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Eneide Postmoderno-Del ricordo di Janus

By 3 Aprile 2020No Comments

Il viaggio proseguì per giorni quieti. Non fu una sorpresa notare che alcune delle donne del gruppo fossero rimaste incinte, ma fu motivo di preoccupazione per Janus e gli altri il pensiero che le fragili vite appena nate sarebbero state esposte ai pericoli del vagabondare tra le isole che componevano quello che forse un tempo era stato un continente. Tuttavia, al parto della più avanzata delle partorienti mancavano ancora almeno sei mesi, e Janus tentò di conservare l’ottimismo.
-Quali segni dagli Déi, o sacerdote?-, chiese ad Asteius. Il sacerdote gli rivolse uno sguardo.
-Non mi sei mai parso uomo di fede, Janus.-, disse. Lui sorrise appena, il viso che esprimeva preoccupazione e speranza e un pizzico di sconforto.
-Quant’é debole l’uomo che accetta l’esistenza degli déi solo alla comparsa delle nubi all’orizzonte.-, commentò. Asteius si limitò a sospirare e gettò le offerte nel fuoco sacro. Quell’isola era deserta e spoglia come nessun’altra. Era patetica ma si erano ugualmente fermati, cercandovi provviste che non v’erano.
-Vedo invero altre prove. Gli déi sono scontenti del tuo agire, Janus. Ma non comprendo.-, il sacerdote si accigliò, -Hai agito secondo le leggi dell’onore, l’esempio che il nostro popolo dovrebbe sempre ambire a seguire.-, disse. Notò una lacrima negli occhi di Janus.
-No. Non sempre, o venerabile anziano.-, lo contraddisse questi.
-E cosa facesti di tanto terribile?-, domandò Asteius. Il fuoco sacro bruciava piano, divorando le offerte voracemente. Il vento soffiava lieve. La pattuglia di Sullastius tornò portando pochi frutti colti nello scarno bosco dell’isola.
-Non troveremo altro qui. Ne abbiamo raccolti quanti più potevamo ma non v’é motivo di continuare a perder tempo. Lasciamo questa sventurata roccia.-, disse questi. Janus annuì.
S’imbarcarono. Sulla spiaggia rimasero solo il sacerdote e l’Esule.
-Dunque, o grande guerriero? Cosa fu il tuo agire così sgradito agli déi?-, chiese il vecchio.
-Ordunque, te lo narrerò o venerabile anziano. Ma ti prego di non interrompere poiché esso é un peso terribile, e c’é buona ragione nel disprezzo per me da parte degli dei.-, disse.
-Ma perché?-, chiese Asteius, ormai turbato, -Come può esservene?-.
-Perché io fui… in larga misura responsabile della catastrofe che ci vide lasciare la nostra amata patria.-, e, con quelle parole e sotto un vento forte e crescente che tuttavia non scosse gli uomini, l’Esule prese a raccontare.

-Fu durante la battaglia. Il venticinquesimo giorno del sesto mese del nono anno.-, disse Janus.
Ricordava bene gli eserciti schierati secondo le convenzioni di Licanes, i combattimenti nella prima linea e quanto magnifiche le manovre dei Licanei che seppure in inferiorità notevole riuscirono ad abbattere molti dei Cimanei per ognuno dei loro caduti.
-Ricordo.-, disse Asteius, -Riuscimmo a respingerli ma non prima che essi giungessero a corpo a corpo, arrecandoci gravi lutti tra cui quello dell’Esarca Beleide, somma guerriera e comandante di uno dei nostri gruppi di guerrieri. Anche Themalios cadde là, ucciso da una torma di nemici insieme ai suoi Cacciatori Scarlatti.-, la voce del vecchio era intrisa di dolore e tristezza.
-Esatto. Quel giorno, io ero in prima linea a dispetto del divieto del padre mio di recarmici. Volevo provare ai miei uomini il mio valore, misurarmi contro il nemico.-, disse Janus.
-Un comportamento valoroso, sebbene la tua disobbedienza sia stata dettata dall’impulso della gioventù. Eppure, ricordo che ti portasti egregiamente, o mi sbaglio?-, chiese Asteius.
-Sì. Uccisi diversi Cimanei, persino in corpo a corpo. Finché non giunse lei.-, disse.
-Lei?-, chiese Asteius. Janus annuì. Con gli occhi della mente la rivedeva.
Scura, anzi, quasi nera come la china utilizzata dai tradizionalisti era la sua pelle arrossata dal sangue dei Licanei uccisi, la corazza sottile e il viso attraente nascosto dal’elmo che lasciava liberi i capelli selvaggi, le lame arrossate della linfa vitale dei caduti di Licanes.
-Mi caricò. Fu una tempesta di colpi come mai ne vidi. Fui costretto in difesa da una forza sovrumana e solo la mia corazza mi evitò due colpi altrimenti letali.-, raccontò l’Esule.
-Ma vincesti… Insomma, sei vivo!-, esclamò Asteius, -Forse non la uccidesti… Ma fu quella la tua colpa?-, chiese confuso. Janus sorrise tristemente, il viso sconvolto dal dolore del ricordare.
-Mulinava le doppie lame che brandiva con tale agilità che avrebbe potuto sventrarmi e io ancora avrei applaudito la sua prodezza marziale, o sacerdote. Quando tentavo di attaccare, lei si limitava a parare. Mi scherniva, mi odiava per la mia debolezza. Giocava con me. E quanto ci provavo più duramente, tanto lei più apertamente mi dileggiava, il ghigno sul suo viso palese disprezzo. Ma fu allora, quando un mio colpo arrivò a segno, trafiggendo la sua spalla sinistra attraverso l’armatura che ci guardammo negli occhi. Vidi persino del rispetto. E un sorriso. E fu un sorriso stupendo, o sommo sapiente, come mai ne vidi e mai temo ne vedrò finché gli déi non prenderanno la mia vita.-. Janus si fermò, osservando Asteius che ancora ascoltava.
-Al tramonto, la battaglia terminò e lei, che intanto aveva abbattuto due Licanei al mio fianco senza che io potessi fermarla, alzò la spada in saluto. A me, o Asteius! Mi salutò come si saluta uno sfidante, un campione avversario, secondo le antiche usanze. Mi promise tacitamente che la resa dei conti sarebbe stata rinviata.-, disse lui ricordando i Cimanei in fuga, ordinata ritirata, e quella superba guerriera che ancora lo fissava, finché non fu troppa la distanza a interrompere quel muto dialogo tra due nemici.
-Tornammo in città con i nostri morti che invero furono molti. Mio padre non approvò la mia decisione ma ne riconobbe il valore. Fui decorato con i Lauri di Knomes, un onoreficenza minore.-, raccontò Janus, -Poi vi furono i riti funebri per gli eroici caduti. I Cimanei inviarono qualcuno dei loro a recuperare i loro morti.-.
-Sai cosa facevano dei morti?-, chiese Asteius, -Spesso me lo domandai.-.
-Li bruciano. Come noi offrono al Traghettatore monete di rame, offerte di cibo e le armi del morto vengon date al parente più prossimo. Da quel lato non sono diversi da noi che li generammo.-, rispose Janus. Il sacerdote annuì. -Continua.-, lo esortò.

-Il giorno successivo fui di nuovo in prima linea e la vidi. Sparai ma con l’agilità prodigiosa di cui loro son capaci, schivò il colpo che abbatté un suo compagno dietro. Mi cercò con gli occhi di nuovo, come a voler onorare la tacita promessa di prima. Non mi nascosi. Sparai di nuovo e lei piroettò con la grazia di una danzatrice, il mio colpo perso tra le anonime schiere nemiche.-, raccontò l’Esule, -Ancora, le sue lame fecero scempio di tre dei nostri prodi soldati. Notai che essa doveva essere un capo, poiché gli altri Cimanei la seguivano con foga, persino morendo per proteggerla.-. Asteius si strofinò il mento pensosamente.
-Questo mi é nuovo: non credevo che essi contemplassero la lealtà o l’organizzazione gerarchica. Li ho sempre reputati un’orda di decerebrati privi d’onore o intelletto.-, disse.
-Quanto a suo tempo anch’io li vidi così, ma tali non erano, o sommo indovino!-, lamentò Janus.
-Essi erano intelligenti, onorevoli a loro modo ma soprattuto scaltri e capaci. L’odio che tributavamo loro era dovuto alla ferocia, ma ci accecò impedendoci di vederne la furbizia, a me per primo.-. L’Esule sospirò, cacciando il desiderio di fermarsi, di non ricordare oltre.
-E cosa accadde quel giorno?-, chiese Asteius.
-Ancora c’incontrammo in duello. Lei mi squarciò il fiancale, la punta della sua lame intaccò la mia coscia. Io le trapassai un braccio. Perse una delle sue lame. Mi tirò una testata, pratica barbara ma efficace. Mi ritrassi. Fummo separati dai nostri combattenti. Non la rividi più per il resto della pugna, quel giorno. Perdemmo pochi uomini ma avemmo anche un sacco di feriti. Quando, alla riunione dei Conestabili e dei Milites parlai del mio sospetto che i Cimanei fossero ben più scaltri del previsto, fui ignorato e deriso, sebbene lodato per l’essere sopravvissuto contro quella guerriera. Fui congedato e fu ben rapida la decisione di continuare la difesa ad oltranza, anzi, finanche di tentare un attacco.-, Asteius fissò Janus con stupore.
-Ma… attaccare i Cimanei era follia! Essi erano combattenti superbi! E sebbene non usassero le armi che usavamo noi…-, fu interrotto dalla risata triste dell’Esule.
-E qui sbagli, o Asteius. Essi non le mostrarono ma quelle armi c’erano eccome!-, esclamò.
-Come può essere? Come poterono non farne uso?-, chiese il sacerdote.
-O nobile indovino! Non é forse detto che nel mondo e sotto il cielo vi sono artefizi e nascondimenti? Non sono forse le somme verità celate nel profondo?-, chiese Janus, -Al medesimo modo fummo ingannati. Per anni i Cimenei avevano stretto l’assedio senza mostrare che lame e archi e armi barbariche la cui efficacia si confaceva all’immagine che non avevamo di loro sin da quando li esiliammo, sin da quando il conflitto iniziò. Per anni avevano temporeggiato!-, esclamò, -Fu mirabile la loro pazienza, il loro sacrificio, la loro decisione di negarsi l’efficacia di quelle nostre armi solo per utilizzarle dopo, nel momento migliore. Ancora non so chi tra loro decise tale strategia. Senz’altro fu un guerriero astuto, forse quella giovane dalla mirabile abilità… Penso che mai avrò risposta.-.
-E così attaccammo, senza considerare la possibilità di una trappola!-, strepitò Asteius.
-No, o indovino, noi attaccammo consideranola grandemente! Veicoli a repulsione posarono i nostri uomini in zone lontane e ci avvicinammo lentamente, preparando l’attacco. Gruppi di tiratori dalla lunga distanza si schierarono sui colli che circondavano la spianata ove i nostri nemici erano accampati. Ma fu una trappola e delle migliori! Non posso che riconoscere la loro bravura: i loro guerrieri, sapendo del nostro arrivo grazie a osservatori mimetizzati nell’erba alta circostante furono in grado di prevedere il nostro spostamento. Due gruppi di Cimanei si abbatterono sulle nostre linee e noi sparammo, abbattendone diversi. Gli altri tuttavia, quelli armati come noi fecero la loro comparsa all’improvviso sparando sul fianco dei nostri uomini proprio mentre gli altri bruti assaltavano le nostre formazioni. Fu una strage: degli uomini che partirono, ben seicentoventi, solo duecentotrentasei fecero ritorno.-, disse Janus.
-Io, che combattei quel giorno tra le squadre da lunga distanza, ricordo l’orrore di quei barbari. Ricordo Sifrastus venire ucciso da uno di loro. Il mio carissimo amico morì in modo orribile. Ordinammo la ritirata con i veicoli che ci raccolsero in rapidi passaggi, lasciando sul capo i morti-, lacrime ora scorrevano sul viso dell’Esule, -E fu per ciò che io chiesi di poter negoziare il recupero dei corpi dei nostri uomini. Mio padre obiettò ma il consiglio ordinò che fossi io, comandante in seconda dell’attacco, a parlamentare.-.
-E tu andasti al loro campo da solo, con un vessillo di tregua, secondo le usanze.-, ricordò Asteius.
-Già. Mi osservavano con odio e rispetto in pari misura. Fu la stessa giovane che avevo tante volte visto sul campo in veste di nemica a condurmi ai corpi dei miei compagni caduti. Lo fece senza parlare. Finché non parlai io. La ringraziai. Lei, con mia sorpresa, parlò dicendo che era uso rispettare le tregue, finanche quelle con nemici come noi. Era chiaro il disprezzo ma altrettanto l’onore di quel popolo barbaro che creammo!-, continuò l’Esule.
-Dunque, tu andasti a recuperare i morti e tornasti, é giusto?-, chiese il sacerdote.
-Fu così, ma non senza parlare con quella guerriera. Era una donna… gli déi mi perdonino! Come nessuna mai, o venerabile saggio! Era bella, sensuale e feroce. Ed era persino intelligente!-, ora nella voce dell’uomo v’era rimpianto e dolore ma anche, Asteius lo distinse nondimeno, un pizzico di nostalgia. Non poté esimersi dal commentare.
-Ma tua moglie?-, chiese, scioccato dalle rivelazioni.
-Oh, lei non seppe nulla. È giusto dire che non fu mai lei a deludermi o a farmi mancare nulla ma quella donna… Quella femmina!!! Come posso spiegarti, o Asteius la forza del suo richiamo?-, chiese Janus, -Parlammo. Lei mi promise che ci saremmo rivisti sul campo e, secondo le convenzioni guerriere, io le promisi che non avrei fuggito il confronto. Poi lei mi mostrò il suo braccio. Le sue ferite si erano già rigenerate, la pelle quasi intatta. Mi disse che l’elisir rendeva feroci ma aumentava anche la rigenerazione della carne.-, lo sguardo dell’Esule trasmetteva puro sconforto, -Quella rivelazione fu terribile. Non ci credetti, ovviamente, come potevo?! Lei m’invitò a colpirle la mano destra con un coltello e io lo feci. M’impegnai, trapassandola da parte a parte. Non si lamentò, strinse anzi i denti. Bendò la ferita e si limitò a bere dell’elisir dalla fiasca che aveva alla cintola. L’indomani, mi promise, quella ferita non le avrebbe impedito di brandire le sue lame con la consueta abilità.-. Il silenzio avvolse i due conversanti mentre gli altri preparavano la nave e il rito propiziatorio giungeva alla fine.
-E fu così? L’indomani quella guerriera fu nuovamente sul campo e mortifera come suo solito?-, chiese Asteius. Janus annuì, gli occhi ancora pregni di stupore.
-Alla guida dei suoi, un unità di uomini e donne coperti di simboli disegnati con la calce, si lanciò nella mischia. Mi vide e alzò le lame. Entrambe. Non c’era esitazione, dolore o sofferenza sul suo viso. Quando arrivò abbastanza vicina vidi la mano. Nonostante il paramano, notai che non la stringeva spasmodicamente. Mi attaccò di nuovo. Riuscii a ferirla, a respingerla. E lei, in un atto di assoluto valore, mi sfidò con gli occhi a ucciderla. Non giaceva dinnanzi a me, ma l’avevo ferita al fianco. L’intero campo di battaglia tacque, le lame cessarono di agitarsi. Lei sorrise.
“Un valido guerriero tra voi bambocci, infine.”, questo disse. Non vi fu uomo o donna di Licanes che non avesse desiderato la sua morte. Ma quell’istante di sdegno fu tutto quello di cui necessitò: si scagliò su di me. Mi colpì più volte, gettandomi a terra. Secondo i canoni d’onore nessuno interruppe la sfida ma vidi molti dei miei pronti a gettarsi su di lei. Tuttavia, ancora mi stupì.
Mi aveva alla sua mercè, ero ferito e sanguinante e lei, nonostante la ferita al fianco infertale e altri tagli minori, ancora fiera ed eretta. Eppure non mi finì.-, Asteius a questa frase spalancò la bocca.
-Ma come? Tutti sanno che i Cimanei furono grandi massacratori, sprezzanti della pietà. Quando fuggemmo io stesso vidi simile barbarie nei loro atti!-, esclamò.
-Costei doveva dunque essere diversa poiché levò le lame nel Gesto della Tregua. Guardatasi attorno, vide probabilmente che i suoi compagni non avevano pagato un prezzo indifferente per tale gloria. Avanzò sino a trovarsi di fronte a Gannicus, il nostro comandante e negoziò la fine dello scontro. Basito, egli annuì, tanto più che era ormai il tramonto.-, rispose l’Esule.
-E dunque che accadde?-, chiese Asteius.
-Le mie ferite non erano gravi. Attesi sulle mura, osservando la guerriera e altri dei loro caricare i corpi su dei carretti trainati da bestie da soma. Lo fecero con rispetto. Lentamente.-, disse Janus.
-D’altronde, necessitavamo di una tregua, i nostri feriti erano sempre più e dai villaggi e dalle nostre colonie non sarebbero giunti rinforzi. Quindi mi recai di persona a negoziare con loro.-.
-La guerriera si tolse il paramano, mostrando la mano guarita. Mi complimentai per sifatto miracolo, senza ovviamente ricadere nell’eccessivo stupore. Lei rise.
“Davvero credi che io e la mia gente siamo dei selvaggi, da come parli!”, mi derise. Io ribattei che tale impressione era stata data da loro e lei rise di nuovo, forse più di prima.
“Un cacciatore inganna la preda con sopraffine strategie, spendendovi tempo e risorse. Perché mai l’arte della guerra dovrebbe differire dalla caccia?”, aveva chiesto. Io non seppi che dire. Lei mi chiese perché fossi giunto fuori dalla città e io risposi che desideravamo concedere loro una tregua di tre giorni. Chiedere meno non sarebbe servito ma chiedere di più sarebbe stato visto come un chiaro segno di debolezza, e avevo già compreso che quella femmina possedeva intelletto sufficiente a comprendere la verità insita in una simile richiesta.-, disse Janus.
-Quindi cosa facesti? Quale fu la sua risposta?-, chiese Asteius.
-Rispose che non era in suo potere decidere e che, nel rispetto delle gerarchie e dell’onore guerriero, avrebbe portato la richiesta ai suoi superiori. Mi disse che avrei avuto la risposta all’indomani, l’incontro fissato per mezzogiorno sulle rovine del Peteus, il tempio dei nostri avi che i Cimanei avevano rapidamente conquistato e dissacrato all’inizio dell’assedio.-, rispose l’Esule.
-E tu diffidasti, nevvero?-, chiese Asteius.
-Lo feci, o veggente, come avrei potuto fare altrimenti? Erano pur sempre nostri nemici e tutto ciò che avevo visto e udito confermava la loro pericolosità.-, disse Janus, -Ma la tregua era necessaria: i nostri feriti erano moltissimi e il personale addetto alle cure sull’orlo del collasso. Inoltre sospetto che neppure i nostri nemici fossero messi molto meglio. Sono dell’idea che anch’essi fossero spossati, sebbene mai domi.-.
-Ordunque ti recasti all’incontro, giusto?-, chiese il sacerdote. Janus annuì.
-Lei era là. In piedi accanto all’altare, un coltello alla cinta ma nulla più come arma. Mi sorrise.
“Dunque sei venuto. Coraggioso. Ma ormai che tu sia impavido non é novità.”, disse. Io annuì, limitandomi a cercare di concentrarmi sulla risposta. Lei dovette intuirlo, poiché subito entrò in argomento senza giri di parole. “Il comando Cimaneo accetta la proposta. Tre giorni di tregua siano”. Solo questo disse. Io annuii e mi preparai a lasciare quel luogo funesto, abitato dagli  spettri dei nostri morti, affranti per tale profanazione.-, l’Esule sospirò di nuovo, -E fu lì che lei mi disse qualcosa. Una frase aimhé che tutto mutò.-.
-Ossia?-, chiese Asteius.

Janus ricordò quel momento, immergendovisi. Il tempio diroccato, il viso della guerriera privo d’elmo, gli occhi verdi nella pelle nera e il sorriso bianco irridente, i canini appena più lunghi.
E quelle parole, quella frase che tanto dubbio aveva portato.
-Ci combattete, come noi combattiamo voi da nove anni, ma siete certi di sapere perché?-, aveva chiesto la giovane. Janus era rimasto impietrito, bloccato, sospeso, paralizzato da quella domanda.
-Vi combattiamo perché siete il nemico. Siete sfuggiti al nostro controllo.-, disse, -Siete un flagello, figli degenerati che é nostra resposabilità fermare.-. La guerriera aveva scosso il bel capo e riso.
-Come hai visto, il nostro sangue é rosso come il vostro, come voi siamo capaci di pensiero e di emozioni e di quell’onore che tanto reputate solo vostro! Allora cos’é la differenza tra noi? Cosa ancora ci spinge a combattterci? Noi siamo Licanei tanto quanto voi! Io sono cittadina di Licanes, privilegio a cui rinunciai quando mi fu offerta la possibilità di arruolarmi in quest’esercito ma mai rinnegai le mie radici, così come i miei compatrioti!-, ora v’era emozione nella voce della giovane.
-Siete mutati! L’elisir vi ha resi schiavi della brama di sangue! Abbiamo saputo di stragi e massacri a opera vostra!-, aveva ribattuto lui. Lei si era avvicinata, alla luce, appariva ancora più bella.
-Noi!-, esclamava con sdegno, -Noi i mutati e i selvaggi, eh?-, chiese lei con piglio offeso.
-E voi?-, domandava, -Voi che mandavate noi a fare il vostro sporco lavoro, a uccidere i vostri nemici e combattere le vostre guerre decidendo di liberarvi di noi quando capiste che non vi servivamo più? Dov’é l’onore che tanto millantate? Dove la vostra civiltà?-.
Janus aveva dovuto far violenza a sé stesso per non infrangere la tregua e non balzarle al collo.
Non gli importava morire, non gli importava uccidere. Voleva solo che quella voce tacesse.
-Non ci conoscete, dunque non dovreste giudicarci!-, aveva concluso la giovane.
E Janus aveva capito che non aveva tutti i torti. Sospirò, comprendendo che negare non sarebbe servito. D’altronde, forse aprendosi avrebbe potuto conoscere il punto debole del loro avversario.

-Lo pensasti davvero?-, chiese Asteius. l’Esule annuì, lo sguardo duro.
-Eravamo in difficoltà e sapevamo pochissimo dei nostri nemici. Così mi dissi che… se avessi scoperto qualcosa, forse ne sarebbe valsa la pena.-, disse.
-Continua.-, lo esortò il sacerdote.

-Nelle tue parole non c’é menzogna. Allora rimediamo! Parlami della tua gente!-, esclamò Janus.
Colse un bagliore di interesse e persino di felicità negli occhi della guerriera.
-Presso la mia gente e credo anche la tua, prima ci si presenta.-, disse.
-Il mio nome é Janus.-, disse lui. Lei sorrise.
-Come Janus Braccioforte, l’eroe che conquisto gli Knami.-, ricordò. Lui annuì, lieto che la femmina sapesse che tale era il retaggio del suo nome.
-Il mio nome é Layla.-, disse. Un bellissimo nome, che Janus poteva dire musicale.
E fu lì, che la giovane lo stupì di nuovo. Avanzò, porgendogli la mano. Lui la afferrò al polso.
Secondo l’uso dei Licanei. Lei sorrise. Strinse il polso di lui in risposta.
-Così vi salutate voi?-, chiese Janus. Lei scosse il capo. Tirò l’uomo verso sé.
-Così.-, disse, -Perché un saluto può non vederne un secondo prima che il giorno termini.-.
-Ah.-, annuì Janus. Comprendeva.
-Dovrò tornare al campo. Ma sarà mio piacere rivederci domani. Stessa ora.-, disse.
Ancheggiò andandosene, lasciando Janus a respirare a pieni polmoni, cercando di calmare il battito del cuore matto che rimbombava nel petto.

-Lei ti attirava, vero?-, chiese Asteius. Janus annuì.
-E come potevi scordare tua moglie?-, chiese il sacerdote con voce dura.
-Mia moglie… il suo viso e il suo corpo mai si negarono a me ma io, facendo all’amore con lei quella sera vidi la guerriera. Sentendo l’odore di lei, sentivo quello di quella femmina…-, Janus si coprì il viso con le mani in un gesto di vergogna, -Quale uomo fatto di carne e sangue e bramoso di donna avrebbe mai potuto resistere a simile bellezza?-. Asteius sospirò.
-Lei era il nemico! Certamente sapevi ciò che stavi facendo, no?-, chiese.
-Certamente. Eppure lei fu scaltra, come tutti loro.-, rispose l’Esule.

Il successivo incontro, di cui solo il Consiglio fu informato e che sanzionò come operazione d’intelligence li vide salutarsi alla maniera dei Cimanei all’interno del tempio.
Sorprendentemente, fu Layla a iniziare a parlare.
-Presso la nostra gente il valore é tutto. In tempo di pace vi sono competizioni, agonismo, il desiderio di prevalere. In tempo di guerra la morte senza aver abbattuto nemico alcuno é disonorevole ma il massimo disonore é il non presentarsi a battaglia.-, spiegava, -Le armi sono il lascito e la ragione di vita di un guerriero Cimaneo. So che anche presso di voi l’usanza é simile.-.
Janus annuì. Lasciava che lei parlasse. Con calma.
-Abbiamo ancora déi simili ai vostri e li preghiamo alla vostra maniera. L’educazione dei figli é ben più dura tuttavia. Il giovane viene lasciato fuori dall’accampamento per un mese. Deve tornare con la pelle di un predatore. È una prova.-, spiegò Layla.
-Che modo barbaro!-, esclamò Janus, incapace di trattenersi. Lei lo fissò.
-Non possiamo concederci gli usi raffinati e comodi di voi. Licanes non é la steppa. Non abbiamo coltivazioni se non quelle che possiamo protare con noi. Siamo nomadi. Voi ve ne state comodi qui…-, disse, il viso irato. Janus sorrise.
-Comodi? Nient’affatto!-, esclamò, -Invero l’addestramento militare é severissimo e l’excursus per divenire Conestabile é un incubo amministrativo! Siamo tutto meno che comodi, o Layla dei Cimanei!-. Lei si avvicinò, il fuoco nei suoi occhi e un sorriso canzonatorio sul bel viso nero.
-Tanto che avete stanze in muratura, acqua corrente e calore nelle fredde notti mentre noi patiamo il gelo, la sete, l’arsura e la fame!-, esclamò.
-Eppure sembra siate in grado di sopravvivere più che dignitosamente.-, osservò Janus.
-Non grazie a voi! Il vostro popolo ci diede solo l’elisir e tanto bastò a renderci suoi nemici, scarti di un progetto eugenetico. Io ricordo il tempo in cui la mia pelle era bianca come la tua ma fu l’elisir a cambiare la mia pigmentazione.-, disse Layla.
-Come può essere questo?-, chiese uno scioccato Janus. Non sapeva… non poteva crederci…
-L’Elisir modifica le caratteristiche genetiche. Il più delle volte la variazione é insignificante ma… nel mio caso…-, mostrò un braccio alla luce del sole pomeridiano. Era nero. Come pece.
-Non sarei più riconoscibile dai miei parenti. Non mi saprebbero dire figlia loro. Mi hanno rinnegata senza neppure pensarci. Per ordine dello Stato.-, sussurrò la guerriera.
-Altri sono mutati?-, chiese l’uomo. Lei annuì.
-Tutti chi più, chi meno, divenimmo più forti e agili, più aggressivi. Ma vi furono… conseguenze.-.
-Ad esempio, alcuni svilupparono occhi felini. Altri regredirono in altri modi, l’intelligenza sostituita dall’istinto. Ma tutti divenimmo le macchine di morte che Licanes volle.-.
-E… hai detto che l’elisir ti avrebbe curata… ma prenderlo di nuovo non ti ha mutata?-, chiese Janus. Lei sorrise, derisoria.
-O Licaneo e mio ignaro amico! Non può! L’elisir muta l’ospite solo una prima volta. Le altre sono innocue. La sola cosa é il sapore che pare di vino!-, esclamò ridendo.
-I nostri scenziati, i sapienti dovevano saperlo!-, ribatté Janus. Lei sorrise tristemente.
-Perché secondo te si affrettarono tanto a celare la verità, a distruggere le prove ed esiliarci?-, chiese, -Temevano la verità. Ecco perché i tuoi regnanti sono così decisi a proseguire il conflitto.-.
-Mi stai dicendo che se domani vi offrissimo la pace accettereste?-, chiese Janus.
-Non sarebbe possibile. Siamo intrappolati dagli eventi. Il fato scritto col sangue dei morti, vuole che questa guerra finisca solo in due modi.-, disse Layla.
-O tutti noi, o tutti voi.-, concluse l’uomo. La giovane annuì. Rimasero in silenzio.
-Mi hai chiamato… amico.-, disse Janus. Lei annuì.
-Sei forse il combattente più valoroso che io abbia affrontato in campo e l’unico che sia riuscito davvero a impressionarmi. Finanche davanti alla morte non mostrasti che sprezzo.-, disse.
-Già.-, ammise lui, senza fierezza. Le rivelazioni lo avevano colpito come massi.
-Lo faresti ancora? Se combattessimo tu saresti ancora in grado di odiarmi?-, chiese.
-Odiarti… odierei il popolo tuo, forse. Per i lutti portati e il sangue versato… ma tu, Layla mi sarebbe difficile levare un arma contro di te.-, ammise, -Ciò che hai detto…-.
-I tuoi superiori negheranno tutto.-, sussurrò lei, -Non conoscono altra via.-.
-Ma se le cose cambiassero…-, Janus si permise di proferire quelle parole. Lei scosse il capo.
-Non cambieranno. Non in tempo. Questa guerra ora é la sola realtà possibile. Accetta il fatto, o campione tra i Licanei.-, disse. Si sedette sull’altare, sotto il raggio di sole che giungeva su di esso.
-Parlami di Licanes. Cos’é cambiato in questi anni che fummo lontani?-, chiese.
Lui lo fece. Descrisse le nuove opere, le personalità morte e sorte dal popolo, i riti rivisitati, le musiche e le arti. Lei annuì, approvando.
-Noi non abbiamo arti se non il canto. Esso é il nostro modo di onorare morti e vivi, déi e uomini.-.
 -Ora dovresti andare. Ci attardiamo troppo e qualcuno dei tuoi o dei miei potrebbe dubitare, pensar male. Dirai che una tregua maggiore é necessaria. Altri due giorni. Un nostro grande capo sta morendo ed é consuetudine tra noi attenderne la dipartita e onorarlo. Veleggerà il suo vascello funebre tra le onde del mare nostro. Sarebbe un onore per noi poterlo celebrare così.-, disse Layla.
Si alzò con un agile balzo, salutò Janus alla maniera dei Cimanei e uscì.

-E tu portasti la proposta al Consiglio.-, disse Asteius. Janus annuì.
-Non parlai dell’Elisir e delle rivelazioni anche perché non sapevo quanto credervi. Io stavo, come lei, valutando ma con circospezione, conscio che ogni parola poteva portarmi al tradire la mia patria.-, disse, -Il mio esitare nel combatterla fu arte ma non interamente falso, o indovino!.-.
-E cos’accadde dopo?-, chiese il vegliardo.
-Ordunque, il Consiglio considerò la situazione. Il mio rapporto sconvolse grandemente i maggiorenti della città e vi fu chi osò gridare al tradimento, all’inganno, chi propendeva per un attacco a sorpresa, infrangendo la tregua. Io mi opposi. “Una simile condotta”, dissi, “Sarà fonte d’ignominia e ingiustizia per diecimila anni a venire!”. Fortunatamente per le loro anime immortali, mi ascoltarono.-, raccontò il giovane.
-E tu tornasti da Layla.-, disse l’indovino.
-Sì. Poiché così mi fu ordinato. Mi fu detto di non lesinare mezzi nello scoprire quanto più possibile. Mio padre mi ordinò di non farne parola con alcuno ma di non perdere occasione per scoprire punti deboli nel nostro avversario. Ovviamente, dovevo farlo sapendo che anche Layla avrebbe ricevuto ordini simili.-, spiegò Janus.

Il secondo giorno si rividero allo scoccare del mezzodì.
-Ho portato del cibo. Non temere: non é avvelenato.-, aveva detto il Licaneo con un sorriso.
-Cortese, davvero. Anche io ho qualcosa. Suppongo che la dieta di Licanes non sia mutata, vero?-, chiese Layla, sedendo sull’altare con disinvolutra. Janus annuì.
-Noi invece abbiamo dovuto adattarci e mangiar carne.-, disse lei. Estrasse dei pezzi di qualcosa scuro da un sacchetto che portava alla cinta.
-Cos’é?-, chiese Janus.
-Carne affumicata. Non é male e da molte energie. Vuoi?-, chiese la guerriera mentre si portava alla bocca uno di quei bocconi che all’uomo parvero ripugnanti. Masticò e inghiottì.
Janus prese la carne. La annusò, dubitabondo. Poi la mangiò. Aveva un sapore orribile.
Ma si trattenne dallo sputare. Il suo disgusto però dovette apparire palese.
-Come comprenderai noi non abbiamo il lusso di poter mangiare composti aromatizzati o vegetali speziati e pane fragrante come ciò che hai con te.-, disse lei.
-Vero.-, riconobbe lui, -La vostra é una vita dura.-. Layla annuì.
-Vi sono apotecarii tra le vostre genti?-, chiese. La giovane sospirò.
-La medicina é intuitiva e crudele. Il dolore é la costante, sia che si viva che qualora si muoia. Abbiamo abbastanza conoscenza ma non gli strumenti di cui disponete voi…-.
Prese in mano una delle focacce. La addentò, gli occhi semichiusi nel godimento di quel cibo.
Doveva esserle mancato molto.
-Le mangiai da bambina…-, sussurrò a bocca piena prima di inghiottirla.
-Sono deliziose.-, ammise Janus. Lei sorrise. Lui anche. Era bella.
-E… le bevande? L’idromele di Lathia si può ancora trovare?-, chiese. Janus sospirò.
-La guerra ci ha costretti a fermarne la produzione ma dovrei averne una bottiglia a casa…-, disse.
-Quante premure per una barbara selvaggia mangiatrice di carne…-, ironizzò Layla.
-Galanteria. Tu in questo momento sei una donna tanto quanto ogni Licanea.-, corresse lui.
-E tu galante, ben più di troppi Cimanei, o Janus.-, sorrise la giovane.
-Il che mi fa capire che i riti di corteggiamento e il matrimonio…-, iniziò l’uomo.
-Non sono che un ricordo. Gli uomini e le donne sono come animali, da questo lato. L’esilio ci ha dato una certa libertà ma senza le finezze del corteggiare e del matrimonio…-, sospirò lei.
-Il matrimonio non esiste presso di voi?-, domandò Janus.
-Esiste un rito: la donna e l’uomo nudi vengono ritualmente dipinti con dei pigmenti bianchi. Si avvolgono dunque in una stuoia e copulano sotto il sole. È tutto lì.-, spiegò lei.
-Ed é inviolabile e sacro come il nostro?-, chiese lui, basito da cotanta semplice assenza di… cosa?
Burocrazia? Civiltà? Religione? Umanità?
-Sì. È esattamente così, sebbene, a seguito della morte di uno dei due partener, l’altro possa cercare un nuovo compagno.-, disse lei con semplicità. Addentò le verdure.
-Mh, hanno lesinato con le spezie. Ai miei tempi erano più piccanti…-, osservò.
-La guerra ci ha costretti a rinunciare a qualche lusso.-, ammise Janus.
-Un bene. Forse la vostra prossima generazione ne uscì più forte.-, replicò Layla.
-Pensi che la guerra durerà tanto a lungo?-, chiese l’uomo.
-Penso che non riguardi noi tale domanda: godiamoci questo momento, no?-, chiese lei.
-Già. Non hai torto. E… nessun compagno tra i tuoi commilitoni?-, chiese Janus.
-Indiscreto… No, comunque. Ti rivelerò un segreto: molti uomini della nostra gente divengono impotenti a causa dell’Elisir. Non so perché.-, disse. Janus annuì. Quello era interessante.
Significava che il ricambio generazionale dei Cimanei sarebbe stato ridotto e avrebbe ridotto la loro efficacia e le loro riserve di uomini abili al combattimento.
-E tu, Janus? Nessuna moglie ad aspettarti a casa?-, chiese Layla, gli occhi verdi che trapssavano quelli del giovane. Lui scosse il capo, mentendo con una disinvolutra e una naturalezza che lo stupirono. In fin dei conti, non aveva ragioni per non farlo: se giacere con quella giovane avrebbe potuto permettergli di ottenere altre informazioni…
-Ancora no.-, disse, -Ma dimmi… avevate le armi. Le avevate fin da principio… Le avete usate solo quando sapevate che avreste davvero potuto far danno, pur perdendo moltissimi uomini…-.
-Già. Abbiamo voluto giocare d’astuzia. In più gran parte di quelli che sono morti erano… poco importanti.-, disse Layla. Janus s’incupì.
-In che senso?-, chiese. Lei sorrise, furbescamente.
-Via, o Licaneo, non credi forse che io non sappia che il tuo governo spera di vedermi svenderti i segreti della mia gente?-, chiese senza traccia d’odio. Lui rimase basito, ma non più di tanto.
Se l’aspettava. Sospirò, alzandosi dall’altare su cui era seduto accanto a Layla.
-Così come i tuoi capi, forse sperano tu possa scucirmi informazioni?-, chiese.
-Esatto! Siamo entrambi spie, consci di esserlo e dei nostri ruoli. Ora la domanda é… abbiamo motivo di continuare a vederci?-, chiese Layla.
-No, se dessimo retta ai nostri governi.-, ammise Janus.
-Già. Ma non lo faremo.-, disse lei. Lui sollevò un sopracciglio con aria interrogativa.
-Perché so che tra noi vi é questa… sensazione…-, sussurrò lei, con voce suadente.
-Stai fantasticando, guerriera.-, disse lui. Lei sorrise, un sorriso da dannare un sacerdote.
-Io non credo. Ma vedremo. Abbiamo quattro giorni per rivederci. Sarò sempre qui, se vorrai.-.
Si allontanò.

-E a questo punto, avevi una scelta. Il tuo governo o il sentimento che stava sbocciado tra te e quella femmina.-, disse Asteius, la voce dura ma profondamente umana, più di quanto Janus rimembrasse. Lui annuì.
-E tuo padre? E il Consiglio?-, incalzò il sacerdote, -Dicesti loro la verità?-.
-Naturalmente. Loro annuirono e tuttavia mi diedero un’altra missione, promettendomi grandi, enormi ricompense.-, disse Janus. Ora il suo sguardo era triste.
-Mi ordinarono di assassinarla.-.
-È terribile… I nostri codici d’onore…-, sussurrò Asteius.
-Già. Quelli che a me furono tanto cari non lo furono a loro…-, disse Janus con amarezza.
-E tu… naturalmente disobbedisti.-, disse il vecchio.
-Non proprio ma bisogna dire che neppure lei era priva di pressioni…-, corresse il giovane.

Il giorno successivo qualcosa era cambiato. Lei non indossava la sua corazza. E neppure lui.
Appena si videro, lo sguardo di lei mostrò tristezza, un dispiacere infinito.
-Ti hanno ordinato di uccidermi, vero?-, chiese a bruciapelo. Lui annuì. Lei, con tutta calma estrasse de dietro la schiena un coltello buttandolo sul pavimento.
-Anche a me. Hanno detto che dovevo farlo. Che avevo fallito e che…-.
-…Che il bene di tutto il tuo popolo veniva prima della santità dell’onore.-, completò Janus.
-L’hanno detto anche a me.-, disse gettando a terra il coltello.
-Allora… che vuoi fare?-, chiese lei. Lui espirò. Perché anche solo saperla così vicina gli intorbidiva tanto il sangue? Pensò a sua moglie, al suo onore. E scoprì, capì che non gli importava davvero.
-Voglio restare qui. Con te.-, disse.
-Tradendo il tuo popolo?-, chiese lei con ironia.
-Come tu tradisci il tuo. Io respiro ancora.-, disse lui. Lei sorrise, accarezzandogli il viso e il collo.
-Potrei ucciderti con una mano, o impavido guerriero.-, notò. Janus sorrise.
-Allora fallo, visto che tutto sembra star andando in rovina.-, accarezzò il viso di lei scendendo sul collo a sua volta. Lei sorrise, gli occhi che mandavano fiamme.
-Potremmo sempre ribellarci. Fuggire insieme.-, sussurrò lei. Erano così vicini.
-Sappiamo che non esistrebbe fuga. Solo la consapevolezza di essere apolidi, reietti e braccati.-, rispose lui. Lei annuì.
-Ma una cosa la possiamo fare.-, sussurrò Janus. La baciò. Lei rispose, piano inizialmente poi con ferocia. Le mani si avvicendarono sui corpi. L’uomo sollevò la toga della nera bellezza, esponendone la nudità. Lei s’impadronì del suo sesso turgido.
Non fu un amplesso lento. Fu rapido e selvaggio, brutale quasi. La nera guerriera gli permise di onorarla oralmente il necessario da ricambiare a sua volta, poi si fece possedere sull’altare sconsacrato, gemendo forte, respirando a bocca aperta come se l’ossigeno mai davvero bastasse.
Quando Janus le godette dentro lei urlò il suo piacere con lui.
-Questo non era previsto, temo.-, disse con un sorriso baciandolo.
-Gli imprevisti migliorano le cose.-, ribatté lui.

Ovviamente si rividero, stavolta senza il beneplacito dei loro capi. Furono incontri clandestini, fugaci, poche parole, molto sesso. Il corpo di Layla, tonico e dalla pelle nera, i capezzoli e la vulva appena più scuri del normale, si sposava alla perfezione col bianco di quello di Janus.
Furono orgasmi rubati, piaceri goduti nel silenzio, con la consapevolezza che la loro storia non avrebbe avuto futuro alcuno. Furono cinque giorni di oblio, di pace. Vere oasi di serenità nel frenetico tran tran della tregua che già presagiva il riprendere del conflitto. E poi, accadde. I giorni finirono e fu ancora la guerra ma Janus trovò il modo di rivederla, grazie a un passaggio che dalla città bassa, giungeva nel tempio diroccato.
Layla non era sottomessa, i loro erano amplessi selvaggi, ben diversi da quelli a cui lui era abituato. Lei grondava miele ed era molto vocale nell’esprimere il suo piacere. Parlavano pochissimo, sempre prima o dopo il sesso ma mai durante, lei che gli diceva parole dolci e lui che ricambiava. Finché non fece l’errore. Fu all’ultimo giorno del nono anno di guerra.
Dovette rientrare in città in fretta per un importante cerimonia. Lasciò aperta la posterla che conduceva alla città da un tunnel segreto che sbucava in una stanza del tempio.
Una dimenticanza fatale, che condannò Licanes.
E in quella notte funesta, allo scoccare del decimo anno, suo padre gli ordinò la fuga, affidandogli la spada dei fondatori di Licanes, imponendogli il fardello che tuttora lo gravava.

-Fui io un traditore, o venerabile anziano, indegno di trarre i respiri sin qui da quella notte?-, domandò Janus davanti alle ceneri del fuoco, lo sguardo lontano.
-No.-, rispose il vecchio, -Fosti innamorato. È forse questo un peccato? È forse essa una colpa sì grave da giustificare le nostre vicessitudini?-, chiese.
-Non credo, ma so che il mio agire ha condotto la rovina su Licanes, rendendoci orfani della nostra patria.-, disse l’Esule. Il sacerdote espirò.
-Che ne fu di lei, di Layla?-, chiese.
-Non so. Non la vidi durante la fuga, ma seppi che aveva ucciso Jered, capo dei Tributarii. Penso sia sopravvissuta, forse anche con un mio figlio in grembo.-, disse Janus.
-Allora questa, insieme all’esilio, é di certo punizione sufficente.-, decretò Asteius.
Risalì sulla nave e ripartirono da quell’isola.

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