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La Caduta. Atto 3. Delle scelleratezze di Actio Rubro e della Devastazione di Medreas

By 26 Ottobre 2020No Comments

Rubro assaggiò il vino sorseggiandolo piano. Era del miglior e più prestigio vigneto della provincia. Un vino dal sapore corposo e ottimo. Sorrise gustandolo.
Faceva caldo. Un caldo anomalo, finanche per una provincia dal clima torrido come la Numisia.
-Mio signore, i soldati attendono ordini.-, disse Antheus, uno dei suoi consiglieri.
Rubro sorrise. Avrebbero atteso ancora qualche istante.
Inutile che qualcuno gli dicesse che le truppe attendevano ordini da giorni.
-Mio signore?-, chiese Antheus. Il viso incorniciato dai capelli biondicci dell’uomo era sudato. Actio Rubro fissò Antheus con un sorriso impassibile.
-Dimmi, Antheus, pensi forse che gli Dei non abbiano piani per i mortali?-, chiese.
-Io… sicuramente essi hanno piani, sebbene non ci sia possibile discernirli, così dicevano i sacerdoti di Ra.-, disse il consigliere, incerto. Rubro annuì.
-Eppure, concordi che si necessita di avere fede in essi, finanche senza capirne i piani, nevvero?-, chiese Actio con quel sorriso insopprimibile.
Antheus ancora non comprendeva quale fosse il punto, evidentemente, in caso contrario avrebbe certamente evitato di guardare il pavimento e restare impalato in piedi davanti al triclino su cui Actio Rubro era disteso e terminava di bere il proprio vino.
-Sì, mio signore.-, disse Antheus. Actio annuì.
-Orbene, non temere! Gli Dei mi hanno parlato. Potremo iniziare a muoverci verso Felitia tra tre giorni e colpire le truppe di Nimandeo Feral là situate!-, esclamò.
-Mio signore… se posso chiedere…-, Antheus esitò. Rubro gli fece cenno di parlare.
-Perché solo tra tre giorni?-, chiese Antheus.
-Perché così gli Dei mi hanno parlato!-, sibilò Actio Rubro. Antheus tacque. Il despota fece un cenno con la mano.
-Informa le truppe.-, disse. Il consigliere uscì rapidamente.
Rubro si dispiacque che i suoi piani non fossero capiti, che egli fosse effettivamente il messo degli Dei nel mondo e per questo parlava a loro nome, a differenza di tanti falsi sacerdoti e il falso Imperator in Roma…

Antheus comunicò gli ordini. I Legati e i comandanti non ne furono lieti né tantomeno furono graditi ai legionari. Erano giorni che aspettavano. Mesi da quando Rubro era entrato nel Tempio di Siwa ed aveva sostenuto un estentuante digiuno durato due settimane al termine delle quali, riemerso dal Tempio, aveva deciso l’attuale corso d’azione.
L’ultima battaglia, se così si poteva chiamare, era stata a Chartagi, dove la guarnigione fedele ad Aristarda Nera aveva opposto una feroce resistenza prima di capitolare, preferendo il suicidio di massa alla resa. Ed erano giunte voci da Roma, le peggiori, le Vestali della Dea parlavano di un fuoco spento, di sogni terribili. Antheus non voleva sapere cos’era accaduto, non volle neppure tentare d’immaginarlo. Sapeva solo che Roma necessitava di un Imperator e per questo, quando le truppe avevano eletto d’autorità Actio Rubro, rigettando il regno di Septimo Nero, aveva taciuto.
Ma ora, erano giorni che l’esercito era fermo. Actio restava nella sua tenda, silente, a pregare. O a fare ben di peggio, dato che alle volte, Antheus aveva visto giovani donne entrare e mai uscire.
I sospetti c’erano, ma il consigliere sapeva bene che non poteva provarli, non ancora quantomeno.
Si decise: avrebbe dovuto cercare le prove. E sapeva anche a chi chiedere aiuto.

Beatamente assiso sul trono costruito nella sua tenda mastodontica, Actio Rubro ascoltava.
Gli Dei parlavano, gli dicevano che il futuro era prossimo a realizzarsi. Gloria! Gloria imperitura! Sorrise e il suo sorriso divenne una risata maniacale.

 

L’apotecario Fabius Bilas si terse il sudore dal viso.
-Si salverà?-, chiese Mayra Tus, l’amante locale del legionario che Fabius stava tentando di curare da ormai due giorni. L’apotecario scosse il capo.
Non riusciva a capire che malattia fosse. Era una malattia ignota, una sorta di collasso polmonare (quest’ultimo sopraggiunto solo nelle ultime ore), misto a sintomi già noti e comuni, ossia disidratazione, diarrea e febbre.
-Ha mangiato qualcosa d’insolito? È stato punto da insetti che tu sappia?-, chiese.
La giovane dalla pelle scura tipica degli abitanti della Numisia scosse il capo.
Fabius sospirò. Analisi iniziali non avevano rivelato nulla. E quella che era parsa un’iniziale disidratazione e debolezza imputabile a un colpo di calore si era rivelata una malattia ben più aggressiva. Fissò il malato. Disteso sulla lettiga, il legionario sudava e gemeva. Soffriva.
Bilas sapeva che avrebbe dovuto farla finita. Ora.
-Salvalo, Iatre! Ti prego!-, esclamò Mayra. Iatre, quello era il termine onorifico per designare i sapienti adepti del dio della medicina. Proprio in quel momento, con insospettabile forza, il milite cambiò posizione, riuscendo a rigurgitare qualcosa sul pavimento. Un fiotto rossastro.
Mayra fece per avvicinarsi. Piangeva ora. Fabius le impedì il passaggio.
-Emorragia interna. Non so dove sia, ma credo sia polmonare.-, disse. Si avvicinò all’uomo e ascoltò il suo respiro. Scosse mestamente il capo.
-Sangue. Sta praticamente respirano sangue. Nessun trauma esterno…-, Bilas cercò di scuotersi dallo shock, dalla consapevolezza che quella malattia fosse diversa da tutte le altre.
-Salvalo… Ti prego.-, Mayra, piangendo, si era inginocchiata ai suoi piedi.
Fabius guardò il morente. Gli occhi grigi del legionario parvero persino ritrovare lucidità.
-Non c’è molto che io possa fare: ha un’emorragia interna di cui non conosco le cause. Potrei operare ma debilitato com’è ora sarebbe un rischio enorme. Se non facciamo niente comunque, morirà domattina al più tardi.-, l’apotecario si passò la mano sul viso. Per gli Dei, quanto era stanco. Era da molto che cercava di lenire le sofferenze di quel giovane. Mayra continuava a piangere, apparentemente affranta.
L’apotecario ascoltò il respiro dell’uomo disteso sul tavolo operatorio.
-Ha sangue nei polmoni, ma senza traumi che ne spieghino la provenienza…-, mormorò pensoso. Si allontanò e si rimise in vago ordine i capelli radi. Odiava la Numisia. Troppo calda, troppo fottutamente calda. E per uno come lui, non presentava attrattiva alcuna. Voleva tornare a Roma, dannazione! Ma non poteva. Ed era stanco. Stufo come non mai.
Fortunatamente, presto tutto sarebbe cambiato.
-Iatre, Chartagi… La città che avete visitato, da dove siamo partiti! Lì… tu potresti…-, la frase si spezzò in un nuovo pianto. Fabius espirò. Scosse di nuovo il capo.
-È a giorni di cammino. Non sopravvivrebbe al viaggio.-, disse Bilas. Posò gli strumenti.
-C’è una sola cosa da fare.-, si volse verso la giovane che piangeva, accanto al letto del giovane morente, -Credimi, è terribile, ma sappiamo entrambi che va fatto. E va fatto ora, prima che si diffonda. Poi ti sottoporrò alle analisys per capire se la malattia è stata trasmessa.-, cercò di usare un tono comprensivo ma fermo. La giovane continuò a piangere.
Fabius Bilas sospirò. Impugnò il maglio.
-Dei, ve saluteo. Habet miserere virorum mundis…-, iniziò a recitare piano lo scongiuro per l’anima del giovane, interrotto dai singulti dell’uomo sofferente. Terminò. Soppesò il colpo, caricandolo in modo da colpire la tempia e garantire una morte rapida e indolore.
-Possa tu trovare pace.-, sussurrò. Calò il colpo.

Il pianto di Mayra non cessò che un buon venti minuti dopo.

 

Terminando l’analisys, Fabius fece cenno alla giovane nera di ricoprire la parte superiore del corpo, non senza un minuscolo sguardo di apprezzamento per i seni grossi della ragazza. Nonostante non fosse attirato dal sesso ne poté apprezzare la bellezza. Ma fu solo un istante. La sua mente era altrove.
-Sei sana, Mayra. Ma ti terrò sotto controllo e, qualora dovessero verificarsi i sintomi, non esitare a chiamarmi.-, disse. Terminato ciò, vide qualcuno entrare. Antheus. Il Consigliere Primus di Actio Rubro si avvicinò, non senza uno sguardo decisamente concupiscente alla bella giovane che si stava rivestendo.
-I miei saluti, Fabius.-, notò i servi che trasportavano via il cadavere del legionario morto.
-Un morto a causa di una malattia ignota. Finora è l’unico caso ma sarebbe ideale se ci muovessimo rapidamente verso un punto più civilizzato.-, disse l’apotecario, rispondendo alla tacita domanda del suo amico. Antheus aveva servito come Centurione nella Legione a cui Fabius era affiliato ed aveva guadagnato il suo ruolo di consigliere grazie all’acume politico.
Erano fermi in quella maledetta desertica steppa da giorni, e solo Actio Rubro pareva trattenerli là. Fabius si sciacquò le mani in una bacinella di ottone piena di acqua e sale.
-Invero, devo suppore che l’Imperator non abbia decretato il nostro immediato partire verso luoghi più salubri, vero?-, chiese Fabius. Antheus sospirò. Si sedette. I servi portarono del vino raffreddato tramite urne frigidare, tecnologia antica della perduta Licanes e si eclissarono.
-Invero no, o Apotecario! Pare che rimarremo qui per altri tre giorni.-, rispose il Consigliere.
-Ah, i vaneggiamenti dell’Imperator ci porteranno alla rovina! Viviamo in tempi folli.-, sospirò Fabius. Non aveva toccato il proprio vino. Antheus prese un sorso. Ottimo vino, pensò.
-Folli… o propizi per coloro che sapranno avvantaggiarsene, amico mio!-, disse Antheus.
-Perché credo che tu abbia qualcosa in mente?-, chiese l’apotecario mentre suggeva un altro sorso. L’altro sorrise diabolicamente, versandosi altro vino.
-Diciamo che da quando è entrato nel santuario vaneggia che parla con gli Dei e cose del genere. Penso che gli abbiano detto qualcosa di questo tipo, e ora si diverte a giocare a fare il semideo con istruzioni criptiche e vaneggiamenti vari.-, rispose il consigliere.
-Uhm, davvero deludente che un uomo come lui si sia fatto deviare da quei sacerdoti.-, mormorò Fabius Bilas, -D’altronde era già strano prima. Quando elesse il suo cane a Tribuno per esempio, o quando fece uccidere sua moglie sostenendo che gli fosse stata infedele solo per adempiere alla profezia dettagli dal suo augure personale che gli predisse un lungo regno se avesse sacrificato quella donna che non gli aveva fatto nulla di male e che lo venerava!-.
-Non fu certo l’unico caso, Fabius. Quello stesso augure fu messo a morte due giorni dopo, quando la Legione di Bemio Cadmilus rifiutò di unirsi a noi come invece egli aveva assicurato avrebbe fatto.-, gli ricordò Antheus, -E ritengo sia inutile citare  l’uccisione di Nimeo Crublo, sommo poeta, ucciso solo perché a detta di Rubro, le sue terzine scontentavano Liricius, sommo dio dell’arte… Quello fu un giorno funesto per tutto l’Impero, la perdita di un genio.-.
-Già. Comunque, stavi dicendo che avevi un piano, dico bene?-, chiese l’Apotecario.
-Puoi scommetterci. Un piano che richiederà la collaborazione di quella giovane appena uscita.-, rispose il consigliere con un sogghigno.
-Mayra? È… o meglio era l’amante di uno dei nostri legionari.-, disse Fabius.
-Credo proprio che lei possa fare al caso nostro. Dici che accetterebbe?-, chiese Antheus.
-Se la paghiamo bene farà qualunque cosa, ritengo.-, si limitò a rispondere il medico.
-La carica di governatrice di Chartagi e tutto ciò che comporta dovrebbe bastare.-, decretò l’altro mentre terminava il bicchiere di vino. La brocca era ormai vuota.
-La faccio chiamare.-, disse Fabius Bilas con un sorriso perfido. Si alzò.

 

-Mio signore?-, la voce filtrò attraverso la quiete del vespro. Actio Rubro aprì gli occhi. Il suo magister cubicularium, attendente alle imperiali necessità, carica da lui istituita alla sua nomina di Imperator, lo fissava da inginocchiato. Lui si scosse.
-Marcellus, dimmi.-, disse. Il giovane annuì, chinando il capo con deferenza.
-Un dono, mio signore. Da Antheus.-, disse.
-Cos’è?-, chiese l’Imperator con un sorriso indulgente. Il magister batté le mani.
Dall’entrata entrò una stupenda creatura dalla pelle eburnea, gli occhi bistrati dal trucco e i capelli lunghi e sciolti sino alle reni, organizzati in treccine graziose.

Quello stupendo esemplare di femmina era avvolta da una veste tipica dei Numidi, sottile e semitrasparente. A quella vista, Actio Rubro sorrise.
-Invero, il mio Consigliere è in grado di scovare veri gioielli finanche in questo sfintere che è la Numisia…-, mormorò con un ghigno. Si rivolse a Marcellus.
-Portala nelle mie stanze. Che sia lavata, depilata e preparata per me.-, ordinò.
-Mio signore, sarà un onore compiacerti in tutto ciò che ordinerai.-, disse la giovane, inchinandosi alla maniera dei Numisei. L’Imperator rise osservando i seni grossi ciondolare appena. L’eccitazione stava montando. La voleva. Ma avrebbe dovuto attendere qualche istante. Prese un sorso di vino. I servitori si avvicinarono alla giovane per scortarla verso il balineum dove le ancelle l’avrebbero preparata per l’Imperator.
-Sono certo che mi compiacerai altamente, o leggiadra bellezza!-, esclamò.

Antheus sorrise. Aveva assistito dall’ingresso al breve scambio.
La debolezza dell’Imperator era quella, ed era la debolezza di quasi tutti gli uomini: le donne.
Non importa quanto uno è incorruttibile: una donna è sempre, sempre e assolutamente una calamita per l’attenzione del maschio. Antheus sfuggiva a quell’intero discorso per il suo essere bisessuale, Fabius invece pareva quasi indifferente al sesso se non apertamente frigido.
-L’ha presa?-, chiese l’Apotecario. Il Consigliere annuì.
-Presto sapremo se la follia dell’Imperator è genetica o meno, e se lo è, Mayra saprà dirigerla in modo da consegnare il potere nelle nostre mani.-, mormorò Fabius Bilas.
-Sempre che Rubro non sospetti.-, disse Antheus.
-Non accadrà: è accecato dalla sua presunta divinità. Non rischiamo nulla. E anche in quel caso, avrei pronto un piano B.-, rispose Bilas.
-Che piano? Non me ne hai mai parlato…-, s’insospettì il consigliere.
-No. Ovviamente. Ma non temere: prevedo che non sarà necessario. Almeno spero.-, si limitò a dire Fabius con un sorriso affabile. Antheus si ripromise di indagare. Non gli andava che l’Apotecario lo tenesse all’oscuro. E meno che mai gradiva quel ghigno sadico che ultimamente vedeva sul viso del medico. Era il ghigno tipico di uomini malati, pazzi.
-Sono certo che non servirà.-, disse infine mentre silenziosamente si chiedeva quale diavolo potesse essere quel piano secondario.

 

Quel dono era certamente degno di un re: Actio lo comprese appena, liberatisi della presenza di servi e consiglieri, lui e la giovane ebbero modo di conoscersi meglio.
La giovane, che l’Imperator ora sapeva chiamarsi Mayra era stata lavata, profumata e depilata.
Lo attendeva, nuda e statuaria, in piedi, dinnanzi al suo letto.
L’Imperator esitò un istante, rapito dalla meravigliosa bellezza che aveva davanti.
-Come posso compiacere il mio signore?-, chiese la giovane.
Actio Rubro sorrise. Aveva un paio d’idee. Alcune anche belle pesanti e molto piacevoli.

Si avvicinò lentamente alla giovane, rimirandone il fisico perfetto e scultoreo.
Lentamente, si avvicinò a lei sfiorandone il viso con la mano.
-Può esservi un’amante più adeguata al prediletto degli Dei?-, chiese in un mormorio l’uomo.
-Mi lusingate, mio signore.-, sussurrò Mayra. Le agili mani della giovane carezzarono il petto villoso di Rubro, eccitandolo ulteriormente, -Io sono solo un’umile serva…-, sussurrò lei.
-Eppure, nella tua umiltà, gli Dei miei signori hanno voluto donarti cotanta beltà…-, le mani dell’uomo le accarezzarono la schiena, le natiche. Strinse i glutei marmorei e sodi sino a strapparle un gemito. Lei gli tastò il membro attraverso la toga. Era già duro.
-Mio signore, quale virilità. Il dio del sesso è stato benevolo con voi.-, disse mentre lo masturbava piano. Rubro sorrise, stringendo il seno della giovane nella mano, ignorandone il gemito di dolore a causa della stretta. Fregandosene, Rubro sorrise mentre aiutava la giovane a levargli la toga. Nudo, si avvicinò sino a toccare il sesso della giovane con il suo membro.

Lei sorrise, gli occhi baluginanti di desiderio. Accarezzò il petto di Rubro, scendendo intanto in ginocchio, servilmente china, le labbra sfioranti il sesso di lui.
-Posso, mio signore?-, chiese Mayra. L’Imperator sorrise. Le spinse il capo contro il sesso.
Nessuno aveva magnificato le doti di quella giovane nel compiacere il sesso maschile oralmente, ma se lo avessero fatto, sarebbe comunque stata una pallida teoria al confronto del capolavoro di erotismo che Actio sentì essere dipinto sulle zone più sensibili del suo sesso dalle liquide pennellate di quella lingua serpentina e diabolica. Mayra lo guardava con uno sguardo capace di dannare un sacerdote, il membro dell’uomo immerso per due quarti nella sua bocca rovente. Il movimento del capo della nera bellezza era perfetto, come perfetti erano i tocchi sul membro dell’Imperator, sottili e delicati come il battito d’ali di una farfalla regina.
Actio le premette la mano contro il capo, forzandola a prendere in bocca un’altra porzione di carne pulsante. Mayra gorgogliò. Il glande dell’uomo ora le arrivava fin quasi in gola.
La giovane emise altri suoni gorgoglianti, cercando di mantenere il ritmo.
“È fantastica… Nessuna concubina ha mai potuto prenderlo tutto in bocca”, pensò Rubro.

 

Fabius Bilas osservò il suo esperimento. Lo chiamava così, un nome generico per qualcosa di devastante. Sapeva che nel passato dell’umanità armi del genere erano esistite ed erano state usate con effetti terribili. Erano armi non di metallo o di energia ma composte da qualcosa di peggio. Osservò con distacco gli effetti del composto su uno dei prigionieri, un ribelle della regione catturato tre giorni prima durante un agguato finito male.
L’uomo stava morendo in modo davvero orribile ma Bilas era avvezzo a simili spettacoli. Aveva militato nella Legione per troppo tempo per poter provare ancora emozioni umane davanti alla morte, per cruenta che fosse.
-Ora sono diventato morte. Distruttore d’imperi…-, sussurrò con un ghigno.
Lucius, il suo confidente e occasionale contatto per cose come quella si avvicinò. Era stato lui a procurargli il prigioniero, l’ultimo di una lunga serie.
La maschera sanitaria non riusciva a celare le cicatrici. Lucius aveva combattuto su più fronti, con enorme sprezzo del pericolo ed aveva ricevuto un grande numero di cicatrici su tutto il corpo. Era disinteressato alla vita sociale, evitava le occasioni ufficiali a meno che non gli fosse imposta presenza e passava quasi ogni istante libero ad esercitarsi con la spada. A buon titolo era un duellista fenomenale e un campione senza pari.
Non provava alcun rispetto per i valori della tradizione licanea, era spinto solo dal desiderio di eccellere nell’arte del duello. Lui e Fabius si erano trovati subito d’accordo. Riconoscendosi come simili, bestie rare.
-Così… è questo?-, chiese Lucius. I capelli corvini erano radi, tagliati molto corti, esponevano le cicatrici dovute agli innumerevoli scontri attraverso cui era passato.
-È questo, fratello.-, Fabius osservò l’uomo contorcersi, agonizzare e restare immobile.
Era accaduto tutto in un tempo brevissimo. Fabius fermò il cronometro
-Ventiquattro secondi dall’inalazione.-, disse, osservando la camera stagna sigillata in cui giaceva il corpo del morto, -Stupendo.-, mormorò.
-Mortalità?-, chiese Lucius, assolutamente impassibile dinnanzi a quella morte.
-Fin qui? Assoluta. Nessun’antidoto e un tempo di decorso troppo breve. Una volta che lo si è inalato…-, l’apotecario lasciò la frase in sospeso e sorrise.
-Dimmi, Bilas, perché lo fai?-, chiese Lucius.
-Tu perché duelli con tanto ardore?-, domandò di ritorno Fabius.
-Perché è tutto ciò mi fa sentire vivo.-, replicò il Centurione sfregiato. L’apotecario sorrise.
-Vedi, Lucius, se un uomo passasse la sua intera vita a fare del bene, entrambi sappiamo che morirebbe dimenticato dai benefattori della sua opera, ma se un uomo è in grado di sterminare moltitudini e affossare imperi, il suo nome risuonerà nei millenni.-, mormorò.
-Coloro che ridussero il nostro mondo a ciò che è ora non sono né temuti né ricordati.-, ribatté Lucius, apparentemente non convinto della risposta. Fabius si tolse la maschera. La gettò in un cesto.

-No, è vero. Nessuno ricorda i loro nomi. Ma è altrettanto vero che nessuno può negarne l’operato, o dimenticarne l’esistenza. Tutto il nostro mondo è mero memento al loro passaggio su questa terra che lasciarono martoriata. Sii lieto, Lucius.-, il ghigno folle di Fabius riapparve, -A breve anche noi assurgeremo a un simile rango.-.

-Cosa vuoi dire?-, chiese il Centurione, curioso suo malgrado.
-Il nostro Imperator é… Strano. Forse persino folle. Potrebbe servire una correzione di rotta. Immagina questo gas usato su un esercito. Vinceremmo senza sparare un colpo.-, spiegò Fabius, -È l’arma risolutiva, il grande distruttore, asservito alla mia volontà.-.
-Quanto ne hai?-, chiese Lucius. L’espressione di Bilas cambiò.
-Poco, meno di quanto tu creda. Ma posso crearne altro. E se Actio Rubro dovesse dimostrarsi inadeguato, troverò qualcun altro a cui farne dono. Immagina: intere Legioni annichilite, province ridotte a cimiteri di corpi insepolti. Basterebbe la sola minaccia di quest’arma a piegare interi regni…-, gli occhi di Fabius ora parevano rilucere di una felicità folle.
-E tu intendi donarla a qualcuno? Chi? Septimo? Aristarda? O quell’altro pretendente?-, chiese Lucius, -E cosa chiederesti in cambio?-.
-Che nessuno dimentichi mai il mio nome.-, mormorò Bilas. Controllò il cronometro.
-Il composto dovrebbe essersi dissolto. Manda gli schiavi. Bruciate tutto.-, disse.
Uscì dalla struttura che avevano approntato fuori dal campo principale, a notevole distanza da esso. Quel complesso era stato edificato solo per quegli esperimenti e piazzato sulle rovine di un antico luogo di sepoltura locale. Inspirò l’aria della notte ed espirò.
Nessuno l’avrebbe mai dimenticato. Mai. Avrebbe inciso la sua opera nella carne del mondo, rimodellato la storia con la sua creazione. Pensò che ci sarebbe voluto un nome…

 

L’Imperator sorrise. Permise a Mayra di fare una pausa. La giovane si tolse di bocca il membro dell’uomo, ricoperto di saliva e fece un paio di respiri profondi.
-Mio signore, anelo a sentirvi dentro…-, sussurrò. Si chinò sul letto esponendo la vulva e le natiche al ludibrio del sovrano.
-Torna a succhiarlo, ragazza. Oggi consacrerò la tua spoglia mortale al mio piacere riempendoti di me.-, ordinò perentorio lui. Lei sorrise.
-Grazie, mio signore! Grazie!-, esclamò. Si chinò e lo riprese in bocca.
Actio non durò a lungo: la bravura della ragazza fu eccessiva. Il suo primo schizzo di sperma fiottò nella bocca della nera, che ingoiò. L’uomo estrasse il pene in tempo perché il secondo e il terzo schizzo cogliessero la giovane in faccia e sul collo, impiastricciandole i capelli.
-Vai a lavarti, mia nuova favorita.-, ordinò Rubro. Si sentiva la testa vuota e in pace.
Per ora, almeno. Già sapeva che non sarebbe durato molto. Ma sarebbe bastato.
Gli Dei gli avrebbero parlato ancora.

 

A Mayra fu destinato un alloggi degno di una regina. La giovane si lavò, maledicendo l’Imperator per la sua brutalità. A momenti l’avrebbe soffocata.
Ma poco importava: ora era nelle sue grazie. La prima parte del piano di Fabius e di Antheus era compiuta. Ora doveva solo capire se l’Imperator fosse effettivamente pazzo oppure no.
Ed attendere ordini. Sorrise: in fin dei conti era un lavoro ben migliore di quello cui sarebbe stata destinata presso la sua gente. E le avrebbe permesso di svolgere il suo vero incarico…
Finì di lavarsi e prese a sfiorarsi, dandosi rapidamente quel piacere che Actio Rubro le aveva voluto negare. 
Penetrandosi con le dita godette ripensando per un istante al suo amato morto.

Poi si addormentò, il suo ultimo pensiero fu che il passato forse alla fine non lo era mai davvero. Lei aveva ancora un incarico. L’avrebbe assolto.

 

Actio Rubro sorrise. Osservò il sacerdote terminare il sacrificio propiziatorio.
-Ebbene? Cosa dicono gli Dei?-, chiese.
-Nulla che tu non sappia già, mio signore. Essi ti sono favorevoli. Vedo una vittoria.-, disse il vecchio incartapecorito indovino. Actio sorrise benevolente. Certo: non poteva essere altrimenti. Lui era il figlio prediletto delle divinità reggenti il mondo!
D’un tratto lo vide. Un legionario a cavallo. Riconobbe un membro degli Expeditii, ricognitori e cavalieri veloci e armati in modo leggero, adatti all’esplorazione e alla pattuglia.
-Mio signore! Truppe nemiche su Medreas! Una flotta. Pare che il Legato Trubitio Sixto abbia scelto di non rispettare gli accordi presi! Hanno massacrato i marinai della Flotta Lictia!-, esclamò. Rubro non dissimulò la propria rabbia: erano pessime nuove.
Con la Flotta in mano a un alleato tramutatosi in nemico, Rubro e le sue forze erano bloccati in Numisia. Avrebbero certamente potuto cercare di riprendere il porto con la forza ma al nemico sarebbe bastato salpare e avrebbero inchiodato l’Imperator e i suoi uomini in quella provincia torrida dimenticata dagli Dei.
-Mio signore, cosa facciamo?-, chiese il messo. Actio non rispose. Ponderava gli auguri.
Una vittoria… E se fosse stata quella? Si volse verso il messo e verso i suoi consiglieri.
-Date ordine alle truppe di prepararsi: marceremo su Medreas e ci riprenderemo la flotta. Un nostro messo andrà a parlare con Tributio Sixto, cercando di evitare lo scontro.-, disse.
-E se rifiuterà, mio signore?-, chiese Antheus. Lo sguardo di Actio non vacillò.
-Lo annienteremo.-, rispose, -Dandogli una lezione che l’Impero intero non potrà mai, mai più dimenticare!-.

 

Le notizie furono accolte con un certo buonumore dalla truppa: finalmente si sarebbero mossi da quel luogo inospitale, tornando verso la civiltà! Tuttavia, nessuno si faceva illusioni: tornavano verso di essa per combattere e per vincere.
Antheus notò tuttavia che le tre legioni di Rubro e le coorti di auxilia numisiani avrebbero facilmente sopraffatto qualunque forza nemica, a meno che Tributio Sixto non avesse un’idea che escludesse lo scontro diretto. La domanda gli si piantò in testa come un tarlo.
Cosa pianificava quel traditore? L’unica mossa che poteva fare era proprio quella: lasciare le truppe di Rubro in Numisia, impedendo loro di raggiungere altri territori. E privi dei mezzi aerei persi in una battaglia precedente, Actio e i suoi uomini sarebbero stati costretti ad assecondare qualunque condizione posta da parte di Tributio.
Il che poteva ovviamente essere un bel problema: Tributio era un arrivista, un generale da tavolino, un ricattatore, indegno del suo lignaggio. Avrebbe potuto richiedere di tutto.
E ottenerlo.
A meno che, Antheus ponderò, valutò con attenzione quella considerazione mentre prendeva forma, Tributio non fosse stato completamente ignaro dell’esistenza dell’arma creata da Fabius. Bilas aveva deciso, aveva decretato con la sua scoperta e il suo lavoro l’inizio della fine, Antheus ne era certo. Si sentì rabbrividire nel caldo torrido della giornata mentre realizzava quella verità. In realtà, Antheus non ne sapeva molto ma aveva i suoi informatori.
Sapeva a sufficienza, abbastanza da essere orripilato.
L’invenzione di Fabius non era sicuramente una prima mondiale nella storia dei conflitti tra nazioni: lui sapeva bene che in passato, un passato ben più remoto di Licanes e della guerra contro i Cimanei, gli uomini avevano usato armi simili contro altri uomini. Forse su intere nazioni. Forse, pensava Antheus, erano state armi come quelle a ridurre il mondo com’era, e se anche non fosse stato così, di certo armamenti simili avevano grandemente contribuito.
E ora, Fabius Bilas aveva nuovamente aperto quel vaso di Pandora, quell’urna piena di orrori.
La guerra per come l’Impero l’aveva conosciuta e concepita sin dalla sua fondazione sarebbe svanita. Uomini, cavalcature e macchine sarebbero stati rimpiazzati da quella sostanza.
E Bilas, il genio scriteriato, l’esegeta della conoscenza della strage, avrebbe vinto.

Il suo nome sarebbe diventato leggenda, se qualcuno fosse rimasto a ricordarlo.
In caso contrario, solo rovine e deserto ne avrebbero testimoniato l’operato.
Antheus si accorse di qualcosa. Bagnato. Dispersione umida sullo zigomo.
Lacrime? Forse… Per cosa? Per l’Impero? Per sé? Per la razza umana?
Non seppe darsi risposta. Quando l’esercito piazzò il campo poco fuori Medreas ancora non aveva trovato risposta. Ma sapeva, sentiva, che presto la catastrofe e l’orrore avrebbero travolto il mondo, anche a causa sua.

 

Actio Rubro osservò Mayra. La giovane danzava nuda, i veli tipici della Numisia la avvolgevano e la scoprivano al mutare dei movimenti. Uno spettacolo di un erotismo devastante. La giovane aveva già soddisfatto grandemente l’Imperator ma Actio non ne aveva ancora abbastanza e la sensualità della nera era a dir poco esplosiva.
La danza proseguiva, allietata dalla musica suonata da un gruppo di musicanti di eccelsa levatura che Actio Rubro aveva preso al suo servizio da ben prima del suo arrivo in Numisia.
Aveva sempre avuto una certa passione per la buona musica.
La giovane terminò la danza con un gesto aggraziato e un ancheggiare che avrebbe dannato un sacerdote. Rubro sorrise. Fece cenno ai musici di lasciare la tenda.
-Mio signore… Volete che io vi compiaccia?-, chiese la nera con un sorriso.
-Assolutamente…-, sussurrò lui. Lei s’inginocchiò davanti a lui, seduto sul triclino.
-Lasciate che vi veneri, mio signore e prediletto degli Dei.-, mormorò prima di estrarne il membro delle pieghe della toga e prenderne in bocca i tre quarti.
Actio sussultò. Ancora non era abituato alla rapidità con cui Mayra riusciva a fagocitare il suo membro non esattamente di modeste dimensioni. Persino le professioniste del piacere che accompagnavano la sua spedizione spesso avevano avuto problemi o esitazioni. Cosa che alla giovane non era mai successa. Lavorando piano di lingua e labbra, la nera rischiò di farlo venire. Actio la fermò. Non voleva godere così. Non subito.
La giovane comprese. Sorrise complice all’Imperator. Si distese sul letto, sublimemente impudica, offerta volontaria al prediletto degli Dei.
Il rosa della vulva si sposava meravigliosamente con la carnagione eburnea, creando un contrasto che eccitò ulteriormente Actio Rubro. L’uomo accarezzò quel piacevole petalo.
Mayra gemette, piano, lascivamente, a occhi socchiusi. Lentamente, iniziò a godere.
Godimento che fu brutalmente interrotto quando le dita tozze dell’imperator la penetrarono con forza, sino alla nocca. Mayra gemette di nuovo, di dolore. Ebbe il buonsenso di non lamentarsi. Actio continuò a pompare, invadendo l’intimità della giovane con un altro dito, per un totale di tre. Mayra si morse il labbro. Actio affondò, dilatò, esplorò, sondò e infine, ritenendosi soddisfatto, ritrasse le dita. Leccò i polpastrelli umidi del piacere della giovane, assaporandone il sapore. Sorrise.
-La tua serva ti soddisfa, mio signore?-, chiese la nera con un sorriso. Lui ghignò.
-Lo farai molto di più, ora.-, disse lui. Mayra sorrise di nuovo.
Senza preavviso, Actio la penetrò. I gemiti di Mayra divennero più profondi. L’Imperator trovò il ritmo, affondando e ritirandosi, ancora e ancora, invadendo a più riprese la carne della giovane. Durò poco: già ampiamente eccitato dal pompino di poco prima, Actio fu incapace di controllarsi e, uscito dalla nera per non rischiare di avere un erede non desiderato, le eiaculò addosso chiazzandole di bianco lo stomaco e il petto.
-Mio signore, siete sempre così virile…-, sussurrò lei. Lui le annuì e, improvvisamente seccato, le ordinò di andarsene. Ora doveva restare solo, ascoltare.
Gli Dei gli avrebbero parlato.

 

Mayra si ritirò nei suoi alloggi. Le ancelle la lavarono. La giovane tuttavia sentiva ancora male.
L’Imperator era stato brutale. La vulva le doleva. Cercò tra le sue cose un vasetto di terracotta. All’interno vi era una pasta verdastra, odorosa. Era un balsamo che le donne usavano quando gli uomini erano troppo virili o violenti. Un’usanza del suo popolo da molto tempo.
Lo applicò e, dopo aver consumato una cena frugale, si assopì.

 

Fu l’indomani che arrivarono in vista di Medreas. La città era cinta da spesse mura e le forze traditrici vi erano arroccate. I civili, patteggianti per Sixto, avevano accompagnato i militi sulle murate. Secondo di canoni di guerra, il legato traditore inviò un messaggero, Burnilia Keres, sacerdotessa del Tempio di Alma, Dea della Purezza.
Actio Rubro la ricevette con gli onori dovuti. Burnilla iniziò a perorare la sua causa nell’antica lingua di Licanes, una forma cerimoniale che inorgoglì Actio. L’Imperator sorrise: al figlio prediletto del Cielo si confaceva tale e tanta bellezza.
-Il mio scopo è trovare un accordo affinché non sia sparso altro sangue, affinché non vi sia altra morte. La Dea lo chiede, o sommo condottiero.-, esordì Burnilla.
-Comprendo bene la tua missione. Mi addolorerebbe la morte di altri nobili cittadini del nostro Impero ormai da tempo sofferente.-, disse Actio. Semi-sdraiato sul triclino, piluccava piano il piatto che aveva dinnanzi. La sacerdotessa non aveva preso nulla per sé. Solo un bicchiere d’acqua, accettato con la gratitudine degli assetati.
-Comprendete dunque, o augusteo comandante, che non vi è motivo di ulteriori atrocità.-, Burnilla si concesse di fissarlo negli occhi, -Esse indebolirebbero solo il nostro Impero.-.
-Così sarebbe. Invero, piangerei a dover spargere altro sangue fraterno. Ma piangerei ben di più se Sixto perseverasse nel suo tradire. Ti prego di riferirgli che avrà la prossima giornata per sottomettersi. In caso contrario, farò sì che egli provi la collera degli Dei.-, disse Actio.
Non guardava neppure la sacerdotessa. Mangiava frantumando bocconi con le voraci mascelle. Ingollò una sorsata di vino freddo.
-Mio signore…-, iniziò Burnilla, sorpresa e inorridita a quella frase.
-Riferisci il mio messaggio, Sacerdotessa. Fallo con la mia benedizione e la benedizione degli Dei di cui io sono araldo prediletto.-, disse l’Imperator.
-Questa è follia! Blasfema follia!-, esclamò Burnilla.
-Tanta miopia da parte di una servitrice degli Dei mi intristisce. Possa tu tosto recuperare il senno. Riferisci il mio messaggio.-, ribadì l’Imperator mentre attaccava una scodella di dolci alle mele con una salsa agrodolce importata dai territori interni delle Isole Orientali, ancora non assoggettate. Ignorò l’uscita di Burnilla. Sapeva bene cosa sarebbe accaduto.
Chiamò un servo.
-Chiama Bilas.-, disse.

 

Assistendo celata dalle pareti della tenda al dialogo tra l’Imperator e l’emissaria, Mayra capì.
Sapeva cosa sarebbe accaduto. Sarebbe stato terribile. Doveva impedirlo. O almeno, impedire che accadesse ancora. Ma come? Non sapeva neppure a cosa si riferisse l’Imperator.
La collera degli Dei? Davvero quell’uomo disgustosamente arrogante e superbo poteva avere il loro benestare? Mayra ne dubitava notevolmente. Ma aveva visto gli invasori della sua terra usare molte armi e strumenti che non conosceva. Forse ce n’era una nuova. Conosciuta solo a pochi? E chi ne poteva sapere qualcosa? E cos’era quell’arma? Qualcosa di così terribile da non poter essere usato prima? Sì, era possibile. Forse per paura di non riuscire a controllarlo! La mente della giovane macinava pensieri a tutto spiano senza trovare soluzione.
Doveva chiedere aiuto, ma a chi?
Fabius Bilas non era un’opzione: era palesemente privo di interesse in qualunque cosa a lei nota, donne o uomini inclusi, oltre a essere presumibilmente intento in qualche esperimento. Tutto ciò che gli premeva era la conoscenza e lei non poteva offrirgliene. Ma l’altro, il consigliere dell’Imperator, Antheus. Lui avrebbe potuto ascoltare, forse anche capire. Doveva provare. Decise. Avrebbe dovuto parlargliene nottetempo.

Doveva correre quel rischio. Per la sua terra e per evitare una catastrofe immane.

 

La sera calò. Antheus si diresse nella sua tenda, dopo essersi sincerato che i suoi uomini fossero ben rifocillati e pronti al sicuramente cruento indomani. Già sapeva che Tributio Sixto non si sarebbe piegato e il pensiero nuovamente corse all’arma di Bilas, a quel flagello orribile.
Sarebbe stato con quello che Actio avrebbe arrecato l’annientamento promesso ai traditori?
Scostò il lembo della tenda ed entrò. A differenza di molte altre, la sua tenda era spartana sin quasi all’eccesso. Nessun ricordo dei genitori, ferventi seguaci di Aristarda Nera.
Non c’era neanche un memento alla giovane moglie, morta di parto insieme al suo primo figlio appena prima che lui partisse verso le province della Numisia.
Solo il mero ricordo, bastava quello. Nella tenda c’erano solo le cose essenziali. Corazza, armi, cibo, un po’ di vino, un diario in cui annotava alcuni eventi. Nulla di più.
Il letto era una branda militare essenziale e facilmente trasportabile, tipica delle truppe licanee. Una vista comune nei campi militari. In realtà indispensabile e normalissima.
Ciò che non era né normale né tantomeno comune era la ragazza seduta su di essa.
-Che ci fai qui?-, chiese l’uomo, sorpreso e irritato da quell’intrusione e dalla possibilità che i suoi piani fossero stati messi a rischio. L’alleanza con Bilas scricchiolava e quella giovane era il suo solo possibile asso nella manica. Mayra lo fissò senza soggezione alcuna.
-Dobbiamo parlare.-, disse. Nessuna paura, solo l’urgenza, assoluta, soverchiante a permeare la sua voce. Antheus sospirò fissandola. Prese il vino e si versò un calice di nettare. Bevve.
-Di che dovremmo parlare?-, chiese senza staccare lo sguardo da Mayra, -Il tuo compito era chiaro, mi pare…-. La nera continuava a fissarlo con uno sguardo penetrante.
-Il compito è ancora chiaro, chiarissimo.-, rispose lei, -Quello che non mi è chiaro è come prenderai quello che ti dirò. Ci sono novità. Nuove tutt’altro che piacevoli e credo che tu già le conosca.-. La temperatura nella tenda parve calare, calare vertiginosamente.
-Parli del colloquio dell’Imperator con quella donna? L’ambasceria di Sixto è fallita.-, Antheus versò un secondo calice, prendendo appena un sorso, -E domani l’Imperator attaccherà.-.
-Sì. Con qualcosa che forse non dovrebbe esistere.-, disse Mayra. Antheus sentì il vino andargli di traverso, forzandolo a tossire, rovesciando il calice.
-Come lo sai?-, chiese appena ne fu in grado. La giovane donna sorrise in modo furbo e cattivo.
-Io lo so perché non sono la stupida sprovveduta che credi.-, disse, -Bilas ha  qualcosa, un’arma di qualche tipo, un mezzo di sterminio che non ha pari a questo mondo.-.
-Lo sai, o lo credi?-, chiese Antheus.
-Ha importanza? Stai reagendo con troppa calma. Tu sai che quell’arma esiste.-, ribatté Mayra, -E sai che se Bilas la userà qui e oggi, la nostra storia cambierà. Per sempre.-.
-Cosa mi stai chiedendo?-, chiese il consigliere dell’Imperator. Posò il calice. Basta col vino.
-Di aiutarmi. Sicuramente capisci che quello che sta per succedere è terribile.-, rispose lei.
-Ne sai parecchio, vedo.-, osservò l’uomo. Mayra parve esitare poi sospirò.
-La Numisia rifugge il dominio di voi Licanei. Ma penso che dobbiamo accettare la verità: l’arma di Bilas è una minaccia, per tutti noi.-, ammise, -Io non sopporto la vostra occupazione. Ho amato uno di voi per necessità, per conoscere. E ora ho adottato il ruolo di cortigiana dell’Imperator per mera sopravvivenza. Ma questo… quello che sta per accadere è mostruoso. Dimmi che non lo pensi. Dimmelo!-, la voce della giovane si era alzata sino a diventare quasi un grido. Antheus si prese il capo tra le mani.
-Mi stai chiedendo di tradire l’Impero e l’Imperator. Se distruggiamo l’arma di Bilas, Actio non otterrà mai la sua flotta. Se non la otterrà, non potrà lasciare la Numisia, ma neppure ricevere rinforzi per tenerla. E se la perde, l’Impero perde terreno. Ma se l’arma di Bilas dovesse essere usata…-, il pensiero di una landa desolata di corpi insepolti e inutili armi affondate nella sabbia attraversò la mente del Consigliere Primus. L’arma di cui Bilas non gli aveva parlato…
-Ti sto chiedendo di fare ciò che sai essere giusto. Come uomo.-, disse Mayra. Si avvicinò di un passo alzandosi, -Di fare qualcosa che nessuno saprà e che potrebbe potenzialmente uccidere sia me che te. Qualcosa che ti farà tradire il tuo Impero. Ma l’alternativa…-, lasciò la frase in sospeso, consapevole che non serviva continuare. Antheus annuì. Capiva.

Gli Dei, quali che fossero, sicuramente avrebbero giudicato le sue prossime azioni. Tradire la patria o la sua coscienza? Guardò quella giovane. Anche lei, in un certo senso, stava tradendo la sua patria. Se fosse stata fedele ad essa avrebbe rubato l’arma, usandola per i propri fini.
Ma non l’aveva fatto. Era lì, a parlare con lui, rivelando chi era e cosa intendeva fare.
Si era fidata. E questo valeva qualcosa, poco ma sicuro, almeno per Antheus.
-Perché stai chiedendo a me? Se veramente sei una spia per i tuoi potresti comodamente rivolgerti a loro.-, inquisì lui, più curioso che ostile.
-Non è possibile. Non arriveranno in tempo. Se Actio userà quest’arma nessuno potrà più ignorarne l’esistenza.-, Mayra gli strinse un braccio, -Tutti vorranno quest’arma, o ne inventeranno altre, che saranno altrettanto terribili.-.

-L’intero mondo ne pagherà il prezzo. Già. Ma come facciamo? Solo Fabius Bilas potrebbe aver prodotto un’atrocità simile, ma non so dove possa essere situata.-, ammise Antheus.
Il silenzio li avvolse.
Il Consigliere e la giovane rimasero immobili, ognuno immerso nei propri pensieri.
-Sicuramente non la situerebbe nel campo…-, rifletté ad alta voce Antheus.
-No, è chiaro. Ma dovrà trasportarla…-, rispose Mayra. Il consigliere annuì.
E un trasporto del genere sarebbe stato inevitabilmente notato. Doveva informarsi. Ma se l’arma era già nel campo…
-Se l’arma è già tra noi…-, iniziò.
-…Allora potremmo morire. Ma se la scatenassimo qui, tra le truppe di Rubro, nessuno verrebbe a indagare, no?-, chiese la nera. Antheus sospirò. Si accorse di avere paura.
Non di morire, no, ma di ciò che sarebbe accaduto. L’intero esercito di Actio sarebbe stato annientato dall’interno. Sarebbero morti centinaia, migliaia di leali soldati, Romani di licaneo lignaggio, uccisi da un’arma contraria a ogni codice d’onore, per mano sua.
Eppure…
Eppure l’alternativa era lasciare che Actio usasse l’arma e inaugurasse una nuova era di devastazione per tutti loro. Strinse i pugni. Come dovevano essere inquieti gli spiriti degli avi!
Come dovevano patire coloro che, giunti a Roma insieme a Janus dopo tante traversie, nello scoprire quanto in basso erano caduti i loro discendenti!
-Dovresti andartene. Se ci scoprissero potremmo passare dei guai.-, disse. Si accorse di quanto fosse bella quella giovane, bella e condannata, come lui.
-Siamo già nei guai. A questo punto tanto vale prendere quel che c’è di bello finché ancora ci è dato farlo, no?-, chiese Mayra con un sorriso mesto ma illuminato da qualcosa.
L’uomo si limitò ad annuire. Non aveva torto. Che cosa poteva mai accadere? Avevano deciso e la loro scelta era definitiva e assoluta. Si avvicinò di un altro passo, la giovane era bellissima.
Si guardarono per un lungo istante. Antheus sentì il desiderio pervaderlo.
-Se questa è la nostra ultima notte…-, disse.
-… che sia stupenda.-, sussurrò lei. Le loro labbra si baciarono, incerte ma decise, un suggello alla loro unione, un momento di tregua prima di un atto doloroso e necessario.
Le mani volarono sui corpi, indugiarono, scoprirono, spogliarono. Mayra fremeva di desiderio, all’unisono con Antheus. Mai, mai il consigliere aveva provato una simile brama. E mai più, lo sapeva, l’avrebbe potuta provare. Andava bene. Si ritrovarono nudi, a baciarsi, accarezzarsi, la pelle bruna di lei che incontrava il bianco di quella di lui, sussurrando frasi insensate, esplorandosi con ogni senso e poi distesi sulla branda. La giovane montò a cavalcioni di Antheus, imponendogli di vezzeggiarla oralmente, ordine che lui fu più che lieto di soddisfare.
Nel mentre, lei gli donò piacere con quella bocca e quella lingua tanto abili, prima di cambiare posizione e impalarsi su di lui, cavalcandolo piano, lasciandolo affondare dentro di sé per poi farlo uscire di nuovo, in un andirivieni lentissimo, straziante e meraviglioso.

Per un istante, uno solo, Antheus sentì di essere l’ultimo rimasto, l’ultimo uomo sulla terra.
Mayra lo baciò, le lingue s’incrociarono, cercarono, trovarono e persero. La giovane aumentò il ritmo, gemendo con lui. Il consigliere si scoprì a desiderare che non finisse, mai.
La nera si tolse da lui e si sdraiò al suo posto, baciandola, Antheus la penetrò, affondando nuovamente nella sua rovente intimità. I baci divennero frenetici, le parole di lei, nella sua lingua natia, parevano versi animali, capaci di comunicare in modo ancestrale con l’animo dell’uomo. Il consigliere si sentì prossimo a esplodere. Percependolo, Mayra si avvinghiò a lui con le gambe, baciandolo e mordendogli piano il collo. Infine, Antheus esplose nella giovane, stringendola mentre lei lo stringeva, come a volersi fondere in un solo essere. Giacquero immobili, ad assaporare quell’unico istante di pace, per un periodo che non seppero quantificare prima di rialzarsi. Mayra sorrise.
-È stato bello. Ora prepariamoci. Domani dovremo agire. Io ho bisogno di un’arma.-, disse.
Antheus le allungò un pugnale. Notò il suo seme che gocciolava dalla vulva della giovane.
-È stato bello.-, disse, -Ed è stato un degno commiato alla vita. Ora…-, la sua voce si abbassò appena mentre la abbracciava e le sussurrava come avrebbero potuto agire a seconda dei vari scenari. Mayra ascoltò e basta. Capì. Annuì. In breve tempo finirono il loro colloquio. La giovane uscì con felina agilità dalla tenda.

 

Mayra tornò alla sua tenda. Si distese a letto. Domani avrebbe dovuto compiere l’estremo sacrificio, per il suo popolo. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo che sarebbe potuta finire così.
Andava bene: la Numisia sarebbe rimasta libera dal giogo romano. Quella era la sua missione.
Si addormentò pensando all’amplesso con Antheus con un sorriso.

 

Quieto, Actio Rubro era disteso a letto. Non aveva voluto la compagnia di Mayra, bramando anzi di sentire ancora la voce degli Dei. Ed essi gli parlavano. Parlavano di giusta punizione al tradimento, di legittima e terribile punizione. E decretavano che lui, lui solo, avrebbe potuto punire i miscredenti e gli infami traditori che avevano osato con i loro atti lordare l’anima dell’Impero. Actio sorrise nel buio, amico sincero della propria follia.
Sì! Lui soltanto poteva purgare quell’Impero malato dai morbi! Lui solo poteva governarlo!
Lui, e nessun altro. E se non avrebbe potuto redimere le genti dell’Impero, allora le avrebbe cancellate. Sorrise prima di addormentarsi.

 

L’indomani il cielo era stranamente nuvolo. Actio dispose l’esercito davanti alla città in rivolta e ordinò di prepararsi ad avanzare dopo il bombardamento.
Le truppe obbedirono, schierandosi. Secondo le tradizioni militari, i soldati innalzarono le loro preghiere al Dio della Guerra e invocarono la Dea Madre per una pronta vittoria.
Parimenti, tutti loro sapevano bene che anche i cittadini e i soldati ribelli di Sixto stavano facendo lo stesso. Le offerte d’incenso e preghiere s’innalzavano con pari fervore.
Chi avrebbero favorito gli Dei? Più di un soldato, in ambo gli schieramenti se lo chiese.
Se si fosse trattato dei barbari, se uno degli schieramenti fosse stato composto da selvagge tribù incivili, il verdetto sarebbe stato chiaro. La storia dell’Impero lo aveva dimostrato: il Dio della Guerra combatteva al fianco delle legioni di Roma!
Ma al fianco di quale dei due condottieri si sarebbe schierato, ora?
L’interrogativo corrodeva gli animi. Cittadini e soldati, consiglieri e cortigiane, adepti e sacerdoti, tutti erano contaminati dal dubbio che si spandeva come un morbo, muto e senza dar segno alcuna di presenza, se non nell’inquietudine generale, invisibile ma presente e pesantissima. Era un dubbio che scuoteva le fondamenta stesse del loro essere, che erodeva l’altrimenti immutabile consapevolezza della superiorità di Roma su qualunque avversario.
Semplicemente, nessuno mai, avrebbe potuto immaginare questo. Romani contro Romani.
Eredi di Licanes contro Eredi di Licanes. Un conflitto fratricida, un baratro d’odio in cui affogare i valori che furono, l’alba di una nuova, sanguinosa era. In modo o nell’altro.

Fabius Bilas sorrise: tutto ciò non lo riguardava che marginalmente. Il conflitto era secondario. Ciò che contava era la sua creazione. Assaporò il momento.
Respirò l’aria di quel mattino nuvolo, foriero di nuovi cambiamenti. Il suo sorriso divenne un ghigno folle che nessuno parve notare. Si avvicinò alle casse.
Là erano contenuti i proiettili. Ogive rotonde, sferiche. All’impatto avrebbero sprigionato il gas. E poi, il nome di Fabius Bilas sarebbe stato consegnato alla storia, alla leggenda.
Gioì del momento. Controllò le ogive, chino su di esse. I legionari a lui fedeli stazionavano attorno, vigili ma, tutto sommato, rilassati. Bilas terminò di controllare con pazienza certosina.

 

Actio Rubro sorrise. Svuotò il calice di vino osservando la città.
Poteva persino ammirare il coraggio degli insorti, degni figli degli eroi di Licanes, ma la sua ammirazione non avrebbe evitato loro l’orribile fine che gli aveva riservato. Bilas aveva garantito che l’arma era pronta e che quel momento sarebbe stato perfetto per vederla all’opera. Sixto e i suoi sostenitori sarebbero divenuti un esempio per tutti gli altri.
Ghignò. Notò Mayra. La giovane pareva annoiata, scostata dai consiglieri e dalle ancelle.
Actio era stato ben attento a non far trapelare voce alcuna dell’arma. Solo Bilas e i suoi servitori sapevano cosa realmente sarebbe accaduto. Tutti gli altri soldati non sapevano nulla.
E neppure Mayra poteva immaginare. Actio si chiese come avrebbe reagito. Avrebbe capito?
Avrebbe saputo apprezzare il suo divino potere?
L’attenzione di Actio tornò alla città. Dopo la vittoria avrebbe lasciato tutto immutato. Un monumento alla sua potenza. Sicuramente dopo un simile monito, persino Septimo Nero avrebbe dovuto piegarsi a lui.

-Altro vino, mio signore?-, chiese una delle ancelle. Actio neanche ricordava il suo nome. Annuì e il calice fu nuovamente pieno. Notò solo allora che Mayra si era mossa.

 

Il Pulvinar, palco edificato in legno riccamente abbellito e squisitamente lavorato, era ingombro di cortigiani, consiglieri, ancelle e di tutta questa gente, solo quattro guardie proteggevano l’incolumità di Actio Rubro. Mayra valutò il momento. Valutò come agire.
Vedeva, alla sua sinistra, le macchine d’assedio di Actio e quel maledetto bastardo di Bilas.
Tutti pronti alla strage. A meno che…
Notò Antheus. Lo vide appena per un istante. L’uomo si fece vedere di sua volontà. Sollevò un braccio. Era un cenno di saluto. Di addio. Mayra Tus annuì appena, un cenno impercettibile del capo, un suggello a un amore nato morto in nome di qualcosa di più grande. Quando guardò nuovamente verso il punto dove si era trovato il consigliere, questi era svanito.
La giovane prese a contare mentalmente. Secondo i suoi calcoli, tra dieci minuti avrebbe avuto tutta l’apertura che le serviva per agire. 

 

Antheus impugnò l’arma. Una sorta di arma da fuoco primitiva, dalla canna bucherellata.
In realtà non era molto diversa dalle armi a energia del suo popolo, ma era ben più silenziosa, al costo di una gittata ben inferiore. Non importava: tutto ciò che avrebbe dovuto fare sarebbe stato agire alla svelta e senza sbagliare. Sbirciò oltre la tenda dietro a cui si trovava. Il legionario gli dava le spalle. Un fugacissimo rimpianto riempì il suo cuore, poi Antheus allineò la mira, notando come i mirini dell’arma fossero simili a quelli delle armi a lui già ben note, e sparò. Il soldato cadde a terra, la parte mediana del cranio trasformata in un grottesco poltiglioso ammasso di sangue, carne e altro. L’altro legionario, un giovane di appena ventotto anni, si voltò. Aprì la bocca. Il secondo e il terzo proiettile sparati da Antheus lo scagliarono a terra, centrandolo all’altezza del collo e del viso. Un terzo legionario si accorse del rumore.
Antheus sospirò. Inevitabilmente si sarebbero accorti che qualcosa non andava.
Doveva decidere tra il combattere o cercare di occultarsi e strisciare verso Bilas.

 

Improvvisamente, Actio si sentì male. Non sapeva cosa fosse: sentì solamente il suo corpo in preda a tosse, spasmi e un impellente bisogno di respirare. Tossì, alzandosi, cercando di bere dal calice che i singulti gli fecero rovesciare sul pavimento del Pulvinar.
L’Imperator rantolò in cerca d’aria, abbattendosi sul pavimento, circondato da consiglieri e cortigiani, ancelle e servi che non avevano la minima idea di cosa fare e in preda al panico.
Actio Rubro sentì qualcosa. Il petto in fiamme, la lingua si gonfiava in bocca, impedendogli di proferire parola. Si agitò mentre il cuore batteva forsennatamente, lottando contro la fine incombente, rifiutando quella sorte sicuramente ingiusta, atto di mani mortali e non degli dei di cui egli si sapeva essere l’eletto.
“Dei, perché mi tradite? Dove ho sbagliato?”, chiese senza voce mentre la vista gli si oscurava.
Ma, mentre la vita lo abbandonava non vi fu risposta, né vi furono esseri celesti ad accoglierlo. Solo un bianco abbacinante che esplose dinnanzi ai suoi occhi per poi tramutarsi nell’oscuro nero di un cielo che mai aveva conosciuto luce d’astri.

 

Mayra aveva calcolato il tutto. A giudicare dal clamore, Actio Rubro aveva finalmente incontrato i suoi dei. Lei invece non si fermò. Continuò a camminare, accelerando il passo in una corsa. Le era stata concessa la massima mobilità nel campo, un dono del sin troppo fiducioso Imperator. Però ora avrebbe dovuto essere rapida e cauta. Sicuramente la morte di Actio le sarebbe stata accollata. La giovane estrasse il coltello. Oltrepassò una tenda e li vide. Fabius e i suoi uomini. Parevano agitati, indecisi, forse persino spaventati. La morte di Actio non era prevista. Fabius diede un ordine: procedere.
Mayra imprecò sommessamente. Quel pazzo avrebbe comunque scatenato la sua arma.
A tanto era arrivata la sua follia: non voleva neppure avere una ragione per farlo, contava solo l’atto. La giovane vide anche un’altra cosa.
Antheus. Il consigliere sanguinava da una ferita bruciacchiata e scarsamente cauterizzata al fianco. Due legionari lo scortavano. Era stato preso. Catturato. Mayra sentì il cuore sprofondare. Riconobbe uno dei due. Era Lucius, un sadico bastardo, l’alleato perfetto di Bilas.
Prima di poter pensare a come agire, la giovane sentì una lama sulla gola.
-Non ti muovere.-, l’apostrofò una voce. Lei obbedì lasciando cadere il coltello e maledicendosi per la sua leggerezza. Aveva fallito. Definitivamente.

 

Antheus soffriva. La ferita non era letale, ma lo sarebbe potuta diventare. Circondato da nemici, guardò il legionario trascinare Mayra sino accanto a lui. Era finita…
Fabius rivolse un sorriso a entrambi.
-Vedo, Antheus, che alla fine manchi della forza necessaria a purgare l’Impero.-, disse.
-Purgare l’Impero? Non è ciò che volevamo. Non capisci? La tua arma scatenerà il caos! Come puoi non tener conto di ciò che causerai?!-, ribatté l’ex consigliere, rifiutando la disperazione. Fabius Bilas ghignò in faccia al prigioniero.
-E cosa sarà mai? Il mondo ha conosciuto splendore senza misericordia sino ad oggi, no?-.
La domanda fu fatta con quel ghigno osceno e folle dipinto sul viso.
-Actio Rubro è morto. La battaglia non ha motivo di essere.-, rispose Mayra, -Non c’è motivo di usare la tua arma.-.

Fabius non smise di sorridere mentre si voltava verso la giovane. I legionari li puntavano con le armi a energia. Le macchine da guerra erano pronte, o quasi.
Antheus capì: Fabius stava solo gongolando, godendosi il suo trionfo.
-Mia povera, sciocca ragazza…-, disse con tono lento, paziente, come se stesse spiegando a un bambino qualcosa di elementare, -Non lo faccio per Actio, neppure per la pace. Lo faccio per il mondo e per me. Hai notato come, nonostante il tanto millantato onore, a migliaia muoiano in modi atroci ogni giorno, atti orribili e proditori si compiano senza remore? La nobiltà di Licanes è persa, se mai è esistita, e si è persa da quando a Janus fu ordinato di uccidere Layla. Il nostro fondatore fu un uomo d’onore, certo!, ma uomini simili sono sfavillii di luce nella notte oscura, durano un battito di cuore e nulla più. Illuminano un’oscurità opprimente, quella presente in ogni uomo. Questo mondo non concepisce la pietà e l’onore, o giovane. Finanche in natura, e tu l’avrai visto, non prevale il pietoso o l’onorevole. Prevale il forte, lo spietato. Il mondo è una bestia da domare. Gli uomini non comprendono l’indulgenza e le spiegazioni moderate, ma solo la punizione più atroce, la forza. Alla fine, nonostante tutti i nostri proclami di civiltà e ragione, non siamo che belve. L’Impero è marcio. Septimo Nero, se le voci sono vere, ha fatto sì che gli Dei si allontanassero da noi.-, lo sguardo di Bilas virò verso le dune desertiche in lontananza. Si voltò nuovamente verso i prigionieri.
-Osservate! Il mondo ancora reca i segni dell’ultima grande catastrofe. I nomi dei suoi artefici sono dimenticati, nessun sepolcro per i mostri ma gli incubi… quelli mai abbandoneranno il mondo. Ed io, con questa mia arma, assurgerò al loro stesso rango.-, disse con un cenno.
-Sei folle…-, sussurrò Mayra Tus. Fabius Bile sorrise, scuotendo il capo. Un maestro deluso.
-Folli sono coloro che ancora credono che vi possa essere onore in questo mondo. Il giusto e il bene hanno disertato la nostra terra. Rimangono solo mostri e incubi.-, disse.
Antheus trovò qualcosa. Si mosse lentamente. Scosse il capo.
-Come puoi?-, chiese, -Come puoi veramente credere in questo, Bilas?-.
-Ci credo perché l’ho potuto vedere. Più e più volte. Studia la storia, Antheus. Noterai che il mondo non gira attorno all’immobile centro della pietà e della compassione, bensì è un gorgo violento e insondabile di ferocia e volontà di sopraffazione e presa! È così che va. Ed è così che deve essere.-, rispose Fabius. Si terse il sudore dalla fronte con un gesto.
-E intendi divenire un dio sulla sofferenza di altri?-, chiese Mayra.
-Sì. Poiché se un uomo passa la sua vita a fare il bene sarà presto dimenticato, ma se invece egli infligge sofferenza e morte a miliardi di esseri, il suo nome risuonerà nei millenni!-, esclamò il folle. Si voltò verso i suoi uomini. Scambiò un paio di parole con Lucius.

-Voi non potete capire. Non capirete mai cosa significhi, guardare al mondo e interrogarsi su coloro che compirono queste catastrofi, domandarsi se furono incidentali o se invece vi fu intento, di punire, purgare o educare nell’atto compiuto.-, disse Fabius rivolgendosi nuovamente ai due prigionieri. Antheus annuì. Osservò i dintorni. Sei legionari, Lucius e Bilas.
E le bombe. Le dannatissime bombe ripiene di quell’arma che non avrebbe dovuto essere.
-In compenso, sappiate che non sarà un problema per voi: vi sollevo dall’obbligo di comprendere. Lucius, portali in un posto discosto ed eliminali.-, decretò Bilas. Fece un cenno a due legionari. Uno fece alzare Mayra, l’altro Antheus. La ferita riprese a sanguinare piano. Il consigliere si chiese quanto tempo avrebbe avuto ancora, quanto sarebbe potuto resistere prima di svenire, o morire.
Valutò la ferita. Non era grave, ma aveva perso un bel po’ di sangue. Almeno un litro.
Lucius sorrise. Evidentemente l’idea di uccidere gli piaceva. Un maledetto bastardo sociopatico, ecco cos’era quell’uomo. Antheus pregò gli dei per un’occasione, una sola, per impedire quell’ecatombe. Pregò con fervore come non faceva da molto tempo.
Incrociò lo sguardo con Mayra. La giovane lo ricambiò. Non era prostrata, come lui stava cercando un modo per riuscire a capovolgere la situazione.
E, per una volta, gli Dei risposero.

La terra tremò improvvisamente. Antheus sfruttò il momento: il coltello che aveva nella manica era piccolo e discreto, decisamente indegno di essere definito da combattimento, ma aveva svolto eccezionalmente il suo compito: aveva reciso le funi che lo legavano.
L’aveva avuto nella manica, legato alla veste per tutto il tempo, come piano B qualora fosse stato catturato e tutto fosse finito male. Il legionario cercò di reagire. Antheus colpì, disegnando un taglio lungo il viso. Il giovane urlò e il consigliere lo finì, riuscendo a impadronirsi della sua lama, un’arma vera e propria. Bilas imprecò urlando ordini.

Lucius sorrise avanzando. Ad Antheus non serviva essere benedetto da visioni divine per capire che contro un simile campione non avrebbe avuto possibilità.

 

Fu allora che Mayra agì. La giovane, come molte altre donne della sua gente, tendeva ad addestrarsi in arti difensive volte a respingere uomini violenti e più forti di lei.
Sferrò un primo calcio che centrò un legionario al mento, mandandolo K.O.
Un secondo si avvicinò, la lama già sguainata. Mayra raccolse la gamba e sferrò un secondo calcio. Centrò l’uomo al ginocchio sinistro. Probabilmente a causa del caldo clima della Numisia, quei legionari non indossavano le protezioni per le ginocchia tipiche in altre regioni dell’Impero. Crack! La giovane riuscì a sottrargli la spada mentre cadeva. L’uomo si accasciò urlando. Mayra schivò un fendente da un secondo, sentì la spada tranciarle una ciocca di capelli. E fu allora che fece la sua mossa.
Non era disarmata. Per nulla. Il secondo legionario lasciò il posto a Lucius.
Lucius attaccò rapidissimo e a Mayra non rimase che parare e schivare. Pur non essendo digiuna in merito alla scienza del combattimento corpo a corpo, la giovane sapeva, con assoluta certezza, che Lucius era semplicemente superiore. Un duellante d’eccezione.
La terra tremò di nuovo, provvidenziale, evitandole di finire sgozzata da un fendente al collo che sarebbe stato altrimenti imparabile.

Improvvisamente, il terreno si fende. Mayra mette un piede in fallo. Cade in una voragine apertasi improvvisamente. Svanisce alla vista di Lucius e di tutti, angelo nero risucchiato dall’abisso dell’Ade.

 

Antheus era sfiancato. Troppo sangue perso. Scambiò validi colpi di lama con Bilas. L’Apotecario non mollava ed era tutto meno che dimentico di come combattere.
Infine, disperato, Antheus fece la sua mossa. L’ultima. Ruzzolò all’indietro con una capriola. Si trovò a poca distanza da tre delle bombe. Si buttò a terra accanto ad esse.
Fabius, Lucius e gli altri legionari avanzarono. Di Mayra Tus nessuna traccia. La giovane era morta? Antheus non lo sapeva. Non importava. Decise.
-Licanes…-, mormorò con il tono di una riverente supplica a un dio che nessuno più sembrava in grado di onorare. Lucius e Fabius Bilas avanzarono, alzando le lame.
Picchiò con tutte le sue forze rimaste sulla sfera con il pomolo della spada mentre il metallo degli avversari lo trapassasva.

 

Le sfere di Bilas erano congeniate per esplodere all’impatto col suolo, ma la verità era che bastava ben di meno. Sarebbe bastato un colpo sufficientemente forte.
Quello di Antheus bastò. Il gas eruppe dalla sfera da una molteplicità di ugelli. Inodore, fu rapidamente inalato da tutti i presenti. E mentre la terra si scuoteva nel terremoto, come a voler inghiottire l’orrore generato dalla folle mente di Fabius Bilas un vento misericordioso o terribile portò l’arma di Bilas a dilagare verso la città di Medreas e le truppe di Actio Rubro e Tributio Sixto, ancora immobili. Le truppe di Actio furono le prime a venire raggiunte.

 

Tributio, vedendo le truppe nemiche agonizzare e morire in modi orribili, tosto ordinò la fuga.
Non la ritirata, la fuga. L’abbandono subitaneo e immediato della città e delle posizioni. La flotta di Sixto imbarcò rapidamente quanta più gente possibile. I mezzi aerei della legione, stipati sino al limite delle capacità, riuscirono a evacuare altri cittadini. Ma fu inutile: arrivando a Medreas, la nube fece comunque strage di ben ventimila anime tra legionari e civili. Un’ecatombe immotivata, orribile a vedersi.
Tributio Sixto, Legato, comandante della Legione Maximillia e comandante navale ad interim della Flotta Lictia osservò l’ecatombe. Il terremoto sottrasse la città ai suoi occhi.

Dalla balconata dell’ammiraglia la vista pareva tratta da un terribile racconto epico.
-Mio signore?-, chiese il suo attendente. Tributio si prese un istante.
Actio Rubro era morto? Sì, era molto probabile. Il suo esercito era stato annichilito da quella cosa… quell’arma orribile che quel folle aveva sicuramente ponderato di usare su di lui.

-Prepararsi ad abbandonare la zona. Dirigeremo su Telea, dove getteremo l’ancora. Ci rimetteremo all’autorità del Governatore di Telea, Ansua Lerima.-, disse.

-Signore, ma i civili a bordo…-, iniziò l’attendente.
-Li aiuteremo. Per quanto potremo. A Telea avranno modo di trovare alloggio e soccorso ben migliori che qui. Fai preparare il mio mezzo.-, ordinò Sixto.
-Signore?-, chiese l’attendente.
-Quell’arma, qualunque cosa fosse è un abominio. Raduna dieci uomini, volontari. Armati e pronti, con respiratori e maschere. Dobbiamo tornare là e assicurarci che non ce ne sia più.-, decretò Tributio.

-Ma potremmo usarla…-, obiettò l’attendente. Sixto lo afferrò per la lorica.
-Sei folle? Hai visto cosa fa? I nostri avi condannerebbero armi simili. Noi non siamo animali. Siamo Romani, siamo Licanei. Siamo migliori. E, nonostante io abbia tutti i difetti di questo mondo, non mi abbasserò a usare quella cosa!-, esclamò scuotendo il milite.
-Esegui l’ordine, Jarius.-.

 

Fu solo un giorno dopo, quando parve chiaro che l’arma non sarebbe giunta sino a loro, che Tributio e i suoi uomini rimisero piede in Numisia. La città, o ciò che ne restava era uno spettacolo partorito dagli inferi stessi. I morti erano deceduti agonizzando in modi orribili, la carne che si disfaceva, gli organi liquefatti, i volti stravolti da piaghe e orrore.
Fu subito chiaro a Sixto che non avrebbero trovato nessuno vivo a Medreas. Si spinsero sino al campo di Actio Rubro. Neppure lì pareva esservi vita alcuna.
Tributio osservò il deserto. Fenditure profonde avevano fagocitato cadaveri, mezzi e tende. Trovò il corpo di Actio. Lui pareva essere morto prima che il cataclisma si scatenasse.
Forse alla fine era stato fortunato.
-Signore… seppelliamo i corpi?-, chiese.
-No.-, disse Sixto. Non sapeva come reagiva quell’arma, o se i corpi fossero attualmente in grado di infettare i suoi uomini.
-Lasciate tutto qui.-, disse, -Ce ne andiamo.-.
-Signore…-, mormorò uno dei legionari. Puntò con il fucile, -Là!-.
Il legato si voltò. La vide. Una giovane nera, sicuramente nativa della Numisia.
La giovane aveva gli abiti stracciati, il viso stravolto dal dolore e dalla stanchezza. Un braccio era pieno di tagli e abrasioni, l’altro penzolava inerte lungo il fianco. Zoppicava a causa di una storta, camminando a piedi nudi, stringendo una spada spezzata nella mano buona.
Pareva uno spettro giunto dall’Ade ad annunciare agli uomini dolori ancora ignoti.
-Altolà!-, esclamò un legionario.
-Non sparare!-, ordinò Sixto. Avanzò. Quella creatura pareva stramata. La lama spezzata le cadde di mano, e pochi passi dopo, anche lei crollò a terra, riuscendo a restare a carponi per miracolo di volontà. Sixto si avvicinò.
-Chi sei?-, chiese.
-Io sono… la memoria della fine.-, sussurrò lei nella lingua di Roma.
-Puoi dirci cos’è successo?-, chiese lui.
-Posso. Devo. Il mio nome è…-, la giovane si bloccò. Lacrime mute scorsero dagli occhi.
-Il mio nome era Mayra.-, disse.
-Abbiamo un mezzo che ti attende, Mayra. Io… ho bisogno di sapere. E anche a Roma…-, Sixto vide la giovane alzare un braccio, fare uno sforzo immane per rimettersi in piedi.
-A Roma non dovranno sapere. Porta i tuoi uomini. Fai rotolare quelle bombe nei crepacci.-, disse. Crollò seduta. Uno dei legionari le passò dell’acqua. Bevve avidamente, tossendo quando le andò di traverso, -Fallo e ti dirò tutto. Poi me ne andrò. E dovreste farlo anche voi.-.
-Ci stai minacciando, barbara?-, chiese un legionario.
-Questo luogo è segnato. È maledetto. Per me come per voi. La mia gente lo eviterà. Nella nostra lingua si chiamerà Eis-at, luogo di morte.-, disse lei senza badare all’aggressività del milite, -Di questa catastrofe si dovrà serbare il ricordo come monito.-.
-Così sia.-, disse Tributio. Poteva ben comprendere la volontà della giovane.

Fece eseguire il tutto. Medreas e la sua regione furono abbandonate da Roma.
Dopo pochi mesi, in seguito all’andare della guerra civile, fu deciso di abbandonare anche le altre città, lasciando de facto la Numisia ai barbari.


Tributio raggiunse Telea dove fu processato per le sue azioni. Trovato innocente, fu semplicemente degradato e rimase agli ordini di Ansua Lerima sino alla sua diserzione a favore di Aristarda Nera. Morì pochi mesi dopo gli eventi.
Della donna giunta dal ventre della devastazione, non si seppe più nulla. Si dice che sia tornata alla sua gente, insieme a un figlio partorito da un padre ignoto.

Redatto da T. Sixto sotto la supervisione di Anthiocus, cronicista di Telea perché le stragi di Numisa e la scelleratezza di Actio Rubio non sia dimenticata

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