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Un rapido movimento di chiavi ed Emanuele aveva aperto la porta dell’appartamento.
“Accomodati”, disse alla ragazza che lo seguiva nella penombra del pianerottolo. Marina sorrise dandosi un’occhiata intorno. “Grazie”, si limitò a dire.
Non era solita salire in casa di persone conosciute la sera stessa. Ma con Emanuele c’era stato un feeling particolare. Avevano bevuto insieme non più di due bicchieri di vino, avevano avuto una vera conversazione – e non quelle conversazioni stupide sul più e sul meno – sul viaggio di Emanuele in India, sull’opera (grande passione di Marina), sul lavoro di Marina come consulente scientifico per un importante aziende farmaceutica (Emanuele, un semplice amministrativo, ne era rimasto colpito). Quando Emanuele si trovò a chiederle: “Abito a 5 minuti da qui, proseguiamo la conversazione a casa mia?”, Marina aveva sentito che accettare fosse la cosa più naturale del mondo. Avevano lasciato la festa con una scusa. “Mi sento poco bene, Emanuele mi riporta a casa”. Nessuno ci aveva creduto. Poco male. Ora erano lì.
Emanuele gettò le chiavi sul tavolo e diede un buffetto al gatto grassottello che stazionava sulla poltrona.
“Che carino”, disse Marina.
“Sì chiama Alfredo”, rispose.
Marina sorrise. Emanuele la guardò, distogliendo subito lo sguardo.
La ragazza si tolse il cappotto e lo gettò sul divano accanto alla poltrona.
“C’è troppa luce qui”, disse, “puoi fare qualcosa?”.
Emanuele accese la lampada sul tavolo dall’altra parte del salotto, prima di andare a spegnere la luce principale.
“Molto meglio”, disse lei. “Ti dispiace se mi tolgo le scarpe?”, chiese senza aspettare la risposta di lui.
Si accasciò sul divano. “Vuoi qualcosa da bere?”, chiese lui. “Non ho molto, una bottiglia di vino, qualche birra… potrei avere del whisky da qualche parte”.
“Del vino andrà benissimo”, disse lei senza dare troppa importanza alla risposta.
Quando furono sul divano uno di fronte all’altra, ciascuno con un calice in mano, fu nuovamente Marina a colmare il silenzio: “Non mi avrai fatto venire qui solo per bere vino, no?”. Quando mi ha invitata a salire mi è sembrato più sfrontato di così… perché adesso fa il timido?
“Beh…” farfugliò lui.
Marina si guardò intorno. “Caspita, quanti libri che hai. E anche quanti vinili”.
Emanuele si chiese se ciò che aveva in casa le interessasse davvero. “Vorrei avere il tempo di leggere di più, ma da quando ho iniziato questo nuovo lavoro, sai… I vinili invece erano di mio zio, purtroppo non ho l’impianto che possa riprodurli”.
Marina non rispose, prese un sorso di vino e tornò a guardare.
Emanuele pensò che era arrivato il momento. “Vedi quell’angolo laggiù?”
“Quale?” chiese lei voltandosi, dando le spalle a Emanuele.
Lui le si avvicinò all’improvviso. Marina sentì l’atmosfera alle sue spalle farsi più calda. Poi due labbra iniziarono a risalirle lungo il collo.
Mmm, adesso ci siamo. Inclinò il collo assecondando il movimento di Emanuele, che andò avanti per qualche secondo. Ora la sua mano accarezzava la gamba destra di lei, scoperta, e poteva facilmente insinuarsi sotto la lunga gonna. Anziché proseguire, volle attendere. Lei ebbe un brivido. Adesso era la mano di lei a protendersi all’indietro verso il collo di lui, per tenerlo avvinghiato a sé. La sua schiena contro il suo ventre, la mano di Emanuele si spingeva più in alto, lungo l’interno coscia di lei, finché non incontrò il lembo di uno slip. Fece per sollevarlo, le sue dita toccarono brevemente l’area dell’inguine… improvvisamente ritrasse la mano.
Lei ne fu delusa, ma apprezzò quell’attesa interessante. Adesso era la sua mano a risalire la gamba di lui, e non accennava a fermarsi. Quando trovò ciò che stava cercando, lui ebbe un sobbalzo.
Fu l’ora di voltarsi. Mi sembra che il ragazzo sia già pronto, pensò Marina. Ora, sempre seduti sul divano, si guardavano in volto. Con un gesto Marina indusse Emanuele a stendersi sul divano e si mise in ginocchio fra le sue gambe. Gli slacciò la cintura, gli sbottonò i pantaloni e fece per abbassarli insieme agli slip. Emanuele era già pronto a ricevere le attenzioni di lei.
Marina gli afferrò il cazzo e si portò la punta alla bocca, la scoprì, iniziò a baciarla. Emanuele mugolò. Lei usò la lingua per descrivere dei movimenti circolari intorno al glande. Prese a passarsi il cazzo di lui intorno alle labbra, come fosse un rossetto, poi diede un leggero colpo di lingua sul punto sensibile. Di nuovo un sussulto.
“Calma”, fece lei, “non ho neppure iniziato”.
“Allora sono nei guai” replicò lui. “Perché se continui così…”
“Meglio non perdere tempo allora”. In men che non si dica il cazzo di lui era scomparso nella bocca di Marina, che prese a fare su e giù con gran foga aiutandosi con la mano destra. Quest’ultima assecondava il tutto con dei movimenti semicircolari. Non dovette andare avanti a lungo.
“Fa attenzione… se continui così, i giochi finiscono presto”.
“Tu non preoccuparti di nulla”, rispose lei dopo una breve pausa, prima di riprendere il lavoro.
Emanuele era vicinissimo. Lei non accennava a desistere. Quando intuì che lui era sul punto di esplodere, con un rapido affondo fece completamente sparire il cazzo nella propria gola, limitandosi a poche sollecitazioni alla base. Emanuele soffocò un urlo, mentre uno… due… tre getti di sperma lasciavano invisibili il suo corpo per smarrirsi nella bocca di lei. Marina non batté ciglio. Qualche secondo ed era tutto finito. “Bene, mi sono divertita”, disse lei sottovoce, rimuovendo una goccia che le era rimasta sul labbro. Marina, non ti riconosco…, pensò lei. Non è da me. Questo non è l’alcol, ho bevuto non più di qualche bicchiere. Volevo proprio farlo, e lo farei ancora.
Emanuele, fermo nella stessa posizione, aveva le gambe che tremavano e non riusciva a proferire parola. Non si aspettava quell’epilogo, ed era in sincero imbarazzo per essere già venuto dopo pochi minuti.
Marina lo intuì, e lo tranquillizzò: “Sono certa che fra pochi minuti sarai nuovamente in forma”, disse mentre Emanuele iniziava a inflaccidirsi. “Hai veramente un bel cazzo, certamente non finisce qui” disse chinandosi e baciandolo sulla labbra. Tra di noi il primo pompino è venuto prima del primo bacio… questo sì che è strano, non poté fare a meno di pensare lui.
Lei nel frattempo si era spogliata. Via la gonna, via la camicia: era rimasta con una semplice maglietta bianca che portò fin sopra il seno senza toglierla. Si slacciò il reggiseno facendolo cadere sul pavimento. Aveva un seno non troppo grande, con delle ampie areole scure. Al vedere i capezzoli turgidi, Emanuele sentì la linfa circolare nuovamente lungo il ventre.
“Nel frattempo che tu ti riprendi ti spiace se faccio da sola? Tu rilassati”, e così dicendo si sdraiò sul divano dov’era il suo cappotto e iniziò a toccarsi con la mano sinistra, portando la destra ai seni e stringendo prima l’uno, poi l’altro, poi insieme.
“Mmmm”. Emanuele guardava senza dire nulla, lievemente in imbarazzo, ma interessato a capire fin dove si sarebbe spinta Marina. La ragazza doveva avere la fica in fiamme perché il volume della sua voce aumentava secondo dopo secondo. Emanuele poteva vedere la peluria sparire e riapparire sotto lo strofinamento sempre più energico della mano di lei.
Il suo cazzo stava pian piano riprendendo vita. Le si avvicinò all’improvviso e senza chiedere il permesso le fermò la mano.
Lei ebbe un sussulto: “No, ti prego, ci sono quasi”. “Lo so”, disse lui. E immerse il viso nella fica di lei. Marina urlò. La lingua di lui sollecitava il clitoride della ragazza con movimenti circolari, sollevandolo ogni tanto con le labbra. Dare sesso orale, leccare la fica, gli piaceva, ma aveva sempre la sensazione di non potersi mai impossessare interamente dei segreti di quell’organo. Il suo cazzo era di nuovo di marmo. Il sapore di lei gli riempiva la bocca e gli annebbiava il cervello. Marina gli afferrò i capelli mentre, senza rendersene conto, sfregava con più energia il ventre al viso di lui. Un urlo strozzato, poi sentì i muscoli rilassarsi e le spalle appoggiarsi al divano. Emanuele tornò a respirare.
“Sei stanca?” chiese.
“Non direi… perché?”.
“Aspetta”.
Emanuele si alzò dal divano, si tolse quel poco di vestiti che aveva ancora indosso e aprì un cassetto alla ricerca di un preservativo.
Marina capì le sue intenzioni: “Non serve, ma in ogni caso preferirei che non mi venissi dentro…” disse con malizia.
Emanuele non colse: “Ah, e perché?”
Marina fece una smorfia: “Di’ un po’, ti è piaciuto venirmi in bocca o no?”
Emanuele arrossì: “Beh, io…”
“Ti è piaciuto o no?”
“S-sì…”
“Allora magari evitiamo di sprecare la tua prossima sborrata con un banale preservativo, che ne dici?”
Emanuele era interdetto.
“Allora, come vuoi iniziare?”
La domanda risvegliò il ragazzo dal suo torpore. Si avvicinò a Marina, inginocchiandosi sul tappeto. Il ventre della ragazza era perfettamente all’altezza del suo bacino. Si chinò per baciarle nuovamente la fica. Lei ebbe un sussulto: “Ho capito che quello lo sai fare, adesso però scopami”.
“Un po’ di pazienza…” rispose lui iniziando a strusciare il cazzo sulla fica di lei.
“Mmmm” fu la risposta, “ora non fare lo stronzo…”
Meglio non contrariarla, pensò Emanuele.
Iniziò a introdurre pochi centimetri di cazzo dentro il corpo di lei. Le mani di Marina afferrarono dei cuscini dietro la testa. “Di più”, chiese. Ma la sua mente urlava: Dammi quel cazzo, ti prego.
Emanuele procedeva gradualmente. Ogni colpo di bacino era qualche centimetro di cazzo in più.
“Mmmm” fu tutto ciò che Marina riuscì a dire. Lei portò la mano alla fica e cominciò a toccarsi il clitoride per aumentare il piacere. Emanuele mise una mano dietro il collo di lei mentre con l’altra le afferrava il seno. Contenendola in quel modo sentiva più stabile la posizione e poteva affondare di più il colpo, mentre intensificava l’andatura.
Sto venendo, pensò Marina. Lanciò un urlo disumano.
Lui rallentò. “Devo fermarmi?”
“No, testa di cazzo”.
“Cos…” Emanuele istintivamente si fermò.
Marina ebbe un sussulto: “Oh, scusami… non so perché l’ho detto, non ci sto capendo più nulla”.
“Cambiamo posizione” propose lui. Si sedette sul divano, la schiena contro i cuscini, mettendo mano al cazzo di modo che restasse perpendicolare. Lei lo assecondò e si sedette su di lui, accogliendolo di nuovo dentro di sé. Questa volta non ci furono giochetti… lo prese tutto senza indugio, iniziando a muoversi mentre il seno sbatteva di fronte alla faccia di lui. Ora comando io, pensò godendosi la sensazione di quel cazzo immerso fino alla radice.
Le mani di Emanuele le afferrarono il sedere, mentre con la bocca cercava di mordere uno dei capezzoli. Andarono avanti così, per qualche minuto. Emanuele si godeva lo spettacolo, le mani di lei che gli stringevano i capelli, le labbra stampate sulla fronte mentre la ragazza gemeva di piacere. Le mani di Emanuele ora le accarezzavano la schiena. Sentì la ragazza muoversi più veloce. Ora il suo controllo dell’orgasmo era migliore.
Marina venne di nuovo. Stavolta si fermò, e si allontanò da Emanuele.
“Come vuoi concludere?” chiese con un filo di voce
“In realtà non vorrei”, rispose lui. Lei rise.
Marina rifletté.
“Mettiti in piedi”, disse.
Emanuele eseguì. Marina si mise in ginocchio. Stavolta senza preamboli, portò le mani al cazzo di lui e iniziò a succhiare. Lo fece subito a velocità sostenuta, godendosi la sensazione, l’asta lunga e calda dentro la bocca, il leggero tremolio delle gambe di lui, i gemiti, la fica che tornava a risvegliarsi.
“Afferrami la testa e scopami la bocca” ordinò. “Voglio che tu venga come hai fatto prima”. Con la mano destra andò a toccarsi la fica, per godere di nuovo. Emanuele obbedì incredulo. Osservò la scena dall’alto, il suo cazzo di marmo che usciva ed entrava dalla bocca di Marina, mugolante.
“Mmmm” fu l’urlo soffocato della ragazza mentre raggiungeva il suo terzo orgasmo.
Anche Emanuele era ormai vicino. “Aaaah” fu tutto ciò che riuscì a dire. Come sentì di essere sul punto di venire affondò il cazzo nella bocca di lei fino in fondo. Lei non si oppose. L’orgasmo di Emanuele fu più intenso che mai. Restare in piedi era un’impresa. Chiuse gli occhi, e aspettò che fosse tutto finito…

***

Mezz’ora più tardi si erano ricomposti, anche se non del tutto rivestiti. Marina stava guardandosi allo specchio per cercare di capire in che condizioni fosse… Che serata inaspettata, pensò.
Tornò ad accasciarsi sul divano accanto a Emanuele.
“Grazie” gli disse.
Emanuele rise. “E di che? È stato incredibile” disse sorridendo.
Lei restituì il sorriso.
“Senti, non è che avresti qualcosa da mangiare? Sto morendo di fame, mi va bene una cosa semplice”
Emanuele rifletté: “Non ho molto, in effetti. Però posso prepararti un panino”.
“Grazie, un panino andrà benissimo”.
Emanuele le accarezzò il ginocchio, quindi si alzò per recarsi in cucina.
Quando tornò con il cibo nel piatto, Marina si era addormentata.
Emanuele stette a guardarla per qualche minuto. Era molto bella. Vorrei rivederla, pensò.
Lasciò il piatto sul tavolo, nel caso si svegliasse. Uscì dalla stanza per andare a cercare qualcosa. Quando tornò, aveva in mano una coperta di lana. La depose sul corpo di Marina, le sistemò il braccio, caduto di fianco al divano. Fece per andarsene, ma si fermò. La guardò un’ultima volta, poi spense la luce e se ne andò a dormire.
Chissà se domattina la troverò ancora qui, fu l’ultimo pensiero che ebbe prima di addormentarsi.

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