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Eneide Postmoderno-Dell’incontro con i Lotofagi

By 5 Aprile 2020No Comments

Non parve vero a Janus di poter toccare quella terra fine e bianca, il suolo gradevole al tatto e il panorama stupendo. Pareva che gli déi gli avessero accordato una grazia, ma fino a che punto?
L’interrogativo della sera prima non l’aveva abbandonato, era anzi tornato, mille volte rafforzato mentre muoveva i primi passi sulle bianche sabbie della spiaggia.
Le sentinelle avevano riferito di una notte quieta e calma e nessuno a spiarli, per quel che avevano visto, ma Janus sapeva bene che questo non significava niente. Sull’isola di Gunkal era stato lo stesso per il primo giorno, poi la strage si era scatenata.
Lui e la pattuglia esplorativa marciarono lungo la spiaggia, aperti a ventaglio, finché non li videro emergere dagli alberi. Erano vestiti di toghe arancioni, uomini e donne dalle teste rasate.
-Pace! Che sia pace tra noi!-, esclamò quello che pareva il capo.
-Che sia pace, straniero. Non siamo predoni, ma naufraghi approdati qui per volontà degli déi.-, rispose Janus, abbassando l’arma energetica. Maghera e Aniseus si rilassarono al pari dell’uomo.
-Siete arrivati con la tempesta?-, chiese l’uomo. Era calvo, magro, ma insospettabilmente dignitoso nel suo aspetto. Janus notò i suoi muscoli e il fatto che, appesa alla schiena potasse una sorta di vanga di fattura mai vista. Altri brandivano strane armi, catene con strani oggetti bronzei stupendamente forgiati, mazze di squisita fattura, balestre e lame cesellate con immagini di déi e demoni a lui ignoti. Nessuno di loro pareva ostile.
-Si può così dire. Io sono Janus, della ormai distrutta Licanes. Con me vi sono le nostre sorelle e compagne del Kelreas, capitanate da Maghera e altri sfollati ed esuli di patria, miei fratelli nella sventura.-, disse indicando l’amazzone che fece un leggero cenno del capo, in diffidente saluto.
Il capo degli autoctoni annuì, sorridendo. Proiettava serenità.
-Io sono Panchen Lame, il decimo. Che il vostro cuore sia lieto. Saremo onorati di ospitarvi per il tempo che riterrete necessario.-, disse, presentandosi.
-La vostra ospitalità ci é enormemente gradita. Ma voi chi siete, o misteriosi ospitanti?-, chiese.
-Noi siamo gli ultimi discepli di un grande uomo. Abbiamo tradizioni e lingue diverse ma siamo tutti alla ricerca di una perla dello spirito, seduti acquetiamo la tempesta, finché anche attraversando le fiamme non ne veniamo bruciati.-, disse.
-Ma… sull’isola ci siete solo voi?-, chiese Maghera.
-No. Ovviamente sull’isola convivono vari gruppi ma si rivolgono al mio ordine per la protezione. Noi siamo i custodi di questo luogo e della sua bellezza. E voi, che venite in pace, siete nostri ospiti.-, rispose Panchen Lame.
-Come potete vivere tranquilli con tanti pirati che infestano i mari del mondo?-, chiese Aniseus.
Panchen impugnò la vanga. Aveva bordi affilati. 
-Siamo uomini di pace, abbiamo giurato di condurre alla salvezza tutti gli esseri. Ma talvolta, tale voto richiede che la salvezza sia posticipata alla reincarnazione succcessiva.-, disse.
-Avete affrontato e ucciso dei predoni?-, chiese il giovane, basito.
-Oh sì, viandante. Ne uccidemmo diversi non molti anni or sono.-, annuì Panchen.
-Reincarnazione?-, chiese Maghera, -Che cos’é?-.
-La vita non finisce con la morte, o fanciulla. Essa é il preludio a una vita nuova di cui nulla sappiamo se non che é modellata come creta dalle nostre mani in questa.-, spiegò Panchen.
-Ma… non ricordate le vostre vite precedenti?-, chiese Janus.
-No. Ma possiamo riconoscerne gli effetti.-, rispose il capo.
-Che sorte terribile.-, disse Aniseus, costernato, -Patire per colpe che furono commesse dall’altro che era chi siamo…-. Panchen sorrise, compassionevole.
-Giovane uomo, tu non comprendi. Non poter ricordare é una grazia! Immagina di essere il fautore di stragi e di rinascere come storpio e malato. Non sarebbe forse il colpo di grazia al tuo essere il saperti meritevole di questa sorte?-, chiese. Aniseus rifletté e annuì.
-Voi mi ricordate molto i saggi Zehn-Shura di Licanes.-, disse Janus.
Vi fu stupore fra gli autoctoni. Panchen sospirò.
-Quindi tu conosci i nostri fratelli? Essi perseguivano una via simile ma diversa, sostenendo che le nostre conoscenze fossero vacue e prive di scopo senza la ricerca interiore, paragonando la saggezza insita a un gioiello nel fango che le scritture e la conoscenza esterna rappresentavano. Vi fu uno scisma e duecento di loro lasciarono questo luogo. Ma tu affermi di conoscerli?-, chiese.
-Essi furono invero maestri e saggi della mia distrutta patria, o saggio.-, disse Janus annuendo.
-Invero, il loro seme dunque germogliò altrove?-, chiese Panchen.
-Per cinquecento anni.-, disse il Licaneo.
-Essi morirono con la distruzione della vostra patria?-, chiese Panchen.
-Invero, si batterono sino all’ultimo con valore.-, annuì l’uomo. Il saggio annuì, pensoso.
Batté le mani, rivolgendosi alla sua gente.
-Accogliamo gli stranieri! Mandate messi al villaggio di Jala, perché essi siano ospitati e rifocillati!-, esclamò. Subito, due degli arancio-vestiti si dileguarono nella giungla.
-Radunate la vostra gente. Non temete: nessuno ruberà o danneggerà i vostri averi, né v’importuneranno. Siete sotto la nostra protezione.-, disse Panchen. Janus chinò il capo, grato.

Il villaggio di Jala si rivleò essere una città fortificata ma tecnologicamente carente. Gli abitanti coltivavano la terra con aratri e vomeri e parevano disporre solo di archi e frecce.
Il capovillaggio, una donna sulla quarantina sorrise al loro arrivo.
-Benvenuti, viandanti. Abbiamo fatto preparare un banchetto per voi.-, disse.
Tutti gli esuli furono fatti sedere e furono serviti di una strana poltiglia grigio-bluastra.
-Che cos’é?-, chiese Maghera.
-Loto. È pasta di petali di loto. Provvede a gran parte dei bisogni del corpo umano.-, disse un’abitante del villaggio con un sorriso. Gli Esuli mangiarono. Il loto era buono ma insipido.
-Niente carne o spezie?-, chiese Tilhea, una delle Amazzoni rimaste.
-No, o viaggiatrice, la carne é proibita dai dettami degli Antichi. Le spezie ci sono ma sono medicinali e mangiarle smodatamente non é bene.-, disse la capovillaggio.
-Comprendo. E… da quanto vivete qui?-, chiese ancora l’Amazzone.
-Da molti anni. Furono sei secoli fa gettate le fondamenta del nostro villaggio, ma il tempio e la sua comunità già esistevano, da molto prima.-, spiegò la donna a capo del villaggio.
-Essi sembrano uomini e donne molto buoni.-, disse Janus.
-Lo sono, o comandante.-, fu la risposta, -Sono gente molto buona e serena, e il loro addestramento é volto al raggiungimento della suprema quiete.-.
-In questa vita?-, chiese l’Esule. La donna scrollò le spalle.
-Non saprei. Può essere. La loro via non mi é chiara ma anche noi veneriamo i loro patriarchi, uomini che portarono la loro via attraverso i secoli e le ere.-, disse.
-Sembrano quasi secretivi.-, osservò Maghera senza malizia alcuna. La capovillaggio annuì.
-Solo coloro che scelgono le loro vie, o che vengono scelti da loro possono comprenderli. Coloro che abbandonano il loro Sentiero Ottuplice, debbono però divenire eremiti.-, disse.
-Eremiti? Vengono esiliati?-, chiese Janus. La risposta fu affermativa.
-Essi vengono costretti a lasciare il tempio e scelgono una vita ritirata nelle foreste.-.
-E i predatori non li preoccupano?-, chiese Maghera.
-No, o viaggiatrice. Nessun predatore vi é su quest’isola. Finanche le bestie più feroci vivono in armonia con noi, poiché neanche i loro cuori sono ciechi alla verità.-, rispose la donna.
-In che senso?-, chiese l’amazzone, confusa.
-Noi non cacciamo, trattiamo i predatori con rispetto ed essi ricambiano, riconoscendo i nostri confini e senza attaccarci. Essi non sono feroci, solo impauriti. I Monaci li avevano combattuti nel lontano passato, ma il terzo Penchen Lame ha concluso quella pratica, preferendo il dialogo. Nulla si sà di come fece ma convinse quegli animali a non nuocerci oltre.-, spiegò.
-Affascinante.-, mormorò Maghera, -Nella nostra terra i predatori sono pericolosi e terribili.-.
-Lo sono forse a causa della vostra paura, o viaggiatrice.-, disse un giovane. Maghera parve pensierosa. Janus prese la parola.
-Ringraziamo per la vostra ospitalità, ma… é possibile incontrare questi esuli di cui parlaste?-, chiese. La capovillaggio lo guardò, dubitabonda.
-Possibile é possibile, ma nessuno di noi desidera farlo. Perché dovresti volerlo?-, chiese.
-Perché penso che essi, come i saggi Zehn-Shura, potrebbe offrirmi guida.-, disse.
-Non é usanza nostra giudicare gli altrui costumi. Tu dovrai andare verso il villaggio di Amrita e nelle vicinanze troverai una caverna. Là vi é chi cerchi, ma stai attento: si narra che non gradisca le visite.-, disse la donna, -Potrete soggiornare qui finché vorrete.-.

Al che, gli esuli si stabilirono per breve tempo nel villaggio di Jala.
Tra i cittadini e i nuovi arrivati vi fu grande cortesia e accoglienza. Persino la giovane Tia, sebbene in disparte rispetto al coeso gruppo di senza patria, fu accolta con commovente attenzione.
La notte passò rapida e Janus la passò a riposare bene, come non aveva fatto da settimane intere.
L’indomani, avrebbe voluto andare alla ricerca di quell’eremita ma non gli fu subito possibile.
Aniseus gli chiese un incontro. Parlarono nella casa in cui quest’ultimo e Tia avevano preso alloggio con il beneplacito degli abitanti di Jala.
-Ti devo delle scuse, o comandante.-, disse Aniseus.
-Nessuna scusa é necessaria. Lo scoramento é una conseguenza naturale della nostra situazione.-, rispose Janus. Il giovane annuì.
-Ma gli Déi hanno dimostrato la loro approvazione al tuo agire, sconfessando le mie pretese.-, disse, -Tant’é. Il loro giudizio é palese. Se v’é davvero un destino é sicuramente prossimo.-.
-Lo spero davvero. Invero, gli déi si sono dimostrati benevoli, o Aniseus.-, disse l’Esule.
-E prego si dimostrino nuovamente tali. Non furono sufficienti le nostre tribolazioni e il dolore?-, chiese questi. Janus sospirò.
-Nessuno conosce la loro volontà.-, disse, -Io seguo la strada tracciata riconoscente per i doni e sopportando le tribolazioni come prova di volontà.-.
Non disse ovviamente ciò che davvero pensava. Che il loro tormento era meritato.
Che la loro erranza avrebbe avuto ancora e ancora senso, mille e mille volte.
Che si sentiva perso. Perduto. Smarrito nel vorticare del fato. Si alzò.
-Spero invero di aver risposto alle tue domande, Aniseus. Ora perdonami: debbo restare solo un istante. Anelo alla tranquillità magnifica che qui é così presente, e che da anni non assaporavo davvero.-, disse a mo’ di congedo.
Aniseus annuì e, uscito l’Esule, sospirò.
Nulla era stato detto di nuovo, eppure, nonostante l’arroganza, il giovane sapeva bene che Janus nascondeva qualcosa. C’era stata esitazione nel suo parlare e il suo congedo, sebbene leggitimo, gli pareva affettato, dettato dal desiderio di concludere una conversazione sgradita.
Interrogandosi su ciò, vide arrrivare Tia.
La giovane dagli occhi felini e la bellezza esotica sorrise.
-È un luogo magnifico.-, disse.
-Lo é, invero.-, disse il giovane. La ragazza gli piaceva ma non sapeva come esprimere a parole il suo sentimento senza risultare volgare o banale.
-Mai avrei creduto di vedere un luogo tanto pacifico, tanto sereno. Sulla mia isola il conflitto era la costante e troppo spesso ciurme di navigatori solcavano il mare per non tornare. Fu così che persi i miei genitori. Morirono in mare, non fecero ritorno dalle liquide profondità.-, mormorò lei.
-Perché mi dici questo?-, chiese Aniseus, confuso.
-Perché mi piaci. Sei deciso, orgoglioso, persino. Sono virtù presso la mia gente. Il tratto di un leader. Tu dovresti guidarci, non Janus. E lo sai bene. Lo hai sfidato, primo fra tutti.-, disse lei.
-Janus é favorito dagli Déi. Non v’é modo per me di scavalcarlo, anche se confesso di non essere in accordo con le sue decisioni.-, disse Aniseus.
-No. Gli déi non hanno nulla a che vedere con questo. È stata solo fortuna, un capriccio del fato ha favorito l’avverarsi della sua volontà, ma nulla di più. E  come viene, la fortuna va.-, ribatté Tia.
-Perché mi sembra che ci sia dell’altro?-, chiese Aniseus.
-Perché Janus uccise invero mio cugino Skar. Mi fu detto da uno dei guerrieri. Io tacitai il mio lutto ma non intendo subire la sua presenza. Dovresti prendere tu il comando. Solo così io sarei vendicata e sarebbe fatta giustizia.-, disse Tia.
-Non vuoi la sua morte, ordunque?-, chiese Aniseus. Lei scosse il bel capo.
-Privare i nostri compagni di simile guerriero sarebbe un errore. Deporlo sarebbe sufficiente.-, spiegò, -E tu potresti divenire capo al suo posto, con il mio aiuto.-.
Aniseus sorrise, che il pensiero era bellissimo a vederlo ma sapeva essere ingiusta tale ambizione.
Tuttavia…
-E come mi aiuteresti?-, chiese. Lei sorrise, avvicinandosi appena. Ora erano seduti vicinissimi.
-Vi sono molti che dubitano, pensi di essere stato il solo a notarli? Janus ha guadagnato tempo ma nulla di più, e se vorrai, al momento giusto, daremo un ultimo colpo alla sua traballante autorità.-.
-Sembri molto sicura di te.-, inquisì Aniseus.
-Lo sono. Janus non si aspettava che tu lo sfidassi e ora crede che tutto si sia risolto. La sua sicurezza sarà la sua rovina.-, rispose la giovane.
Aniseus sorrise. Quella ragazza pareva aver pensato a tutto.
-Ma rimarrebbero comunque molti a obiettare questa manovra.-, disse dopo una breve riflessione.
-Lo farebbero solo se Janus fosse ucciso o deposto a forza. No. Noi saremo abili e faremo un lavoro ben più accurato e furtivo. Janus perderà il suo supporto senza neppure accorgersene.-, replicò lei.
-Tia… perché ho la netta sensazione che il tuo piano sia quasi troppo ben congeniato?-, chiese lui sorridendo. Lei sorrise. Si avvicinò ancora, protendendo il viso verso quello del giovane.
-Perché é fatto con amore…-, sussurrò baciando il Licaneo sulle labbra a tutta bocca.
Aniseus era ancora vergine, e fu impacciatissimo. Nel bacio non aveva esperienza e fu lei a doverlo guidare senza parole ma solo con l’atto. Gli sorrise, intuendo il suo timore di sbagliare.
-Non temere… Neanche io sono chissà che esperta ma voglio migliorare insieme a te.-, lo rassiucurò. Prese a spogliarlo mentre lui faceva lo stesso.
La pelle di Tia era bianca, gli occhi a mandorla avevano un taglio sensuale e bellissimo.
I capelli neri erano lunghi fino a metà delle scapole. Gli occhi della giovane parevano pozzi di liquida pece mentre lo osservavano. Gli prese il membro in mano.
-Tia…-, avvisò lui. Lei strinse alla base, bloccando l’aflusso di sangue nel pene.
-Non temere. Mia sorella mi ha insegnato qualcosa in merito…-, disse.
-Non voglio sprecare questo momento…-, si giustificò Aniseus che ora sfiorava i seni piccoli e dai capezzoli irti della giovane. Lei sorrise.
-Non lo sprecheremo. Ora gioca con i miei seni, futuro condottiero.-, disse. Lui eseguì, basito.
Erano belli quei seni. Tia aprì appena le gambe, mostrando la vulva.
Esitante, Aniseus scese, accarezzando, toccando. Infilò piano un dito dentro la giovane.
-Non andare fino in fondo. Voglio che sia questo a prendersi la mia purezza.-, disse lei manipolando il membro del giovane. Lui annuì, togliendo le dita dal suo fiore, accarezzandole la schiena, scendendo sino alle natiche. Si alzarono sdraiandosi sul letto.
-Ora lasciami fare.-, disse la giovane. Prese a succhiare il membro dell’uomo con abilità insospettabile da quella che a tutti gli effetti era una neofita delle gioie dell’amplesso.
Strinse la base spasmodicamente, per evitare che Aniseus godesse troppo presto.
Quando lo seppe sufficientemente pronto si sfiorò appena, bagnandosi. Lo voleva.
S’impalò su di lui, sino in fondo con un gemito roco, il membro del giovane che infrangeva la sua verginità, invadendola con forza dovuta alla gravità e suggellata dall’entusiasmo.
Aniseus era in paradiso ma sentiva che avrebbe goduto e anche molto presto. Fece per avvisare la giovane ma quella non gli diede retta: continuò a cavalcarlo, sentendolo godere dentro lei.
Poi si accasciarono, senza parlare.

L’indomani, Janus si mise alla ricerca dell’eremita descrittogli, deciso a chiedere consiglio.

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