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Ero sfinita; appagata come mai prima in vita mia, ma sfinita.

Lui si sfilò da dentro me e come lo fece sentii ruscellare secrezioni lungo la coscia… Oddio, avevamo deciso, con Marco, che era inutile usare precauzioni anticoncezionali e adesso…

Ma no, mi erano finite da poco: nessun pericolo!

Mi tirò giù a forza dal tavolo e mi fece accucciare: «Mica pretenderai che me lo metta nei pantaloni così sporco, vero?»

Lo guardai: era mezzo mollo, con striature consistenti bianche e luccicante di umidore.

Mi afferrò per il naso e mi strinse le narici: per non soffocare, dovetti aprire la bocca e lui me la riempì col suo aff… ehm, cazzone.

«Dai: succhia, lecca, puliscilo per bene!»

Ed io, ormai senza più volontà, eseguii l’ordine, leccando e succhiando e cercando di non pensare alle parti più dense che ingoiavo.

Alla fine mi spinse via in malo modo e si risistemò: «A che ora arriva, il cazzetto che hai sposato?» chiese, dando un’occhiata distratta al suo orologio.

«Stasera non rientra: è fuori città per lavoro…»
«Beh, meglio per te: almeno non dovrai fare confronti disastrosi a distanza di poche ore…» Ghignò, cattivo «Quindi stasera sei tutta sola, nel vostro lettone?»
Annuii e senza forse averlo neanche davvero voluto, dissi: «Sì, per ancora quattro giorni… Vuole fermarsi a dormire qui?»

Lui rise, acre: «Dormire solo o anche chiavarti ancora come una troia, facendoti godere come non hai mai immaginato di poter godere prima? -Arrossii e abbassai lo sguardo sui miei piedi- Ti piacerebbe eh, troietta?»

Annuii, rossa in volto, ma con la topina già di nuovo in ebollizione.

«Non ho capito… Dillo! Ma dillo bene!»

Ormai ero oltre la dignità, l’avevo lasciata ben dietro di me: «Mi avrebbe fatto piacere che lei… si fosse fermato a dormire… e non solo… qui da me, per… per potermi chiavare ancora a suo piacimento…»

Rise, aspro: «Brava, vedi che impari?

Adesso voglio ispezionarti, da bravo veterinario…» Annuii, assecondandolo

«In vita mia, non ho mai ispezionato una bestia vestita: cosa aspetti???»

Mi vergognai di non averci pensato da sola e mi sbrigai a togliermi i pochi capi di abbigliamento che, interi o lacerati da lui, avevo ancora addosso.

Mi fece stare in piedi, braccia lungo i fianchi, facendomi allargare un po’ i piedi con piccoli calcetti alle caviglie e poi mi guardò, palpò, soppesò; mi fece domande sulla mia salute, le funzioni biologiche e mi fece aprire la bocca e la controllò e così anche la topina e mi disse di allargarmi bene “il culo” in modo da potermi sondare il buchetto.

Alla fine, andò in bagno e sentii scorrere a lungo l’acqua; tornò allacciandosi i polsini: evidentemente si era lavato le mani dopo avermi soppesata e frugata ovunque.

Mi guardò con una strana espressione ed andò a sedersi sul divano; io anche feci la mossa per andarmi a sedere sulla poltrona accanto, ma «Ferma!»

Mi bloccai dov’ero.

«Mettiti dritta, ma resta in piedi.
Dunque, direi che ti è piaciuto come ti ho usata, sbaglio? Rispondi!»
Ed io, ormai persa giù per la china della mia degradazione, risposi: « Sì… dottore: mi è piaciuto come mi ha usata…»

«Questa potrebbe essere l’ultima volta in vita tua… -sbiancai, mentre una vena di disperazione si impadroniva di me- …oppure solo il modesto inizio di cose molto più piacevoli e coinvolgenti…

Sta a te decidere, adesso! O io uscirò da quella porta e tu non mi vedrai più, oppure adesso accetterai di diventare la mia schiava e farai tutto ciò che io, od altri in nome mio, ti diremo di fare.
Allora, accetti di diventare la mia schiava sessuale?»
Lo guardai, ipnotizzata come un coniglio davanti ad un pitone e lui, subdolamente, si era riaperto i pantaloni e giocherellava col suo cazzo, che si stava inturgidendo.

Incrociai il suo sguardo ed annuii… ma subito, ricordando quanto lui pretenda sentirmi dire le cose «Sì, dottore: accetto di diventare la sua… schiava sessuale e di… fare ogni cosa lei o… altri mi ordiniate di fare»

Fece un sorriso che gli tagliava la faccia in due.

«Bene. Una schiava ha bisogno di regole che deve scrupolosamente seguire.

Regola numero uno: in casa starai sempre nuda… per adesso quando la mezzasega non c’è (anche tipo tu che arrivi e lui non è ancora rientrato!)… più in là vedremo.

Se dovesse suonare qualcuno alla porta indosserai l’accappatoio -senza cintura e tenuto chiuso con la mano- e, chiunque sia, dirai “Scusi la tenuta, ma stavo per entrare sotto la doccia”.

Questo per casa… Adesso spiegami dove lavori, cosa fai e con che orari»

E io, come una scolaretta diligente, gli spiegai che ero negli uffici di un’impresa di trasporti, l’orario che facevo e, rispondendo a sue domande, precisai che a volte mi capitava, in giornate particolari, di avere a che fare coi camionisti; sia i dipendenti della ditta che i padroncini che collaboravano con l’azienda.

Grugnì, soddisfatto. «Andiamo in camera, voglio vedere la tua biancheria intima»

Gli feci strada ma lui volle anche che portassi un sacco nero, da rifiuti.

Mi fece tenere il sacco aperto e dai cassetti prendeva brancate di miei reggiseni, slip, culottes, perizoma e anche costumini da bagno e li ficcava dentro.

Alla fine mi guardò, alzando un sopracciglio come per dire “Mbeh?” e io osai protestare -pur timidamente-, che aveva preso tutto il mio intimo.

«Prima di tutto non ti serve!» Provai a difendere almeno i bikini «Quando andrai al mare, farai nudismo, quindi neanche i bikini ti serviranno più.
Ovviamente, anche quando uscirai di casa niente intimo e pantaloni: solo gonne… o corte o ampie! Non essere timida, fai in modo che si rendano conto che sotto sei nuda.
In camera ho visto che hai una di quelle gonne abbottonate davanti, con tre bottoni. Bene: domani indosserai quella con solo un bottone allacciato, finché qualcuno non ti nota: allora dirai “Oh, che distratta!” e, con molta calma, ti abbottonerai un altro solo bottone.

Adesso rispondi: che misura hai di seno?»

«Beh, porto una seconda»

«Poche tette! Ti darò degli ormoni per fartele crescere… ed anche la tua fica… la voglio più piena, bombata. Non ti preoccupare, conosco i farmaci veterinari adatti per farti diventare la vacca che ho in mente!

Adesso vado, che devo farmi un po’ di cazzi miei, ma verrò domani quando sarai uscita dal lavoro per farti cominciare la terapia ormonale»

Detto ciò, come un vento di tempesta, se ne andò senza dire una parola, lasciandomi nuda e frastornata, a riflettere su tutto ciò che era successo e che era stato detto.

Il giorno dopo, andando a lavorare, sentivo gli occhi di tutti addosso e vedessero chiaramente che, sotto la gonna, ero nuda.

Avevo indossato la gonna a tre bottoni, come ordinato, con solo il primo allacciato ed ero terrorizzata che si vedesse qualcosa.
Raggiunsi la mia auto, parcheggiata lungo il marciapiedi in una strada vicina a casa (il posto migliore che fossi riuscita a trovare rientrando la sera prima) e realizzai che dovevo salire (e poi discendere!) in modo molto “composto”, per non dare spettacolo.

Lasciata, alla fine del tragitto, l’auto in un angolo del piazzale dell’azienda, scesi con moooolta cautela e poi mi avventurai nella sua traversata, verso la palazzina degli uffici, accanto al capannone del deposito merci. Alcuni mezzi facevano manovra e due autisti erano alla macchinetta del caffè, sotto la tettoia nell’angolo del piazzale a chiacchierare e fumare coi bicchierini in mano.

Sperai di essere ignorata da loro, ma con la coda dell’occhio li vidi girarsi verso di me e poi parlottare e ridere. Avranno visto qualcosa??
Entrai nell’ufficio e mi sedetti alla mia scrivania, quella sulla destra entrando; le altre due, occupate da Raffaella e Antonio, sono rispettivamente di fronte ed alla mia destra; come ultima arrivata, mi è toccato il posto senza la finestra dietro, anche se l’ufficio d’angolo è luminoso per le due altre grandi finestre.
Quella mattina ero sola, perchè sapevo che Antonio aveva preso la settimana di ferie e Raffaella, invece, non stava bene.
Comunque, non era un gran problema: in quella stanza ci occupavamo di questioni amministrative e solo raramente avevamo a che fare con i conducenti.

Le nostre scrivanie erano aperte, davanti ed io avevo il terrore che qualcun entrasse e si abbassasse e vedesse che ero senza mutande… Perciò avevo cominciato la giornata tenendo spasmodicamente serrate le ginocchia, fino a quando i muscoli delle cosce, dolenti, mi avvisarono che stavo davvero esagerando.

Verso le dieci, decisi che avevo voglia di un caffè e che potevo arrischiarmi nel corridoio, fino alla macchinetta là in fondo. Controllai di avere la chiave magnetica per pagarmi le consumazioni e poi, verificato che il corridoio era deserto, mi avventurai.
Stavo aspettando che la macchinetta finisse di erogarmi il caffè, quando sentii avvicinarsi due persone dietro di me.

Ero terrorizzata e volevo far finta di non averli percepiti.

«Ciao Monica» «Ciao bellissima!»

girai la testa e mi forzai di sorridere: «Ciao Stefano, ciao Gregorio» Erano due miei colleghi dell’ufficio spedizioni; Stefano era un pacioso ragioniere occhialuto piccolino grasso e pelato, oltre i cinquanta, mentre Gregorio era sui trenta, un appassionato sportivo con un fisico scolpito e l’aria da sciupafemmine; mentre il primo non si sarebbe accorto neanche che ero completamente nuda ed avevo tinto i capelli di verdefluo, l’altro sembrava un cane da caccia, sempre ad annusare ed esplorare in giro, in cerca di qualunque cosa lui potesse decidere gli potesse interessare.

Estrassi il bicchierino dalla macchinetta e, scostandomi come facendo un passo di una complicata danza, lasciai la macchinetta a loro e mi incamminai verso la mia stanza, sorseggiando con cautela la bevanda bollente.
«Hei, bellissima! Non sai che le macchinette son state messe nei corridoi dei posti di lavoro perché la gente potesse anche fare due chiacchiere, mentre si beve rilassata il caffè?

Vieni qui e parla con noi dai! Siamo due gentiluomini e -giuro!- se Stefano provasse a saltarti addosso, lo tratterrei con tutte le mie forze!»

La scena era così improbabile che mi voltai, ridacchiando, mentre lui mi guardava trionfante e il ragioniere si guardava in giro, come cercando di capire quello che aveva pur udito.
Gregorio alzò il suo bicchierino sorridendo, come per un silenzioso brindisi e -cercando di rilassarmi- sorrisi di rimando e feci lo stesso gesto, tornando verso di loro.

Cercavo di fare passetti, piegando solo le ginocchia per non correre il rischio che la gonna… sventolasse, mostrando i miei nudi misteri, ma Gregorio mi aveva già scansionato dalla punta dei capelli alle suole e mi guardava con un’esressione divertita.. o meglio: guardava sia me che i due bottoni slacciati, alternativamente.

Però fu gentiluomo: non disse nulla dela mia mise, ma fece solo le sue solite battute da playboy e raccontò una piccola breve cosa buffa che gli era successa il giorno prima.
Poi decidemmo che il nostro piccolo intervallo era durato abbastanza e ci dirigemmo ai nostri uffici.
Una parte di me era quasi delusa da Gregorio: a quel punto, siccome aveva sicuramente visto la gonna slacciata, mi aspettavo che dicesse, facesse qualcosa e -mi rendevo conto- la mia cosina si era inaspettatamente inumidita.

E lui, niente! Se n’è restato lì con quell’aria sua solita beffarda a dire sciocchezze con quell’altro e, a parte la… scansione all’inizio, mi ha bellamente ignorata!
All’ora di pranzo non avevo voglia di andare alla trattoria convenzionata e così mi presi dei tramezzini e una coca al distributore automatico. Gli unici contatti coi colleghi, li ebbi via telefono e con la chat aziendale e presi il caffè di metà pomeriggio alla macchinetta, incontrando Stefania, l’altera segretaria del cavalier Rossi, il proprietario dell’azienda: mi scrutò dall’alto in basso e mi lasciò con un’espressione schifata.

Alla fine del mio orario di lavoro, attraversai il piazzale di buon passo, con l’orlo della gonna che si agitava al ritmo dei miei passi decisi e un padroncino, dal suo furgone, mi fischiò in segno di apprezzamento e, senza neanche pensarci su, mi girai e gli sorrisi.

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