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Eneide Postmoderno-Dell’Isola di Gunkal

By 2 Aprile 2020No Comments

Ripresosi dallo svenimento, lesto Janus si volle assicurare delle condizioni di nave ed equipaggio.
Thelea, la giovane Amazzone lamentava i dolori di chi mai aveva dovuto condurre navi o vele. Maghera soffriva silenziosamente il dolore a una caviglia e altri erano feriti ma tutti in modo leggero.
Titus e Maraius erano stati sbalzati fuori bordo dalla tempesta. Erano gli unici due morti.
Disponendo rapidamente un perimetro difensivo e d’iniziare le riparazioni allo scafo, seriamente leso durante la terribile traversata e il tremendo arrivo sull’isola, Janus ordinò che una squadra con lui a capo andasse a verificare cosa ospitasse l’isola.
Essa era ben curiosa e v’erano due edifici apparentemente in rovina in lontananza ad est.
il bosco, da cui gli esuli presero il legname per le riparazioni era invece a nord.
Janus condusse la sua squadra sino agli edifici, scoprendovi un deposito di carne, tenuta in celle che abbassavano la temperatura in modo notevole per favorirne la conservazione.
-Cibo! Prendiamolo tosto che le nostre scorte s’assottigliano.-, ordinò. Così fecero i quattro uomini della sua pattuglia e quella sera, gli Esuli banchettarono, la carne cucinata sui fuochi dalle Amazzoni di Kelraes, ben più avvezze a quel tipo di cibo di Janus e dei Licanei.
Ma, al culmine di tale convivialità, un inviato apparve. Un barbaro su un destriero metallico.
Esso era munito di due ruote e una sella, cavalcatura priva di vita eppure scoppiettante e raffazzonata, pareva dover esplodere a ogni pié sospinto. Il suo cavaliere non era meno primitivo nell’aspetto, il torso nudo sfregiato da cicatrici e solcato da tatuaggi. Pareva sudicio, i capelli unti e la barba raccolta in trecce altrettanto poco curate. Il viso era squadrato e altero e portava un’arma bizzarra che Janus riconobbe come una primitiva arma da fuoco, ben inferiore alle armi usate dai Licanei ma nondimeno letale.
-Stranieri. Avete rubato la carne di Re Gunkal. Questo richiede un pagamento da parte vostra o sarà sparso sangue.-, disse in tono aspro nella lingua che tutto il mondo conosceva.
-Chi sei tu che parli di retribuzione e di sangue sparso?-, chiese Janus.
-Io sono Atruk, figlio di Nea, della tribù di Gas. Il Re mi manda ad avvisarvi che se non pagherete, calerà su di voi facendo scempio dei vostri uomini e prendendo schiave le vostre donne.-, disse.
-Non possediamo nulla di valore.-, disse Attius. Il barbaro gettò un occhio concupiscente alle amazzoni di Kelraes che lo guardarono con disprezzo. Si leccò le labbra screpolate.
-Falso, straniero. Possedete quelle donne. Datecele e potrete lasciare l’isola in pace quando le riparazioni della vostra barca saranno concluse, in amicizia con il Re.-, disse.
-Darvele?-, chiese Janus. Era confuso e orripilato dall’idea di mercanteggiare la pace consegnando quelle donne a un fato decisamente brutale e terribile per mano di barbari come quello che a lui ricordavano bene i Cimanei e le loro brutali usanze. Mai un figlio di Licanes avrebbe fatto ciò.
-Darcele. Le prendiamo noi.-, chiarì Atruk con tono di supponenza. L’espressione di Janus s’indurì, il viso contratto nel disprezzo di una simile proposta.
-Io rifiuto il tuo patto, Atruk dei barbari! Torna dal tuo re e degli che da noi altro non avrà che lutti e battagliere gesta!-, esclamò. Il barbaro annuì, apparentemente indifferente.
-E sia.-, disse ripartendo. Janus rimase immobile, guardandolo sparire ad est. Calò il silenzio.
Poi, fu Maghera a parlare.
-O guida degli Esuli. Hai messo la nostra incolumità e il nostro onore prima di quello di tutti i tuoi compagni! Di questo io ti ringrazio e giuro su questa terra e per le stelle della Dea Madre che su di te brillano fiere che io e le mie sorelle ti serviremo sino al nostro ultimo respiro nel modo che più riterrai opportuo.-, promise inchinandosi all’esule. Lui la fece alzare.
-Non serve giuramento alcuno, o Maghera di Kelraes. Sei nostra compagna nella sventura e mai, mai io cederò finanche per la salvezza della vita mia alcuna di voi a codesti barbari.-, disse.
L’amazzone annuì, lacrime di commozione sul suo volto come sui volti delle altre.
Il giorno successivo fu dedicato alla difesa. Janus fece erigere una barricata a semicerchio alta quasi quanto un uomo attorno alla nave. Ordinò che ogni Licaneo avesse un’arma da corpo a corpo e una da tiro. Le armi a energia dei Licanei, alimentate da celle energetiche erano ben più efficaci di quelle degli autoctoni ma avevano meno munizioni e imponevano maggior precisione.
Di aspetto simile a balestre, non necessitavano di caricamento alcuno se non della pressione del grilletto. Le amazzoni, poco avvezze a tali armamenti, furono disposte sulla nave, dove i loro archi lunghi avrebbero potuto far piovere frecce dalla punta larga sui nemici.
Ogni uomo o donna di Licanes abile al combattimento fu reclutato. Molti avevano mazze o strumenti da lavoro dacché le lame dei Licanei, forgiate nell’ormai distrutta patria, erano poche e preziose. Disposti sotto il comando di Janus, Attius e Sullastius (secondo in comando di Attius) i Licanei si prepararono alla battaglia imminente.

Essa iniziò all’alba: il Re Gunkal apparve alla testa dei suoi armati, tutti in sella ai metallici e scoppiettanti destrieri e tutti armati di lame e mazze, sebbene non mancassero le armi da fuoco.
I guerrieri barbari erano tutti di aspetto trasandato, sia uomini che donne. Parevano indisciplinati, una marmaglia rozza ed eterogenea. Erano privi di stemmi e riconoscimenti e si muovevano a gruppi di dieci, ognuno al comando di un capo che poco si distingueva dalla massa.
Il Re, non diverso dagli altri aveva capelli lunghi scuri, il viso squadrato, il petto adornato di una corazza dorata, il destriero muntio di armi montate sulla parte anteriore e la voce tonante.
-Stranieri!-, esclamò dall’alto della collina che da est dominava la spiaggia, -Vi ho concesso la mia amicizia in cambio di un semplice pegno. L’avete rifiutata! Ora vi prometto che pagherete col sangue la vostra arroganza!-. Ordinò dunque la carica.
I barbari sciamarono verso la barricata, sparando sui Licanei attestati sulla spiaggia.
Janus sentì alcuni dei suoi lamentarsi colpiti, udì gli schiocchi delle armi da fuoco, le selvagge risa dei barbari caricanti, ma attese ordinando di attendere finché il nemico non sarebbe stato sufficientemente vicino da poter massimizzare l’effetto delle armi energetiche.
Atteso l’arrivo a gittata dei nemici, Janus diede l’ordine. -Fuoco!-.
-Lanciare!-, ordinò Maghera dal ponte della galea.
La spiaggia baluginò di luci quando le armi prismatiche dei Licanei trapassarono carne e metallo in pari misura. L’orda fu falciata, alcuni furono abbattuti dal medesimo colpo che penetrò facilmente più nemici, altri si scontrarono trascinati dall’impeto dell’assalto, mentre le frecce delle Amazzoni, dotate di ben più gittata, colpirono chi fu tanto assennato da fermare la propria carica. L’orda si disgregò, feriti e morenti che arrancavano, scagliati dai metallici destrieri, urtandosi, tentando nonostante tutto di attaccare e vincere.
Attius si lanciò in avanti, a capo di una decina di Licanei, abbattendo diversi nemici ormai appiedati. Trapssò con la sua lama lo stesso Atruk.
-Il tuo messaggio é stato recepito. Ora porta il nostro agli Dei: Licanes non s’abbassa allo schiavismo!-, esclamò abbattendolo. Re Gunkal, rimasto sulla collina a contemplare la battaglia credendola trionfale, ordinò la ritirata, il viso incollerito alla vista della strage sul litorale.
Il bilancio della giornata fu pesante per gli autoctoni: ben più di un centinaio erano morti e i feriti e i morenti furono finiti a colpi di mazza e lama. I Licanei avevano subito un ventina di perdite tra cui sedici feriti e quattro morti. Tra essi figuravano Letus, figlio di uno dei nobili della città e il giovane Cmenus, figlio dell’Apotecaria Linnea. I riti funebri furono rapidamente celebrati quella stessa notte, i corpi bruciati secondo l’uso di Licanes, monete di rame lasciate sugli occhi per pagare l’Acheronte, il traghettatore dei defunti.

Re Gunkal era furente. Le attenzioni di Nea, sua schiava e concubina favorita non riuscirono a calmarlo anzi lo fecero solo infuriare di più. La congedò, bevendo da una botte il forte liquore tipico della sua gente. Ma neppure quello placò la sua furia.
Gli stranieri avevano ucciso suo figlio Atruk. Il suo secondogenito, eppure amato per il valor guerriero! Non avrebbe avuto pace sino a che non sarebbero morti tutti. Fece chiamare il suo primogenito, Daluk. Costui aveva partecipato all’attacco e si era ben portato, abbattendo anche alcuni nemici. Era meno abile di Atruk ma essendo il primogenito era suo successore di diritto.
-A te sta vendicare tuo fratello e dimostrarti degno del tuo retaggio. Fallo e sarai mio erede, fallisci e sarai come morto per me.-, gli ingiunse. Daluk annuì, accettando.
Gunkal congedò il figlio, girò tra i suoi soldati, rinfrancandone lo spirito con tonanti promesse di bottino, donne e massacro. Essi non erano piegati ma non si erano certamente aspettati una simile resistenza da parte dei naufraghi che a un primo impatto erano parsi pochi e male armati.
-Domani li affogheremo in mare!-, promise Daluk, proponendo il piano per il giorno dopo.

Janus si assicurò che tutti fossero rifocillati, curati e pronti alla notte. Dispose le sentinelle.
Non conosceva gli usi di quel popolo straniero ed era ben possibile che esso fosse avvezzo a tattiche poco onorevoli ma spaventosamente efficaci come gli attacchi notturni.
Si ritirò verso la sua cabina, trovandovi Thelea. La giovane amazzone sorrise. I capelli erano corti, raccolti in una coda e il viso fiero, occhi azzurri che spiccavano sulla pelle ambrata.
-I nostri nemici hanno conosciuto la paura e il dolore, o grande guida.-, disse.
-È solo l’inizio.-, rispose lui, -Dubito che il Re lascerà invendicato tale affronto e anche noi abbiamo avuto i nostri lutti.-. La giovane annuì, notando la stanchezza dell’uomo.
-Spogliati mio signore, poiché v’é un massaggio che la mia gente usa praticare per lenire dolori e fatiche.-, disse. Spogliatosi, Janus si distese sulla branda sulla pancia. Le agili e forti mani di Thelea presero a premere punti di pressione, manipolando fasce muscolari.
-Questa é un’arte antica, le nostre nonne già la conoscevano dalle loro.-, raccontò. Lui annuì.
Il tocco della giovane stava risvegliando la sua libido. Thelea non poteva non accorgersene.
Le mani unte dall’olio profumato, la giovane terminò il massaggio ingiungendogli di voltarsi.
Sorrise al vedere l’erezione dell’uomo.
-È forse ingiusto presso il tuo popolo che una donna prenda e dia piacere ovunque possa?-, chiese. Janus aggrottò appena la fronte, sorridendo nondimeno.
-In parte. È un usanza molto libertina la vostra.-, disse. L’amazzone s’imbronciò appena.
-Siamo solo consapevoli che il domani può esser latore di morti e lutti e dunque prendiamo il meglio dall’oggi.-, ribatté. Avvolse la mano attorno al membro di Janus, manipolandolo.
Si spogliò della parte superiore dell’abito e accolse il membro tra i suoi seni sodi e ben tondi, baciandolo, leccandolo e infine suggendolo, l’abile e diabolica lingua che, sfiorando i punti più sensibili, rapida portò al piacere l’Esule. Ingollando il seme dell’uomo, Thelea sorrise.
-Domani notte, o mio stallone, ricambierai la cortesia mille e una volta.-, disse. Lui annuì.
Si addormentò appena la giovane fu rivestita e uscita dalla stanza.

L’indomani i barbari attaccarono su due punti della barricata, contemporaneamente.
Avendo imparato, si avvicinavano attaccando a ondate, sparando per poi uscire dalla protata delle frecce e delle armi energetiche. Oltre alle già citate armi da fuoco, usarono pietre e cocci, lanciandoli selvaggiamente con alte grida di guerra. La battaglia incominciò all’alba finendo al tramonto, con pochissime e brevi pause durante la giornata.
Il Re Gunkal guidò una carica che riuscì a mettere a segno diversi colpi sulla barricata e sulla nave stessa. Attius fu ferito a un braccio ma rifiutò le cure e tenne la posizione. Daluk, il figlio del Re si erse tra i corpi dei suoi e scese dalla moto. Estrasse un pugnale lungo e lucente.
-Uccisore di Atruk! Io ti sfido! Nel nome degli avi e degli Dei tutti, mostrati!-, esclamò.
Attius accettò, brandendo la sua lama. Si fece un quadrato e il duello proseguì.
Suo malgrado, Attias fu ferito altre due volte, la lama del giovane che lo trapssò al petto.
Riuscì tuttavia ad abbattere il figlio del re prima di crollare a terra. Rapidamente soccorso, si spense tra le braccia di Janus e dei suoi compagni. La sua morte fu un colpo al morale dei Licanei, tanto che non fu la sola: ben altri sei erano morti sulla barricata e molti altri feriti in maniera leggera e grave a seconda dei casi. Lo stesso Janus aveva subito una ferita, un proiettile gli aveva leso la spalla destra. Ma, nella seppur breve carica, Gunkal era riuscito a colpire la nave. I danni materiali erano il meno: pochissimi e ininfluenti. Purtroppo, tra i caduti di quel giorno, si annoverò la giovane Thelea. Mai più l’amazzone avrebbe potuto veder onorata la promessa di Janus. Ledhra, una delle amazzoni ferite fu inoltre messa fuori causa dall’infezione che la tenne lontana dal resto della battaglia.
Nonostante ciò, i morti dei barbari erano comunque molti. Ben duecento lordavano il terreno della spiaggia. I feriti e i morenti furono finiti come il giorno prima dai Licanei vincitori di quel secondo terribile giorno, eppure nessuno osò festeggiare o innalzare canti. I riti funebri furono silenziosi.

Gunkal sospirò. Nea si avvicinò appena, servile. Notava il suo turbamento, la rabbia affogata dal dolore per la perdita dei due figli in altrettanti giorni.
-Mio signore, so bene che non é mio compito consigliarti… Ma ti proporrei di fare la pace con i naufraghi. È evidente che la loro forza é ben superiore alla nostra.-, disse.
-Il tuo compito, donna, é spalancare gambe e bocca quando io lo chiedo, affinché il  mio regale membro possa ricevere soddisfazione.-, disse il Re, non adirato bensì appena irritato.
-Mio sire, so che questo é il mio ruolo e ben volentieri lo accolgo, poiché sono grata del privilegio datomi, ma… oso chiederlo: può un Re perdere anche il suo terzo figlio?-, chiese.
-Ti riferisci a Bestio, il mio terzo e ultimo pargolo? No. Egli é troppo giovane per misurarsi in duello con i naufraghi. Ma mi basta sapere che se io piango, essi certo non ridono.-, disse il Re prendendo un sorso di liquore. Nea si fece più vicina, slegando il nodo che teneva unito il suo vestito e mostrandosi nuda al re. Bianca come perla, gli occhi azzurri che parevano saettare e i capelli biondi. Sorrise invitante, sapendo di fare il suo effetto.
-Mio signore, certamente comprendi che le perdite si fanno sentire. Ben in duecento o più son morti per questa contesa. I guerrieri dubitano…-, disse. Il Re la afferrò per la gola.
-Come hai detto?-, chiese con furia.
-È la verità… li ho sentiti parlare davanti al fuoco! Pensano che siamo prossimi alla disfatta…-, farfugliò la bionda. Il Re la fece inginocchiare e lei volenterosamente prese a estrarre e succhiare il membro del monarca, consapevole del suo ruolo. Ma la mente di Gunkal era ben lontana.
Il membro, sicuramente erto e ben godurioso del trattamento non era che abbandonato alle cure di Nea, poiché il pensiero del Re si volse alle parole della schiava.
Essa aveva esagerato ma nelle sue parole c’era saggezza. I naufraghi due volte avevano combattuto e due volte avevano trionfato. Che fosse un segno? Doveva forse dichiarare terminata la guerra?
O conveniva invece tentare nuovamente? Ma come poteva, pur vincendo a costo di enormi perdite, pretendere che la sua sovranità sarebbe durata ancora a lungo? Morti i suoi due figli maggiori, Bestio ancora infante sebbene già forte e agile e troppi guerrieri morti senza la vittoria rapida due volte promessa, sicuramente sarebbe stato oggetto di ribellioni e critiche.
“Un re deve regnare o morire”, così gli aveva detto suo padre. E regnando non poteva permettersi opposizioni interne di sorta. Quindi avrebbe dovuto sopprimerle.
Afferrò il viso di Nea, strappando la bionda dal suo sesso.
-Indicami quali guerrieri hanno osato parlar male di me.-, disse. Lei disse i nomi. Lui la possedette selvaggiamente da dietro, violando il suo secondo altare di Venere, per poi venire copiosamente dentro la bionda. Aveva deciso.

L’indomani, l’attacco fu lanciato da diversi guerrieri. Le linee dei Licanei, sebbene messe a dura prova non cedettero, ma ormai la stanchezza e il consumo delle munizioni si facevano sentire. I guerrieri di Licanes dovettero impiegare le armi sottratte ai morti nemici.
Il nemico attaccò in grande numero, senza uno schema reale, cercando disperatamente di sfondare. Si giunse all’arma bianca e qui alcuni dei Licanei caddero, vittima della maggior perizia dei barbari in quel metodo di combattimento ma la vittoria finale arrise ancora a Janus e ai suoi.
Sul terreno giacevano settantasette barbari e moltissimi feriti o appiedati che imploravano pietà.
Dal canto loro, gli Esuli avevano perso ben trentacinque persone, ventisei feriti e nove morti tra cui la moglie di Attius, Breseide, morta durante gli scontri a corpo a corpo sulla barricata.
Nonostante l’uso fosse di uccidere i feriti e morenti, Janus ricevette una supplica.
Fu una donna bianca, bionda e vestita di una tunica attillata che lo pregò di non procedere e che il Re chiedeva un incontro e una tregua. Accettando, Janus ordinò alle Amazzoni di tenersi pronte a tirarare qualora la tregua e l’incontro fossero stati un inganno.
Il giorno stesso, la sera calante, il Re arrivò sulla spiaggia. I feriti alzarono le mani. Lui annuì.
Ordinò che venissero curati, ottenendo da Janus solo un cenno affermativo.
Poi i due comandanti si trovarono a parlare.
-Io so che voi non vi piegherete. I miei uomini hanno attaccato con gran valore per tre volte.-, disse Gunkal, -Li avete abbattuti. Avete ucciso due miei figli.-.
-Voi avete ucciso diversi della mia gente, ucciso una mia amata e un mio grandissimo amico che per me era come un fratello.-, disse Janus, -Siamo pari.-.
-Lo siamo? Immagino non abbia importanza. Su questa spiaggia ci siamo misurati esercito contro esercito, e ora potremmo farlo spada contro spada. Ma ti chiedo, ne varebbe la pena?-, chiese il Re.
-Questa non é una domanda da rivolgere a me, o re dei destrieri metallici.-, disse Janus.
-L’aggressione fu nostra, ma mal guidata. Orgogliosa, dico. Gli dei ci hanno punito forse per la nostra superbia?-, domandò il Re di nuovo. Janus scrollò le spalle.
-Io non conosco la volontà del Cielo più di quanto non conosca il mio volto prima della nascita dei miei genitori.-, disse. Il Re lo guardò strano. Poi scoppiò a ridere.
A quel riso, improvvisamente, si unì anche Janus. Ma ebbe vita breve.
-Ordunque? Procediamo all’ordalia?-, chiese il giovane. Il Re scosse il capo.
-Molti prodi figli di quest’isola son morti quaggiù, per vana lotta! Solo questo chiedo: sia data sepoltura ai miei morti. Sia data anche ai tuoi, secondo i vostri riti! E, in nome della pace stretta tra noi, su questo lembo di terra bagnato dal mare e dal sangue, sia questa giovane tuo bottino.-, disse Gunkal. Alzò una mano. Una giovane avvolta in veste bianca avanzò. Il taglio degli occhi era orientale, molto a mandorla, dando al viso una sembianza quasi felina. Capelli neri e occhi del medesimo colore contrastavano il bianco della sua pelle.
-Si chiama Tia. Sarà il mio dono a te insieme ad alcune nostre provviste, o vittorioso.-, disse il Re. Janus annuì. Estrasse il fodero del coltello dalla cintura e lo diede a Gunkal.
-Presso il mio popolo é uso ricambiare un dono con un’altro, o Re dell’orda scintillante. Ti prego di accettare.-, la mano di Gunkal si strinse sull’arma estraendola a mezzo. Sorrise.
-È un onore e un privilegio. Possano i mari esser calmi all’incedere del tuo veliero, o navigatore.-.
Detto ciò, tornò verso le colline.

Le riparazioni della nave terminarono due giorni dopo, anche grazie all’aiuto del Re Gunkal che si rivelò un navigante altrettanto capace. Fu sorprendente che Netia, una delle giovani di Licanes a bordo si fosse invaghita di Ivarr uno dei guerrieri di Gunkal. Celebrando il rito secondo gli usi della tribù, il Re disse che nulla suggella una pace duratura come un’unione matrimoniale.
Gli Esuli ripresero il mare il giorno seguente.

Gunkal ebbe una vita longeva, morì padre di tre figli. Gli succedette Bestio che fu però ucciso in una contesa dal figlio di Ivarr il quale ereditò il trono.
Il regno di Ivarr fu lungo ma travagliato e infine vide la scissione dell’unione di tribù in tre rami, ognuno guidato da uno dei suoi discendenti che presero il largo e divennero razziatori dei mari.
Essi infestarono le rotte con alterne fortune ma solo il minore di essi fece ritorno a casa.

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