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Erotici Racconti

Carwash (II)

By 24 Settembre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

– Mi spiegò che la forbicina gli aveva attraversato le arterie del corpo e passandoci dentro gliele aveva allargate. “Adesso mi arriva più sangue al cervello”, mi assicurò entusiasta, “più ossigeno, più luce'”


“Non morirò”, ripetei.
Tania mi baciò sconsolata.
“Restituisci la pistola”.
“No.”
“Per favore”.
“No”.
Mi strinse con forza.
“Non fare sciocchezze, ti prego.”.
“Mai”, le dissi. “Mai”. –
(Guillermo Arriaga)

Un’altra cosa è che non importa quanto tu possa amare una persona: ti tirerai indietro quando il suo sangue ti scorre troppo vicino.
A parte questo dramma sublime, è una bellissima giornata.
(Chuck Palaniuk)

I rulli.
E la schiuma.
Che gonfia il petto e si fa mantello di onda.
Allarga e scende, avvolge e scherma.
Gonfia di crema sporca, fango e polvere di freni e di pneumatici neri.
Autolavaggio.
Interno giorno.
Nell’auto, due ragazzi.
Un ragazzo e una ragazza.
13 euro per la verginità dell’auto.
Appena rubata.

Il ragazzo ha ossa secche.
E mani con le dita nodose e lunghe.
Ventiquattro anni l’età apparente, certamente lontano dai trenta.
Spalle larghe dello sport da bambino.
Mani che sembrano strumenti musicali.
Dita fatte di ottave, troppe, e non di falangi e nocche.
Lo sguardo perso e azzurro di un bambino.
Gambe lunghe e magre nei jeans scoloriti. La maglietta rossa appena stinta sotto le ascelle, chiara di sudore acido di tensione e ormoni più volte lavato.
Lo sguardo segue la schiuma colare sul parabrezza, fino a nascondere persino l’ombra dei primi rulli blu a lato del tunnel di lavaggio.
Sotto il volante, il nodo dei contatti.
La macchina scelta solo perché era aperta.
Lasciata lì ad attendere il rapace. Al ciglio di una strada erta di negozi. Tra la panetteria e la piccola rivendita di sali e tabacchi.
Provinciale delle Valli.
Il ragazzo sorride col sorriso storto. La bocca non è dritta, ha labbra sottili e larghe, un taglio che sembra sempre atteggiato allo scherno, disilluso, fraintendibile e frainteso da sempre.
Ma sorride sempre.
Col taglio storto della bocca.
Con le ginocchia lunghe piegate sotto lo sterzo, vicino al contatto improvvisato in due minuti per garantire l’accensione senza la legittima chiave.
Sa fare bene, il ragazzo, i suoi giochi di prestigio, sotto il cruscotto.
Meglio di quando l’ansia, le dita troppo lunghe e ansiose lo portarono al primo fermo. Senza nemmeno avesse la patente.
Ma ora le dita sono un automa. Dita di pianista.
E nemmeno, poi, ricorda così bene quel giorno, il primo solo.
Confuso, con le altre auto, gli altri fermi, le piccole rapine, e le due volte che non potè giustificare con il vizio suo di sempre, quello che nascondeva nel cruscotto della Tipo, presa in prestito non autorizzato di giornata.
La schiuma avvolge ora l’auto, e cola come crema. Si è fatta densa di panna.
Oscura ogni vista dall’interno all’esterno e dall’esterno all’interno.
Il ragazzo posa le dita di pianista sulle cosce della giovane donna.

Piccola di corpo, coi seni grandi quasi come gli occhi.
Azzurri speculari come quelli del ragazzo. Solo più grandi e più dolci, senza quel sorriso strano e storto che lui ha, a evidenziare e nascondere quasi i suoi.
Occhi di miele, vagamente tristi di ombra.
Vive in famiglia, un padre avvocato, la madre a inseguire nelle figlie la vita che per se in fondo non aveva avuto.
Studia, o per meglio dire studiava.
O per ancor meglio precisare, ci prova. Non finge di studiare, no, la ragazza non finge.
Solo che nella prova è sfortunata.
Troppo.
O solo troppo distratta da tempo dalle dita del pianista.
Dalle sue ginocchia ossute di ragazzo mal cresciuto.
Dalle sue scapole alate e larghe sulle spalle quando è senza maglietta e mostra i muscoli secchi e marcati del busto e dell’addome.
Le chiama le “ali dell’amore” le scapole del ragazzo, sono così nette sulla schiena da essere ali di angelo in embrione.
Le ali e il suo sudore forte, corrosivo e violento, di maschio in corsa ed in amore.
Un angelo caduto spesso, per poi rialzarsi ogni volta malamente.
Le ali che afferra e stringe mentre lui le sale dentro.
La ragazza dai seni e dagli occhi grandi di donna.
Piccolo corpo sotto il suo.
Tonda per accogliere meglio le sue ossa nell’abbraccio.
Per farsi calco al suo bacino.
Accogliere tra le reni morbide le ossa puntate come ferri, a spingere, alto in lei, il cazzo.
La bocca ad inseguire la piega delle sue labbra.
Il sorriso storto anche quando lui la bacia.
La ragazza che lo nasconde a tutti. Ai suoi, perché mai capirebbero la dolcezza del suo amore a la sua bocca storta.
Agli amici’ così perbene, di sempre, così piccini piccini nei loro desideri quotidiani.
Così prevedibili e noiosi, trasgressivi solo per la banalità dei loro giochi viziati, finti giovani adulti rassicuranti e senza vita.
La ragazza che lo nasconde a tutti.
Alla sua amica di sempre, compagna dall’infanzia di scoperte e malizie, invidie, confessioni di adolescente implume e da donna in sboccio.
Ma così donna,oggi, ai loro pochi anni, già così assennata da sembrare, magari, non proprio sua madre, (questo sarebbe davvero troppo, a 24 anni), ma una sorella troppo cresciuta e troppo saggia.
La mano del pianista entra sotto la salopette di jeans della giovane donna.
L’auto viene agganciata dalla catena di trascinamento e comincia lo scivolo schiumoso verso le spazzole rosse e blu del lunapark acquatico, un giro 13 euro compresa asciugatura a mano, per auto.

Il ragazzo scosta la mano dalla salopette blu, ha sbottonato la patella alta sui fianchi e con le dita è sotto, a cercare il pelo corto, rossiccio e riccio.
Si gira sul sedile, torce le spalle, inarca le ali ossute della schiena nel farlo.
Apre lo zainetto dal sedile posteriore, dove è posato.
Svita il coperchio di sicurezza giallo chiaro.
Quattro pastiglie blu oltremare, tonde, con una piccola scritta gialla sul collare, e la bottiglia aperta di Becks che lei gli porge.
Un sorso e il blu gli scende in gola.
Portato in fondo allo stomaco dalla schiuma chiara e adesso anche un poco calda e sfiatata della birra.
Sa che risalirà, prima lento e poi pulsante fino al cervello. Passandogli dalle gambe lunghe e secche.
Poi dal ventre e dal cazzo che già formicola ingordo della spinta.
Per poi aprirgli ogni pensiero come se una persiana verde si spalancasse solo perché c’è troppo vento, davvero troppo vento e fresco per lasciarla chiusa.
Piccolo miracolo chimico dei desideri e del pensiero, acceleratore di tempi e di emozioni, bomba a orologeria che gli amplifica e rende invulnerabile il cervello.
Porge due pastiglie alla ragazza.
Lei offre la lingua fuori dalla bocca.
Calda e piatta, umida di saliva ad incollare la medicina della mente, rosea con le papille appena chiare sulla punta.
Accoglie la sua piccola comunione sulla lingua, posata lì con gesto dolce dalle dita del pianista, delicate.
Poi con un sorso vuota la bottiglia e scivola di più sul sedile.
Chiude gli occhi e assapora la mano sua che torna a cercare pelo e taglio bagnato sotto il tessuto blu, scuro e duro di appretto.
Allarga sul sedile le gambe lasciandosi scivolare a fondo e aspetta.
Che lui ci faccia casa, tempesta e pace.

Il ragazzo carezza il taglio.
Spettina il ciuffo corto e rado e e riccio, col palmo della mano e con le dita.
Poi appoggia le falangi, tutta l’ottava di tasti rosa e nocche, dritta sul taglio e schiaccia.
Comprime e spalanca parallelo le labbra.
Cedono docili alla pressione e leccano le dita.
Scivolano dentro, sul burro fuso che bagna già la coscia.
Nello stesso istante le spazzole gialle spazzano, spettinano e reimpastano la crema ai finestrini’.la fanno densa e gonfia di aria, polvere grigia e acqua.
Il ragazzo nemmeno si tocca.
Suona, senza guardare la tastiera.
Annoda fili di desideri nascosti, allaccia contatti.
Viola, senza chiavi, la ragazza.
Un dito, due, storti in quella posizione, a spingere a lato le pareti e schiacciarle a fondo.
Spazzole blu adesso.
Acqua violenta sui vetri.
Acquazzone estivo programmato di un autolavaggio sulla Provinciale.
A togliere lo sporco da un’auto che deve passare inosservata per tutto il tempo dell’attesa.
A far passare con i suoi scrosci di pioggia il tempo che ancora manca. O almeno parte.
L’auto nascosta alla vista di tutti, proprietario eventualmente vicino, amici suoi, passanti troppo curiosi, occultata dalla schiuma nel tunnel lento.
Lento come il suo dito. Adesso. Lento e sicuro nella marcia.
Catena che trascina a scatti impercettibile l’auto sotto i rulli e la ragazza al suo piccolo orgasmo.
Lento come il suo dito.
Che apre, schiaccia, divarica, comprime allarga.
Che si fa pressione e poi carezza bastarda.
La falange piegata sul bottone.
Indugia.
Poi se ne fa padrone.
E scivola nel solco aperto e bagnato delle labbra.
Forza piatto di falange e si fa strada.
La ragazza serra le cosce sulla mano.
Si inarca sul sedile offrendo alto il pube rosso incontro alla mano secca e alle dita lunghe e disarticolate.
La spazzola rossa sta lavando la targa posteriore.
Si intravvede la luce a fine tunnel.
Sotto gli scrosci d’acqua.
Il dito strappa la sospensione del respiro. E poi l’affanno.
Dondola sul dito e sul sedile, schiaccia, il bacino della ragazza.

Lei dondola prima contrastando i movimenti quasi a farli più invasivi e più violenti, poi, col fiato sospeso e in apnea di mente, assecondandoli nel ritmo e danzando sulle dita che ha dentro, al loro ritmo caldo e umido di giungla da romanzo.
E apre gli occhi giusto a tempo a vedere la tempesta.
Il getto d’aria violento che spettina l’acqua sui vetri, il cofano il tettuccio.
Che la rompe in torrenti impazziti e la fa scorrere liscia su vetro e metallo.
La stretta violenta delle cosce e della loro acqua.
I finestrini vibrano sotto il vento che asciuga.
Lei si riaccomoda sul sedile, ricomposta, la salopette che resta sbottonata sui fianchi.
Le mutandine sotto scostate di lato a comprimere a destra le labbra e richiuderle, dopo che la mano ne è uscita.
Lui scende.
Paga i 13 euro e risale, con la ricevuta che dimenticherà poi in auto.
L’auto lavata e lucida sembra un’altra.
Irriconoscibile quasi per chiunque, ora, libera dall’abbondante polvere e fango che ne faceva persino differente il colore e non lucido, prima.
Meglio così, è passata anche la prima mezz’ora di attesa.
Meglio.

Si fermano al ciglio della Provinciale.
Guardano il Supermercato.
Isolato lungo lo stradone.
Manca meno di un’ora alla chiusura.
Auto con famiglie, affrettate alla piccola spesa serale prima dei riti casalinghi, alcune con un solo passeggero.
Il parcheggio che si fa formicaio, piccolo formicaio per piccola tribù di formiche delle tre valli, per entrate e uscite.
Piccole formiche variopinte, a sciamare con gli stessi tempi e gli stessi movimenti, prima del rientro ai loro formicai domestici per la cena.
Poche.
E’ quasi estate fatta, non un pomeriggio autunnale, quando anche un supermercato a metà Provinciale sa farsi gita.
Meta di programmate serata lunghe intorno al tavolo in famiglia.
Pretesto, in questa sera lunga già di luce, di acquisti, a riempire l’ultima ora di chiaro prima dei giochi familiari nella sera.
Guardano, dall’auto lucida per qualche minuto, poi decidono che è meglio spostarsi.
A lato, lontani dalla vista.
Proseguono altri trecento metri oltre il TreValli, verso Luino e il lago, sulla Provinciale.
Imboccano una sterrata a sinistra, verso il piede della collina e un bosco abbastanza fitto di faggi.
Piano, senza sollevare polvere, che sporchi e renda marchiata e troppo simile a com’era, quand’era parcheggiata nel paese precedente, l’auto.
Il ragazzo fa fatica a guidare piano.
Le pastiglie blu con la scritta gialla gli accelerano il pensiero e fanno frenetiche mani e piedi.
Il cervello gli pompa sangue alle tempie.
E al cazzo.
Il ragazzo frena la testa e il piede e la mano nella svolta.
Arrivano al piccolo bosco, ridossato, sotto la piccola collina verde scura.
L’auto tra le prime dieci piante.
All’ombra del sole basso e degli sguardi di chi percorre nei due sensi la Provinciale, poco distante.
Come una qualsiasi auto con a bordo un autista troppo sonnolento o una qualsiasi coppia di amanti.

I ragazzi si baciano.
Prima con la lentezza dei loro giochi di sempre.
Poi con la frenesia di ogni loro incontro.
L’ansia di fermare il tempo, accelerando il loro. Di vivere ogni volta come se fosse la prima e l’ultima al tempo stesso. Anche il durante.
Lui sgancia la leva del sedile accanto.
Lei spinge coi piedi fino a portarlo rovesciato a fine corsa, sulle slitte sotto.
Inarca le reni sotto le mani di lui che sbuccia i fianchi dalla salopette.
Alza le reni, la massa del tessuto è arricciata e fa volume sotto il culo.
Poi scivola sfregando lungo le gambe.
Una, e poi l’altra, si staccano da terra.
La maglietta a righine gialle tesa sul seno nudo, prepotente e duro di giovane donna, marcata dai capezzoli induriti e sporgenti come mozziconi di marlboro sotto, e le mutandine ancora scostate per prima.
La salopette appesa all’altro finestrino, abbassato a dare aria, stesa malamente nella fretta.
Lui slaccia la cintura.
Puntato sul sedile con le ginocchia. Abbassa la lampo, si scosta le mutande.
Il cazzo, come lembo di camicia scappato fuori dalla cinta, attraverso il taglio della patta.
Carne tesa scappata alla gabbia.
La spinge, alta più che può sul sedile fattosi sdraio.
Fatica non poco, ad incastrare le gambe.
Le gambe sono davvero troppo lunghe.
E troppa è l’ansia la voglia la fretta.
Batte con l’osso del ginocchio sulle slitte di metallo del sedile. Si taglia pantaloni e pelle.
Sposta secca, ancora un po’ la mutandina nera a lato, e, sfregando il cazzo contro il tessuto e l’elastico, si infila.
Serrato da lei e da elastici e tessuti come fossero dita e mani a stringerlo di lato.
Pronto a scopare lei, due paia di mutande, e una patta aperta coi denti di metallo giallo spalancati.
Aderisce a lei come una ventosa, i piedi puntati sotto il vano ai piedi del cassettino, a spingere il tappetino nero come fosse straccio.
Le mani sue afferrate al bordo del sedile, sopra la testa della donna, a fianco della testa e degli occhi belli.
Spinge come volesse affondare nella sabbia.
Piantarsi a fondo in essa.
Piede sul bagnasciuga a entrare sempre più a fondo.
Non è storia di grandi amplessi.
E’ storia di poche spinte violente delle reni.
Di un corpo schiacciato sul sedile a tenderne le molle nelle prime ombre della sera.
Mentre al Supermercato chiudono le casse.
Mentre le cassiere preparano le buste per la cassaforte.
Mentre una donna urla in un auto presa forzatamente a nolo, con maestria, da un pianista.
Urla alla spinta più secca, quando improvvisamente sente più caldo dentro.
E lui che si tende come una molla.
Lo ama.
Persino il suo sorriso storto di bocca troppo sottile e larga.
Serrata adesso, taglio cucito di sutura, cicatrice di bocca, mentre il suo ventre si svuota violento.
Cola il sudore dei loro sessi sul sedile di panno a righe sottili gialle e verdi chiare.
Si allarga a macchia.
Caldo sotto il culo della donna.

Sono rossi in viso entrambi.
Di sesso veloce e di pastiglie.
Di orgasmo sudato e muscoli dolenti.
Spettinati e con le magliette arrotolate alte sul petto entrambi dai loro rollanti movimenti.
Lei si riveste senza scendere dall’auto.
Lui ricompone patta e cintura.
Si pettina i capelli biondi lunghi via dagli occhi.
Stappano una birra, l’ultima rimasta.
Calda.
Calda, ma il loro calore in bocca è più alto, e non se ne accorgono nemmeno.
Della schiuma che si forma densa e calda, anche solo nella bocca.
Il ragazzo mette in moto e, senza sollevare polvere, lascia il rifugio tra le piante.
E’ buio adesso.
Quasi del tutto.
Accende le luci di posizione.
Come da norma di circolazione.
Gira l’auto sotto le piante.
Prosegue sulla sterrata, tornando alla Provinciale, trattenendo per la seconda la voglia, il bisogno quasi, di correre.
Non solleva nubi bianche sporche di polvere, alle spalle.
Trecento metri.
Il parcheggio è vuoto.
Solo,, sul fondo, le poche auto del gestore e dei dipendenti di turno.
Il ragazzo, ora, ma cosa c’entra col parcheggio’, ricorda che non aveva nemmeno baciato la ragazza, prima.
Prima di lasciare il parcheggio, nascosto, dove hanno consumato chimica, amore, attesa, spasmo di gioco proibito atteso, e sesso.
La bacia appena l’auto è ferma.
Un bacio da ragazzi, in un parcheggio.
Dolce e a labbra morbide e collose.
Senza ansia di sesso.
Nemmeno degno della curiosità della guardia giurata che passa con i sacchi.
Il ragazzo apre il tiretto del cruscotto.
Afferra lo straccio di cotone grigio un po’ unto di olio che vi aveva riposto.
Lo apre, con lesto sicuro ne sposta lembo su lembo, sotto il volante, sulle cosce.
Sulla tovaglia unta aperta, stesa e come apparecchiata sulle sue ginocchia, una pistola un po’ troppo vecchia di ruggine e petrolio a lucidarla.
Un’altra , replica perfetta, giocattolo fatto a specchio, più leggero soltanto e inoffensivo persino nel pensiero, il bollo rosso in punta alla canna cancellato, per lei, per fare solo paura, lei non deve rischiare di mettersi nei guai troppo, esce dallo zainetto di marca, in pelle morbida e marroncina, della giovane donna.
Sparerà lui, mai lui giura, comunque mai, davvero mai, non potrebbe né saprebbe, mai lo farebbe, ma sparerebbe, se servisse.
Ma due pistole fanno la paura al cubo.
Le parole annullate dall’adrenalina e dalla fretta e dall’ansia, escono simultanei entrambi.
Scendono di corsa’
A portiere spalancate.
La guardia giurata fa tempo a malapena a cogliere la minaccia.
Lascia cadere la sua arma.
Trema..
Sono davanti ai tre gradini del negozio.
Lei afferra i due sacchi, caduti anch’essi a terra quando la guardia leggermente obesa ha levato alte le mani.
Pesano poco, troppo poco, i sacchi di iuta beige chiusi dal lucchetto, anche e persino per una rapina così maldestra.
Non è nemmeno sabato tra l’altro.
Tornano di corsa all’auto. Senza girarsi, sempre controllando con le armi la loro veloce ritirata.
La ragazza butta i sacchi sul sedile posteriore e sta per entrare, al volo, ha corso come se nemmeno toccasse terra coi passi, corsa frenetica al rallentatore di un film girato sulla Provinciale delle Valli.
Il ragazzo con le dita da pianista serrate sul grilletto distoglie, accostandosi alla portiera e alla sua risalita in auto, lo sguardo.
Frazione di secondo, resa eterna dal rallentatore che ha in testa, lucido di frenesia, rallentato quasi nei gesti, davanti ai suoi pensieri che corrono adesso a velocità di luce.
Non può fare altrimenti, a quel punto della fuga, l’unico istante in cui inevitabilmente abbasserà la guardia.
Lascia la mira sul poliziotto disarmato, per accingersi a salire e partire di corsa. La mano destra sul volante a fare leva e facilitare la scivolata sul sedile.
Tre colpi.
Il terzo passa da parte a parte la nuca della ragazza coi seni e gli occhi grandi, e apre un terzo occhio rosso nella fronte.
Occhio socchiuso alto sulla fronte, e dopo un attimo grondante sangue.
La nuca aperta, sfondata come uno squarcio di granata in un ventre.
La pallottola si ferma portandosi dietro la cometa rossa di sangue cervello e schegge d’osso nella portiera.
Incastrata tra la lamiera e il pannello interno, a fianco della maniglia dell’ alzacristalli. Schiacciata e deformata al suo arresto contro il metallo.
La polizia arriverà mezz’ora dopo.
Troverà il personale del TreValli chiuso nel negozio col terrore che comincia a calare e i commenti sempre più frenetici e accelerati che si incrociano a scaricare tutto, e l’odore di vomito, acido e forte, vicino all’uscita.
Una guardia giurata, leggermente obesa, seduta sui tre gradini a piangere con la testa affondata nelle mani, pensando ad un coraggio tardivo inutile e cretino, all’ansia di sentirsi almeno una volta anche lui protagonista, attore di un film troppo realista.
A come spiegherà qualcuno a casa della ragazza quella sera il fiore aperto in fronte a farsi garofano di sangue, omaggio floreale in una sera di quasi estate.
A come racconterà lui a suo figlio, quando sarà più grande, la differenza tra l’eroe e il folle.
La polizia arriverà mezz’ora dopo.
Un ragazzo sarà seduto a terra, con un volto sulle gambe.
La salopette di jeans macchiata e rossa di lei fino alla fine della pettorina.
Il grembo del ragazzo caldo di sangue denso e ormai un po’ rappreso.
Le mani sue a carezzarle i capelli rossi. A ravviarli, scoprendo con le dita il piccolo bocciolo in fronte.
Uno strano sorriso storto sulla bocca troppo sottile e larga, sotto due occhi azzurri di pioggia.
Due occhi carichi di pioggia estiva.
Calda come la birra.

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(aggiornato al 24 settembre 2006)

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