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Eneide Postmoderno-Dell’avanzare delle trame e di Janus e Maghera.

By 9 Aprile 2020No Comments

Il risveglio di Maghera la vide circoandata da visi. La giovane si agitò appena.
-Stai ferma, sei rimasta svenuta per un giorno. Quel bastardo non ti ha uccisa ma la sua lama certamente non vedeva pulizia da molto. Hai rischiato un’infezione. Febbre e quant’altro.-, disse la voce di una donna. L’amazzone fece mente locale, mentre i ricordi le giungevano piano e riprendeva coscienza di sé. Era distesa in un letto, indossava le sue solite vesti ed era in una cabina decisamente più grande della sua. Quella di Janus? Sì, pareva lo fosse.
Gli occhi di Maghera inquadrarono la donna che aveva parlato. Capelli grigio-neri, un viso altero.
-Asclepia…-, riuscì a proferire. La donna sorrise.
-Sì. ora sta ferma.-, disse. Anche volendo, l’amazzone non sarebbe riuscita a muoversi dal letto: si sentiva uno straccio. Sentì un ago bucarle un braccio. Liquido in vena.
-Ti sto iniettando del ricostituente. Tra breve dovrebbe fare effetto. La febbre é ancora un po’ alta ma é sotto controllo.-, disse l’apotecaria.
-Acqua…-, sussurrò la giovane guerriera. Qualcuno le passò un bicchiere, facendola bere piano.
Le andò di traverso. Tossì. Riprese il controllo, accorgendosi di essersene versata addosso un po’.
-Scusa.-, disse a bassa voce. Per la Dea, si sentiva imbarazzata da quell’essere ferma e inerme come una neonata. La voce di Janus, vicina, la raggiunse.
-Non scusarti: ti dobbiamo un sacco. Hai vinto per tutti noi.-, disse.
-Hanno tenuto fede alla parola data?-, chiese lei dopo qualche minuto.
-Sì. Le stive sono piene e siamo lontani da quell’isola.-, rispose Janus. Maghera si concesse un sorriso a quelle parole. Il sorriso divenne una risata lievissima.
-Non si aspettavano che una donna potesse batterli, eh?-, chiese.
-Parrebbe proprio di no. La faccia di Allen é stata qualcosa di epico.-, disse Janus.
-Pareva proprio quella di un perdente.-, rincarò la dose Sullastius, la cui voce giungeva poco distante. L’amazzone sentì il ventre gorgogliare. Aveva fame.
-Non é che possa avere del cibo?-, chiese. Asclepia scosse il capo.
-Non é il caso. Il cibo solido richiederebbe molta energia per la digestione e non sarebbe bene affaticarti ora come ora. Ti faremo portare del brodo al più presto.-, disse.
-Brodo?!-, chiese Maghera incredula, -Come quello che viene servito alle anziane del Kelreas quando cade loro l’ultimo dente?!-. “Per la Dea…”. Non aveva parole.
-Fidati, é meglio così. Tra breve la febbre passerà del tutto e sarai nuovamente in grado di mangiare e muovesti ma per ora dovrai stare a regime. E non intendo sentire “ma”.-, disse Asclepia mentre le poggiava una pezzuola bagnata sulla fronte calda. La giovane sospirò.
-Ora uscite tutti: ha bisogno di riposare.-, decretò l’Apotecaria.

Fu dopo altri due giorni di navigazione indefessa che gli Esuli giunsero in vista di un’isola familiare, segnata sulle carte nautiche in loro possesso. Riconobbero il braccio di mare.
Il mare di Biguern era stato mappato cent’anni prima da un esploratore di Licanes. Era sicuramente lontanissimo dal luogo ove era sorta la loro patria ma per Janus e i suoi compagni ritrovarsi in quelle acque fu un po’ un ritorno a casa, sebbene velato di malinconia e ricordi dolorosi della loro Licanes in fiamme, destinata a esser dimenticata da tutti tranne da chi vi combatté e sopravvisse. Per Janus era un segno che il loro viaggio si avvicinava a destinazione.
Nel mentre il giovane si sincerò delle condizioni di Maghera. L’Amazzone era ora in grado di mangiare cibo solido e di camminare. Non si avventurava fuori dalla cabina ma era palese che stesse meglio. Il giovane ne fu rincuorato. Si accorse di provare grande affetto per lei, come per tutti ma quello che provava per lei era… diverso.
Si stava innamorando? Di nuovo? Poteva esser benedetto con una simile grazia o era solo il preludio ad un’altra tragedia? Sospirò osservando il mare. Da quando quel triste esodo era iniziato aveva perso molti. Uomini e donne, amanti e amate queste ultime, onoranti e onorati questi ultimi. Quanto gli mancavano invero tutti coloro che erano morti!
“Ah, questo é il fardello di chi vive, sopravvive invero! Questo bisogna fare. Andare avanti e onorare la memoria di chi ci precedette accolto nelle sale del cielo…”, pensò.
Ma poteva lui dire di fare onore all’enorme mole di morti che rimembrava? No.
Il suo stesso vivere ancora era un insulto a coloro che avevano varcato il fiume dei morti.
E il peggio era che lui ne era conscio e che ancora, nonostante tutto, non riusciva a perdonarsi.

Tia e Meterus  scesero nella stiva della nave. V’erano quivi casse, resti, reliquie della loro ormai defunta patria. Meterus sapeva che chi poteva evitava ben volentieri la stiva e il lavoro in essa, poiché troppa era la memoria del dolore, troppo grande il ricordo.
-Vieni.-, disse. Il dedalo di casse era tale che Tia da sola vi si sarebbe smarrita, ma lui no.
Lui vi aveva lavorato. Aveva guardato tutto ciò che restava della loro patria ed aveva deciso.
Non avrebbe vissuto in preda alla malinconia del passato. Che fossero altri a farlo!
Lui no. Lui avrebbe trovato un’altra terra e vi avrebbe messo radici con tutti loro, salvandoli dall’errare selvaggio che Janus insisteva essere parte di un destino noto solo a lui, forse.
-Eccoci.-, disse svoltando oltre una fila di casse. Sbucarono in una parte della stiva sgombra, illuminata da lucerne appese alle travi.
-Dove?-, chiese la giovane, impaziente dopo tanto vagare.
-Ti avevo promesso che te li avrei presentati.-, disse Meterus.
Davanti ai due stavano tre uomini.
-Ossius, Cassius, Brutus.-, li salutò Meterus, -Questa é Tia. Ha qualcosa da dire.-.
-Immagino non sia qualcosa di gradito ai nostri connazionali.-, inquisì Brutus.
-E questo spiega l’esserci radunati in questo sordido buco circondati dai resti del nostro passato.-, dedusse Cassius. Tia li osservò. Brutus e Cassius erano chiaramente soldati, guerrieri. Il loro fisico erano la prova di ciò, visti i muscoli tonici e grossi. Ossius pareva uno studioso, ma Tia non ne era sicura. Nella sua isola, un simile essere sarebbe stato ucciso poco dopo la nascita. Magro e pallido pareva adatto solo a compiacere gli uomini in mancanza di donne…
-Invero, Meterus ha ragione. Chi non se la sente di ascoltare può andarsene ora.-, disse lei.
Nessuno se ne andò. Tia sorrise, permettendosi un istante di soddisfazione. Aveva voluto mettere alla prova la loro volontà ed era palese che essi avevano il desiderio di ascoltare.
-Janus continua a parlare di un destino, di una terra promessa. Ma pare evidente a me come anche ad altri e sicuramente anche a voi, che egli non sa né se né quando giungeremo in una simile terra.-, disse. Attese, valutando con cautela le reazioni. Il terzetto annuì. Meterus, appoggiato alle casse con la schiena le fece gesto di proseguire.
-Io sono stufa di questo errare. Perché non avremmo potuto fermarci presso i Lotofagi, o conquistarci la terra di Re Allen, o ancora prendere dimora in alcuna delle isole che abbiamo tanto rapidamente sdegnato, obbligati a seguire la fallace guida di un uomo che ha mandato una straniera a tenere alto l’onore della vostra patria?-, chiese.
-Anche tu sei straniera.-, osservò Ossius. Lei sorrise, indulgente. Si era preparata.
-Vero. Ma voi no. Non dovrebbe il vostro sangue fremere all’insulto fatto da Janus?-, chiese.
-L’aver mandato una donna del Kelreas a combattere é stata sua scelta, ma nessuno di noi avrebbe rifiutato di incrociare le armi con Parceval Norn.-, concordò Brutus.
-Indubbiamente. Forse non avremmo dovuto assistere a un sì penoso duello, vedendo invero questa Maghera subire e vincere infine dopo un duello lungo e penoso. Forse uno di noi avrebbe facilmente spiccato il capo del condottiero.-, disse Cassius.
-Forse.-, concesse Meterus, -E forse ora é il caso che anche i nostri ciechi connazionali aprano i loro occhi a questa verità.-, disse.
-Di fatto, Janus ha portato solo dolori e disonore a voialtri, uomini nobili e prodi che sicuramente hanno saputo tenere alta la nomea di Licanes-, disse Tia. Li fissò uno ad uno negli occhi.
-Di certo tutti voi, come me, anelate a terminare quest’esodo selvaggio che pare infinito. E di certo, come me, tutti voi sapete bene che non sarà Janus a permetterci ciò. Egli é accecato dalle sue vedute.-, continuò lei.
-E chi sarà?-, chiese Brutus con tono scettico, -Egli potrà anche esser cieco, ma é un leader.-.
-Non é il solo. Vi é anche Aniseus.-, replicò Tia. Brutus, Cassius e Ossius si guardarono gli uni gli altri. Palesemente dubbiosi. Fu infine quest’ultimo a parlare.
-Egli é sicuramente adatto ma non ha la fama o il carisma di Janus. Da solo non sarebbe in grado di fare nulla. E debbo credere che tu voglia il nostro supporto in suo favore.-, disse.
-Sì.-, rispose semplicemente Tia. Gli uomini si fissarono di nuovo.
-E cosa ci offri per questo supporto, donna?-, chiese Cassius.
Tia rispose con un gesto appena accennato.
La toga in cui si era avvolta era legata a un solo punto. Sciolto il nodo, cadde lasciando il corpo della giovane nudo, esposto alla vista del trio. Meterus ghignò appena.
Il trio di Licanei osservò quel corpo scultoreo e bellissimo. Non si curarono di nascondere la loro eccitazione crescente alla vista delle di lei nudità.
-Ella é… decisamente persuasiva.-, disse Cassius infine.
-Già. Ma sai, anche io sono dell’idea che possa far di meglio.-, ribatté Brutus.
-Assolutamente.-, concordò Ossius. Si avvicinò di un passo alla giovane che li fissava senza soggezione, fiera nella sua vulnerabilità. Meterus guardò la scena.
-La puttanella straniera sa sicuramente pensare in grande ma saprà anche prendere grandi cose-. inquisì Brutus avvicinandosi appena. Tia sorrise.
-Chiedete a Meterus.-, disse soltanto avvicinandosi a loro di un passo.
-Eh, la ragazza é capace di spomparvi tutti quanti. Fossi in voi starei ben attento a sottovalutarla.-, rispose questi. Il trio lo guardò brevemente.
-Non ti infastidisce il vederci possederla?-, domandò Ossius.
-Assolutamente no. Anzi, penso che potrei unirmi a voi. A lei sicuramente non dispiacerebbe.-, disse Meterus. Tia sorrise, incoraggiante, accarezzando il petto di Brutus.
Scese con la mano sino ai calzoni, aprendoli ed estraendo il già turgido membro.
-Bello…-, sussurrò guardandolo. S’inginocchiò a suggerlo appena. Brutus gemette.
-Com’é?-, chiese Cassius mentre se lo tirava fuori menandoselo piano.
-Dovresti provare… Ha una lingua serpentina…-, mormorò l’uomo ad occhi semi-chiusi. Prese a spingere la testa della giovane contro il suo ventre, determinato a veder sparire il suo membro nella di lei gola. Tia aprì la bocca, inalando aria. Sentì le mani di qualcuno accarezzarle la schiena, le natiche e infine affondarle un dito nell’ano e uno della vulva che lo accolse. Era già bagnata.
-Che puttanella.-, mormorò la voce di Ossius, -Già cola…-.
-Mettiglielo dentro. Ti posso garantire che non durerai granché.-, promise Meterus.
-E lasciate qualcosa anche a me.-, disse Cassius. Si avvicinò a Brutus. Tia accolse i due membri nella bocca. Gemette quando sentì il non esattamente piccolo pene di Ossius penetrarle la vulva con un colpo solo, entrandole dentro per tutta la sua lunghezza.
-Oh… avevi ragione Meterus. La puttanella é bella stretta.-, disse il mingherlo mentre iniziava a dare colpi d’anca. Cassius strappò il membro dalla bocca di Tia.
-Vediamo di organizzarci. Lo voglio anch’io un buco.-, disse.
-Il culo. Sicuramente é ancora vergine.-, disse Brutus. Ansimava appena, dirigendo i movimenti del capo della giovane con le mani, scopandosi la bocca di Tia.
-Io non gliel’ho mai messo dietro. Ma se ti va…-, disse Meterus. Aveva preso a toccarsi piano davanti a quello spettacolo di assoluta e oscena libidine.
-Allora dovremmo disporci diversamente.-, disse Ossius. Si tolse, seguito da Brutus. Questi si stese a terra, lasciando che la giovane s’impalasse su di lui, stringendole forte i seni e le natiche.
Lo studioso affondò il pene nella bocca di Tia. La giovane si accorse che le sue dimensioni non erano esattamente dificitarie rispetto a quelle dei suoi nerboruti compagni.
-Succhia bene, troia… Succhialo forte.-, la incitò lui. Tia aumentò il ritmo.
Sentì qualcosa sullo sfintere e improvvisamente un dolore atroce mentre Cassius le strappava la sua seconda e ultima verginità. Il suo grido fu soffocato dal membro dello studioso.
-Oh… Qui é strettissima, cazzo!-, esclamò l’uomo stantuffando il membro nell’ano della giovane.
-Già. Anche qua sotto non scherza. Mi sta infradiciando coi suoi succhi…-, disse Brutus con un ghigno in viso. Meterus osservava la scena. Si avvicinò, il membro eretto.
-Hai ancora le mani, troietta.-, disse. Tia eseguì, manipolandolo. Era farcita in ogni orifizio e stava letteralmente colando. Mai, mai nella sua vita avrebbe creduto di poter fare una cosa simile.
I suoi gemiti erano soffocati dal membro di Ossius che, nel delirio erotico, le tirava i capelli e stringeva i seni, insultandola con epiteti postribolari frammisti a gemiti.
Brutus, molto meno vocale, dava spinte per affondarle dentro ulteriormente, le mani sul suo sesso e sui seni ma anche sulle natiche. Cassius invece le stava deflorando abilmente l’ano, affondando di più a ogni colpo, sculacciandola mentre Brutus si dedicava ai suoi seni.
Meterus in tutto questo accettava di buon grado il lavoro di mano, accontentandosi di accarezzarle il viso e il collo. Era ridotta a un oggetto per l’altrui piacere ma stava veramente godendo di quella condizione umiliante e devastante.
Ovviamente anche i maschi stavano godendo grandemente. Il primo fu Cassius. Le venne nell’ano,  senza neppure avvertire, riempendola del suo seme. Il secondo fu Brutus. L’uomo godette dentro di lei, stringendole i seni sino allo spasmo, sino a far male.
Ossius sorprendentemente teneva botta, anzi, si piazzò dietro di lei ed entrò nel suo sfintere, incurante dello sperma di Cassius. Meterus riempì rapidamente la bocca di Tia col suo membro.
La giovane strinse le gambe e le natiche dell’uomo, sentendo Ossius godere a metà dentro di lei e poi, con un ultimo grande schizzo sulla sua schiena e sui capelli lunghi. Metreus lo tirò fuori appena prima, venendole copiosamente su viso, collo e petto.
Lorda del seme di tutti loro, Tia sorrise. Li guardò alzandosi. Il seme di Brutus le colava dalla vulva aperta. Non se ne curò. Loro parevano trasognati, persino sfiancati da quell’orgia.
-Allora? Abbiamo un accordo?-, chiese. Cassius, Brutus e Ossius si fissarono un istante.
-Posto che possiamo approfittare nuovamente delle tue grazie uno alla volta… sì.-, disse infine Ossius e gli altri annuirono.
Ritornata in cabina e lavatasi sommariamente, Tia era lieta. Scrisse un rapido messaggio e ordinò a Meterus di portarlo ad Aniseus. Il giovane lo ricevette il giorno seguente. Lo lesse rapidamente.
“Altri tre uomini conquistati alla nostra causa. Presto riunione nella stiva. Dammi solo il tempo di circuire altri elementi. Attendi istruzioni e distruggi questo biglietto.”.

Janus andò a trovare Maghera durante quel giorno. La giovane sedeva sul letto, leggendo. Si era lavata ed aveva mangiato. Pareva ben in salute, ripresasi grazie alle cure di Asclepia.
-La storia della vostra patria é… affascinante.-, disse.
-Non sapevo sapessi leggere.-, ammise lui. L’amazzone sorrise.
-Poche di noi lo sanno fare. Molte non ne hanno semplicemente interesse.-, rispose.
-Come ti senti?-, chiese l’Esule. Lei sorrise di nuovo.
-Bene. Meglio. La vostra medicina ha fatto miracoli. Presso la mia gente sarebbe servita più d’una settimana per riprendermi.-, disse.
-Licanes vantava grandi medici, grandi uomini di cultura. E grandi guerrieri.-, disse Janus.
-E dunque, se posso chiedere, cosa causò la sua caduta?-, chiese Maghera. L’uomo sospirò.
Il peso di quel segreto era enorme. Fissò l’amazzone negli occhi.
-Fui io. Permettimi di raccontare perché tu possa comprendere, Maghera. Desidero che tu comprenda e forse, tu possa giudicarmi se ciò che feci fu errore o meno.-, disse.
-Racconta, o Esule. Non t’interromperò.-, promise.
E Janus lo fece. Parola dopo parola, minuto dopo minuto. Maghera non parlò, non sollevò domande o obiezioni alle sue parole, non lo insultò, non parlò. Raccontò per un due ore buone della guerra e del suo rapporto con Layla, di quella guerriera che tanto aveva smentito del comune pensiero sull’avversario che i Licanei stessi crearono con la propria arroganza.
-… E fu così che fui scelto da mio padre morente per condurre gli Esuli a una nuova patria.-, disse.
Maghera annuì, lasciando che il silenzio si posasse su di loro.
-Cosa ne pensi, o prode guerriera?-, chiese Janus.
-Penso che nessun biasimo dovrebbe cadere su di te. Fosti raggirato dalla maggior insidia che una donna possa disporre. Ella ti ha ammaliato e tu ci sei caduto. Dubito abbia mentito su tutto quanto ti ha detto ma penso che abbia giocato sulla tua simpatia per lei, sulla tua voglia e abbia atteso la tua distrazione.-, disse l’amazzone.
-Quindi… non sono colpevole?-, chiese l’Esule. La giovane scosse il capo.
-Nessuna colpa, se non quella di chi sopravvive a un disastro e deve andare avanti. Nessuna, se non quella che tu stesso ti ostini ad accollarti.-, decretò. Janus annuì.
-Non vedo davvero come potrei essere perdonato dagli déi e dagli uomini.-, disse.
-Da me sei certamente perdonato. Io ho conosciuto un solo Janus, comandante della sua gente raminga e apolide, valoroso e capace di guidarci attraverso le ordalie che abbiamo attraversato.-, rispose Maghera. L’amazzone prese la mano del giovane. La strinse e Janus replicò la stretta.
-Amai quella giovane sopra mia moglie, o guerriera! Di questo so di esser colpevole.-, disse.
-Presso di noi tali vincoli sono cedevoli come il legno verde. Al cuore non si comanda, o indomito navigatore. È ben stupido colui che rinnega questa verità legandosi a una sola donna.-, replicò lei.
-Ma non sussiste forse presso di voi un rito? Non volle la vostra Regina legarmi a sé?-, chiese lui.
-La Regina Athlia s’innamorò di te, del fuoco dei tuoi occhi, della tua indomita volontà. E fu la sua rovina.-, ammise Maghera, -Ma fu un caso. Mai, mai un’amazzone dovrebbe innamorarsi! È la morte della serenità, il venefico e magnifico fuoco dell’amore.-.
-Così, se non c’é amore presso il vostro popolo, cosa c’é?-, chiese Janus.
-Il desiderio. La brama. Privo dell’amore, il sesso é puro, intatto. Ed é a questo che noi ci rivolgiamo. Privato di romanticherie inutili, il sesso é solo questo: un bisogno da soddisfare ad arte, al pari della sete o della fame. Un bisogno bellissimo e rovente. Ma pur sempre e solo quello.-, spiegò Maghera, -Tra le Amazzoni del Kelraes non troverai poemi d’amore, o Esule.-.
-Ben strano ciò che dici, Maghera. Sicuramente l’amore esiste. Come potrebbe non essere?-, chiese Janus, -Come potrebbe il cuore non bruciare per l’amato o l’amata, portandoti a ignorare tutti gli altri o le altre per quell’unica anima affine alla nostra in modi indicibili?-.
-L’amore é semplicemente un altro nome per il desiderio. Devi dimenticare il romantico di cui ammanti tale puro sentimento. Il desiderio c’é, e va soddisfatto, ma mai nobilitare eccessivamente tale sentimento, o Janus, così facendo si aprono le porte alla sofferenza.-, disse l’amazzone.
L’Esule rimase pensoso. Maghera sorrise di nuovo.
-Ma non é forse il desiderio inappagato altrettanto doloroso?-, chiese Janus.
-Presso di noi é ben raro che il desiderio rimanga inappagato, o Licaneo.-, rispose l’amazzone.
Le loro mani erano ancora ferme, immobili. Erano vicini, lei seduta sul letto, lui accanto a lei.
I loro respiri si mescolavano. Maghera sorrise.
-In questo momento, entrambi desideriamo lo stesso?-, chiese lui con un sorriso. Lei annuì.
Si baciarono lentamente, piano, assaporando. Janus benedisse quella giovane e decise di non pensare a cosa il futuro gli avrebbe riservato.
Il bacio divenne il preludio allo spogliarsi. Il corpo della donna era ambrato e tonico, le cicatrici che aveva erano poche, Janus le seguì con le dita.
-Un Leomantide.-, disse lei quando sentì i polpastrelli dell’uomo ripercorrere una cicatrice che  passava lungo la larghezza delle reni.
-Un cosa?-, chiese lui accarezzandola piano.
-Un Leomantide, una bestia feroce del Kelreas.-, spiegò, -Fui fortunata: fosse stato più vicino mi avrebbe tranciata in due.-. Lui annuì. La baciò. Lei strinse il membro dell’uomo.
-Ti desideravo da molto.-, ammise. Lui sorrise.
-Siamo in due.-, riconobbe. L’amazzone si accigliò.
-Perché non…-, lui l’interruppe. Il suo viso era triste.
-Perché invero ricordo che molte, troppe donne che ho amato sono morte o hanno sofferto a causa mia, Maghera.-, disse. Lei sorrise, accarezzandogli il viso e la barba rada che Janus aveva lasciato crescere prima di tagliare solo di recente.
-Io non soffrirò. Sono del Kelreas, ricordi?-, chiese. Lui sorrise appena.
La baciò lungo il collo e il seno. Lei si distese, lasciandolo fare. Lui leccò i capezzoli, scendendo oltre gli addominali, sino al fiore del suo piacere. Prese a leccare, esplorare, conquistare.
Maghera gemette, cercando di ricambiare. Janus accarezzò la fremente porta del piacere della giovane mentre lei piano suggeva lo stelo dell’uomo.
Fecero pianissimo, con una lentezza agonizzante che però acuì grandemente il godimento.
Solo poi, quando Maghera s’impalò su di lui, Janus realizzò che le amazzoni non facevano la more con tanta dolcezza e lentezza. E a quel punto, il giovane intuì, comprese che l’amazzone gli aveva mentito, sfacciatamente. Lei sorrise, un sorriso triste. Lui capì che lei aveva capito.
Lo baciò, la lingua che si congiungeva alla sua, come le loro anime separate solo dai corpi si sfioravano nell’estasi. I capelli di lei si drappeggiarono a pioggia su di loro mentre le unghi di Maghera gli affondavano nel petto e lei si godeva il frutto del piacere con un gemito ferale.
Fu troppo: il giovane si versò nella vulva dell’amazzone con un gemito, sentendo tre scariche di seme fiottare nell’intimità calda e accogliente della ragazza che si abbatté su di lui, stroncata dal piacere come un tronco stroncato da un fulmine temporalesco. Giaquero immobili e silenti.
Finché Maghera non parlò, minuti o eoni più tardi.
-Sono del Kelreas… Ma purtroppo sono umana.-, sussurrò. Janus sospirò. Era vero.
Quell’umanità maledetta e bellissima che gli déi di certo dovevano invidiare per l’unicità del presente, salvato dall’eterna tediosa ripetizione donata dall’immortalità!

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