siede a terra, accoccolata su un asciugamano, e mi riempie di un bacio dolcissimo. Appoggia la guancia al mio braccio, fasciato di morbida spugna. Avvolgiamo Amelia della nostra passione. é tempo di respirare tepore.

– L’Area Relax –

Profumi intensi ci accolgono, varcato l’uscio; impalpabili fumi annebbiano la stanza, che si svela a ogni passo. Sul vimini, vagamente comodi, volteggiamo le gambe a intreccio. Il bricco della tisana al Cardamomo, calda, è a portata, ma nessuno si muove.

Guardo l’impronta di mano aperta, sul muro: la conosco, e la conosce Val, dalla nostra prima visita. Ora come allora, scatena fantasie e malizia. Gli altri ospiti, percependo il nostro esser branco, a tratti dispensano nervosismo. D’improvviso, le promesse di calda umidità dal bagno turco mi slanciano i fianchi; sfilo davanti ai loro sguardi golosi e apro il vetro smerigliato.

– Il bagno turco –

Un ambiente lunare mi avvolge: luci soffuse, effluvi orientali, lingue di tiepida nebbia; trasuda umido languore. Mi oriento a tatto: stanza quasi circolare, piccoli tasselli in mosaico di ceramica chiara. Un ininterrotto sedile rincorre le pareti. Mi accomodo orientato alla porta: voglio godere di loro, quando entreranno. Giaciglio scivoloso; mi assesto appena, quando una folata l’aria fresca mi indica che la porta è stata aperta.

Val. Irreale, avvolta in densa nebbia. Sfila le spalline e arrotola il costume all’inguine. Amelia segue, scioglie il top, che cade morbidamente; si sdraia al fianco di Val, gambe flesse, stagliate sulla parete grondante, calcagni al bordo. Val dispensa sorrisi emozionati, senza apparente preferenza. Le gambe provocatoriamente accavallate, fianco protratto a me. Fatico a controllare i battiti.

Amelia si abbandona all’umido, i capelli che giocano con il fianco di Val. I capezzoli ancora morbidi e rosa ammiccano. Giro la clessidra dei sensi e balzo in piedi. Ridendo sul ‘chi fa il palo?’, mi sovrappongo alla porta, a proteggere la nostra intimità. Finalmente soli. I nostri occhi parlano per noi. I polpacci fremono, un’onda mi scala sino alle tempie. Le mani di Val accarezzano le spalle di Amelia. Bacio le sue gambe, sino all’ombelico. Diffonde vibrazioni.

Trascino aquiloni sulla sua pelle, mentre Val si china a baciarla con foga. La mia mano destra sulla schiena di Val e quella sinistra all’inguine di Amelia. Soffio emozioni tattili verso le piccole luci a soffitto, azzurre, arancio, offuscate d’umido. Contendo il seno di Amelia, morbida meraviglia scivolosa, ai polpastrelli di Val. Le concedo un capezzolo, scorrendo lungo il ventre di Amelia sino allo slip sgambato. Ne imprimo il bordo: la pelle si tende, sotto, facendo scivolare l’umido verso il profondo.

Scosto con premeditata lentezza il tessuto, esponendo a fumi caldi le labbra, turgide e pronunciate. Gioco i loro lembi, senza frenesia; Amelia geme. Allargo le dita, assecondando il nettare caldo che mi invischia i polpastrelli. Penetro, dischiudendo il lembi; spalmo mentalmente sul palato, gusto e sapore. Vibra. Ad occhi semichiusi, incarto lo sguardo perso di Val. Complici, vittime, carnefici. Esploro le pieghe di Amelia, che si inarca ad ogni pressione. ‘Siete i miei due angeli diabolici’. Le contrazioni salgono, le pareti si gonfiano: prende le mie impronte, d’inchiostro tutto suo.

La porta si spalanca. Disorientati, cerchiamo colpevoli e motivi. Nulla: nell’estasi, Amelia ha accostato il piede al vetro. Poco per ricomporre l’equilibrio; Amelia attira a sé i miei fianchi, famelica. Soppesa ciò che pulsa dietro il pantaloncino; discosta il tessuto e osserva il membro teso frustare l’umido. Lo porta alle labbra, mimandone lo spessore nel vuoto, se le dischiude con il glande e lo accoglie lentamente dentro di sé. Incava le guance. Sente il nerbo che le pulsa al palato, scorrendo la lingua, sino alla gola. L’emozione lacrima, gli occhi ribaltano. Lo scorre ritmicamente, arrotolandolo con la mano. Mi inarco come un salice. Val percorre la mia schiena dalla nuca al coccige, soffermandosi sul mio buco più privato. Saggia la morbidezza e penetra piano; sussulto in punta di piedi. Sento i tessuti rovesciarsi, il mio bacino divampa. Voglio! Fermo e discosto entrambe. Amelia davanti, Val un passo dietro. Sfilo il costume, nervosamente. Non sono ancora stabile sul giaciglio scivoloso, che Amelia sale a cavalcioni, affrettata dai sensi. Inopportuna, la mente si riaccende. Dare a lei senza togliere a Val. Dare a Val senza emarginare lei. Pensieri che tolgono sangue. ‘Prendilo’ sorrido a Val, invitandola a banchetto sotto il membro; Amelia, fremente d’attenzione, anticipa qualsiasi mossa e lo afferra, forte, iniziando a giocavi febbrilmente, spalmandoselo tra le labbra gonfie.

Improvvise voci e presenze ci disperdono. Entrerebbero sui nostri corpi frementi. L’attimo è perso, sorrisi smorzati, ci ricomponiamo. In quattro indietreggiano al nostro comparire, avvolti da fumi e umido. Incuranti dei loro sguardi, torniamo al vimini. Sospiriamo d’intimità interrotta. Risa nervose, emozioni mal celate.

– La doccia scozzese –

La nostra pelle è d’incredibile calore, opprimente. All’angolo, un’ampia cabina doccia. Ricordo: un grande secchio in legno, profilo d’acciaio, al soffitto. Sempre colmo d’acqua ghiacciata: sembra perfetto. Val vi si indirizza, senza proferire parola: entra, pochi attimi e ripetuti scrosci. Esce quasi scappasse, trasfigurata in volto, panico da fibrillazione.

La imito, preparandomi agli effetti. Prima di rovesciare, ripercorro. Lingerie, stazione, hostess, camera, specchio, bacio in ascensore, telefonata. Emozioni da un vetro d’auto. Viaggio, neve e tergicristalli, fiamme d’occhi nello specchietto, calze scure sotto i miei palmi. Trattore, mani intrecciate sulla tovaglia, piscina, passione disturbata, gocce lungo la schiena. Fumi eterei, impronta sul muro, bagno turco, capezzoli rosa, fianchi tesi, labbra sull’anima. Consacro il tutto con azione secca, decisa; una cannonata di acqua gelida, graffiante, mi investe. Nervi che ululano. Mille spilli, uno per poro.

– Gli spogliatoi –

é tempo di rientrare. Non nevica più, è quasi sera: ore volate via, pregne di emozioni. La pioggerellina impalpabile incide solchi sul manto nevoso. Una vociante comitiva di ragazzi segna dell’esaurirsi della sabbia, nella clessidra dei sensi.

Verso le docce e gli spogliatoi, a svuotare gli armadietti. Di riflusso ai sensi, vago ciondolando, aggrappato a due appendiabiti carichi. Inaspettatamente soli in angolo, nascosti da una selva di armadietti. Val davanti, Amelia al fianco. Mai sazio, passo i vestiti di mano e premo Val contro il legno tiepido. Avvolgo la sua lingua nella mia e fletto le ginocchia. Scosto il tessuto dall’inguine, odorando a lungo il vello scuro. Sento gli occhi di Amelia addosso: bimba perversa, ci spia dietro cumuli di tessuto. Narici aperte, folate di profumo denso da Val. Avvolgo con le labbra il suo clitoride, appena visibile. Il bacino assorbe vibrando l’improvviso assalto. Sulla lingua un sapore intenso. Succhio, ripetutamente, in apnea nei sensi. Roteo, lecco avidamente, papille aperte. Geme, trema. Ondeggia l’inguine intorno alle mie labbra. L’ambiente ancora una volta influisce: voci, parole, passi. Mento gocciolante e tempie inebriate, mi rialzo da lei. Nuove frenesie interrotte.

Lo spogliatoio impone un’ingrata distanza. Stoffe e qualche bottone, poi una voce dall’esterno mi fa riaffacciare. Uno sguardo da Val e sono alla sua porta. ‘Senti come mi hai ridotta”: senza pudore, insinuo la mano nello spiraglio e una falange dentro di lei, madida di nettare caldo. Mi caccia via grondando malizia e desiderio. Sotto i suoi occhi avvicino piano il polpastrello, profumato e tiepido, alle labbra. Le apro, accogliendo il liquido denso, spalmandolo sul palato. Fonde in me, essenza d’anima.

Attesi i loro riti di bellezza, un’immagine mi trafigge: spalanco una porta a vetri, due labbra rosse e sussurro ‘ma quanto sei bella?’. Val. Un passo dietro, Amelia, di leonino splendore. Apprezzo entrambe con lo sguardo, senza trovare altre parole. Inaspettata, Amelia ci porge un sacchetto. Un pacchetto rosso, all’interno: per noi? E le mie mascherine di pizzo, dove le ho cacciate?

– Rientro in città –

Scevri dalle preoccupazioni dell’andata, ci dirigiamo all’auto. Mi promuovo autista, accomodandole entrambe dietro. In un attimo sono fianco a fianco, in femminile complicità. Tempo di soddisfazione per altri regali: porgo alle loro gambe i frutti delle mie ricerche in lingerie. Un bacio vola a chi mi ha servito. Pochi misurati movimenti e mi coprono di apprezzamenti. Non vedo bene, dietro, i loro visi bendati. Ci sarà tempo. Lungo il tragitto, tra asfalto e pioggia fine, lo specchietto mi trafigge con un loro bacio fradicio.

Milano è diversa; neve a margine, passo ritmato. Dirigiamo all’Hotel di Amelia, persi in pensieri impuri. Emozioni dal nostro primo incontro.

– Lenzuola e carne –

Era nelle cose, intenzioni e desideri: accompagniamo Amelia in stanza. La frenesia che ricordo ha lasciato il posto al silenzio. Un portiere in livrea ci guarda sfilare: due donne eleganti, un uomo e un trolley nero. Camera 407: ne ritrovo l’intimità. Inizia una danza ancestrale, tra aspettative e desideri, cercando un amalgama sensuale. Risate echeggiano, a dispetto dell’ora. Scartiamo due libri per ciascuno, identici, accompagnati da una dedica su noi tre. In centro stanza, tre corpi riflessi allo specchio. Macchie bianche, nuove, sui miei pantaloni. Malizia agli occhi, cerco rimedi in bagno. Tornando, un caldo silenzio mi investe. Stondo lo stipite, come scoprissi una mano di poker.

Due figure femminili, in piedi, vestite, al centro della stanza, avvinghiate tra loro; capo chino, moto febbrile nelle loro guance. Silenzio inviolabile, gemiti. Val misura la schiena ad Amelia, che le avvolge il seno: mi infiammano. Fremiti dal pantalone, che vola in un angolo: assisterà da là. Con la gola gonfia, mi ci inginocchio davanti. Profumi alitano il viso, dilatato di narici. I polpastrelli navigano le loro gambe, dalle caviglie alle autoreggenti, pelle nuda sino all’inguine, ancora fasciato di pizzo. Con lo sguardo seguo i miei movimenti su di loro, mantecando nel tatto la vista. Alzo lo sguardo: sono improvvisamente nude, i vestiti soffiati via. Profumo dai loro solchi carnosi, nettare denso, occhieggiante dal pizzo scuro, mi attira a sé come cantico. Indice e medio, tesi, serpeggiano il solco dell’inguine. Scosto il tessuto fasciante; lo tendo verso l’alto, imprimendone le fibre nei loro angoli più sensibili. Miagolano.

Perso nella sensuale genuflessione, assaporo le distinte personalità. Val ha labbra sottili, accennate, morbide, si aprono sul solco inondato che corolla la gemma. Amelia è carnosa, pronunciata, la gemma va inseguita, dischiusa. Affondo, deciso, in entrambe. Laghi tiepidi e tempestosi, grondano sulle mie mani. Scivolo come burro a fuoco lento. Apnea nei sensi, mi tuffo profondo, polsi tesi, dita rigide, melodie di gemiti unisoni. Perlustro, rincorrendo fibre e solchi, contrazioni in danze. Le cervici fremono sotto le mie impronte, mentre gioco in girotondo. Ripercorro a ritroso, fibrillando la sommità delle piccole labbra, in movimenti rotatori, si inarcano come salici.

Le staglio sul soffitto bianco: cascate di capelli selvaggi, biondi e bruni, labbra e lingue abbracciate, corpi avvinghiati in uno solo, fianchi fusi in ventre unico. Seni siamesi, areole indistinte. Amalgamo incessante il loro nettare denso; lungo i miei polsi copiose gocce. Il bacino di Amelia trema; le pareti gonfie mi stritolano i polpastrelli. Un’onda calda mi investe la mano. Urla strozzate scompigliano la notte. Tempo. Ansimi che la diluiscono. Si scosta, mi carezza una spalla e scivola dietro, a passi incerti verso il bagno.

Val freme. Estraggo lentamente, coccolando le sue pieghe più intime. I polpastrelli intrisi respirano mentre li assorbo tra le labbra. Cerco con la lingua le gocce più dense, discese in fondo, agli angoli delle dita. La spingo al letto, schiena al lenzuolo, bacino sullo scendiletto. A palmi aperti la divarico: gocce di nettare solcano chiari le calze velate. Perlustro il morbido, falangi a esporre il rosa. Affondo un’impronta sulla gemma. Scivolo a tendere le piccole labbra, sfaccettate di colore intenso. Abbraccio il clitoride, ne percorro il profilo, lo navigo ai cardinali. Freme, si contorce, si inarca. Fianchi solcati da pelle d’oca, capezzoli turgidi puntano il soffitto.

Amelia ricompare. Sul letto, viso a Val, naso a mento, mento a naso. Lingua in bocca, spremendole i seni. Tenaglia entrambi i capezzoli e li attrae a sé. Val esce di senno, ansima e vibra, gronda, agita il bacino davanti al mio viso. Faccio scivolare due dita sotto il mento e l’accarezzo roteando, penetrando appena. Lo scendiletto è intriso di umori. Amelia prende i seni di lato e li strizza verso il cuore. Val le ulula in bocca. Le sento l’onda. Impetuosa, un maroso a infrangere scogli. Scuote, si inarca. Incide le unghie sul braccio, al dolor bianco. Le mordo l’inguine, da dietro i ciuffi bruni. Un urlo, che rotola quasi in pianto, spazza le pesanti tende della stanza. Appoggio il viso tra coscia ed inguine, ondeggiando col suo ventre, aspettando che la passione lentamente defluisca.

Amelia si sdraia di traverso su Val. Il suo culetto sodo freme, proteso. Con moto misurato, il polpaccio di Val mi spinge dietro di lei. Il buco elegantemente grinzito occhieggia. Un membro turgido, umido e solcato, emerge tra noi. Dolore, da tanta prepotenza. Vene come serpenti gonfi. Lo appoggio al coccige, sporgendomi sino allo zenit del più proibito dei suoi angoli. Una grossa goccia di saliva cade; il filo panciuto si spalma sul coccige, mentre la goccia si posa perfetta sul lembo, sopra, iniziando una lenta discesa dissetante. Amelia miagola al lenzuolo. Calco il pollice nell’anfratto umido e saggio la morbidezza: è già abbandonata al mio tatto. Inietto la goccia nel profondo. Non resisto più. Troppo tempo, troppe emozioni, troppa intensità regalata e trattenuta.

Lo spartito dei gemiti di Amelia sembra seguire fedelmente il mio moto. Avvicendo al pollice il glande; i bordi raggrinziti si distendono, abbracciando la pelle tesa. Spingo, a farlo scomparire lentamente nel profondo, divorando millimetri di pelle. Tortura il lenzuolo, disperata. La mia mano cala a palmo aperto sul fianco perlaceo. Lo schiaffo echeggia sul viso di Val. Amelia si inarca come un fascio di canne. La prendo con veemenza. Protende la schiena verso di me. Le increspo i lombari, ad artiglio. Ad ogni affondo mi sembra di perdermi sempre più profondo in lei. Improvvisamente, da sotto lo scroto inizia ad espandersi il calore che preannuncia il mio delirio. Inumano pensare di trattenerlo: in pochi attimi, spasmi violenti mi attraversano da capo a piedi, e ritorno. Le tempie frizzano, il diaframma si gonfia, i glutei si contraggono al limite del crampo, le gambe tremano, le ginocchia flettono. Stritolo la pelle dei fianchi di Amelia con polpastrelli ed unghie, mentre con violenza imprimo l’ultimo affondo: dilago in lei. Un fiotto di nettare, concentrato nei miei testicoli dalla passione e dal desiderio accumulato, inonda con violenza il suo profondo. L’intensità dell’orgasmo mi punge in mezzo agli occhi. Vedo la fronte di Amelia inalberarsi, a quel picco d’intensità maschile.

Barcollo per qualche attimo, mentre l’onda mi attraversa. Rimango dentro Amelia, immobile, per lunghi momenti, mentre le nostre vene si sgonfiano. Mentre mi ritraggo, Amelia ruota leggermente il viso e mi indirizza un sorriso, appena celato dalla guancia. Si lascia andare, dove si trova, sul corpo di Val, e rimane così, con i glutei grottescamente aperti e sospesi nel vuoto, respirando intensamente. Val ci guarda, dolcemente persa.

Mi sdraio. Davanti ai miei occhi i fianchi di Amelia, spudoratamente protesi e lucidi. Titillo dolcemente la sua pelle, con le labbra, con la lingua, qua e là, facendola sobbalzare dal suo torpore. Mi abbandono anch’io. Osservo sorridendo quelle due splendide anime femminili, che mi stanno regalano il meglio di sé. Cui sto donando il meglio di me. Val fa scorrere dolcemente i polpastrelli sui miei fianchi nudi; ad occhi chiusi sento il suo sguardo addosso. Le nostre menti parlano. Non v’è modo, per lei, di poggiare un polpastrello al mio inguine senza scivolare in angoli più profondi. La sua mano si appoggia piano sul mio membro, che accusa un fremito; inizia ad accarezzarne lo spessore. Ho gli occhi pieni dei fianchi di Amelia, che ansima piano, in quella posizione animale. Le sue pieghe più proibite sono davanti al mio viso, impossibile non riempirsene le tempie.

I miei sensi non rimangono inerti a quei tocchi, e poco dopo sono di nuovo turgido, stretto nella sua mano. Fortissimo il desiderio di prenderla. Mi sollevo, senza che lasci la presa su quel che le pulsa nel palmo, in ginocchio al centro delle sue gambe, oscenamente spalancate. Appoggio il glande alle sue labbra, ancora inondate di liquido bianco. Il suo sguardo stupito mi rallenta: ‘Cosa fai?’. Da lei al suo inguine, interdetto. Non ci convivo, ancora. Non è protetta, da qualche settimana. Parole silenziose transitano dai nostri sguardi. Secondi, minuti, non so quanto rimaniamo così, sospesi ed inebetiti, in quella posizione interlocutoria.
Come ubriachi, ci scostiamo; la mia erezione, distratta da mille domande e zero risposte, è in parte dispersa; lei saprebbe riaccendermi, ma nei suoi occhi leggo ancora tracce disciolte di smarrimento. Lo sguardo non è il solito, non gode con me. O meno ‘ Non so, parleremo. L’allontano dolcemente, sorridendole un ‘no’ con la testa. Si abbandona al cuscino.

Allargo lo sguardo all’orizzonte del letto ed imprimo un’immagine indelebile alla cornea. Completamente nude, solo autoreggenti nere, si stagliano entrambe sul bianco lenzuolo, stessa posizione a cucchiaio, coricate sullo stesso fianco, a una spanna l’una dall’altra, quasi a interpretare una coreografia. Due fianchi perlacei, identici nelle proporzioni, riflettono le luci della stanza. Una fotografia, una diapositiva, di cui sarò per sempre camera oscura. Mi rilasso in essa.

Al risveglio, Amelia è avvolta in un bozzolo di lenzuola e copriletto; Val è al mio fianco, come l’ho lasciata. Uno sguardo all’orologio ci allarma. Un bacio a turno ad Amelia. Doloroso lasciarla, sola, in quel grande letto. Vorremmo infilarci sotto le lenzuola, dedicandoci incessantemente a nuove trasgressioni. Ma la giornata è stata prodiga di emozioni e piaceri, non le possiamo chiedere altro. Voliamo fuori. A tratti guardo Val, in silenzio, consapevole eppur incredulo delle ultime 12 ore. Scuoto la testa, sorridendo, e non so dirle d’altro.

All’auto. Saluti veloci, vista l’ora e le circostanze. Il suo sguardo, lungo la rotonda, brilla sotto i lampioni, mentre la giornata ci scorre via di dosso, ovattata.

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