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Eneide Postmoderno-Dei tormenti della Regina

By 31 Marzo 2020Aprile 2nd, 2020No Comments

Erano ormai passati ben quaranta giorni dall’arrivo di Janus e degli esuli a Kelraes.
Nonostante si fossero integrati nella vita del Regno, la Regina non poté fare a meno di notare che i compagni di Janus erano particolarmente afflitti. Poteva comprendere ma non riusciva a capire il motivo di cotanta afflizione. Convocò il capo degli esuli nella sua reggia.
-O Janus, ti prego di rispondere con onesta sincerità al mio cruccio: perché il tuo popolo, pur al sicuro, accudito, nutrito e accolto in amicizia non gode di felicità? Perché sui loro volti ancora colgo la malinconia e lo sconforto? È forse di poco gradimento l’ospitalità della mia gente?-, la voce della Regina vibrava di preoccupazione. Janus, chino dinnanzi alla sovrana scosse il capo.
-O Regina, essi nutrono una grande afflizione, come anche io! Io ricordo la moglie che fu mia, Bersaidea. Ricordo le lame che le trapssarono il petto dopo che uomini l’ebbero presa a forza. Ricordo mio fratello Aristomus e la sua eroica morte nella Cerchia Interna. Ricordo i Confratelli di Siva, i sacerdoti della nostra gente venire abbattuti dalla furia dei Cimenei. Può forse un uomo che ha visto tutto questo scordare tanto in fretta l’afflizione e il dolore? Scacciare gli incubi di simili stragi nel giro di una notte? No, io non lo credo, o grande guerriera!-, esclamò.
-Dimmi allora come posso alleviare la loro pena, viandante!-, lo esortò l’amazzone.
-Non vi é modo se non con il tempo, presso il mio popolo si disse che cura ogni lesione.-, disse lui.
La regina tacque, persa nei propri pensieri. Annuì infine.
-O Esule, sarebbe per me un privilegio condurti a caccia meco.-, disse.
-Il piacere invero sarebbe mio, o Regina.-, disse Janus. Si separarono con la promessa di ritrovarsi il giorno seguente alle prime luci dell’alba.

-O Regina, colgo la tua agitazione, il turbamento che ti ammanta come la rugiada ammanta i fiori!-, Althea parlò senza alcuna remora. La regina sospirò, tristemente.
-Althea, tu tra tutte noi e il popolo maschile che son nostri compagni e servitori onorati, hai goduto senza sforzo dell’oggetto del desiderio che fu mio.-, la sala del trono era vuota.
C’era solo Althea a occuparla e la regina, assisa in trono.
-Mia signora, certamente l’Esule ha i suoi meriti, ma… mi domando… é lui degno dell’attenzione che lei riserva?-, chiese, -Insomma, é un uomo. Ha sparso il suo seme, ma tant’é. È egli anche astuto, intelligente, di braccio e volontà forte? È egli degno di impregnare il tuo ventre, o Regina?-.
La Regina tacque, per un lungo istante.
-Non é mistero che la nostra gente eviti uomini e donne dappoco. Non é mistero, Althea della Casa di Ghel. Ma é profondo e rovente il desiderio. Mi illanguidisce, intorbida il sangue e annebbia il giudizio! Mai, mai nella vita mia provai simile emozione, cotanta passione, un tale anelito!-, la Regina si alzò dal trono, prendendo la giovane per le spalle.
-Oh, Althea! Tu l’hai avuto. Egli era tuo e tu sua! Quale suprema grazia accordata a te, mia figliola!-. esclamò abbracciando la guerriera.
-Mia Regina, fu vostro l’ordine…-, sussurrò lei, incerta su cosa dire.
-Vero! Ma fu calcolato! Tu avresti dovuto saggiare la sua virilità che io vidi esser ben dotata.-, disse la Regina di quel regno. Sciolse l’abbraccio, -E in un simile, infimo istante, tu avesti la grazia che a me non é data! E prego gli Dei delle nostre madri, gli Dei delle zone contaminate, dimenticate, assolte e florificate, di concedermi tale somma grazia, di legare a me quell’uomo come compagno e amante per mille notti e mille giorni, dacché la mia vita senza di lui é decurtata.-.
-Mia signora! Certamente ne giungeranno altri! Cos’ha quest’Esule che altri non posseggono? È forse la sola vista del mio fiore da lui invaso ad accendere il fuoco nelle vene?-, chiese Althea.
-Vorrei fosse così! Lo vorrei poiché fosse così potrei scegliere il più aitante e dotato dei nostri servi e goderne sino a che l’ardente fiamma non si fosse estinta nel fuoco del godimento! Vorrei fosse così, o giovane guerriera! Ma com’é vero che regno e la terra su cui poggio i piedi, benedetta dal sangue delle madri, io ti dico che non é solo questo! Il desiderio non é per il suo viril membro, non solo!-, lamentò la Regina. Althea fece un passo in avanti, inchinandosi in attesa che parlasse.
-Fu quel fuoco, l’indomita fiamma che colsi negli occhi suoi mentre narrava delle sventure del suo popolo e della sua patria. Arde in lui qualcosa che non é posseduto da alcuno dei nostri servi! Io stessa non vedevo quel fuoco da molto! L’ho visto in alcune di noi, già da tempo morte dopo grandi imprese! E ora lo vedo nei suoi occhi e mi dispero, poiché quell’ardore é la causa della morte degli eroi, portati nel Cielo dei Guerrieri da carri d’avorio guidati dai campioni che furono. È a uomini così che il fato impone le prove più dure, ma da anche la volontà, la forza e la tenacia più possenti! Sono come déi tra gli uomini e io bramo il seme di un dio! Ne bramo la parola, finanché il respiro sulla pelle! Ah, Althea, cugina mia! Fosse solo il suo sesso! Ma no, io ne bramo l’essenza, la di lui fiamma! Immagina quale discendenza sarebbe, la nostra! Una figlia dall’enorme valor guerriero o uno servo atto a inseminare altre guerriere e ad innalzare notevolmente la grandezza del nostro magnifico regno! Come posso io far senza dopo che un simile fuoco ho potuto contemplare?-, domandò la Regina. Althea tacque. Tacque poiché in cuor suo sapeva che mai, mai avrebbe potuto spiegare, avrebbe potuto dire alcunché per dissuadere la regnante dal suo proposito. Tant’era che anch’essa, assaggiato il frutto, ne bramava ancora pur sapendo che non era ormai più lei a doverne godere. Si contentò di sapere che, se la Dea delle Madri avesse voluto, avrebbe portato in grembo una vita ospitante quello stesso fuoco.
-Il tuo silenzio é eloquente, cugina.-, sussurrò la Regina.
-Mia signora… certamente capisco. E comprendo che, dopo tanti anni di regno, non avete ancora generato una discendente degna del trono.-, disse Althea, -Codesto Esule potrebbe invero rivelarsi degno del compito, permettendole di partorire una progenie grandiosa come mai ve ne furono!-.
-Ordunque chiama la Somma Veggente. A lei mi devo appellare.-, disse la Regina.

-O Somma Veggente, tu che puoi vedere la marea del fato e noi, misere gocce in questo ampio mare, ti prego, dimmi dello Straniero che giunse dalla lontana Licanes!-, esclamò la Regina, capo chino e inginocchiata davanti alla Veggente. Costei, un’anziana cieca e dagli occhi bendati, il corpo tatutato, stava di fronte al fuoco di Vestea. Ella annuì. Prese dalla cintura in vita un sacchetto, versando le erbe sacre nel fuoco. Ne inalò i vapori, con calma.  Tacque.
Poi iniziò a muoversi, lentamente, dondolando sul posto. Infine, parlò sussurrando.
-Sii tu lodata, poiché l’Esule genererà la discendenza! Sii tu lieta poiché ti darà ciò che chiedi.-, sussurrò la Veggente. La Regina sorrise. Fece per ringraziare ma la Veggente alzò una mano.
-Non vedo questo Esule come servo. Il suo fato mi é oscuro. Altri poteri lo germiscono, impedendomene la vista.-, disse, -Sii cauta, poiché il fuoco brucia senza distinzioni.-, proferì prima di cadere nella quiescenza che seguiva le visioni.
La Regina annuì, comprendeva. Ed era grata poché la Veggente le aveva detto ciò che sperava, pur con quell’ultimo avviso che l’amazzone non comprese totalmente.
Il fuoco bruciava, ma come poteva bruciare se ella lo ospitava in sé, legandolo a sé con le catene dell’amore e del Rito di Euguaglianza? Aveva deciso di celebrare il Rito. Era stato fatto solo altre due volte ed era scritto che la terza avrebbe portato grandi stravolgimenti al Regno.
Ma non si era mai capito di che tipo. Eppure la Regina ora vedeva chiaro il futuro.
Avrebbe legato a sé Janus. Lo avrebbe fatto suo e sarebbe stata sua, prendendo in sé il suo seme che avrebbe generato un virguleto forte come mai se ne videro dall’alba del Regno di Kelraes.

Janus dormiva. Dopo l’intermezzo erotico con Althea non vi era più stata alcuna donna.
Non che non ve ne fossero e anche diversi dei suoi uomini avevano potuto godere delle grazie delle amazzoni, campionesse tanto nella guerra quanto nelle arti del piacere.
Così, l’Esule e figlio del Conestabile di Licanes passava il giorno tenendosi allenato, ricordando e la notte tentando di dormire, di scongiurare gli incubi della sua patria martirizzata, devastata.
Dormire risultava difficile, così si alzò, sedendo e iniziando a respirare a occhi chiusi.
Scese dentro sé stesso, come gli avevano insegnato i Saggi Zehn-Shuria, maestri dello spirito.
Scese oltre i ricordi, oltre la perdita. E improvvisamente lo vide.
-Figlio.-, disse una voce. Suo padre. Il Conestabile, gli apparve di fronte. 
-Padre.-, sussurrò lui. Oh, quanto avrebbe voluto sentire la sua carezza sul volto, abbracciarlo come un tempo faceva senza dar peso allo scorrere del tempo inclemente o all’imminente devastazione che sarebbe giunta.
-Hai portato la gente di Licanes al sicuro. Sei stato abile e gli Dei, che tu creda a loro o meno, hanno ricompensato la tua volontà. Ma ora, attardarti su questi lidi non é la sorte che essi hanno inteso per la tua gente.-, disse il padre, un vecchio avvolto nelle vesti insanguinate.
-Padre, qual’é invero il fato che attende la mia gente? V’é ancora speranza per il nostro popolo?-, chiese Janus. Il padre annuì, benevolo.
-Ti chiami come il dio che tutto inizia e termina, Janus. Mio é l’avviso: prepara la tua gente a ripartire, poiché non sia ardua la separazione dei tuoi da questo Regno che, sebbene retto da donne d’onore, non é inteso come la meta finale.-, disse.
-E allora qual’é, padre?-, chiese l’Esule, -Quale la fine di questo nostro errare?-.
-Essa porta un nome antico, ed é rovina ormai. Ma può divenire di nuovo! In questo vasto mondo sommerse dalle acque giaccion molte città. Eppure, tu giungerai ad essa e vedendone i resti comprenderai la destinazione che fu scritta!-, esclamò il venerabile padre.
-Tale é il fardello che porto, invero!-, lamentò Janus.
-Il fardello che porti ora ti può rendere un eroe, ridare vita alla nostra gente, ricostruire la gloria passata mille volte più fulgida. Può essere la culla della nuova patria che tutti i tuoi compagni abbisognano. Non sacrificare questo ideale poiché senza di esso rimarrai perso come sabbia nel vorticare delle acque, smarrito come un marinaio nell’Oceano Esterno!-, ammonì lo spirito.
Quando Janus aprì gli occhi era ormai quasi l’alba.
Pur sapendo di avere l’appuntamento con la Regina, egli s’impresse bene alla mente le parole del padre. Lentamente, si alzò e si vestì.

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