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TARDA NOTTE

Bagni, ore 01:05


     Eleonora, quando l’avevano portata fuori dalla sala dei sacrifici, come aveva cominciato a chiamarla, incapace di pronunciare quel termine che, ormai, aveva deciso essere di origine azteche, non aveva nemmeno provato ad immaginare dove volessero portarla, atterrita all’idea che il peggio dovesse ancora venire. L’entrare in un bagno era l’ultima cosache si sarebbe aspettata, ma quando si era trovata in un locale con sanitari e una doccia, che ricordava vagamente un’elegante sauna, con pannelli in legno e quelle che sembravano soffici e profumanti asciugamani, messi ordinatamente in alte scaffalature in rovere, rimase basita per un istante ma certamente non dispiaciuta. La possibilità di pulirsi la fece quasi singhiozzare di gioia: la sborra che le colava dal sesso e dall’ano, oltre a tutta quella che le era stata spruzzata sul resto del corpo, era diventata un motivo di vergogna psicologicamente insostenibile, oltre ad aver cominciato a puzzare con un’intensità che non avrebbe mai potuto immaginare.

     – Lavati bene – le aveva imposto una delle due guardie, come se fosse possibile per la ragazza farlo approssimativamente con tutta la bega che aveva addosso.

     Non chiese nemmeno alle due guardie di uscire dal bagno mentre apriva il rubinetto dell’acqua calda e attendeva che il getto raggiungesse la temperatura a lei più congeniale, ovvero bollente: dopo essere stata scopata da decine di uomini davanti a quella che considerava una delle sue migliori amiche, e aver visto nella stessa subire la sua medesima maledizione, il concetto di “pudore” aveva assunto una consistenza piuttosto labile per Eleonora.

     Quando scivolò sotto la pioggia artificiale, sentì i suoi muscoli perdere parte della tensione che quella serata folle e spaventosa aveva prodotto su di lei e la sborra secca che le tirava la pelle e impiastricciava i capelli ammorbidirsi e iniziare a colare verso lo scarico. Prese dal ripiano della doccia una confezione di schiuma liquida e la usò per pulirsi meglio. Chiuse gli occhi, mentre sentiva nettarsi, lo sperma colarle lungo le gambe e turbinare nel piano di ceramica e scomparire nello scarico. Che fosse quella la felicità? Un momento di pace in una vita di inferno?

     Eleonora lanciò un’occhiata verso i due che la stavano guardando lavarsi. Com’era possibile che la cosa non la turbasse più? No, non la turbava affatto, la eccitava. Sentì il prurito che si diffuse dalla sua passera all’idea di quei due che la guardavano scivolare lungo il suo addome, penetrarle nel cuore e raggiungere il resto del suo splendido corpo sotto forma di… orgoglio?

     Eleonora non trattenne un sorriso quando si rese conto che, sì, quello che stava provando era orgoglio. Orgoglio per il proprio corpo, per il proprio desiderio sessuale, per il fatto che la gente la desiderava.

     Li fissò con i suoi incredibili occhi azzurri, mordendosi con i suoi splendidi denti bianchi un labbro e afferrandosi il grosso seno, massaggiandoselo, percependolo indurirsi sentendo lo sguardo delle due guardie scivolare sul suo corpo nudo come l’acqua calda che l’accarezzava. Sentì il bisogno di pulirsele per bene dalla sborra che le era stata spruzzata addosso, un tributo alla sua incredibile bellezza, o almeno volle far finta di crederlo. In realtà, sapeva benissimo che lo stava facendo per arrapare quei due, per renderli suoi schiavi, sfamando il suo ego con le erezioni che i pantaloni non potevano celare.

     Anche quando si appoggiò al muro piastrellato della doccia, gli fece piacere illudersi che quelle due dita con cui si penetrò avessero lo scopo di pulirsi l’utero di tutto il seme che le era rimasto dentro. In realtà, aveva scoperto che il suo ego era come un buco nero: più si nutriva, più diventava grande, e più diventava grande e più aveva bisogno di essere nutrito. Gli occhi dei due uomini, che rimbalzavano dalla sua fica alle sue grosse tette, per poi tornare alla sua fica, erano solo un piccolo spuntino per il suo nuovo amico affamato di attenzione e devozione.

     Le fu impossibile trattenersi dal chiudere gli occhi mentre sentiva i suoi polpastrelli invadere il suo utero con un vigore che non aveva mai usato, muoversi convulsamente come se stessero cercando qualcosa per cui andasse della loro vita, desiderosa di scoprire se ci fossero pieghe segrete nel condotto piene di oro e pietre preziose. E altrettanto le fu impossibile non pensare ai cazzi che l’avevano scopata fino a pochi istanti prima ma, a differenza di allora, non le parvero più dei mostri che la violavano, che volevano strappare un orgasmo dal suo corpo, ma protrusioni fisiche del potere che aveva sugli uomini ma che non era in grado di controllare. Almeno per il momento, si promise.

     Il veloce orgasmo che scosse il suo corpo fu dato dall’immagine di uomini che la possedevano su quella roccia, bloccata e costretta a permettere loro di usare il suo corpo, ma quello che esplose nella sua anima fu un tributo alla sua bellezza e al piacere che poteva ottenere attraverso essa.

     Sollevò il volto verso il getto dell’acqua che le picchiettava sulla pelle, le dita che le scivolavano fuori dall’utero seguite da un rivolo di desiderio e sperma. Rimase un istante in quella posizione, mentre il piacere sfumava in soddisfazione e volontà di provare una sensazione simile di nuovo, ma amplificata.

     Quando si sentì pulita, pronta a tornare alla sua pietra, a rendere altri uomini schiavi del suo splendido corpo, vederli incapaci di scegliere in quale suo buco cercare il piacere, uscì dalla doccia, prese un asciugamano da un armadietto e iniziò a frizionarsi la pelle, lentamente e con cura.

     Sollevò lo sguardo sulle due guardie. Sorrise tra sé e sé: quanto le sarebbe piaciuto se quei due avessero avuto le palle di fare un paio di passi, afferrarla e possederla, scoparla per riempirla di nuovo. Sospirò scuotendo la testa… non era colpa loro, ma sua: aveva decine, forse centinaia di scopate che si era persa e, sebbene un buon numero fosse stato recuperato quella notte, ne mancavano ancora molte. Magari con un ottimo amante che sapesse donarle anche un orgasmo, oltre al piacere di essere venerata…

     – Sei a posto? – chiese la guardia di prima, sebbene il suo tono autoritario fosse incrinato da un desiderio che doveva aver riempito le sue palle e non vedeva l’ora di sgorgare in violenti spruzzi. A Eleonora dispiacque pensare che si sarebbero scaricati in un tovagliolino o un involto di carta igienica, o magari nella figa di un’altra puttana…

     – Solo un attimo – disse lei, con un sorriso che non avrebbe permesso un diniego.

     Lui annuì. La ragazza pensò con un sorriso solo mentale che l’uomo le avrebbe lasciato tutto il tempo che avesse richiesto, passandolo a contemplarla per meglio fissare la sua immagine nella memoria e poterla usare la prossima volta che si fosse trovato a sborrare. Pensò anche che, fino al giorno prima, un’idea simile l’avrebbe disgustata, e questa volta il sorriso affiorò davvero sul suo volto.

     Eleonora si sedette sul gabinetto accanto alla doccia, aprendo bene le gambe e spingendo con forza. Passare dall’avere vergogna del proprio seno nascosto sotto una maglia al cagare davanti a due sconosciuti, pensò divertita, mentre sentiva la sborra delle inculate scivolarle fuori dall’ano e colare nell’acqua sul fondo della tazza, era qualcosa che non si sarebbe mai sognata. Una soddisfacente pisciata risuonò contro la ceramica, svuotandole la vescica che da ore chiedeva di essere liberata.

     Si sollevò in piedi, strappò un rettangolo di carta igienica e se la passò sulla fica, asciugandola, poi spostò la mano dietro e si pulì il culo. La lasciò cadere nella tazza, assicurandosi che rimanesse sulla tavoletta invece di finire all’interno. Il suo ego fece un boccone unico all’idea che una o entrambe le guardie sarebbe tornata a prendere quel pezzo di carta per annusarlo e poi farsi una sega.

     Avanzò verso di loro. Per un attimo pensò di inginocchiarsi, prendere fuori dai loro pantaloni i loro cazzi gonfi e spompinarli contemporaneamente, ma l’idea che quella zoccoletta di Miriam si facesse scopare da tutti gli uomini, non lasciandogliene nessuno, la fece rabbrividire.

     – Posso tornare al mio posto.

     La guardia distolse con fatica e dolore lo sguardo da quello splendido seno. – No, ti portiamo da un’altra parte. Sei stata comprata per le prossime ore.

     – Comprata… – ripeté lei, muovendo in bocca quella parola come se stesse assaggiando una pietanza nuova e cercando di capire se le piaceva. – Come una lurida puttana – specificò, quasi avesse aggiunto una spezia alla pietanza per renderla più saporita. Improvvisamente, ditalinarsi sotto la doccia davanti a due sconosciuti le parve squallidamente noioso e farsi sbattere su una finta ara sacrificale più adatto ad una zoccoletta come Miriam.

Tempio di Tlazolteotl, ore 01:10


     Non l’avrebbe mai nemmeno immaginato, ma Miriam fu felice che il tizio che la stava scopando, invece di penetrarla in uno dei suoi buchi, avesse avuto l’idea di farsi l’equivalente di una spagnoletta usando le sue chiappe. Aveva appoggiato il suo cazzo in tiro nel solco del suo culo, aveva messo le mani sui glutei, stringendoli, e iniziato a fottere il canale che si era formato. Era stata una sensazione strana, bizzarra, ma probabilmente la meno degradante e disgustosa della nottata.

     Fu con dispiacere per la rossa devastata, alla fine, sentire l’uomo lanciare il grido che accompagnò il suo orgasmo: alcune gocce calde piovvero sulla sua schiena e i suoi capelli, mentre percepiva un rivolo più corposo scivolare lungo i suoi lombari. Adesso sarebbe toccato ad un altro uomo abusare del suo corpo, e di certo non sarebbe stato così gentile come questo…

     Si voltò verso la pietra su cui era stata legata Eleonora, ma era scomparsa… da quasi un’ora, si rese conto. Che fine aveva fatto? Perché lei era ancora lì?

     Non poté trattenere le lacrime mentre un senso di vuoto che l’aveva accompagnata per tutta la notte, combattuto dalla certezza che quell’umiliazione le avrebbe permesso di accedere alla meraviglia che celava quella cazzo di discoteca, finalmente la riempiva. – Vi prego, basta – pianse, – non ce la faccio più… basta, vi prego…

     Piagnucolò per qualche secondo, incapace ormai di prepararsi ad un nuovo “amante”, quando una voce dolce e calda parlò alla sua sinistra.

     – Davvero, sei sicura di non poterne più, piccola mia?

     Miriam, stremata, si voltò verso l’origine di quelle parole. Sbatté gli occhi, sicura di essere vittima di un abbaglio: vedeva accanto a sé la vecchia… come si chiamava… Flores? Clelia Flores? L’attrice di soap opera che aveva aperto con Jiménez quella fottuta discoteca.

     La vecchia era completamente nuda, magra, con macchie dovute all’età un po’ ovunque dove la pelle non sarebbe stata ripresa dalla cinepresa durante le registrazioni della telenovela. Era ancora ben ferma sulle gambe, non ingobbita come molte persone che avevano raggiunto i settant’anni, sebbene la pelle sulle braccia penzolasse un po’. Il seno sembrava, alla ragazza, sebbene non più di una seconda, magari abbondante, ancora florido, come se non avesse mai superato i primi due decenni di vita, ma probabilmente doveva tutto ciò all’intervento, magari più di uno, del bisturi. Miriam non poté, le sarebbe stato impossibile, non notare altresì l’inguine della donna, glabro e con una passera che, anch’essa, non sembrava usata molto. Quasi avrebbe detto che vi fosse ancora l’imene ma, si disse la ragazza, probabilmente la usava più la vecchia che lei. Per lo meno, se non veniva presa in considerazione quella notte maledetta…

     Clelia le si fece accanto, quasi volesse porgerle davanti al viso il suo utero, le cosce bagnate di umore come se… Una parte della mente di Miriam, quella che le ultime ore non erano riuscite a spegnere, sussurrò maligna che la vecchia stronza avesse passato il tempo guardandola farsi fottere da decine di uomini, eccitandosi e ditalinandosi fino ad avere diversi, intensi orgasmi.

     Ma era impossibile credere ad una cosa simile, quando Clelia le pose una mano sulla testa e chiese, con quella voce bassa e rassicurante: – Dolce ragazza, davvero vuoi terminare tutto questo? – Lasciò che una risposta si preparasse ad essere data da Miriam, ma un istante prima che le labbra sporche di sperma della ragazza pronunciassero anche una sola, singola sillaba, la donna aggiunse, con un tono da nonna che ammonisce bonariamente la nipotina discola: – Perché, in tal caso, tutto quello che hai patito sarebbe stato inutile, e non potresti avere la Golden Card.

     A quelle parole, quanto stava per dire Miriam si bloccò nella sua gola.

     La vecchia accarezzò i capelli rossi della ragazza impiastricciati di seme, ma sembrava che non le importasse affatto di toccare del liquido macerato in decine di coglioni e spruzzato dopo che i cazzi erano stati nella bocca o nel retto di Miriam. – Sarebbe un peccato, lo sai, vero? Tutti quegli attori, tutti quei campioni dello sport là fuori, che ballano e si divertono… A te piacciono, vero? – Altra pausa, come se le lasciasse il tempo di riflettere, come se lo facesse per lavoro, o, peggio, per divertimento, – Passi le giornate a leggere di loro sulle riviste e sulla rete, ma preferiresti conoscerli di persona, ho ragione?

     Per qualche motivo, a Miriam il tocco della mano dell’attrice causava un senso di ribrezzo che nemmeno i cazzi che l’avevano scopata le avevano fatto provare. Sembrava più quello di un serpente che scivolasse su di lei, per scoprire come colpirla a morte. Ma quel pensiero d’allarme era come se venisse sommerso dalle parole che risuonavano nella stanza, dal ben più impellente bisogno di soddisfare la sua necessità di conoscere quelle persone famose che si trovavano a pochi metri da lei…

     – Sì, – ammise, scoppiando a piangere la ragazza, – ma ti prego… non voglio più essere scopata! Basta, ti scongiuro!

     Questa volta l’inguine della vecchia si appoggiò davvero al capo dai capelli rossi, ma fu un gesto di affetto, mentre la mano che sembrava coperta dalle scaglie di pitone accarezzava ancora le ciocche lerce di seme. – Ma piccola mia… Non sai quante ragazze meno meritevoli di te vorrebbero prendere il tuo posto, e quando si sono trovate qui hanno implorato di essere liberate, e di non aver avuto più la possibilità di entrare nella discoteca? Tu vuoi essere una di loro o essere un’amica dei vip?

     Miriam riusciva solo a piangere, incapace di prendere una decisione. Avrebbe preferito la morte ad essere di nuovo la troia di quelle bestie, ma senza la possibilità di avere accesso alla discoteca, di conoscere le celebrità che vi ballavano, di essere una di loro, sarebbe stato peggio della morte.

     Miriam non poté vedere il volto della vecchia, o vi avrebbe letto un’espressione che non era affatto quella che una nonnina avrebbe avuto con la sua dolce nipotina. – Potremmo fare però una cosa, visto che sei stata così brava e mi piaci tanto…

     – Cosa? – chiese la ragazza, sconfitta. Qualsiasi cosa pur di avere la Golden Card…

     – Un ultimo rapporto. Un ultimo rapporto, ma con me.

     Miriam tirò su con il naso un liquido che sembrava sperma, aveva lo stesso aspetto dello sperma, lo stesso odore, la stessa consistenza. – Va bene… – accettò, singhiozzando.

     La mano-serpente accarezzò la guancia della ragazza, lasciandone un brivido. – Brava, piccola mia…

     Miriam sentì l’odore fetido dell’inguine della vecchia diminuire mentre l’attrice si allontanava. Provò a seguirla con lo sguardo, ma non riuscì a capire dove stesse andando quando si eclissò dietro una sua spalla. Sentì comunque un armadietto aprirsi e chiudersi, e il rumore di qualcosa che sembrava plastica tendersi e poi schioccare.

     Quando la rivide tornare, il paio di mutande nere in gomma che la vecchia indossava spiccava quasi quanto il grosso cazzo che vi pendeva davanti, in una erezione eterna iniziata da quando era uscito da uno stampo a iniezione. Miriam ebbe un moto di fastidio nel vederlo, che aumentò quando notò che in una mano della donna era presente un altro cazzo di gomma, forse leggermente più piccolo, provvisto alla base di quelle che sembravano delle lucine led.

     Il pitone si strofinò di nuovo sui capelli rossi. – È necessario, lo sai, per la tua Golden Card.

     Le proteste di Miriam morirono in un singhiozzare che a stento trattenne.

     – Brava, piccola mia – sussurrò la vecchia, prima di scomparire un’altra volta.

     La ragazza, quando sentì di nuovo la sua voce, comprese che si trovava tra le sue gambe.

     – Quanti uomini hanno amato la mia piccola… – disse la vecchia, e non con il tono di voce che avrebbe avuto per tranquillizzare bonariamente la nipotina per una piccola cicatrice su un ginocchio quanto con un’invidia che sfiorava la rabbia. – Ma adesso sarò io ad amarti, piccola mia.

     La ragazza sentì il suo utero dilatarsi, la sborra scivolare, quasi schizzare fuori per l’oggetto che vi stava facendo il suo ingresso. – Cosa… – cercò di dire la rossa, ansimando, mentre sentiva le pareti della sua fica cercare dolorosamente di contenere quel cazzo di plastica. Lo percepì entrare ancora più in profondità, come se avesse intenzione di scoprire se potesse stare tutto nella passera. Quando finalmente pose fine alla sua avanzata, la speranza di Miriam che fosse finito quello strazio fu tale da farle sfuggire una risata.

     – Ti piace, piccola mia – domandò la vecchia. – Sono davvero belli i cazzoni grossi, ho ragione? Ma ti piacerà ancora di più, adesso.

     La ragazza si chiese cosa stesse dicendo la donna, quando improvvisamente la sua fica parve impazzire, scossa da qualcosa che sembrava un terremoto al dodicesimo grado della scala Mercalli. Il suo riso divenne un grido ansimato, mentre gli occhi si serravano e così le dita sullo spigolo dell’ara. Fu un dolore spaventoso, come se l’avessero prese a martellate all’interno della fica e, al contempo, quel fastidio che si provava quando si toccavano le labbra screpolate con la lingua. Poi, all’improvviso, dal dolore emerse, al pari di una luce che diventasse sempre più intensa attraverso le crepe di un muro, una sensazione di piacere che cominciò ad invadere il petto di Miriam, poi la sua mente, poi ridiscese nella sua fica, sopprimendo ogni parvenza di disagio.

     La ragazza non riusciva più a respirare, non era più in grado di avere il controllo del suo corpo che si dibatteva come fosse scosso dai battiti del suo cuore, impazzito in un galoppo sfrenato verso quello che sembrava l’infarto. La sua mente e la sua coscienza sembravano immerse in una fitta nebbia tanto densa da diventare solida.

     I suoi polmoni si svuotarono in un grido spaventoso, che sembrò strapparle le corde vocali, spargendo saliva e sborra che le era rimasto in gola davanti a lei. Il suo bacino sobbalzò diverse volte, solo le corde le impedivano di cadere dall’ara sacrificale. L’ano si comprimeva e dilatava in continuazione con una forza quasi dolorosa, ma mai quanto gli spasmi nel suo utero, che stava colando trasudo e seme maschile come se si fosse rotto qualcosa. Il vibratore sembrò scuotersi ancora più violentemente di prima, muoversi, quasi ruotare, poi scivolò fuori dalla figa e cadde a terra con un tonfo viscido nella pozza di liquidi corporei sotto l’inguine della ragazza.

     Miriam credette di essere morta. Sperò di essere morta, perché non avrebbe più voluto provare nulla di simile in vita sua. Non avrebbe voluto mai nemmeno ricordare qualcosa di analogo, per nessun motivo. Avrebbe voluto vomitare, ma si scoprì talmente stremata che non ne sarebbe stata in grado. Non aveva mai provato tanto dolore nella sua fica… nemmeno se l’avessero presa a pedate o l’avessero penetrata con un candelotto di dinamite acceso.

     – Brava, piccola mia – sussurrò dietro di lei la vecchia – Hai visto che bello? Io lo adoro, e sono sicuro che non potrai più farne a meno neanche te…

     Con la testa abbandonata sulla pietra finta, i capelli scompigliati e le ciocche rosse coagulate dal sudore e dalla sborra che le cadevano sul viso dello stesso colore, le labbra della ragazza si dischiusero per implorarla che non ce la faceva più, che voleva essere lasciata lì a morire, ma l’aria che usciva dalla sua gola era troppo lieve per emettere qualcosa di diverso da un gemito appena modulato.

     Quasi non notò le mani fredde appoggiarsi sulle sue chiappe su cui erano tatuate decine di schiaffi, discostandole leggermente fino a quando il buco del suo culo, che ancora restava leggermente aperto e da cui scendeva un torrente di sborra ormai secco, si presentò alla vista della vecchia. Ebbe una maggiore consapevolezza dell’oggetto freddo e duro baciarglielo, allarmandola nello stato di incoscienza in cui stava scivolando.

     Il fiato smise di defluire dai polmoni di Miriam e i suoi occhi si sgranarono mentre qualcosa di grosso, molto grosso, fottutamente grosso, sprofondava lentamente nel suo retto, aprendole l’ano come nessun cazzo aveva fatto in tutta la notte, riempiendola come solo un pugno sarebbe stato in grado..

     – Questo, piccola mia, ti piacerà ancora di più, te lo prometto.

     Gli occhi della ragazza erano spalancati, il fiato mozzato, quasi quel cazzo di plastica l’avesse percorsa per tutto l’apparato digerente e le fosse arrivato in gola, bloccandogliela. Avrebbe giurato che nulla al mondo avrebbe potuto essere peggiore di quella sensazione.

     Pochi istanti dopo, Miriam capì che si sbagliava quando scoprì che esistevano strap-on dotati di un motore simile a quello del vibratore che le aveva devastato la fica…

Stanza 4, ore 02:00



     Mentre erano entrati direttamente nel bagno attraverso una porta celata nel muro della stanza delle torture, come aveva iniziato a chiamarlo Eleonora, per raggiungere la stanza sulla cui porta compariva il numero 4 dovettero passare nel corridoio poco illuminato. Un paio di guardie erano state poste davanti alla porta di legno, impedendo ad alcuni uomini in fila di entrare, poco felici dell’attesa che si stava protraendo, probabilmente aspettando che quello già all’interno finisse con la troia dai capelli rossi.

     Eleonora si chiese come se la stesse cavando Miriam, la ragazza che considerava sia un’amica con cui chiacchierare liberamente, sia il suo modello per quanto riguardava l’apertura verso il sesso. Sorrise all’idea che fino a pochi minuti prima la timidezza, la vergogna verso il suo splendido corpo le imponevano il terrore che qualcuno la guardasse, anche vestita, mentre ora, nuda, camminava sentendo gli uomini in fila scoparla con lo sguardo, e questo la faceva bagnare. Il sorriso si aprì ancora più quando pensò che Cristina e Miriam avrebbero scoperto di essere diventate quelle meno disinibite del gruppo. Dopotutto, riconobbe, la bionda aveva avuto ragione, il pomeriggio precedente, quando sosteneva che lei, Eleonora, non aiutava nel “pagare” le loro vacanze: da quel giorno avrebbe avuto la premura di offrire a Cristina e a Miriam la migliore permanenza che le fosse possibile ottenere.

     Si stava chiedendo come se la stessero cavando entrambe le sue compagne di quell’avventura, amanti del sesso come avevano dimostrato in diverse occasioni, quando si fermarono davanti alla porta. Una delle guardie estrasse da un taschino un tesserino e lo passò sopra un lettore dotato di una luce rossa che, accompagnata dal suono dello sblocco di una serratura, divenne verde. Il battente scivolò nel muro con un sibilo, scoprendo una camera da letto che la ragazza valutò come minimalista e, contemporaneamente, calda ed elegante.

     – Dentro – ordinò la guardia che aveva usato il tesserino, spingendola mettendole una mano su un gluteo che si strinse un po’ sotto la pressione delle falangi che si chiudevano leggermente per assaporare la consistenza della chiappa.

     La ragazza sussultò a quel tocco, ma non le dispiacque affatto. Anzi, si chiese perché quelle due mezzeseghe non le avessero ancora messo le mani addosso, palpandole i seni. Un leggero languore le sorse alla passera alla fugace immagine di loro due che la bloccavano contro il muro del corridoio e iniziavano a scoparla a turno davanti al resto degli uomini presenti, che li avrebbero fissati eccitati.

     La porta si chiuse con un altro sibilo alle sue spalle, lasciandola sola. Si guardò attorno, cercando di studiare l’ambiente, apprezzandolo. Il pavimento era parquet di un qualche legno chiaro con delle venature più scure, con i muri coperti da pannelli dello stesso materiale fino ad altezza vita, sopra pitturati di bianco. Una fascia splendente correva lungo il bordo inferiore, gettando una luce fredda sul pavimento, ed una sul bordo superiore più calda. Non c’erano televisori, solo quello che sembrava uno stereo digitale collegato a delle casse acustiche poste in due angoli della stanza, ed un paio di armadietti senza sportelli in cui si scorgevano delle bottiglie di quelli che sembravano oli da massaggio, asciugamani e altri oggetti. Su un muro erano appesi diversi costumi bondage e dei frustini, mentre un letto a due piazze, coperto da quello che sembrava lino bianco, era posto sotto un grande specchio affisso al soffitto.

     – Cazzo, che meraviglia… – pensò la ragazza, stupita. Avrebbe vissuto, e lavorato, in una stanza simile. Ora non le restava che conoscere chi l’avesse comprata. L’idea la eccitò, spingendola a volersi ditalinare, ma il pensiero che avrebbe potuto essere qualcuno ancora più violento di quelli che l’avevano chiavata nella sala delle torture la bloccò, smorzando l’entusiasmo che l’aveva invasa.

     Una porta si aprì alla sua destra, quella che doveva essere il gabinetto. Non uscì un uomo come si era aspettata, magari lo stesso Jiménez come aveva voluto illudersi, ma ben due. Alti, muscolosi, centinaia di ore di palestra ben visibili sul loro corpo, dei peni ancora flosci ma che, alla vista delle curve di Eleonora, avevano cominciato a gonfiarsi e già suggerivano la loro lunghezza e circonferenza fuori dal comune. I due uomini erano identici, due fotocopie, impossibili da distinguere uno dall’altro, se non per lo stesso tatuaggio, qualcosa di simile ad un dragone che si arrotolava su sé stesso: uno lo aveva sul fianco sinistro, l’altro su quello destro, coprendo metà dell’addome

     Gli sguardi dei due erano intensi, fissi negli occhi della ragazza, sebbene non potessero resistere che per qualche istante al richiamo del grosso seno. Eleonora all’iniziò ebbe un fremito di paura, sorpresa che i suoi amanti fossero due, ma l’espressione dei loro visi… Non l’aveva mai vista in nessun altro uomo, ma riuscì a leggerla come se fosse stata scritta a caratteri cubitali: l’avrebbero resa la loro indifesa puttana, scopata in ogni singolo buco, riempita e coperta di sborra, usata per il loro piacere, stremata e ridotta ad uno straccio, ma lei avrebbe voluto che ciò non avesse mai fine.

     Solo allora li riconobbe, visti poche ore prima all’ingresso della discoteca, che parlavano con quella dolce vecchina… – Siete i gemelli Grant?

     Uno dei due non trattenne uno scoppio di risate. Diede un colpo al gemello con un gomito. – A quanto pare non siamo così famosi se una dea come lei non ci conosce!

     L’altro sorrise a sua volta. – Meglio, almeno sarà tutta una sorpresa per lei perché non sa cosa facciamo.

     Eleonora, se un attimo prima era eccitata, in quel momento provò una grande simpatia per quei due splendidi uomini. Fece un passo avanti, osservando i due cazzi che, ormai, avevano raggiunto le loro ragguardevoli dimensioni, come grossi, lunghi indici che la indicavano. Li sfiorò entrambi con le dita, contemplandoli mentre si muovevano leggermente rispondendo al suo tocco. – Io – ammise, – temo di non essere molto brava in queste cose… Non ho mai fatto molta esperienza, purtroppo. – Si inginocchiò davanti a loro, le due cappelle violacee a pochi centimetri dalle sue labbra, che morse mentre sentiva un forte fastidio nascere e crescere nel suo inguine.

     Quello a destra le accarezzò i capelli con dolcezza. – Una ragazza meravigliosa come te? Un crimine!

     – Non preoccuparti – disse l’altro, – questa notte potrai farne parecchia.

     Lei sorrise grata, alzando gli occhi verso i due.

     – Come ti chiami? – le chiese quello a destra.

     La ragazza baciò prima un glande, poi l’altro. Sebbene ne avesse avuti una mezza dozzina in bocca, nelle ultime ore, le parve di non aver mai assaporato nulla di simile. – Eleonora, ma questa notte sarò la vostra troia.

     – Sarai la nostra dea, bambina – lo assicurò quello a destra, o almeno ci provò, perché l’ultima parola sfumò in un gemito di piacere mentre le labbra di Eleonora scivolavano sulla sua cappella.

CONTINUA…

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