Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti EroticiRacconti Erotici Etero

Beyond the White. Indian target

By 4 Febbraio 2021No Comments

L’uomo osserva il tramonto. Lo conosce, e anche bene. È il tramonto dell’India, il sole pare immergersi in un fiume tanto ampio da sembrare un lago. Le strutture in legno che ospitano le carrucole note come Reti Cinesi per garantire una pesca sostanziosa sondando il fondale raccoglievano lentamente il pescato. La periferia di Kumbalangi, Kerala, restava animata.
Traffico in sottofondo, incapace di turbare il momento.
-È un tramonto magico.-, sussurra lui, a nessuno in particolare.
-Ci posso credere.-, dice James Crowain. L’ex SBS sorride, quasi triste, -Sembra magico a ogni latitudine, ma alla fine in alcuni posti è differente. Ero in Mozambico quando vidi un tramonto simile. Stupendo.-. L’uomo annuisce. Sa dei trascorsi di Crowain. L’ha reclutato anche per quello. I pescatori lontani stanno alzando le reti. Il pescato abbonda.
-Shaibat sarà online tra un’ora.-, dice l’uomo. Si alza. È rimasto seduto per un tempo difficile da quantificare. Normale: una simile vista è in grado di stupire, di annichilire il tempo.
Volta lo sguardo verso la via. Trafficata a dispetto dell’ora e del Covid. La gente in India continua la propria vita, come se nulla fosse anche se ormai il maledetto virus aveva stretto nella morsa svariati stati e aveva costretto numerosi leader a smettere di prendere sottogamba il morbo. Ma il Covid per ora non aveva nulla a che vedere con loro.
-Kingsword?-, chiede l’uomo attraverso l’auricolare. Il giovane, figlio di una nemica e validissimo alleato annuisce dall’altro lato della strada. Osserva una bancarella, contratta. Compra un elefantino in legno. Paccottiglia commerciale a costo iper-inflazionato.
Roba patetica ma che serve a reggere la copertura. Ufficialmente sono turisti, indomiti e incuranti del Covid in arrivo e intenti a scoprire l’Asia. Una comitiva internazionale? No.
Americani, ufficialmente. Visti e passaporti a posto, un lavoro certosino fornito da Shaibat.
E da Nô. La giapponese, minuta e giovane ma decisamente a suo agio nella copertura, avvolta in un sari comprato tre ore prima, beve del chai su una panca. Osserva distrattamente i dintorni. In realtà è totalmente e assolutamente conscia di tutto ciò che la circonda.
Lentamente, con calma e senza alcuna plateale procedura di riconoscimento, il gruppo si ritrova. Ordinano chai e thé. Battute e risate. Commenti ed espressioni spensierate.
Un’allegra comitiva di turisti pronti a ingrassare le tasche dei commercianti, lieti di farsi spennare per assaporare l’Oriente, ecco cosa sembrano.
Solo che non lo sono. Sono in missione. E tra breve, avranno alcune informazioni in più.

L’uomo, a dispetto della nostalgia provata per il subcontinente indiano e l’Asia in generale, sa bene che non sarà semplice: ci sono interessi convergenti, molteplici gruppi con le mani in pasta nella stessa greppia. Un branco di squali che nuota attorno alla nave che affonda.
La panoramica breve ma esaustiva della situazione in tutta l’India avevano evidenziato una serie di possibili avversari, alcuni erano previsti, altri sarebbero stati solo ipoteticamente tali. E poi c’erano le autorità, corrotte in alcuni punti e fanaticamente decise a fare un esempio dei criminali stranieri in altri. Un maledetto macello. Il Covid non aveva fermato le attività illegali. Caso mai le aveva aumentate. E ora l’uomo e i suoi compagni si trovavano ad affrontare quel ginepraio.
L’uomo osserva la strada. Passanti. Un fiume. Donne avvolte in sari, uomini in camicia e dothi, pochi o nessun bambino, accompagnati dalle madri. Le botteghe parevano rimaste al 1970 (sia esteriormente che internamente), murature erose dal (mal)tempo, cavi dell’elettricità pericolosamente bessi, fogne a cielo aperto, odore di spezie e di marciume nell’aria stranamente afosa. Il monsone stava arrivando. L’uomo continua a osservare.
Per quanto il posto gli parli, per quanto gli sia gradito, è pur sempre territorio nemico.
E di nemici ce ne sono parecchi. Nessun problema sul volo che ha condotto lui e i suoi compagni a Kochi, capitale dello stato del Kerala, nell’India meridionale.
Nessun problema neppure con i taxi, se non l’insistenza di un guidatore in merito a tutto un possibile giro per turisti che l’uomo aveva rifiutato, asserendo di averlo già fatto in un precedente soggiorno. E nessun problema neppure per le armi.
Consegnate da un giovane avvolto in vestiti sudici e strappate erano poche pistole.
Vecchi catenacci dell’era sovietica, coltelli pieghevoli vecchiotti ma ancora perfettamente funzionanti. Due caricatori per pistola e niente più, oltre alla discrezione del gruppo nel non risultare eccessivamente facoltosi o sospetti agli occhi di chiunque. L’avevano pagato in dollari, che al cambio erano qualcosa come un dollaro contro settantatré rupie.
Ma la loro miglior difesa era apparire turisti disinteressati a tutto se non a perdersi nel vorticante e spumeggiante panorama indiano. Fin lì, la cosa aveva retto.
Purtroppo però, le cose non vanno mai così. L’uomo nota qualcosa. Nô fissa un punto, per un lungo istante, distoglie lo sguardo. Si mette a ridere, racconta un aneddoto…
La perfetta turista statunitense con origini asiatiche, evidentemente alla riscoperta dell’Asia.
Peccato che gli occhi non mentano, e neppure quelli di Nô lo fanno. L’uomo la guarda. È seria.
Anche gli altri se ne accorgono. C’è un pericolo.
-Dunque… Ci ritroviamo alla guesthouse tra un’ora?-, chiese Jhon Kingsword. Aveva lasciato crescere capelli e barba.
-Sì.-, disse Nô, -Io andrò a curiosare in giro. C’è un negozio che vende spezie, qua vicino.-.
-Ti accompagno?-, si offrì Crowain. L’inglese con cortesia tutta britannica era evidentemente conscio del problema. La giapponese scosse il capo.
-No. Ma se ti va ti compro qualcosa.-, disse. L’uomo annuisce. Sente su di sé lo sguardo di Crowain, che pare passargli il testimone.
-Io sono a posto.-, dice l’inglese. Si alza e va a pagare. Elargisce una mancia di ben dieci rupie.
Le banconote sdrucite e sudice passano di mano. L’indiana che gestisce la cassa, grassottella, bassa e dal viso un po’ schiacciato, tutto sommato per nulla attraente sorride.
Crowain sorride di rimando. Saluta elegantemente ed esce. Si dirige verso sinistra, sino a sparire nella folla.
-Prendimi del masala, se puoi.-, risponde l’uomo. Intercetta un cameriere e paga a sua volta.
Nô annuisce appena. Lui si alza. Sguardo rapido in strada. Nulla di cui preoccuparsi.
Forse Nô si è sbagliata. Forse no. L’uomo propende per la seconda ipotesi.
Aspettarsi il peggio, non per sfiducia, ma perché raramente si resta delusi.
Attraversa la strada in corsa, riuscendo a evitare di essere tirato sotto da ben due auto.
Cacofonia di clacson. Raggiunge l’altro marciapiede. Si ferma davanti a una vetrina, saluta, parla, guarda. E sfrutta la vetrina, poco lucida. No, apparentemente nessun pedinatore.
Ma dev’essere sicuro. Passa oltre, scende lungo la strada sino a un ristorante. Il garzone all’entrata tenta di convincerlo ad entrare, lui scuote il capo. Specchi o superfici riflettenti opacate non ce ne sono. Decide: deve improvvisare. Potrebbe anche non fare nulla e attendere che ad agire siano i pedinatori, se poi ci sono, ma non è il suo stile.
Svolta un angolo. Sente un movimento, troppo affrettato per essere onesto. Asseconda l’istinto. Afferra il giovane per la veste tirandolo oltre l’angolo. Pelle scura, viso da piccolo sciacallo, un odore strano, frutto di una dieta sicuramente frugale, denti cariati nella bocca che sciorina parole smozzicate in inglese. L’uomo immagina, l’uomo sa.
Casta dei Ladri. Non è un malavitoso, è proprio il suo Dharma a volerlo ladro.
Il giovane farfuglia. L’uomo lo fissa, cerca segni di appartenenza, tatuaggi, armi. L’altro continua a scuotere la testa, supplicare. Tende la mano. Solo un borseggiatore?
L’uomo non lo sa. E non può certamente interrogarlo. Già qualcuno, donne e uomini per la strada, ha notato la scena. Si fanno i fatti propri. Un agente di polizia si avvicina.
-Problemi, signore?-, chiede. L’uomo indica il ragazzo, appena diciottenne. Continua a blaterare in Malayama, idioma di quella regione. Una sequela di parole talmente fluida da non consentire di capire dove inizia una parola e dove finisce… Ma il senso è chiaro.
L’agente sorride, sornione, forse persino comprensivo. Tira uno scappellotto al giovane.
-Ah, è un ladruncolo. Lasci, ci penso io.-, dice conciliante. L’uomo annuisce. Non gli piace tutta questa pantomima. L’agente è meno duro del previsto. In Asia i turisti non sono certo sacri e inviolabili, ma le istituzioni statali intendono fare bella figura con loro.
Le istituzioni, certo. Non i singoli. Per quanto ne sa, l’agente potrebbe aver pagato il ladro per seguirlo. La domanda resta: perché?

Qualcuno sa chi è, chi sono i suoi compagni? I loro nemici li hanno già individuati?
Domande, tutte domande. L’uomo, fosse per lui, chiederebbe, andrebbe a fondo della cosa.
Osserva l’agente. Sorride, compiaciuto.
-Faccia sparire questo marmocchio, agente.-, dice.
-Certo signore, me ne occupo io. Non la importunerà mai più!-, esclama l’agente, viso leggermente più chiaro, tondo e capelli neri corti. Affibbia due manrovesci al giovane che incassa lamentandosi. Un buon esempio di solerte opera di giustizia. L’uomo annuisce.
-Me lo auguro.-, dice, -Il vostro è un paese stupendo.-. L’agente ringrazia prima di afferrare il ragazzo per un polso e trascinarselo dietro. L’uomo pensa, riflette.
Il libro segreto dei samurai insegna a prendere una decisione in sette respiri.
Alla fine del terzo l’uomo prende la sua: seguire quei due lo renderebbe solo sospetto. E l’agente è già stato conciliante. È quasi sicuro che il ragazzo sarà libero dopo qualche scapaccione e niente più. La domanda è ancora quella: caso o premeditazione?

L’uomo spera che a Nô stia andando meglio.

 

Nô Mitsutune sa, perfettamente, come andranno le cose.
L’India non la conosce molto, ma non si è fatta illusioni. E se ha scelto di accompagnare il Giustiziere è proprio perché, a differenza di troppi occidentali stregati dal mito dell’Oriente, lei sa. Chiunque li abbia osservati è svanito nel mare della folla. Naturale, nulla da dire.
Ma Nô percepisce ancora qualcosa. Una vibrazione ostile. Haragei, consapevolezza nata dell’esercizio. Sa, sente che qualcuno la sta pedinando.
Per questo ha parlato in codice. Come già concordato prima di arrivare a Kochi.
In caso di pedinamento la frase sarebbe stata “Io andrò a curiosare in giro”. Il “negozio di spezie” esisteva davvero, ma nel loro codice aveva una funzione precisa: implicava pedinatori forse multipli. Il “ti accompagno” di Crowain era stato esattamente questo: una proposta a occuparsene insieme. Lei aveva rifiutato, più che altro perché sapeva che, se fosse stata da sola, gli altri forse si sarebbero esposti, avrebbero fatto un errore.
E l’offerta di comprare qualcosa era la domanda chiave: faccio prigionieri o mi limito a cercare di seminarli o sbarazzarmi di loro? La risposta del Giustiziere era stata determinante. Il Masala, tipica mistura di spezie indù in polvere molto usata, significava che avrebbe dovuto ottenere quante più risposte possibili.
Nô annuì. Espirò. Sudava. L’aria era afosa, nonostante ormai fosse autunno.
Camminò lungo la strada, oltrepassando una bancarella di frutta variopinta. Si concesse uno sguardo alle spalle facendosi un selfie con il selfie stick che si portava dietro.
Niente. Chiunque fossero i suoi pedinatori erano bravi. Bravi o fortunati. Comunque, lei era certa che ci fossero ancora. Scese lungo una strada secondaria. Evitò di misura di andare a sbattere contro un giovane. Si scusò. Entrò in un negozio. Trovò il Masala. Pagò, lasciò una mancia e uscì. E lo vide. Almeno uno dei due.
Era un uomo. T-shirt con scritta in inglese scolorita e dothi a strisce a cingere le reni. Il Dothi era un panno piegato e annodato attorno alla vita. Faceva da calzoni, più o meno. Un poveraccio. Indistinguibile nella massa. Un pedinatore. Ma gli altri?
Nô decise in due respiri. Andò verso una stradina. Superò senza neanche guardarlo un chiosco che vendeva bibite. Ignorò platealmente una gelateria (ben conscia dei rischi batteriologici insiti nell’acqua locale), Oltrepassò un ponticello in pietra. Si ritrovò sul cortile di una chiesa.
La funzione pareva essere ancora in corso. La oltrepassò dopo una foto.
Notò una donna in sari verde con una stola verde scuro. Pelle scura, viso sfregiato da una malattia della cute. Era apparentemente in preghiera ma, se avesse davvero voluto pregare sarebbe stata in chiesa, non fuori. Era lei la seconda pedinatrice. Nô annuì.
Ora che sapeva chi fossero, iniziava la parte difficile.
Svoltò un angolo. Passò oltre la chiesa, inoltrandosi nel dedalo di stradine. Chi erano i pedinatori? Semplici ladri o qualcuno al soldo di qualche loro nemico? Erano stati attenti.
Ma l’attenzione non era tutto. Talvolta, qualcosa poteva eventualmente trapelare.
Inutile farsi paranoie. Nô decise. Ne voleva uno vivo. E soprattutto, doveva evitare di ucciderli.
Sentì che svoltavano l’angolo. Rimase calma. Continuò a camminare. Quando sentì una mano sulla spalla, si voltò. Aveva impugnato il selfie stick. Arma misera in confronto alle altre, ma doveva evitare i sospetti. Il resto è pura azione, senza pensiero.
L’uomo con la T-shirt incassa al viso. Si lamenta stupidamente. Sangue in volo, perde un dente.
La donna indietreggia, colta di sorpresa dalla reazione rapida della turista. Non capisce, non immagina, o forse sì. Pondera la fuga? Forse. L’uomo impreca. Ha in pugno un coltello.
Nulla di che, ma in mano a un esperto può fare la differenza. Nô, purtroppo per lui, non è la classica turista da spennare. Il selfie stick cala di nuovo, finta verso destra e colpo verso sinistra. L’uomo incassa allo zigomo. Il selfie stick si rompe. Cinesata da pochi soldi.
La giovane lo lascia cadere. Nô calcia via il coltello dalla mano del tizio. L’uomo incespica. Tenta di reagire. Il calcio successivo arriva al mento e lo stende. La donna è una statua di sale. Poi semplicemente fugge, correndo con una velocità da centometrista. Nô non perde tempo. Sa che la donna ormai non è più raggiungibile.
L’uomo invece è steso a terra. Il colpo l’ha tramortito. Nô lo perquisisce. Poca roba. Un telefono, due banconote da cento rupie. Un ladro, senza dubbio. Ma al soldo di chi?
Il telefono è interessante. È un vecchio cellulare. Nulla di tecnologico. Strano, considerando che molti indiani fanno la fame pur di avere almeno un Wiko per non sembrare troppo poveri.
Sorpresa: niente PIN. Nô guarda tra i messaggi. Quello più recente è strano: è in malayalam come caratteri e necessiterebbe un interprete. Nô estrae lo smartphone. Fa foto dello schermo senza ulteriori indugi, fotografa tutti i messaggi, anche se sembrano ininfluenti.
Guarda le chiamate. Nulla di particolare. Tre numeri. Li annota. Rimette il cellulare dov’era, insieme ai soldi e un biglietto di carta che ha fotografato. Altri caratteri in lingua locale.
Ora deve sparire da lì. Già sente dei passi. Inutile recuperare il selife stick rotto: lo getta nella boscaglia del cortile vicino. Grazie al cielo ha scelto di portare scarpe comode, adatte a tutti i terreni. Accelera appena il passo. L’India si è già rivelata prodiga di guai.

 

Crowain finisce la serie di addominali. Nell’altra stanza sente Jhon Kingsword muoversi, anche lui intendo ad allenarsi. Gli spiace non essere riuscito a fare alcunché contro i pedinatori ma confida nei suoi compagni. Li conosce bene, d’altronde. Il Giustiziere soprattutto. Era stato al suo fianco durante la lotta contro il Consiglio dei Sedici ed era più che convinto che se la sarebbero cavata. Si alzò al termine della sessione di esercizi. Doccia.
L’acqua locale è pregna di batteri. Evita di berla, gettandosi addosso un secchio per ripulirsi.
Fa caldo, anche col ventilatore acceso. Nulla che non abbia già visto: James Crowain è già stato in India, nel Rajastan settentrionale prima e a Goa e Mumbai poi. Nulla di nuovo.
Si lava e si asciuga velocemente. Si rimette i boxer e i calzoni. Si mette una camicia con motivi hippy che lo fanno molto fricchettone. Odia quell’abbigliamento ma è un modo in più per non dare nell’occhio. Il coltello e la pistola sono rispettivamente in una tasca e nella borsa. Nessuna fondina. Per ora. Era anche vero che, per ora, non sono necessarie.
E anche se lo fossero, su chi le punteremmo?
Qualcuno bussò alla porta. Crowain aprì. La gerente della guesthouse consegnò una valigia, incelofanata e con tutti i dati del caso. Le loro armi. Ma ancora non era il momento di usarle.
Comunque Shaibat era stata di parola. La valigia era arrivata senza impacci né problemi.
Ringraziò, diede una sostanziosa mancia di ben cinquanta rupie e richiuse la porta dopo aver preso con sé la valigia. Non la aprì. Prima bisognava aspettare che arrivassero gli altri.

 

L’uomo entrò nella stanza di Crowain con calma. L’ex commando, come tutti loro, aveva viaggiato leggero, con il solo bagaglio a mano. La valigia di armi appena arrivata era stata fatta girare a mo’ di bagaglio smarrito, in realtà aveva viaggiato attraverso canali discutibili, contatti di Shaibat.
Come la sua camera, quella di Crowain era spartana. Letto, armadio, scrivania e sedia. Fine.
Non che l’inglese avesse fatto chissà che cosa per renderla più accogliente: giusto un libro giaceva sul letto. L’uomo vide il titolo. Un thriller di avvocati e tribunali. Roba a tema, visto che Crowain era ufficialmente un avvocato. Ufficialmente. In realtà era uno di loro.
Poi entrò Kingsword. I capelli bagnati indicavano che si era fatto la doccia, come tutti loro. Indossava una felpa leggera e pantaloni corti. L’ultima a entrare fu Nô.
La giovane aveva perso il selfie stick, ma per il resto era assolutamente perfetta. Depose sul pavimento un portatile. Accese, mise in funzione e collegò alla presa un router completo di scrambler. Precauzioni per evitare che qualcuno intercettasse la chiamata. Digitò rapidamente i codici WLAN di sicurezza, entrò nel server e aprì la chiamata.
Pochi istanti dopo, la webcam si accese e Shaibat apparve sulla finestra a centro-schermo.
Stavolta aveva i capelli raccolti in uno chignon e due bacchette a tenerli in piega.
-Spero che il viaggio sia stato gradevole.-, disse. Sembrava quasi un’hostess dal tono. Strappò un sorriso ai presenti. Ma tornò seria subito.
-Il vostro bersaglio è Sanjar Tah. È un membro del partito conservatore. Diciamo che fosse per lui, Gandhi non sarebbe mai salito al potere. A detta sua, l’India deve conservare la sua attitudine originaria, disposta secondo l’ordine divino.-, disse. La foto di un indiano ben vestito in abiti tradizionali apparve in un riquadro. La pelle era chiara, e a giudicare dal vestiario, si poteva ipotizzare discendesse da una casta di Kshatrya. Guerrieri e regnanti.
-Tah intende riaprire il conflitto con il Pakistan, forte dell’alleanza con gli U.S.A. Sottobanco ha portato una gran mole di accordi commerciali con gli States, per contrastare l’influenza della Cina.-, altri grafici, notizie prese dal web, estratti. L’uomo annuì.
-Sanjar Tah ha un discreto supporto popolare, oltre ad avere alle spalle almeno un altro alleato di cui, purtroppo non ho potuto sapere molto. Traffici di armi e droga. E almeno una fossa comune nelle Badlands ai confini con il Bangladesh. Ha usato la mano pesante.-.
-Questo Tah, non ha debolezze?-, chiese Crowain.
-Le belle donne, l’alcool, ma con moderazione. È un puro. Sua moglie è fanatica quanto lui.-, l’immagine era quella di una donna dalla pelle chiara, l’uomo non stette a cercare di capire a quale casta appartenesse. Capelli castani, occhi aggressivi di un verde smeraldino.
-Dalima Kothil, attrice di calibro notevole a Bollywood. Ex amante del Generale dei Gatti Neri Nadhar Gopta, ex sportiva ed ex agente della polizia indiana, forse persino ex forze speciali. Comunque, una bruttissima cliente. Nella polizia è stata poco: troppo violenta, troppo spietata. Non ho trovato molte informazioni su quel che ha fatto dopo, ma sicuramente sa battersi. Proprio come il maritino.-, disse Shaibat.
-E questa stupenda copia ha figli?-, chiese Nô. La thai scosse il capo.
-No. Ancora no. Il loro matrimonio è passato in secondo piano: Tah viaggia per tutta l’India per raccogliere consensi.-, fu la risposta, -E tra breve arriverà in Kerala. È previsto un comizio a Trivandrum e a Kochi.-. Altre immagini. Mappe e planimetrie. Orari. Crowain e l’uomo presero appunti. Nô annuì.
-Resta la domanda di come ce ne andremo.-, disse, -Io potrei organizzare un piccolo gruppo di recupero ma sarà difficile andarcene in barca dopo un colpo del genere.-.
L’uomo annuì a sua volta. Sebbene il Kerala avesse un ampio sbocco sul mare, usarlo come via di fuga dopo un colpo simile non era assolutamente fattibile. Così, tutti osservarono Shaibat.
-Ho un paio di contatti nel SIS, i Servizi indiani. Potrebbero aiutarci, ovviamente non sarebbe gratis, ma avranno pronto un elicottero ed eventualmente daranno un passaggio ai tuoi uomini, Nô.-, rispose la thailandese. La giapponese fece un cenno di assenso.
-Neroko Tsubikome guiderà il gruppo di recupero. Ho gli altri già pronti.-, disse.
-Bene. Ora passiamo al piano operativo.-, disse Shaibat.

 

In un’altra zona del Kerala, un uomo guardava i suoi sottoposti.
L’uomo esibiva un gonfiore anomalo alla mandibola, frutto del recentissimo pestaggio. La donna in compenso non aveva più il viso chiazzato da quella malattia delle pelle.
-Quindi mi state dicendo che la turista era parecchio brava a battersi. Troppo consapevole per essere solo una turista. È possibile che siano agenti americani?-, chiese.
I due rimasero muti. Sapevano quando parlare e quando non.
-È un bel problema. Sanjar Tah arriverà tra breve. Non abbiamo bisogno di questi turisti…-, disse l’uomo. Si accese una sigaretta.
-Potremmo metterli fuori causa.-, la donna aveva volontariamente usato parole vaghe.
-No. Se sono agenti l’America ci darà rogne. E se non lo sono… l’America ci darà rogne.-, escluse il capo. C’erano altri. Gente armata. Pistole e mitragliette appena visibili in penombra.
-Pensi siano qui per Tah?-, chiese la donna. L’altro non parlava. Ma era normale: non parlava quasi mai. Era un taciturno. Uno dei motivi per cui l’uomo l’aveva reclutato.

-Non è da escludere. Se fosse così, forse potrebbero persino sistemare la cosa al posto nostro, ma non esiste che li lasceremo fare. È probabile che anche loro prevedano di colpire a Thiruvananthapuram. Non sapendo cosa intendano fare, sarà meglio inviare qualcuno sul posto.-, gli occhi dell’uomo seduto non lasciarono per un istante il viso della donna.
Un ordine così esplicito da non abbisognare parole.

 

A riunione finita, l’uomo tornò nella sua stanza. Osservò il letto. Aveva realmente voglia di dormire, pur sapendo già che l’umidità della notte lo avrebbe tenuto sveglio nonostante i migliori sforzi del ventilatore installato sul soffitto?
Guardò dalla finestra. Le vie ora erano quasi deserte. Fatto salvo qualche passante e l’occasionale rickshaw motorizzato, non c’era nessuno in strada.
Un panorama quieto, diametralmente opposto a quello del giorno.
L’uomo sedette sul pavimento in seiza, seduto sui talloni alla maniera giapponese. Espirò.
Via l’aria cattiva con i suoi demoni. Attendeva nel silenzio, centrato, che il tempo passasse.
Sentì qualcuno bussare. Andò ad aprire, tendendo un coltello nel pugno.
Se i loro pedinatori fossero riusciti, malgrado tutto, a trovarli…
-Qi, sono Nô. Apri.-, disse la voce della giapponese. L’uomo si rilassò.
Il suo nome non era Qi, quel nome l’aveva scelto tempo prima, per poter compiere una missione che l’aveva portato in collisione con il Consiglio dei Sedici. Anni prima.
Aprì. Nô, avvolta in una camicetta e pantaloncini tipici da turista americana entrò, rapida come un battito di ciglia e altrettanto furtiva.
L’uomo si domandò perché fosse lì, ipotizzò che volesse condividere un istante di tenerezza, cosa che probabilmente voleva fare da quell’unico momento di passione condiviso nelle Filippine, durante la caccia ai membri del Consiglio. Ma lo sguardo della giovane era serio, e l’uomo comprese che il richiamo dei piaceri carnali era ben lontano dai suoi pensieri.
-Non ne ho fatto parola con Shaibat, né con voi, ma sono sicura che i nostri pedinatori non fossero così disorganizzati come hanno cercato di farci credere.-, disse.
L’uomo annuì. Shaibat era stata informata del piccolo contrattempo nel pomeriggio e aveva confermato dopo un breve messaggio SMS che la loro identità di copertura reggeva.
Chiunque fosse a conoscenza del loro vero scopo, o anche solo della possibilità che la loro non fosse una semplice comitiva di turisti, sicuramente non era così sprovveduto da lasciare tracce. Preoccupante. L’uomo considerò anche un’altra ipotesi: che i pedinatori, assurdamente, fossero una parte neutrale. Una fazione disinteressata.

-Cosa proponi?-, chiese a Nô. La risposta fu immediata.
-Siamo turisti, e sappiamo bene che a quest’ora l’India mostra il suo volto più romantico…-, disse in inglese perfetto con appena un’ombra dell’accento nipponico. Aveva appreso alla perfezione la lingua ed era praticamente perfetta nel recitare il ruolo della turista ammaliata dalle meraviglie dell’India.
-Mi stai dicendo che vuoi uscire?-, chiese l’uomo. Lei annuì.
-Chiunque ci stia tenendo d’occhio potrebbe starlo ancora facendo. Io oggi ho pestato il tizio, ma non la donna che era con lui. Lei è fuggita. E molto in fretta.-, osservò.
-Shaibat starà lavorando ai messaggi che le hai mandato. Sicuramente riuscirà a contattarci. Forse riuscirà a risalire a chi li ha mandati.-, disse l’uomo.
-Già. Ma sino ad allora, ci conviene considerare di andarci a cercare le risposte, prima che arrivi il momento, altrimenti il nostro soggiorno indiano rischia di diventare molto sgradevole.-, concordò Nô. L’uomo annuì. Alla fine non c’era nulla da dire.

-Dammi un istante che mi vesto.-, disse.

 

Nô squadra il marciapiede. Il traffico di gente è poco. Quello di mezzi procede, pur se diminuito. Pochi bar e ristoranti aperti. Nonostante abbiano già cenato, l’uomo punta proprio verso uno di questi ultimi. Accolti da un cameriere sommariamente benvestito, si siedono al tavolo. Sguardi che dardeggiano lungo il perimetro. Controllo, assoluto. Paranoia eletta a livello di virtù. Essenziale ricerca, mimetizzata da curiosa fascinazione.
La verità è assolutamente diversa. Sia l’uomo che Nô la sanno.
La paranoia totale alla fine è semplicemente una forma di totale controllo.
Nô squadra, riporta l’attenzione sull’uomo. Chiaccherano. Parlano del più e del meno. La mano di lui sfiora quella di lei. Nessun codice, ora. Nessuna premeditazione. Improvvisazione.
Avvalorata da un sentimento che Nô sente di non potersi permettere di esternare, per quanto lo vorrebbe. Sorrise. Altre chiacchere e parole vuote.
Arrivano le bibite ordinate. Bevono lentamente, gustando il momento.
Ma pare che stavolta i pedinatori siano bravi, o decisamente assenti. Nô non ne vede.
E la cosa la preoccupa. Perché se non ci sono vuol dire che il suo ultimo scontro è stato sufficiente a dare loro informazioni. Se invece ci sono e non si fanno vedere…
“Hanno capito che non siamo ciò che sembriamo…”.
E quello è più che sufficiente a portare la paranoia al livello successivo…

 

L’uomo sta pensando la stessa identica cosa, ma in una diversa chiave. Lo nota. Poco distante.
Una vista inconsueta. Non necessariamente sbagliata nel contesto, ma sicuramente inusuale.
L’uomo non lo fissa più del necessario. Pochi istanti dopo è sparito.
Musulmano? Sikh? Non lo sa. Di certo però non era vestito come i normali abitanti del Kerala.
Uno straniero. Sicuramente presente per motivi propri, ma non necessariamente così alieni a quelli dell’uomo e dei suoi compagni. Era così? O la paranoia semplicemente era divenuta pura e semplice ossessione? L’uomo espira.
-A che pensi?-, chiede Nô.
-Penso all’ultima volta che sono stato qui.-, ammise lui.
-È cambiato molto?-, chiede lei. Lui scuote il capo. Non è cambiato il posto.
-Sono cambiato io.-, sussurrò. Poi strinse la mano della giovane, pizzicandone appena la pelle.
Un segnale. Ha notato qualcosa. Ora anche lei lo sa. E non lo ignora.
Gli occhi dardeggiano appena. Un movimento tanto rapido che nessuno se ne accorgerebbe.
A meno di non ricercare attivamente un simile moto. Ma lo sguardo successivo della giapponese è palese: lei non vede nulla di preoccupante. Bevono di nuovo.
L’uomo valuta, considera. Attirare l’attenzione non serve. Sorride a Nô. È cambiato, ma non tanto da non sapersi godere quella piccola gioia. Eppure…

Eppure il pericolo c’é. La sensazione di qualcosa che non va.
“È meglio essere pessimisti e scoprirsi alla fine vivi, che ottimisti e morti”, ricordò di aver letto. Si alzò. Un movimento lento. Il tizio musulmano(?) è sparito.
L’uomo sospira appena. Sintomo di stanchezza, un modo per dare l’idea di essere spossato dai giri turistici. In realtà, il sospiro gli permette un altro istante di consapevolezza. Gira gli occhi, come a cercare qualcuno o qualcosa, senza però vedere nulla di preoccupante.

 

Nô si alzò. Piano, lentamente. Si stiracchiò, fin troppo consapevole degli sguardi di alcuni uomini. Fulmineamente aveva già inquadrato la situazione. Nessun pedinatore evidente.
Si fece un rapido selfie. Niente neanche sui lati. Tutto troppo tranquillo.
C’era qualcosa che non le tornava, che non aveva senso.
L’incontro pomeridiano era stato sicuramente sospetto, e senz’alcun dubbio poteva essere tanto frutto di un tentativo di furto o rapimento quanto l’operato di un’organizzazione di altro tipo, volta a ben altro obiettivo. E sicuramente, Nô Mitsutune ne era sicura, ci sarebbero stati altri attori destinati a comparire sulla scena.
Chi? L’ISI? La criminalità organizzata locale? Qualche Servizio esterno all’India? Magari i Pakistani oppure, ipotesi labile ma non da scartare, estremisti islamici o persino i Sikh, la cui ambizione indipendentista non si era mai veramente placata.
Nô non era nuova agli intrighi. La politica talvolta si faceva sottobanco, a colpi d’arma da fuoco. Non era escluso che qualche potenza straniera agisse tramite manodopera locale.
Di fatto, anche lei aveva svolto azioni simili. Il Clan Mitsutune era una branca della Yakuza dedita al gioco d’azzardo e al traffico d’armi. Vantava origini samurai ma il loro clan aveva visto un lento declino e, alla fine dello Shogunato, con l’inizio della Restaurazione Mejii si erano dedicati a ben altro tipo di attività. Nonostante ciò, erano comunque samurai, e tali si erano sempre considerati. In prima linea durante le guerre contro le potenze straniere, avevano fomentato attacchi in Cina, ben prima dello scoppio delle ostilità durante l’attacco giapponese all’alba della Seconda Guerra Mondiale. In Corea, un loro traffico aveva armato i partigiani del Sud contro gli invasori comunisti del Nord. In Vietnam avevano gestito i quartieri del gioco d’azzardo di Da Nang e Saigon, alternandosi ad altre mafie altrettanto agguerrite. A dispetto di molti altri però erano stati ferrei nell’imporre le loro regole. Spietati. Una loro unità militare aveva contribuito alle incursioni in Laos, prima dell’armistizio.

Quindi sì, Nô capiva il sottile gioco di potere che stava avvenendo. Pur non avendo idea dei giocatori comprendeva: il loro gruppo si era immischiato in una mano pericolosissima.
-Facciamo due passi?-, chiese. L’uomo annuì. A braccetto, come una brava coppia, camminarono lungo le vie.
Persero una mezzora a passeggiare, mano nella mano, un’esperienza bellissima e terribile per lei. Le ricordava di momenti che avrebbe voluto poter veder tornare, e che allo stesso tempo avrebbe voluto dimenticare. Si concentrò sui dintorni. Niente.
Chiunque li pedinasse era bravo e capace. Girovagarono per le vie e tornarono verso la guesthouse. Parlarono un po’ e poi, ognuno tornò alla propria stanza.

In attesa del domani.

 

L’uomo giaceva sul letto, consapevole che non stava dormendo. Non era sonno il suo.
Era solo attendere, pazientare. Uno stato ben lontano dalla letargia, anzi.
In realtà era stanco, stanchissimo. Ma dormire non era nei piani.
Troppe domande, dubbi. Spalancò gli occhi, ascoltando il rumore del ventilatore che pigramente girava. Il monsone doveva star arrivando. Ma non aveva molta importanza.
Cercò di decidersi tra il tornare a dormire o l’accettare la situazione e alzarsi.
Poi sentì bussare. Piano, discretamente. Aveva già un’idea di chi fosse.
-Entra.-, disse. Nô scivolò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

L’uomo la guardò. Indossava una vestaglia che l’avrebbe potuta far sembrare nuda, splendida come una danzatrice sacra dei templi indù. Lei sorrise, triste.
-Sappiamo entrambi che è tutto quel che avremo.-, disse.
-Non necessariamente. Non dev’essere per forza così.-, sussurrò lui.. Lei sorrise.
Lasciò che lui le accarezzasse piano il viso, che scendesse appena lungo il collo lambito dai capelli che la giovane aveva lasciato liberi.
-Sappiamo entrambi come finirebbe, Qi. La nostra è una vita solitaria, rischiarata da pochi attimi di gioia. È il prezzo che paghiamo per la nostra scelta. Il nostro Karma.-, disse lei.
Lui non replicò. Sapeva che era vero, e non voleva crederci. Voleva credere di essere artefice del suo destino, libero nella scelta. Ma doveva riconoscerlo: non era così.
-E questo è uno di quegli attimi…-, sussurrò lui. Lei sorrise.
-Sì. Potrebbe essere l’ultimo.-, disse. Lo baciò piano, castamente. Lui non la forzò.
Nô continuò, comprendo di piccoli baci il collo dell’uomo, mentre lui faceva lo stesso con lei.
Piano, lentamente. Consci che c’era tutto il tempo, e che avrebbe potuto non essercene altro.
Il bacio si fermò mentre la giovane gli toglieva piano la canottiera, sollevandola sul torace e sfilandogliela. Lui armeggiò con la vestaglia. Le mise a nudo il seno. Nô sorrise, i denti brillanti nell’oscurità della stanza. L’uomo sorrise. Baciò la giovane scendendo lungo il petto.
Lei sollevò il capo, lasciando che lui leccasse, che venerasse quei seni puntiti, piccoli ma assolutamente perfetti. La giovane gemette appena.
Il bocca a bocca riprese, delicato, soave, lento e irresistibile. Un preludio a gioie a venire.
Continuarono a spogliarsi piano, con gesti lenti. L’uomo scoprì piano quel corpo. Con religiosa devozione. Con solennità da rito. Quando la seppe nuda e lui stesso fu spogliato, rimasero fermi, immobili. Poi, Nô parlò. Sibillina, appena udibile.
-Mi era mancato. Anche se so che è solo un istante.-, ammise.
-Anche a me.-, disse lui, -Ma perché solo ora?-, chiese.
-Miryam, Christine…-, il sorriso di Nô parve velarsi di qualcosa. Alla luce fioca della luna l’uomo vide il viso della giovane velato di emozioni contrastanti, -Il mio ruolo e tutto il resto.-.
-Ma ora non c’è niente di tutto questo.-, riconobbe lui.
-No. Amami Qi, amami come ameresti la donna della tua vita.-, disse lei. Lui sorrise. La baciò.
Il bacio divenne più profondo, le lingue si cercarono, in una danza che altrove non avrebbe potuto essere. Carezze, sfiorarsi appena, le mani non osavano indugiare oltre, timorose di spogliare il momento della sua bellezza. Fu la giovane a prendere l’iniziativa. Ricoprì di piccoli baci il collo dell’uomo, scendendo piano sul petto, sul ventre, sino a trovarsi il sesso di lui davanti al viso. L’uomo gemette quando la sentì baciarlo piano e trasformare tosto il bacio in una fellatio. Nô continuò la sua pratica con dedizione assoluta, stringendo le dita alla base del frenulo per scongiurare il pericolo che l’uomo godesse. Dopo un tempo indefinito in cui la lingua della nipponica riuscì a solleticare ogni singola zona erogena del pene del suo partener, la giovane si alzò. L’uomo sorrise. Ora toccava a lui. Baciò piano il collo di lei, scese sul seno, e proseguì la sua esplorazione baciando i capezzoli, con tale bravura da strappare un gridolino di piacere alla ragazza. Scese lungo il corpo che pareva quello di una geisha, sino al pube.
Il sesso di Nô Mitsutune era in attesa. L’uomo si attardò, baciò cosce e interno-coscia, prolungò l’attesa. Lei prese ad ansimare, sentendolo sempre più vicino, la lingua prossima a violare il centro del suo godimento. L’uomo espandeva il raggio delle sue sortite lentamente ma con costanza. Nô gli premette la testa contro il ventre, mormorando una frase in giapponese talmente smozzicata da essere intraducibile, anche se il senso era chiaro.
Lui continuò. All’improvviso, la giapponese parve afflosciarsi ed emise un gemito modulato, spezzando di netto una parola in un verso privo di senso, eppure assolutamente palese, sottolineato dal nettare che piano cola dalle cosce di lei, prontamente leccato dal suo partner.

Aveva goduto. L’uomo approfittò del momento. Si alzò e la prese tra le braccia. Lei sorrise.
La adagiò sul letto dopo aver scostato le zanzariere. Lei sorrise.
-Prendimi…-, mormorò aprendo le gambe con un movimento lento e sensuale, esponendo la vulva rorida e aperta. Lui si mise in posizione, puntò il membro all’imbocco della vagina. La guardò, un lungo istante in cui nessuno parlò, una comunione silente,
E affondò dentro la sua intimità.
La vulva di Nô lo accolse. Un pertugio rovente, umido e stretto, una tortura fantastica, a cui non voleva sottrarsi.
L’uomo arrivò fino in fondo. La giapponese artigliò le coltri, emettendo suoni sincopati mentre stabilivano il ritmo. I gemiti di lei divennero più profondi, più lenti.
Lui diminuì le spinte, preferendo la profondità alla quantità. Lei lo ghermì, avvinghiandosi a lui con braccia e gambe, baciandolo, mormorando frasi che non avrebbe mai detto a nessuno.
L’uomo fece lo stesso. Disse cose che pensava, che voleva dire, che sapeva non avrebbe più potuto dire ad altra. Le spinte aumentarono, diminuirono e aumentarono ancora.
Si cercarono con bocca, mani, sensi e sessi, mai sazi, bramosi di affondare l’uno nell’altra, di fondersi, saldandosi in una sola carne.
Un universo avrebbe potuto nascere e perire nel loro amplesso. Nô respirava con la bocca aperta. L’uomo sudava, e sapeva che era al limite. Ma lo era anche la giovane. Si rotolarono tra le coltri, baciandosi e vezzeggiandosi come amanti alle prime armi. Lei salì su di lui, s’impalò senza badare alla forma. Iniziò un frenetico saliscendi, intenzionata a prendersi tutto il piacere che poteva, a vivere pienamente il momento.
Quando l’orgasmo li travolse, fu come un fulmine. L’uomo sentì la sua amata godere con lui.
Poi crollarono a letto, tra le coltri fradice di umori. Il sonno li ghermì.
Sussurrarono ancora qualche parola insensata, ultime vestigia di un tempo già trascorso.

Poi rimase solo il sonno. E, per una volta, l’uomo non sognò il bianco.

 

Nô si svegliò all’alba, o pressappoco. Vide Qi addormentato accanto a sé.
Il suo viso era tranquillo, più di quanto credesse possibile fosse.
“Ah, Qi. Vorrei, vorrei davvero che questa non fosse solo una parentesi…”, si disse.
Notò che lo aveva graffiato. Notò anche i morsi: La notte prima aveva permesso a una parte di sé che teneva gelosamente nascosta di affiorare. Notò che aveva un succhiotto su un capezzolo e uno sul collo, oltre a una serie di altri segni imputabili all’amplesso.
“Nulla dura. Tutto è destinato a finire, una volta iniziato.”, pensò Nô. Eppure…
Eppure avrebbe voluto che quella non fosse stata proprio solo una parentesi.
Avrebbe voluto parlare a Qi di tante cose. Di troppe.
Forse avrebbe dovuto, ma alla fine era pur vero che non faceva parte dei patti.
Quella notte era un eccezione, irresistibile ma dolorosa. Nô Mitsutune sarebbe presto dovuta tornare a interpretare il ruolo di spietata Daimyo del Clan Mitsutune, Obayun della Montagna Rossa. Concedersi a quel modo ad un uomo, un Gaijin tra l’altro (cosa che nell’ottica tradizionalista del Giappone e della Yakuza), per una donna della sua levatura sarebbe stato semplicemente imperdonabile. Di fatto, aveva nascosto con cautela quel segreto, la sua attrazione per Qi mitigata dietro la compostezza di un’attrice da teatro affinata in anni di pratica e consumata recita quotidiana. Non aveva scritto che poche poesie, affidate al vento, bruciate poco dopo averle scritte, perle di dolce debolezza, lasciate al fato.
Mai, mai nessuno avrebbe dovuto sapere. Neppure i loro compagni. E Nô sapeva bene che questo significava proprio ciò che segretamente odiava: quella meravigliosa notte sarebbe rimasta l’eccezione, non la regola. SI alzò piano, furtiva come un gatto, il corpo accarezzato dalle lenzuola e dal tiepido sole. SI stropicciò gli occhi. Cercò i propri vestiti. Doveva tornare in camera alla svelta. Era a metà dell’opera quando sentì qualcosa.
-Te ne vai di già?-, chiese la voce dell’uomo. Nô non sussultò, non esteriormente.
-Devo. E lo sai.-, rispose lei. Nessuna risposta. Non servivano.
-Da quanto?-, chiese, incuriosita.
-Qualche minuto.-, rispose lui con un sorriso pigro che non si curò di dissimulare, e che strappò un sorriso divertito alla giovane.
-Ci vediamo a colazione.-, rispose lei. Lui annuì. Cos’altro c’era da dire.
Era la loro vita. Erano guerrieri, vivevano sul filo.
E avevano un lavoro da fare.

Leave a Reply