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La Caduta. Atto Quinto. Della Battaglia di Brixiate.

By 19 Gennaio 2021No Comments

Il giorno prima della Battaglia, Serena Prima osservava il campo con piglio fiero.
Le truppe erano schierate. Brixiate era già stata fortificata. Le forze lealiste avevano preparato trincee e posizioni fortificate, decise a restare in posizione difensiva.
La giovane, conscia del peso del momento espirò, fissando lo sguardo verso il cielo, oltre le linee amiche. Come a rispondere alle sue preghiere, un’aquila volò sulla sua testa, verso Brixiate per poi tornare verso gli acquartieramenti dove Septimo Nero, l’Imperator, stava ispezionando le truppe, accompagnato dalla Guardia.
All’orizzonte, i nemici erano in movimento. Truppe di fanteria e diversi mezzi terrestri.
Aristarda Nera aveva abboccato all’amo. Spinta dall’odio per suo fratello aveva deciso di correre il rischio. Serena sorrise. La battaglia era prossima. E la vittoria era garantita.
-Mia signora?-, chiese un Legato. Erano presenti tre legati, tre legioni, contro le quattro di Aristarda. Una disparità numerica enorme.
-Quest’oggi faremo la Storia, Niverio.-, disse lei.
-Sì. Signora, non sarebbe il caso di condurre l’Imperator verso un luogo più sicuro? L’artiglieria di Aristarda potrebbe aprire il fuoco…-, propose lui, visibilmente preoccupato.
Serena sorrise. Niverio Siriaco era un ufficiale di carriera nel pieno del tramonto. Quella sarebbe stata la sua ultima battaglia e voleva comprensibilmente assicurarsi che non venisse macchiata dall’inqualificabile vergogna della disfatta e della morte dell’Imperator.
-Non preoccuparti, Aristarda non aprirà il fuoco. Non ancora.-, disse.
-Come lo sapete, mia signora?-, belò Niverio. Lei sorrise di nuovo.
-Vuole che Septimo muoia, ma esige di poter provare la sua morte. Lo vuole morto, ma riconoscibile. L’artiglieria non permetterebbe tale riconoscimento, ergo non c’é da temere.-.
-Mia signora, Megista sta officiando i riti finali. È d’uopo che lei sia presente.-, disse Ethelus.
Altro Legato ben giovane. Un pomposo raccomandato. Serena scosse il capo.
-Io so già cosa gli Dei hanno decretato per questo giorno. Non hai tu visto l’aquila fiera volare sul nostro Imperator? Presagio fausto!-, esclamò. Ethelus tacque. Annuì. Non c’era altro da dire.
-Gli auspici di Megista sono altresì favorevoli, mia signora. L’esercito nemico sta inviando un messaggero. Sono ancora distanti e non avanzano.-, disse Niverio.
-Che mi sia portato. Che siano portati cibo e vino.-, ordinò Serena, -Lo riceverò nel Praetorius.-.

Il Praetorius era una tenda spartana con mappe e una branda. La dimora temporanea di Serena Prima, il suo quartier generale. Il messo, un giovane dal bel viso rubicondo, sorrise con un leggero inchino. Cortesia dovuta. Serena ricambiò.
-Serena Prima. Comes Imperatoris et Magistra Militum, saluteo tibi.-, disse in Lingua Alta.
-Ego saluteo tibi, vicarus. Quid dicaet hostes mei?-, chiese lei come da cerimonia di licanea memoria.
-Aristarda Nera porta i suoi saluti, é ben a conoscenza della tua fama, come lo é Proximo Lario, Comes Imperatricis et Magister Militum.-, esordì questi.
-Ringrazio. Ma sono certa che non sia tutto qui, dico bene? Parla senza timore: i messaggeri sono sacri per me. Nutriti, bevi.-, disse lei indicando il tablinum su cui giacevano piatti con pane, formaggio e calici di vino blando, -Mi scuso per la povertà dell’accoglienza, ma non sapevo che Aristarda avrebbe inviato un messaggero.-. Il giovane sorrise. Non vestiva l’armatura né portava armi. Normale: era sotto una bandiera di tregua, un’usanza sacra finanché per le barbariche stirpi d’oltreconfine. Violarla avrebbe significato la perdita di qualunque onore. Sebbene Septimo non ne avesse più alcuno, Serena non si sarebbe abbassata a tanto. Il giovane prese il calice di vino. Bevve qualche sorso, annuì. Lei fece lo stesso, bevendo metà del contenuto in una sorsata.
-La mia signora, ben conscia della tua fama, e il mio generale, oltremodo consapevole della tua integrità t’invitano a riconsiderare la tua alleanza. L’Imperator é colpevole di quanto la mia signora ha divulgato e di certo, sifatta lealtà nei suoi confronti non é dovuta. Proximo Lario ti porge il ramo d’ulivo della fiducia e del perdono di Aristarda Nera, Imperatrix in esilio e ben più ragionevole e legittima del fratello che ha lordato l’Impero agli occhi degli Dei.-.
-Invero, comprendo le ragioni di quest’ambasceria. Riferisci alla tua signora che sono grata di tanta considerazione e a Proximo Lario sia detto che nutro per lui enorme stima, ma non posso esimermi dal mio dovere, é ciò che gli Dei hanno voluto per me.-, disse Serena. Finì di bere e masticò un pezzo di pane cotto al forno secondo i metodi antichi. Il messaggero s’incupì.
-Nobile condottiera, ti esorto a rivedere la tua posizione. Le nostre forze vi superano di ben diecimila uomini. Proximo Lario non ha mai perso una battaglia. Non perderà questa.-, disse.
-Questo non sta né a me, né a te, neppure a Proximo stesso.-, rispose Serena. Il messaggero sospirò. Mangiò del formaggio come per darsi un tono.
-Messaggero, potrebbe forse il ferro nella forgia alzarsi e chieder di divenire utensile o arma? No! Così, io sono nelle mani del fato, che plasmi la mia esistenza come ad esso piacerà!-, disse lei.
-Invero, mi addolora saperti tanto determinata. L’armata di Aristarda Nera ha fatto campo. Domani all’alba saranno schierati e pronti. E domani, gli Dei decideranno il destino dell’Impero.-, rispose il messo. Si alzò dallo sgabello. Serena annuì.
-Porta a Proximo Lario i miei saluti. È un onore averlo come nemico, un piacere maggiore sarebbe averlo come alleato ma so e comprendo che ciò non é possibile. Lui ha fatto una scelta, io ho fatto la mia. Gli Dei decideranno chi ha ragione e chi no.-, disse la giovane. Inchinatosi, il messo uscì.

Septimo Nero entrò pochi minuti dopo. Serena gli rivolse un inchino.
-Vedo che la tua lealtà resta invariata, anche a dispetto di tutto.-, notò l’Imperator.
-La mia lealtà resta al trono e il trono é il tuo, Imperator.-, disse lei. Nessun altro formalismo.
Septimo annuì. Sì: Serena Prima era una donna peculiare, e se non ci fosse stato quel piccolo inghippo, il suo non concedersi a lui, forse sarebbe potuta essere molto di più.
Invece Septimo aveva già deciso: sbaragliati i pretendenti e sua sorella, Serena sarebbe stata messa a morte. Come tanti altri. Al suo posto avrebbe messo qualcuno di leale, di sotttomesso.
Eppure, forse era proprio quella fierezza a garantire a Serena Prima la sua utilità.
-Imperator, sarebbe necessario che tu restassi.-, disse la comandante. Septimo non nascose la sua sorpresa. Ufficialmente aveva fatto la sua parte: Aristarda aveva portato il suo esercito attirata dalla notizia della visita di Septimo e ora l’Imperator avrebbe dovuto andarsene.
-Per quale motivo dovrei restare?-, chiese. Serena sorrise.
-Beh, per contemplare il nostro trionfo.-, rispose. Era rischioso, ma l’idea piaceva a Septimo. Sorrise. Osò persino accarezzare la guancia di Serena Prima. La giovane non fece resistenza.
-E sia. Brixiate sarà un ottimo punto d’osservazione per godere della difatta di mia sorella.-.

Nel mentre, in una villa a Roma, Antus, Asmio Calus e Runa incontrarono Vonabrius in occasione della festa per la nascita del di lei nipote. Il vecchio senatore dalle note tendenze omosessuali ascoltò, rispose. Insieme cominciarono a pianificare la congiura ai danni di Septimo Nero.
E come tutte le congiure, era di una semplicità enorme. Furono fermati solo quando arrivò un messaggio, cartaceo e scritto in grafemi incomprensibili. Runa lo prese, lesse e annuì.
La congiura continuava.

Proximo Lario osservava Brixiate. La sera era calata su di loro.
Pirma di ogni scontro, Proximo provava una sferzata di adrenalina, come in quel caso. Non riusciva semplicemente a dormire. Anzi, ripudiava il sonno, pur conscio che avrebbe dovuto almeno riposare qualche ora. Eppure non riusciva a dormire.
Sentì l’ingresso della tenda praetoria aprirsi e permettere l’ingresso di una figura nerovestita. Una donna, intuì dalle forme celate dal tessuto, il cappuccio calato sul viso.
-Chi sei?-, chiese lui, la mano protesa verso il pugnale alla cintura.
Possibile che Serena Prima fosse venuta meno al proprio onore, prediligendo i metodi spietati e infami dell’Imperator che aveva deciso di servire malgrado tutto?
La donna abbassò il cappuccio, svelando il viso stupendo e fiero di Aristarda Nera, Imperatrix in esilio. Proximo s’inchinò, vergognandosi del suo sospetto.
-Invero, tali sotterfugi sono necessari, mio Legato.-, disse l’Imperatrix.
-Mia signora…-, la domanda rimase muta nella gola dell’uomo quando la donna parlò.
-Sono qui perché so che sei inquieto. Serena Prima non é avversaria comune. In un altra vita, in un altro tempo, avrebbe potuto essere una preziosissima alleata. Ma non sta a noi rimpiangere ciò che avrebbe potuto essere e non é stato. Ha fatto la sua scelta e tu la tua.-, l’Imperatrix si avvicinò a passi lenti, misurati, regali, -Non temere: i presagi sono favorevoli. Domani trionferai.-.
-Mia signora, é l’idea che il trionfo costi altre vite romane, altri dei nostri giovani e la vita di un generale come Serena Prima a turbarmi.-, ammise lui, -Invero, quale impero potrà nascere da tutto ciò?-, chiese. Aristarda sorrise, il viso bello come quello di una musa dell’ars antica, ulteriormente impreziosito da quell’espressione.
-L’Impero sopravvivrà. Faremo sì che lo faccia.-, disse lei, -E ora rilassati.-.
Lui espirò. Già avrebbe dovuto rilassarsi. La vicinanza di quella donna stupenda con cui già una volta aveva giaciuto rendeva tutto più facile. Sentì il cuore aumentare i battiti quando lei lo baciò.
L’Imperatrix sorrise. Si allontanò di un passo, sgusciando fuori dalle vesti da penitente che indossava. Sotto non c’era niente, solo la carnagione tonica e ambrata di Aristarda Nera, fremente di desiderio, bramosa di condividere quel momento con lui.
Proximo sorrise. Sentì il sangue affluire al ventre. Già una volta Aristarda lo aveva degnato di quella grazia, ma ora erano soli. Nessun’altro oltre a loro. Si sentì un privilegiato.
Bramava ancora quel corpo, quell’intimità, pur sapendola un dolce tormento. Non si faceva illusioni: l’Imperatrix avrebbe potuto avere tutti gli uomini e tutte le donne, nulla da dire. Essere scelto era stato un privilegio, una grazia, ma sapeva, capiva che Aristarda Nera non sarebbe mai stata sua, mai del tutto. Era sempre e comunque la regnante.
La mano di Aristarda lo cercò sotto le vesti, trovando un membro turgido e pronto. Sorrise ghermendolo e guidandolo sino alla branda dove si distese.
-Prendimi.-, disse aprendo le gambe. Il fiore del piacere dell’Imperatrix sgorgava miele cristallino, evidentemente già pronto all’invasione. Proximo non si trattenne. Le affondò dentro.
Aristarda lo avvinghiò a sé, come a non volerlo mai lasciare andare, stringendolo con braccia e gambe, graffiandolo, mormorando oscenità all’orecchio di Proximo Lario mentre questi le affondava dentro. Mai, mai l’Imperatrix si era data in modo simile a lui. Per quanto fosse appassionata tuttavia, Proximo non poté fare a meno che in quell’amplesso ci fosse di più del mero piacere fisico. Non era solo quello. Aristarda pareva timorosa, pareva dubitante. A dispetto delle sue parole forse, quella frenesia erotica era solo una copertura, o uno sfogo, per un timore dilaniante che minacciava di inghiottirla. Forse era per quello che ora stava dandosi così totalmente a lui. Aristarda lo fermò, si sfilò il di lui sesso da dentro e si mise carponi.
Un invito esplicito, senza bisogno di parole. Il sogno impossibile di troppi uomini.
Proximo le affondò dentro da dietro, le mani strette alle reni dell’Imperatrix che gemeva piano, assaporando ogni istante. Cambiarono posizione più volte, assaporandosi e assaporando il godimento, cercando di annullare l’apprensione per il giorno successivo.
Quando infine Proximo godette dentro Aristarda, erano le due di notte.

All’alba, le due armate erano schierate. I riti erano già stati compiuti il giorno prima. Ogni singolo uomo presente sul campo sapeva che si sarebbe fatta la Storia, quel giorno.
Timorosi o impavidi, indifferenti o fanatici, pronti o no, erano tutti lì. Una moltitudine.
Proximo osservò la situazione tramite l’ocularius. Individuò le forze e le formazioni nemiche.
-Ala Vindicta, bombardare zone da tre a cinque, artiglieria, prepararsi a colpire: prima salva dirompente sulla linea nemica, seconda salva fumogena, a coprire l’avanzata.-, ordinò.
-Ricevuto!-, fu la risposta attraverso il sistema vox dei piloti. I mezzi da bombardamento sfrecciarono su di loro col rombo di tuono degli araldi del fato.
-Uomini! Quest’oggi, noi redimeremo l’Impero o periremo nel tentativo! Prepararsi!-, ordinò.
Gli rispose il boato tonante delle legioni ai suoi ordini, la cui punta d’attacco si era già imbarcata sui mezzi che li avrebbero portati entro le linee nemiche.

Serena Prima osservò i bombardieri arrivare. Nessun’emozione in tal senso.
-Colpi d’artiglieria in arrivo! Al riparo!-, urlò un centurione. Gli impatti arrivarono un istante dopo. Serena non badò al fragore.
-Perdite?-, chiese.
-Minime. Le difese reggono, mia signora. Cortina fumogena nemica in arrivo.-, rispose Ethelus.
-Molto bene. Fuoco di sbarramento sulla piana.-, ordinò lei.
-Signora, non sappiamo se i bersagli stanno realmente avanzando.-, rispose Ethelus.
-Vogliamo aspettare e scoprire che lo hanno fatto?-, chiese lei. Ethelus non rispose.
L’artiglieria lealista aprì il fuoco.

-Qui Ala Vindicta. Impatti sul bersaglio positivi. Danni multipli sulle posizioni lealiste. Effettuare secondo passaggio?-, chiese il capo squadriglia.
-No.-, rispose subito Proximo. Serena poteva aver previsto un simile tentativo. Così come sicuramente aveva incominciato a bomardare la piana, prevedendo l’avanzata delle sue truppe.
Ma non era quello il piano di Proximo.
-Rapporto da Punta Prima: le truppe stanno sbarcando. I mezzi si preparano al rientro. Artiglieria mobile pronta a supportare.-, disse l’aiutante di campo di Proximo Lario. Lui annuì.
Fin lì tutto bene.
-Procedere.-, disse.

Quando la coltre fumogena grigio topo si fu diradata, Serena li vide. I mezzi da trasporto nemici avevano deviato verso alcune fattorie, scaricandovi le truppe. Già le armi della fanteria sparavano contro le trincee lealiste.
-Pare che lei si sia sbagliata, mia signora.-, sibilò Ethelus, malignamente compiaciuto.
“Già.”, pensò Serena. Ma era tutto meno che finita.
-Dobbiamo sloggiarli da quelle posizioni. Fuoco d’artiglieria sui quadranti.-, ordinò.
-Cosa gli impedirà di riprendere le macerie?-, chiese Ethelus.
-Tu. Coordinerai un contrattacco. Non mandare troppi uomini.-, ordinò lei, -È la tua occasione per farmi vedere che non sei solo un sacco di chiacchere e raccomandazioni.-.
Ethelus avvampò, prevedibilmente offeso.
-Centurie da uno a cinque, Septima Legio! Armi pronte e pronti ad avanzare. Direttrici d’attacco due tre e sei tre.-, ordinò cercando di mantenere un tono calmo, a dispetto dell’onta.

-Mezzi nemici in arrivo. Avanzano sulle posizioni alleate-, riferì l’aiutante di Proximo.
-Sì. Ordina agli uomini di tenere la posizione, fuoco d’artiglieria a supporto. Ala Vindicta in corsa di bombardamento sul settore.-, ordinò lui. Qualcosa non quadrava.

La fanteria lealista sbarcò dai mezzi accolta letteralmente da un uragano di fuoco.
Le loro forze erano ben addestrate, ma lo sbarco fu un’autentica decimazione. Pur col supporto dei mezzi e dell’artiglieria, i lealisti erano inchiodati. Di cinquecento uomini, solo duecento circa riuscirono ad attestarsi a difesa. Da sopra, udirono il rombo dei propulsori dei velivoli da bombardamento di Proximo Lario in avvicinamento rapido.
-Supporto! Chiediamo supporto!-, esclamò il Centurione Nimandeus.
-Ricevuto. Richiesta recepita, attendere.-, rispose un anonimo addetto alle comunicazioni.

-Schierare Le Falci Rosse.-, ordinò Serena. Proximo aveva deciso di giocare pesante. Bene.

La squadriglia Ala Vindicta era a pochi metri dall’area di bombardamento quando il fuoco di mezzi aerei abbatté due piloti costringendo gli altri tre apparecchi a virare. Compirono rapide evoluzioni nell’improbabile compito di evitare l’agguato da parte dei caccia nemici.

-Signore…-, iniziò l’aiutante. Proximo sollevò una mano. Lo vedeva da sé.
-Attivare contraerea Balistea. Spazziamoli via dal cielo!-, ordinò.
Le contraeree presero vita. gestite tramite rudimentali tecnologie IA solo recentemente riscoperte identificavano i nemici distinguendoli dagli amici con un semplicissimo algoritmo. Erano munite di mitragliatori energetici ciclici da ventimila colpi al secondo. Iniziarono a sparare. Tutte assieme.

Il cielo si riempi di lampi radiali e raggi energetici. Le Falci Rosse erano una squadriglia di ottima leva, ma non potevano fare l’impossibile e schivare quella mole di fuoco antiaereo rientrava nell’impossibilità. Furono cancellati.

-Abbiamo perso le Falci.-, riferì un aiutante.
-Sì, ma sappiamo dove sono le contraeree. Artiglierie: fuoco sui settori di tiro, telemetria Cartesio.-, ordinò Ethelus. Serena annuì. Forse quel generale da operetta non era così inutile.
-Signore… la telemetria Cartesio ha un rateo di precisione del 52%. Abbiamo bisogno di altri dati.-, disse un aiutante, -Potremmo sprecare colpi.-.
-Negativo. Procedete.-, ordinò Serena, -E inviate ulteriori truppe a rinforzo delle centurie in attacco. Evectia Prima, centurie da tre a cinque, ridispiegarsi su cordinate d’attacco. Preparate una cortina fumogena.-.

L’artiglieria lealista sparò. La telemetria Cartesio era approssimativa, qualcuno avrebbe detto eccessivamente approssimativa. Ma nonostante tutto, ebbe una certa efficacia.
-Impatti sul bersaglio positivi: quattro installazioni nemiche neutralizzate, almeno altre due ancora intatte.-, riferì l’artigliere.
-Ricevuto. Avanzare!-, ordinò Ethelus.

Le truppe di Serena Prima, protette dai fumogeni scattarono in avanti. Un metro, due, dieci, venti. A tentoni, sparando disciplinatamente, calpestando o ignorando chi cadeva colpito, riuscirono nella difficile impresa di arrivare a contatto con le forze nemiche arroccate nelle rovine delle fattorie. Le truppe di Proximo, già vessate dal bombardamento e numericamente inferiori, furono annientate sino all’ultimo uomo. Perirono cantando il Moripatres.
Proximo reagì ordinando il dispeigamento di altre truppe tramite mezzi aerei. Ben sei centurie procedettero. Serena guardò accigliata l’avanzare del fronte, ordinando alle forze che avevano preso le fattorie di ripiegare prima di subire ulteriori perdite.
-Ora come diavolo li togliamo da lì?-, chiese Ethelus.
-Non lo faremo. Sono proprio dove vorremmo che siano.-, rispose la giovane.
-Sicura? Il fronte nemico sta preparando l’avanzata.-, rispose il generale.
-Proximo deve sentirsi ben sicuro. Artiglieria: fuoco sui mezzi nemici, salve a impatto multiplo. Fermatene il più possibile.-, ordinò lei.
Il fuoco di sbarramento fu devastante: dieci corazzati parvero esplodere. Uomini e donne uscirono dai rottami, a volte solo storditi, altre volte morenti o in fiamme.
-Artiglieria, preparare seconda salva.-, ordinò Serena.
-Negativo: ricarica in preparazione, tempo stimato cinque minuti.-, fu la risposta.
-Legio Septima: prepararsi a caricare.-, ordinò Ethelus. Serena lo fissò, stupita.
-Dobbiamo mantenere alta la pressione: Proximo ha una legione in più di noi. Se gli concediamo di raggrupparsi ci annichilirà.-, disse il generale. La giovane considerò la cosa.
Rischiosa, ma fattibile.
-Septima pronta all’avanzata.-, riferì il Vexilliferio capo.
-Ricevuto. Suonare l’avanzata.-, rispose Ethelus. Le buccine segnalarono l’attacco.
E, muovendosi con impressionante sincronia e sprezzo del pericolo, gli uomini della Septima Legio uscirono dalle trincee, attaccando il nemico sulla piana.

-Sono pazzi?-, chiese una giovane aiutante di campo mentre lei e Proximo osservavano la situazione. Il comandante fu prossimo a dire sì, ma si fermò.
-No. Vogliono impedirci di sfruttare il vantaggio numerico. Artiglieria, prepararsi a colpire le posizioni nemiche.-, ordinò.
-Negativo: margine di attacco minimo. Colpiremo anche i nostri.-, fu la risposta.
-Dannazione.-, il piano prendeva forma. Con il supporto dell’artiglieria e dell’aviazione rimasta, Proximo avrebbe potuto annichilire gli attaccanti, ma questi ultimi, ben consci della cosa, avevano preferito un diverso attacco, correndo il rischio di perdite atroci per rallentare la sua avanzata e imepdire ai suoi uomini di compattarsi. In più, inevitabilmente Serena Prima non avrebbe avuto problemi a ordinare ai suoi di bombardare una formazione nemica notevolmente più vasta e lontana dalle sue truppe…
-Signore?-, chiese un aiutante.
-Artiglieria e bombardieri, triangolare e colpire artiglieria nemica, ordine prioritario. Senza quel supporto non potranno fermarci.-, ordinò.
-Ricevuto, fuoco in arrivo.-.

La Septima Legio attaccò spietatamente. Erano tutti fanatici convinti dell’innocenza di Septimo ed erano orgogliosi e fieri di servirlo laddove troppi altri avevano voltato le spalle.
La legione, insegne fieramente alzate, avanzò e caricò il nemico, subendone il fuoco. Abbatterono numerosi avversari, sia feriti che non, prima di giungere al corpo a corpo.
Nonostante il numero, gran parte delle forze di Proximo doveva sbarcare dai mezzi e la cosa giocò a favore dei lealisti che piombarono sui nemici senza curarsi delle perdite. Nessuno chiese pietà.
La mischia vide eroi da ambo le parti: Melthea Sixta, a capo di un distaccamento di Viragee, trapassò il Vexilifero di una coorte nemica con la propria spada, arrivando a ghermire l’insegna, prima di venire trafitta dalle lame dei lealisti. Anteo Milanio, centurione lealista, perì quando il carro nemico in cui stava gettando una bomba esplose.
Questi e innumerevoli altri furono gli eroi di quel giorno.
-Licanes!-, urlarono ambo gli schieramenti in pura convinzione di essere più degni degli altri, migliori, più vicini agli Dei. Pura ipocrisia. Altre urla, seguirono.
Poi, giuse il boato. L’artiglieria lealista fece fuoco. La salva arrivò a colpire un gruppo di soldati di Proximo a piedi. Il manipolo fu annichilito. Ma non vi furono altre salve: i bombardieri di Proximo, la mutilata Ala Vindicta sfidò il fuoco nemico riuscendo infine a colpire i cannoni nemici.
Ma solo uno dei bombardieri tornò dalla missione: il capo squadriglia si era immolato, usando il suo caccia come arma quando aveva terminato le munizioni, l’altro superstite della squadriglia era stato abbattuto dal fuoco da terra.

-Mia signora… abbiamo perso le artiglierie. Proximo sta facendo avanzare ulteriori rinforzi. La linea potrebbe cedere.-, disse l’aiutante di campo.
-Preparare le difese. Brixiate… Situazione?-, chiese Serena. Nessun’esitazione nella sua voce.
-Siamo pronti.-, disse la voce da Brixiate.
-Allora prepararsi a procedere.-, ordinò lei.

-Artiglierie distrutte, signore.-, riferì l’ultimo superstite dell’Ala Vindicta.
-Ricevuto. A tutte le forze di terra: prepararsi ad avanzare. Artiglierie pronte a una prima salva. Bersaglio: la linea di fortificazioni nemica. Sfonderemo nei settori sette e cinque.-, ordinò Proximo. L’artiglieria tuonò. Il Legato sorrise: presto sarebbe finita. I Lealisti avevano messo su una bella lotta e gli ultimi elementi del contrattacco stavano tenendo botta, riuscendo persino a coprire la ritirata dei feriti, ma la loro disfatta era certa.
E con la piana e le fattorie (o le loro rovine) in mano sua, Proximo avrebbe potuto far avanzare le sue forze sino alla linea nemica. Si ripromise di inviare un ultimatum di resa. Non avrebbe versato più sangue di quanto necessario.

La Septima Legio tenne il terreno. Decimata, attaccata da forze soverchianti, in difficoltà su più fronti e con il morale in progressiva diminuzione, fece quadrato attorno alle proprie insegne.
In diversi avevano ripiegato, aiutando i feriti a raggiungere la salvezza delle linee amiche, ma il Tribuno Vuritgio Rubizio era rimasto a combattere, insieme ai suoi uomini.
-Cantate uomini! Gli Dei ci osservano! Cantate l’inno dei vostri padri!-, sparò abbattendo una Viragea poco distante, -Cantate e fate sì che il fato ricordi chi eravamo!-.
Lentamente, scandito da tosse, colpi di armi e urla di morte, il Moripatres risuonò di nuovo.
Improvvisamente, il fuoco cessò: i fedeli di Aristarda presero a ripiegare.
-Proximo Lario vi concede di ritirarvi verso le vostre linee.-, giunse la voce dallo schieramento nemico. Vuritgio annuì.
-Uomini, ripiegare verso le linee alleate. Ci ridisponiamo a difesa.-, ordinò.

-Sicuro che sia saggio, signore?-, chiese l’aiutante di Proximo. Era nuovo e non capiva.
-Non ruberò la vittoria.-, rispose il comandante.

-Attaccano ai lati!-, esclamò un ufficiale, -Sono troppi, non riusciremo a fermarli!-.
-Tenete, in nome dell’Imperator, tenete!-, esclamò Ethelus, -Qualcuno mi porti le mie armi!-.
-Che vuoi fare?-, chiese Serena Prima. Ethelus si voltò, infervorato.
-Questo é un momento storico, e terribile. La linea rischia di rompersi. Se cede, cingeranno d’assedio Brixiate. Non rimarrò a guardare. Uomini, a me!-, esclamò. Presa l’arma energetica e relative munizioni, si gettò nella direzione dell’attacco.
“Forse l’ho giudicato male.”, riconobbe Serena. Un peccato. Non era sicura che Ethelus sarebbe sopravvissuto a quel giorno. Sicuramente, molti altri non l’avrebbero fatto.
-Situazione?-, chiese.
-Proximo sta facendo avanzare gli altri. Colpi d’artiglieria nemica sulle linee alleate. Diverse perdite. Rischiamo che il fronte si sgretoli.-, disse l’aiutante di campo.
-Ordina alle nostre forze di ripiegare sulla seconda linea difensiva. Le altre artiglierie sono pronte?-, chiese con freddezza. Valutava la situazione senza farsi coinvolgere emotivamente.
-Sì.-, rispose l’aiutante.
-Procedere. Colpire le linee in mano al nemico.-.

I lealisti ripiegarono lentamente, senza cedere al panico né dare quartiere. Si asserragliarono sulla nuova linea difensiva. Il fuoco nemico aveva decimato gran parte delle forze in difesa, ma il nucelo delle due legioni rimaste a presidiare la difesa era ancora integro. La Septima invece, presa tra i nemici, cadde sino all’ultimo uomo.
E fu allora, proprio mentre Proximo stava avanzando con le riserve per ordinare l’attacco finale, che le artiglierie nemiche spararono. Una due, tre salve.
Le sue forze, un terzo della Fenicia, due quinti della Drusia e un sesto della Nera subirono e subirono male. La controcarica dei Lealisti rivendicò la linea di fortificazioni devastate.
Pochissimi uscirono da quel carnaio raggiungendo la relativa sicurezza delle fattorie in mano ai ribelli di Aristarda. Proximo cercò di calcolare le perdite. Quanti uomini aveva perso? Quanti ne avevano persi i nemici? E quanti ancora ne sarebbero morti per un trono che appriva sempre più vano e indegno delle vite prese o tolte in suo nome?
-Signore?-, chiese.
-Trucco ignobile. Prepararsi ad attaccare di nuovo! Dobbiamo sfondare il fronte.-, ordinò a denti stretti Proximo Lario. Se fossero riusciti a sfondare, forse Brixiate avrebbe cambiato bandiera.
Forse.

-Stanno venendo giù con tutto quello che hanno!-, esclamò Ethelus. Alla testa dei suoi uomini sparava sui lealisti. Era ben conscio che sarebbe potuta essere l’utlima battaglia della sua vita.
E fu allora che il cielo si oscurò.

Proximo Lario aveva visto molte cose. Ma mai aveva immaginato di vedere una cosa simile.
La piana davanti Brixate misurava ben centoventi chilometri ed era ingombra di corpi e rottami. Lui e i suoi uomini stavano avanzando per l’attacco finale quando la videro. Una flotta di velivoli. A migliaia. Mezzi da attacco al suolo. VTOL espressamente preparati per quella fase.
Proximo sentì il cuore mancare un battito. Era finita.
-Soldati di Aristarda Nera! Io sono Septimo Nero, l’Imperator contro cui vi siete ribellati. Concederò a ognuno di voi di andarsene libero se l’uomo noto come Proximo Lario si consegnerà a me disarmato e di sua volontà.-, la voce dell’Imperator, del maledetto bastardo, propagata dagli altoparlanti Vox riempì la piana.
Proximo intuì. Capì come sarebbe finita. Se si fosse consegnato, Aristarda avrebbe ancora avuto diverse truppe. Ma senza di lui… Gli altri generali di Aristarda erano poco dotati, mediocri nel migliore dei casi, arrivisti senza spina dorsale nel peggiore. La ribellione di Aristarda Nera avrebbe perso molto, molto più che un’armata.
Quell’intera battaglia era volta a un solo scopo: mettere fuori causa lui. E lui, povero idiota, non aveva compreso. Non aveva capito. I suoi uomini erano morti sul terreno davanti Brixate per quello. E sarebbero morti sino all’ultimo se non si fosse consegnato.
Ma consegnandosi, Aristarda Nera non avrebbe più avuto un generale degno del nome.
-Septimo! Che ti inghiottano gli Inferi!-, ringhiò una voce dai suoi soldati. Proximo sorrise appena.
Un sorriso molto breve. Si rivolse agli aiutanti di campo.
-Aiutatemi a togliermi l’armatura.-, disse.
-Signore, non vorrà davvero…-, la domanda morì in gola alla giovane.
-Non ho scelta, Nefia. Se resistiamo ci annienteranno, e Aristarda non può perdere quattro legioni. Non ho scelta.-, disse lui. Si liberò della corazza gettandola a terra.
-Datemi la frequenza di quel bastardo.-, ordinò.
-Signore. Non lo faccia. Siamo pronti a morire.-, disse un legionario.
-Sì. Lo so. Ma la vostra morte qui non servirà a nulla se non ad allietare un tiranno.-, rispose Proximo Lario. Si tolse l’elmo slacciando il sottogola con movimenti rapidi.
-Septimo! Sono Proximo. Mi consegnerò a te ma esigo che le mie forze possano ripiegare e che non venga sparato contro di loro alcun colpo.-, disse.
-Proximo, qui Serena Prima. L’Imperator ha delegato a me il compito di accettare la tua resa.-, disse, -I tuoi uomini possono ripiegare. Ti do la mia parola che non saranno attaccati.-.
-Il tuo Imperator cosa ne pensa?-, chiese il Legato.
-Non ha possibilità di opporsi.-, rispose Serena. Proximo si domandò cosa volesse dire quella frase. Infine decise.
-Iniziate a ripiegare. Caricate i feriti sui carri. Prima i più gravi.-, disse.
-Signore…-, osò dire la giovane aiutante di campo. Proximo alzò una mano, perentorio.
-Fatelo. E andatevene. Vivete per combattere un altro giorno. È tutto ciò che vi chiedo. Il mio ultimo ordine a tutti voi.-, disse.

Aristarda Nera attendeva notizie. Ormai era pomeriggio inoltrato, quasi il tramonto.
Quando vide i primi carri tornare, cominciò a farsi un’idea. Guardò i suoi uomini scedere dai mezzi, aiutare i feriti, scaricare i corpi dei morti.
-Dei…-, sussurrò. Proximo, dov’era? Dov’era?! Non osò chiedere.
Vide marciare, con l’inconfondibile lentezza degli sconfitti, i suoi uomini. Le quattro legioni avevano perso moltissimi uomini. I centurioni e i vexilliferi parevano spenti, provati.
Gli ufficiali seguivano, stanchi quanto gli uomini stessi.
Li guardò ripiegare, riorganizzarsi. Alcuni ufficiali la raggiunsero. Poi osò parlare.
-Abbiamo perso?-, chiese. La voce non le tremava, non ancora.
-Abbiamo perso. Suo fratello… la sua trappola si é chiusa su di noi.-, mormorò un Legato.
-Perdite?-, chiese. Esitazioni varie, poi, finalmente un Tribuno parlò.
-Molteplici. Quindicimila o più, tra morti e feriti. E molti feriti non passeranno la notte.-.
-Proximo… dov’é?-, chiese l’Imperatrix.
-Si é… consegnato. Sapendo bene che in caso contrario saremmo morti tutti. Gli dobbiamo la vita. Il nemico ci aveva circondati…-, sussurrò un altro Legato.
Niente, vuoto, un abisso le si spalancò nel cuore, una voragine che fagocitò persino la luce.
Il dolore fu così totale che Aristarda Nera non proferì verbo per minuti.
-Ripieghiamo. Ci riorganizzeremo a Renneus.-, disse.
-Signora… e Proximo? Septimo lo ha catturato.-, disse.
Aristarda avrebbe voluto solo piangere, urlare. Essere una donna come tante, potersi permettere il lusso enorme, assoluto, della disperata resa alle proprie emozioni. Ma non poteva.
Era l’Imperatrix. Aveva un dovere verso tutti loro. Come Proximo.
-Septimo pensa di potermi costringere a cedere, usando Proximo. Oppure l’ha già ucciso. In ogni caso, per noi é come se fosse morto. Dobbiamo continuare  a lottare. Fate salire i vostri uomini sui trasporti. Ripieghiamo.-, disse.
Solo dopo, quando fu a bordo del suo trasporto, circondata dalla sua Guardia, emise un singhiozzo  che pian piano, divenne un pianto.

Farro, ceci e fave. Una brodaglia da soldati. Un rancio misero. Proximo lo assaggiò con cautela. Non era avvelenato, o almeno, non aveva sapori strani. Ma poi perché mai avrebbe dovuto esserlo?
Septimo doveva avere in mente ben altro. Un modo molto più raffinato per farlo fuori.
Probabilmente però prima avrebbe tentato di ricattare Aristarda. Ma l’Imperatrix non si sarebbe piegata. Almeno così voleva credere lui.
-Proximo.-, disse una voce. La porta della cella si aprì. Entrò un uomo. Septimo Nero.
-Proximo l’Invitto, Proximo, il Distruttore dei Barbari, Proximo il Ribelle Primo.-, disse. Avanzava a mani aperte, compiaciuto oltremisura. Proximo rimase indifferente.
-Proximo, l’Onorevole.-, continuò Septimo. Diede uno sguardo alla cella. C’era un secchio che fungeva da latrina, una branda e nient’altro. Le catene bloccavano il Legato prigioniero, stringendogli le caviglie. L’Imperator maledetto era lì. Proximo desiderò solo poterlo uccidere.
Ma sapeva che non era possibile, si dominò. O almeno tentò di farlo.
-Eppure eccoti qui. Prigioniero. Non dubitavo che avresti accettato.-, disse Septimo.
-Io valuto la vita dei miei uomini. Non posso dire lo stesso di te.-, rispose Proximo.
-Oh, certo. Tu valuti la loro vita, ma non ti ripugna il mandarli a morire.-, replicò Septimo.
-Sono conscio di ogni sacrificio che chiedo. Mi sono battuto in prima linea con loro.-, rispose il prgioniero, -Tu invece?-, chiese, sprezzante.
-Io sono l’Imperator. Non ho nulla da dimostrare. A nessuno.-, disse Septimo.
-No? E cosa mi dici di tua sorella?-, chiese Proximo con un ghigno.
-Aristarda é persa senza di te.-, ribatté l’Imperator, calmo. Il ghigno di Proximo Lario si allargò.
-Intendevo l’altra.-, disse. Fu come se una bomba fosse esplosa. L’Imperator si alzò e colpì con un pugno, due, tre il Legato, al viso. Proximo incassò. Sopportò.
-Non ci riuscirai… non riuscirai a farti uccidere!-, ringhiò Septimo.
-No. Forse no. Ma sappi che la tua reazione basta e avanza a confermare che la mia Imperatrix ha ragione. Sei un bastardo incestuoso blasfemo. Una bestia indegna del trono che occupa.-, rispose l’altro, -E posso garantirti questo. Tu oggi avrai anche vinto, ma domani, o tra dieci anni, il tuo regno finirà. Forse non per mano di Aristarda, ma finirà per decreto degli Dei.-.
-Ah, già. Gli Dei. Quelli che avrebbero dovuto garantirti la vittoria… curioso come siano dalla mia parte, vero?-, chiese Septimo. Si chinò sul prigioniero. Strappò le vesti dell’uomo, esponendo il petto con varie cicatrici e un tatuaggio. Strappò all’uomo una collana. La riconobbe alla luce fioca.
-Questa… é di mia sorella.-, sussurrò. Guardò Proximo, che sorrise.
-È un pegno di stima… hai presente, no? Quella che si ha per gente meritevole…-, disse nonostante le labbra spaccate e i denti traballanti a causa delle percosse.
-Oh… capisco.-, sussurrò Septimo. La sua ira ora pareva gelida. Totale.
-Mia sorella ha aperto le gambe per te, Legato. Come l’ultima delle puttane.-, sibilò.
-Tua sorella ha onore e dignità. E in confronto a te, persino l’ultima delle meretrici é favorita dagli Dei.-, rispose Proximo a denti stretti. Il dolore delle percosse stava iniziando a farsi sentire.
-Onore? Dignità? Si é ribellata all’Imperator. È solo una ribelle e morirà da ribelle, crocifissa sulla pubblica piazza.-, rispose Septimo.
-Forse. Ma sicuramente, tu morirai a tua volta.-, rispose Proximo.
-Impudente e sprezzante come mi avevano detto. Dimmi, Legato… Mia sorella ti stima? Forse ti ama persino? Scommetto che vorresti riabbracciarla. Scommetto che la rivorresti al tuo fianco.-, disse Septimo con un sorriso. Ora il suo tono era calmo, ammaliante. Un incantatore.
-Non si piegherà mai a te per riavermi.-, rispose lui.
-Oh, no! Hai frainteso, Proximo. Io credo che Aristarda sia cocciuta tanto quanto me, e forse anche di più, ma sicuramente comprenderebbe il suo errore se tu ti schierassi con me. Immagina… Tu e Serena Prima… L’Impero sarebbe unito, di nuovo…-, la voce dell’Imperator era divenuta bassa, sussurrata, un incantesimo intessuto con sublime maestria oratoria, -Persino Aristarda capirebbe… Non é forse quello che vuoi? Non ti lamentavi delle vite inutilmente spese?-, chiese.
Proximo espirò. L’Impero unito… L’Impero nuovamente saldo… La fine di quella guerra civile.
Con Septimo sul trono? Mai!
-Possano i Tre Mondi bruciare prima che io mi unisca a te!-, esclamò Proximo. Vi fu silenzio.
-Capisco. Proporrò comunque a mia sorella un accordo. Nulla di eccessivo. E se non dovesse accettare, beh… diciamo che farò sì che tutti comprendano la situazione.-, disse l’Imperator.
Si alzò, lisciandosi la toga majestatis e uscì dalla cella, lasciando Proximo al suo rancio freddo.

Brixiate era in festa. La Battaglia di Brixiate, come sarebbe passata alla storia, era stata una sconcertante vittoria di Septimo. Ethelus festeggiava con i suoi ufficiali tra vino, donne, cibo e giovani efebi. Tastò le natiche di un’ancella, scolandosi un calice di vino, stringendo la giovane carne con gusto. L’ancella sorrise, ma dietro il sorriso c’era altro, che lui non vedeva.
-All’Imperator! Ave!-, esclamò. Altri gli fecero eco. Un autentico baccanale privo di regole o remore. Gli ufficiali s’ingozzavano mentre bevevano o scopavano. Un Centurione veniva sollazzato da un giovinetto dalla pelle scura, mentre un Tribuno sodomizzava di gran lena una giovane dalla carnagione ambrata. Due suonatrici d’arpa parevano immuni alle carezze lascive e nient’affatto discrete di due alticci ufficiali e continuavano nella loro opera, devote al loro compito. Una ballerina stava subendo l’assalto di un ufficiale che la possedeva senza troppi riguardi mentre un efebo gli sussurrava paroline dolci all’orecchio. Un Legato, Niverio, palpeggiava senza ritegno una giovane mentre un servo gli versava da bere. Non pago, il vecchio sollevò la veste della ragazza esponendone le nudità e prese a sondarle con le dita. Risate e schiamazzi.
Serena Prima osservò tutto ciò per poco, pochissimo tempo. Non festeggiava.
Aveva partecipato al trionfo serale solo e unicamente per una formalità. Aveva accolto le lodi senza  montarsi la testa ed aveva offerto libagioni al Dio della Guerra per la vittoria, oltre ad aver gestito i riti funebri. Le pire dei morti ardevano ancora. Eppure i vivi erano lì, a celebrare la vittoria, illudendosi di aver salvato l’Impero. Volse le spalle alla “festa”.
Aveva ancora del lavoro da fare.

La porta si aprì di nuovo.
Proximo sollevò il capo. Era scivolato nel dormiveglia.
-Ave, Proximo.-, salutò Serena Prima. Dal vivo, sembrava diversa, meno altezzosa di come appariva nei rapporti d’intelligence. Il Legato sorrise. Congiunse la mani.
-Ave, Serena Prima.-, disse, -Non é nel tuo stile gioire della sconfitta di un nemico.-, notò.
-No. Infatti.-, la giovane si avvicinò. Accese una torcia. Notò le vesti strappate, il viso pesto.
-Septimo non ha usato la tua cortesia.-, disse Proximo con un sorriso appena abbozzato.
Notò lo sguardo della giovane sui tatuaggi sul petto. Stemmi di un epoca passata. No, di molto altro. E notò, alla luce fioca della cella, i tatuaggi sulle braccia di lei.
-Cosa giace all’ombra della statua?-, chiese conscio che avrebbe ricevuto risposta.
-La nostra salvezza, il nostro retaggio.-, rispose Serena senza esitare.
-Donde vieni?-, chiese lei. Lui non dovette pensarci.
-Dal buio.-, rispose, -Dove vai?-, chiese.
-Verso la luce.-, rispose lei.
-Insieme saremo come fiamma e oscurità, mutamento e stagnazione. La luce di una nuova alba.-.
L’ultima frase fu detta all’unisono. Serena lo guardava, stupita.
-Chi l’avrebbe detto? Tu…-, sussurrò.
-La Stirpe esiste per il sangue versato, il sangue che scorre in tutti noi.-, sussurrò lui.
-Sì. Ed esso é il vincolo che ci ha visti attraversare i secoli.-, continuò lei.
-Da quanto tempo?-, chiese lei.
-Da quando avevo diciassette anni. Mi fecero solo un tatuaggio. Tu ne hai molti di più. Sei di un grado più elevato.-, disse lui.
-Ho avuto… un’ottima insegnante.-, rispose Serena, -Da quando avevo dodici anni.-.
-E come me discendi dal sangue dei nostri Fondatori. Dal sangue di Janus.-, disse Proximo.
-Sì. Mi dolgo di averlo saputo solo ora. La tua abilità, l’oratoria… tutto si spiega ora.-, rispose lei.
-Non avresti potuto fare nulla: il mio destino era di servire Aristarda. Era il mio posto.-, sorrise lui. -Morirai per questo. Tu lo sai e io lo so.-, rispose Serena. Accarezzò appena il viso dell’uomo.
-Sì. È ciò che deve essere.-, annuì Proximo. Non era turbato.
-Ci sono ancora due compiti che dovrai svolgere.-, disse la giovane.
-Il primo mi é chiaro. Aristarda deve continuare a combattere. E sappiamo tutti benissimo cosa significa. L’Impero é condannato.-. A quelle parole del Legato seguì il silenzio.
-Sapevo che lo era, ma vorrei che così non fosse per la sua gente.-, disse, -È per questo che continuo a battermi. La Stirpe non ha torto, ma la gente… nessuno ci pensa mai.-.
-La nostra non é un’era di misericordia.-, ammise Serena.
-Il secondo compito, invece?-, chiese Proximo.
-Assicurare una discendenza. Noi siamo discendenti di Janus. Proprio come lo era il vecchio Socrax, proprio come lo furono anche altri, ma non sappiamo quanti ve ne siano.-, disse Serena.
-Mi stai chiedendo di darti il mio seme?-, domandò Proximo.
-Sì.-, rispose semplicemente lei. Si spogliò della tunica. Sotto non portava nulla.
-È un così terribile compito? Un’ordalia tanto dolorosa, o sommo condottiero?-, chiese.
-No… D’altronde il mio fato é segnato.-, disse Proximo. Mise a nudo il membro. Non era totalmente eretto. Serena annuì. Lo manipolò con estrema capacità.
-Conosci il nostro dovere: ci é concesso accoppiarci solo tra noi, affinché non nascano bastardi. La linea del sangue deve proseguire pura.-, disse.
Lui annuì. Ovviamente non disse nulla degli amplessi con Aristarda. Non che la cosa fosse problematica. Sapeva che anche altri della Stirpe avevano trasgredito a quel comandamento.
Ma Aristarda era intoccabile, protetta in modo eccelso e al di là di qualunque minaccia.
Serena si impalò sul membro di Proximo, lasciandolo affondare dentro di sé sino alla radice.
Proximo sprofondò in un abisso rovente. Lei lo baciò. Gemettero entrambi mentre la giovane stabiliva il ritmo. Lui seguiva i tatuaggi lungo il suo corpo, simboli che per i normali romani di licaneo lignaggio nulla significavano, eppure per lui erano leggibili, come un libro aperto.
Lei lo baciò, lui le accarezzò i seni. Lei sorrise. Continuò per un tempo che parve infinito. Infine, Proximo eiaculò prepotentemente dentro Serena. La giovane si alzò, cercando di limitare la perdita di seme. Il suo destino era generare la futura discendenza della Stirpe. Si rivestì.
Era stato un amplesso breve, piatto. Nulla di appassionato, solo mero istinto riproduttivo.
-Addio Proximo Lario, onorevole condottiero. Possa tu trovare pace.-, sussurrò lei.
-Addio, Serena Prima, Comes Imperatoris et Magistra Militum. Compi ciò che io non potrò veder fatto.-, disse lui. Appena fu uscita, le luci si spensero. E Proximo dormì.

Il giorno dopo non accadde nulla. Quello dopo, Septimo Nero emanò il verdetto.
Per la ribellione e il crimine di tradimento nei confronti del Trono Imperiale, Proximo Lario sarebbe stato crocifisso. Un supplizio noto. Ma ci sarebbe stato un particolare: la crocifissione di Proximo avrebbe avuto come seguito il rogo. Una pena terribile.
Evidentemente, Aristarda non si era piegata.
Proximo morì com’era vissuto: dignitosamente, onorevolmente e fiero. Nei suoi ultimi momenti dileggiò Septimo Nero, dichiarandolo indegno del suo regno, blasfemo, incestuoso e crudele, dicendosi fiducioso della sua prossima caduta. Più di una persona mormorò qualcosa d’indistinto, suppliche di pietà per quel martire dell’Impero, vero campione di virtù. L’eroe che l’Impero non meritava, ma di cui aveva bisogno, e che ora gli veniva strappato.
Septimo guardò quell’uomo bruciare.

Infine, Septimo tornò a Roma come un conquistatore. Lieto della vittoria, il Senato non si oppose alle sue nuove riforme, neppure alla costruzione di un monumento alla vittoria di Serena Prima.
Ma nonostante la vittoria, la congiura continuava.

Ricostruito da varie fonti dalla comunità degli Abdicati, anno dodicesimo dalla Caduta dell’Impero.

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