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Quell’uomo mi voleva far sua. Era evidente. La scorsa estate, fra i vari impegni, ci eravamo ritagliati con mio marito, un breve periodo di ferie in Calabria, in un villaggio turistico dall’organizzazione a dir poco approssimativa, situato su una collina a circa cinque chilometri dal mare. Mi chiamo Stefania, ho quasi cinquant’anni, molto ben portati, quattro o cinque chili in più del mio peso forma, ma – mi dicono – mirabilmente distribuiti. Svolgo mansioni manageriali presso una società di servizi. Sono stata spesso oggetto di desiderio, ma mi son sempre considerata tutta d’un pezzo, con una solida morale e certa di non cedere alle brame di alcuno. Così almeno credevo.
Antonio, lavorava come factotum al villaggio. Mi guardava libidinosamente, mi fissava con uno sguardo che, non era difficile capirlo, esprimeva una intensa voglia di possedermi. Mi spogliava con lo sguardo. Era un individuo pelle olivastra, villoso, tarchiato, con uno sguardo torvo. Quando passavo nelle sue vicinanze mi lanciava occhiate oscene, facendomi cenni ambiguamente allusivi, si esibiva nel suo becero repertorio sperando di attirare la mia attenzione. Immancabilmente la stessa frase:
– Buon giorno signora, sempre al suo servizio.
L’idea di un rapporto con un simile individuo non ritenevo entrasse neanche lontanamente fra i miei pensieri, anzi addirittura mi repelleva ma lentamente cominciai a cogliere in me una strana voglia di trasgredire e fui torbidamente attratta proprio da questo che ritenevo grezzo, zotico, volgare.
Mi sovvennero i discorsi delle mie amiche che, raccontandomi delle loro tresche, mi dicevano:
– Lasciati andare, cosa sarà mai? Dovrai avere prima o poi un’avventura? Non devi mica impegnarti, una botta e via. Vedrai, è divertente.
In fondo – considerai – cosa c’era di meno impegnativo di una scopata con quell’uomo? Ricacciavo l’idea ma questa si ripresentava insistente.
Una sera, durante una noiosissima festa organizzata dagli animatori del villaggio, e approfittando dell’assenza di mio marito che cercava di conquistare due bibite al bar molto affollato, Antonio, mentre ero in disparte in una zona poco illuminata, mi si avvicinò alle spalle. Villanamente palpeggiò, attraverso la serica stoffa del mio abito, i miei glutei. Appoggiando una mano nell’incavo della mia ascella destra raggiunse la base del mio seno e si spinse fino al capezzolo.
Trasalii e protestai, sommessamente a dire il vero, incapace di muovermi:
– Ma come si permette? –
Lui sghignazzò.
– Lo sa? L’ho capito subito che tipo di donna è lei e che cosa sta cercando: una bella scossa.
– Ma come osa?
Ma poi, con la pelle percorsa da brividi, lo lasciai fare, attirata inesorabilmente in quel sordido gorgo di lussuria. Incoraggiato dal mio comportamento remissivo, e dalla scarsa illuminazione del luogo, risalendo con una mano lungo le mie cosce, raggiunse la zona genitale trovando le mutandine bagnate. Sempre più sicuro di sé:
– Se vuole, signora bella, domani pomeriggio, dalle due sarò libero. Tutto per lei, a sua disposizione.
La notte pensai, e lottai fra due sentimenti contrastanti: la mia solida concezione della fedeltà coniugale e questo desiderio di uscire dagli schemi e provare quell’emozione carnale travolgente.
Nel tormento insonne maturai la decisione di gettarmi in quell’avventura eccitante. Il senso del proibito che la contraddistingueva sembrava costituire un ulteriore incoraggiamento.
La mattina, con mio marito, ci recammo alla spiaggia e ci godemmo il mare, solcato da meravigliosi cavalloni che lo rendevano una sorta di giostra liquida, particolarmente divertente. La mia mente era distratta e ansiosa di quello che si stava preparando. Verso le due del pomeriggio dissi improvvisamente e fingendo disappunto:
– Torno al villaggio caro. Devo assolutamente fare una telefonata di lavoro e mi serve l’agenda che ho lasciato là.
– Ti accompagno.
– No, no, è questione di minuti. Rilassati e tieni occupato il nostro angolo di spiaggia, che è veramente incantevole.
Nel breve viaggio che mi riportava al villaggio, non stavo più nella pelle nell’attesa quell’avventura al buio.
Giunsi al villaggio mentre Antonio stava smontando dal suo turno.
Mi avvicinai alla reception – ricacciai i pensieri di rinuncia che mi avevano assalito – e chiesi, cercando di controllare il tremito della mia voce, se qualcuno poteva dare un’occhiata alla serratura del mio appartamento che sembrava difettosa. Il collega di Antonio mi guardò indolente e seccato, mentre lui con affettata cortesia si offrì:
– Pino, non preoccuparti ci penso io; poi vado direttamente a casa.
Prese la cassetta degli attrezzi e mi seguì. Sentivo il suo sguardo incollato ai miei glutei ondeggianti, mentre lo precedevo. Avvertivo la voglia libidinosa dell’uomo dietro di me, quasi fisicamente. Si udiva solo il ticchettio ritmico prodotto dai tacchi dei miei zoccoletti, nel silenzio e nella calura del pomeriggio estivo, col villaggio pressoché deserto, mentre il mio cuore aveva accelerato il ritmo
Alla prova, la chiave girò perfettamente nella serratura. Il factotum mi guardò maliziosamente.
– Forse la signora aveva in mente un altro tipo di serratura, di cui io ho la chiave giusta.
Ero li per quello, è vero, ma di fronte alla arroganza di quell’uomo mi ribellai.
– No, cosa crede? Forse c’è un equivoco.
– Non prendermi in giro, non saresti venuta qui se non volevi essere chiavata.
Mi serrò i polsi in una morsa ferrea e mi spinse dentro nella penombra relativamente fresca del mio alloggio.
– Ahi, mi fa male, mi lasci!
Chiuse la porta a chiave. Nella penombra fresca del bungalow mi trovavo sola con quel tipo.
Mi afferrò i capelli e mi costrinse a inginocchiarmi davanti a lui.
– Puttana, adesso farai quello che ti dirò. Non provare a protestare, a urlare. Parlo seriamente.
Mi lanciò un’occhiata terribile.
– Se necessario, i miei colleghi diranno che tu hai preso l’iniziativa attirandomi qui; faresti solo una figuraccia davanti a tutto il villaggio. Non so come sei abituata, ma qui, in questo momento sono io il padrone e farai tutto quello che voglio, capito?
Arrossendo annuii, sottomessa. Ormai c’ero dentro fino al collo. Nessuno mi aveva mai trattato in questo modo, ma tutto questo ebbe come esito paradossale l’incremento della mia eccitazione. Il mio volto si trovò all’altezza dei suoi genitali.
– Tirami fuori il cazzo, sbrigati. Comincia a farmi godere. – Sibilò prepotente.
Con mani incerte e tremanti gli sbottonai i pantaloni, gli abbassai le mutande e vidi un pene piuttosto voluminoso, già parzialmente eretto. Avvicinò, con la sua stretta sui capelli, il mio volto al suo pube, che emanava un afrore di selvatico. Cominciai a leccare i suoi testicoli e a baciargli tutto il pene. Ero estasiata: le dimensioni di quel membro mi meravigliavano, me lo lavorai con gusto. Titillai con la lingua il glande con movimenti rapidi della lingua e quella verga lievitò. Gli stava piacendo.
– Succhiamelo, leccamelo, brava, vai avanti così. Sembri una puttana professionista.
Tenevo quel pene nerboruto fra le mani e lo succhiavo e leccavo, indifferente, se non compiaciuta, di quell’acre aroma di maschio primordiale. Nel frattempo Antonio aveva rudemente sgusciato dal bikini i miei seni, li palpeggiava vigorosamente, strizzava i capezzoli facendomi male.
– Che belle tette che hai!
In bocca, le dimensioni del cazzo erano cresciute a dismisura e non lo contenevo più. Antonio me lo spingeva sempre più in profondità; mi toglieva il respiro, avevo la bocca tracimante di saliva.
– Succhiamelo signora.
Ero sempre sovrastata, dominata. Poi, stanco di quel gioco, Antonio decise che voleva altro e mi spinse in camera da letto. Mi gettò sul letto e, nell’atto di spogliami, osservò i miei piedi che aveva sollevato all’altezza dei suoi occhi per sfilarmi short e slip.
Si soffermò pensoso ed esclamò:
– Hai anche dei bei piedini. Sei tutta bella. Ora sei mia.
Mi denudò – mentre passiva, lo lasciavo fare – lasciandomi indifesa alle sue voglie.
– Alzati e fatti guardare.
Fui costretta a girarmi su me stessa per meglio esser valutata. Era sempre più elettrizzante.
Apprezzò la novità, per lui, della mia vulva depilata, liscia. Schioccò la lingua, voglioso. Mi gettò sul letto e le sue dita si insinuarono rudemente nella mia fessura e ne fuoriuscirono ricoperte dei miei umori.
– Guarda come coli, sei proprio vogliosa come una cagna in calore e avevi pure il coraggio di dire che non ne volevi sapere – esclamò soddisfatto, e apertemi le cosce leccò ingordamente, grugnendo, il nettare grondante della mia vulva rorida, fino a farmi gemere di piacere.
– Che buon sapore e che profumo! ‘Na vera fica di lusso, da signora.
Ormai il gusto che provavo, unito alla trasgressione, all’umiliazione, all’essere un puro oggetto, costituiva una miscela erotica sempre più esplosiva. Mi eccitava l’idea di comportarmi da depravata, di essere trattata da sgualdrina. Lui si liberò dei residui indumenti palesandosi, ancora di più, per quello che era: una irsuta bestia stillante sudore dall’acre aroma e il cui poderoso membro era la cosa che desideravo di più, in quel momento.
Mi pose in posizione a pecorina e ne approfittò per contemplare il mio didietro, che annusò e leccò con comportamento belluino. Per lui ero solo un animale femmina da usare.
– Vacca sei, e da vacca ti voglio prendere, – disse assestandomi una pacca sui glutei, come per ribadire il suo dominio su di me.
Introdusse con foga quella verga poderosa nella mia figa, fortunatamente molto bagnata, e ne prese pieno possesso. Nonostante i miei umori avessero realizzato una buona lubrificazione, il passaggio bruciante del suo largo glande mi strappò uno strillo di dolore. Lo sentii ghignare orgoglioso.
– Non hai mai provato un cazzo così grosso? Ti piace? Ammettilo. Urlalo!
– Si è vero! – gridai.
Mi stava piacendo moltissimo, in effetti. Era indescrivibile la percezione di quel cazzo che mi invadeva, sembrava squartarmi.
Le pareti vaginali sotto quello stimolo potente si dilatavano e contraevano. Perfino la mia zona perineale, tesa allo spasimo, coinvolgeva il mio buchetto nel godimento ed era esaltante. Un’anta dell’armadio era aperta e vedevo riflessa, sullo specchio ad essa applicato, la mia posizione a pecorina con i seni morbidi e abbondanti, percorsi da rivoli di sudore, che sobbalzavano e ondeggiavano sensualmente sotto i colpi vigorosi di Antonio il cui corpo irsuto all’inverosimile, avvinghiato alle mie forme morbide, dava l’idea che fossi montata da una bestia. Mi scopava selvaggiamente, quasi con ferocia, senza alcuna tenerezza. Girando il capo gli offrii la mia bocca per un bacio, segno ulteriore di resa incondizionata. Il mio volto specchiato rifletteva i miei sentimenti di passione, piacere e completo abbandono. L’amplesso mi consentì il raggiungimento di un appagante orgasmo come da molto tempo non provavo. Ero inebriata e senza freni:
– Stupendo, fantastico, brucio, sbattimi così…è durissimo…più a fondo… sbattimi forte. Vengo, godo, continua ti prego…ti supplico, ancora, sono la tua schiava.
– Grandissima zoccola….
Quando venne il suo turno, gemendo e lanciando urla strozzate, mi girò sulla schiena bruscamente, ordinandomi:
– Apri la bocca, signora.
Il cazzo, scosso da brividi, eiaculò attraverso le mie labbra spalancate in attesa, alcuni getti di liquido cremoso, caldo che mi riempirono la bocca. Non riuscivo, per una certa repulsione, a ingoiare tutto quello sperma che tracimando tendeva a scendermi fin sui seni.
– Ingoia tutto, zoccola – mi ingiunse, da padrone alla sua schiava. Diligente obbedii bevendo fino all’ultima goccia. Fui anche costretta a raccogliere con la lingua quello che mi era colato sulle mammelle. Lui osservava compiaciuto la mia sottomissione.
– Ben fatto!
Così finì tutto. Si congedò da me arrogante, minaccioso.
– Bene, la signora è servita; io torno da mia moglie e tu da tuo marito. Avevi voglia di scopare ed io ti ho riempita e soddisfatta. La storia finisce qui. Non osare parlarne con nessuno – da parte sua, son sicura, avrebbe raccontato la vicenda agli amici al bar del paese per allietare le sere d’inverno – tanto meno con tuo marito. È meglio che non sappia nulla, e cioè che sua moglie è una grandissima troia.
Non osai replicare nulla, pensando che adesso anch’io ora avevo qualcosa di lussuriosamente interessante da condividere con le amiche. Rimasta sola, indugiai ancora qualche minuto, nuda sul letto, scorrendo gli eccitanti momenti di quella mia prima relazione adulterina per fissarli nella mia mente. Lui si era comportata da padrone, è vero, ma in verità la regista che aveva architettato e deciso tutto ero pur sempre io. In ogni caso lui era stato un mio strumento e avevo ottenuto ciò che mi ero prefissa: un puro godimento fisico forse mai provato in precedenza, senza pensieri, bestiale in effetti.
Tornando al mare, dove mio marito si stava certamente preoccupando per il ritardo, lo tranquillizzai con una telefonata durante il breve tragitto in auto.
– Sto arrivando.
Mi venne incontro sulla spiaggia.
– Non rispondevi al cellulare, era sempre occupato.
– C’era un problema da risolvere e mi ha richiesto tempo.
– Tutto bene? Ti vedo un po’ strana.
Gli sorrisi rassicurante.
– Si, a posto, ho sistemato tutto con mia grande soddisfazione; forza, facciamo il bagno.
Avevo bisogno di rinfrescarmi per spegnere quel fuoco che ancora mi bruciava.

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