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Feelin’ Love

By 8 Luglio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Apro gli occhi nella mia stanza d’albergo, disorientata per un istante dal buio intenso, prima di ricordarmi dove sono, cosa che viaggiando spesso per lavoro in due o tre località diverse una dopo l’altra, a volte non &egrave semplice da fare.
Ricordo.
E’ sera, sono molto stanca, gli incarichi che ho qui sono uno schifo, una riunione deludente e stressante dopo l’altra, e domattina il volo mi riporterà a casa, ad una lavata di capo dei miei superiori. Ho cercato di dormire, di chiudere fuori la luce e di crollare nel letto dell’albergo sperando di svegliarmi solo domattina, ma non ha funzionato. Fa caldo, troppo caldo, sono stanca, troppo stanca, da non riuscire a prendere sonno.

Guardo l’orologio, le 22.
Mi trascino fuori dalla camera e dall’albergo, in questa metropoli insonne come me mangio una pizza che non definirei tale neanche sotto tortura, spero che la birra e i due whisky che le tiro dietro sotto lo sguardo disgustato del cameriere uccidano la mozzarella prima che cerchi di uscire da me.

Mi metto in cammino, sperando di arrivare ad un’ora decente per riprendere le mie cose in camera e partire.
Umore nero come l’asfalto umidiccio che fisso, ignorando persone e cani notturni a passeggio, fino ad un colore.

Rosso, intenso, mi fa alzare lo sguardo verso un’insegna indecifrabile.
Un simbolo, un logo, ma dal colore e dalla porta nera con accanto due metri di ivoriano capisco il genere di posto, la mozzarella ubriaca nel mio stomaco mi spinge ad entrare praticamente ignorata dall’omone piazzato sull’uscio.
Dentro fa ugualmente caldo, ma con molta meno umidità, il che già lo rende un posto dove sedermi e bere ancora potrebbe essere piacevole.
Una cameriera con un sorriso smagliante e abbondante scollatura sculetta verso di me, mi chiede se voglio andare al bancone o desidero un tavolo.
Lo sguardo spazia velocemente nel locale interamente rosso scuro e nero, il bancone mi alletta, ma la passerella circondata dai tavoli ha il suo indubbio fascino, o così pare dato che la stragrande maggioranza degli avventori abbia scelto di starci vicino.
‘Stasera c’&egrave qualcosa di interessante?’ chiedo a mezza voce alla bionda, che annuisce con veemenza.
‘Stasera si esibisce la miglior ballerina del locale, per quello ci sono tante persone, &egrave molto ammirata!’ prosegue come un disco che ho già sentito in troppi posti per crederne vere le parole, ma piuttosto che fissare il tremolante barista sovrappeso…
‘Dammi un tavolo, defilato. E un Black Russian.’

Pochi minuti dopo sono seduta in una posizione strategica ottima, dovrò ricordarmi di lasciare una buona mancia alla biondina.
Vedo la sala, la sala non vede me, non ho voglia di parlare con nessuno dei presenti. Attendo il cocktail per dare un altro colpo al mio stomaco mettendomi comoda nel divanetto e osservando le reazioni degli avventori ad una discinta ballerina che fa la sua comparsa con un po’ di musica e applausi.
Non &egrave decisamente un tempio del rispetto per le donne, ma non direi ci sia una reale differenza tra questa mora-rossiccia che si dimena mostrando due belle chiappe e una cubista, una velina, una prezzemolina qualsiasi che diviene uno status symbol idolo delle quindicenni.
Nei fatti ben poco, salvo essere o meno ricche e famose (per quei due o tre anni), ma non &egrave serata per elucubrare sui problemi possibili e le disillusioni di quella che mi pare si chiami Iva, ne ho già di miei e in abbondanza.

La cameriera biondina arriva con la mia consumazione, la ringrazio e mi guardo intorno tirando fuori i soldi dal portafogli, cercando di ricordarmi come funzioni il cambio, dietro le tende a poca distanza da me ci deve essere una porta, sento un piccolo spiffero d’aria.
Sarà il bagno, meglio prenderne nota.
Lascio i soldi sul piattino con un’abbondante mancia (credo, il cambio mi confonde) e ritorno ad osservare i tentati movimenti sensuali di Iva, graditi dal pubblico e un po’ ridicoli per me.
Osservo un paio di bariste parlare tra di loro e con qualcun altro del locale, arrivare nuovi clienti, persone di mezz’età in gruppo, una quindicina di ventenni belli carburati che applaudono in continuazione, tre o quattro coppie dall’aspetto normale (quelle da evitare), più qualcuno al bancone e chissà dove in altre stanze del locale, ne concludo che non sia la peggiore bettola dell’area urbana.
Non avrebbe avuto un ingresso così formale e defilato, altrimenti, avrebbe esposto quarti di cosce in enormi poster, avrebbe avuto un nome altisonante, e non solo quell’incomprensibile logo che vedo sul sottobicchiere.

La biondina arriva sorridendo per prendere i miei soldi e ringraziando in inglese stentato, quando viene interrotta da una voce poco distante.
Capisco questa lingua, preferisco sempre fingere di non saperla, offre possibilità interessanti.

‘Da quanto ha iniziato Iva?’ domanda una voce calda ma filtrata, otturata.
‘Ancora cinque minuti se non ho capito male’ risponde la biondina in maniera veloce ‘Ti serve di più?’
Dò un sorso al mio cocktail osservando l’interlocutrice apparsa dal nulla, un giubbotto da motociclista e un casco integro mezzo slacciato la visiera semiaperta, appoggiata alla panca di fronte a me.
‘No no, ce la faccio’, dice, prima di sparire dietro un’altra porta nascosta dalle tende.

Iva finisce il suo numero, fa dondolare il suo posteriore in un ultimo saluto del pubblico apprezzante (e pagante) e si ritira.
Le cameriere fanno qualche altro giro, l’orologio segna l’una di notte, si siede qualche nuovo avventore, e le luci calano ulteriormente.
Non c’&egrave bisogno evidentemente di presentare, non c’&egrave necessità di dire quello che tutti già sanno, di chi stia per arrivare, e confesso a me stessa che sono anche piuttosto curiosa.

Piano piano si alza una musica, lenta, ritmata, alla prima parola, nel minuscolo punto di luce fa la sua comparsa un piede pallido.
Paula Cole comincia a cantare ‘Feelin’ Love’.
Ghigno, un classico del testo esplicito, qui si gioca facile.

You make me feel like a sticky pistil
Leaning into a stamen…
[mi fai sentire come un pistillo appiccicoso, pendulo in uno stame…]

No. Mi sbagliavo. La canzone &egrave quella, ma voce sensuale e volutamente ansimante non &egrave di Paula Cole, &egrave intonata e vogliosa, tradita solo da una lieve pronuncia diversa.

Damn skippy baby, you make me feel like
The Amazon’s runnin’ between my thighs
[che tu sia dannato, mi fai sentire come se il Rio delle Amazzoni scendesse nei miei collant]

Nella penombra si delinea per intero la figura di una dea, un corpo perfetto dalla voce suadente e calda che ipnotizza il pubblico, sola nel silenzio tombale della sala.
Afferro il mio bicchiere come un’ancora di salvezza, impaziente e insieme timorosa di vedere per bene la protagonista di quell’attimo sospeso nella nottata di tutti noi.

Entra nella fioca luce come un lampo, lanciandosi con un hang tough su un palo lucido, sul primo battito del ritornello.
‘You make me feel love, love, love, love, love’
[mi fai sentire innamorata]
scandiscono le sue labbra turgide, ognuno in quella stanza pensa che quelle parole siano per sé, e lei, abile, dosa occhiate sensuali verso gli astanti, come a dire “si, a te, proprio a te sto cantando:

You make me feel like a candy apple -all red and horny’
[mi fai sentire come una mela candita, tutta rossa e turgida]

E tutti in cuor loro ci credono, come non credere a quello sguardo dai riflessi violacei che ti si punta addosso anche solo per un istante, tra lunghe ciglia scure, mentre ruota su quel palo come se fosse il suo ambiente naturale.

‘And I would open the door and I’d be all wet’
[e ti aprirei la porta e sarei già tutta bagnata]

sussurra, fingendo che il palo sia una maniglia, saluta con la mano, gentilmente, un ragazzo del gruppo a cui probabilmente &egrave esploso qualcosa nei pantaloni, ‘With my tits soakin’ through this tiny little T-shirt -that I’m wearing’
[con i miei seni bagnati attraverso questa maglietta striminzita che indosso]

Sorride ammiccante, carezzandosi dolcemente le forme dei suoi seni prorompenti trattenute da un top aderente nero, prima di aggrapparsi ancora una volta al palo e ruotare in un ‘flatlined scorpio’ sospirando ‘and you would open the door and tie me up to the bed’ [e tu apriresti la porta e mi legheresti al letto],e il ritornello &egrave un solo avvinghiarsi, ruotare, carezzare il suo corpo come tutti noi vorremmo fare.

Si lancia, la dea, si lancia giù dal suo ambiente per continuare a ipnotizzare tutti i presenti, cantando a pochi centimetri dai loro visi accaldati e tremanti.
Ed &egrave una dea alta e snella, con forme sode e invitanti che trasudano sensualità, quella che cala tra di noi, pelle chiara, capelli neri, una bocca definita da labbra carnose e un viso dagli zigomi leggermente pronunciati, e quegli occhi impossibili, brillanti, penetranti.

‘You make me feel love, love, love, love, love’
scandisce passando attorno al tavolo dei ragazzi, per ognuno una mossa, fino a fermarsi tra due e ammiccante esclamare
‘Am I very wide, am I hot inside, ooh? Lover, I’m glazed with your compunctions!’
[sono davvero incredibile, sono calda dentro? Oh amore, non ho a che fare con i tuoi rimorsi!]

Con un sorriso tenendo i visi di due di quei ragazzotti invidiati dagli amici, prima di saltellare sulle punte come una ballerina di danza classica verso l’altro lato del locale, dedicare un ‘Oh baby, babe, babe, baby…’ sfiorando con il petto la schiena di un avventore al bancone, offrendo la vista di una schiena tonica e magra, di quelle dove passeresti ore a carezzare con le dita ogni singolo centimetro, per vedersi inarcare quel sedere perfetto e sodo come una mela croccante e matura, da assaggiare e sentirne colare il sapore su tutta la bocca…
Ma lei &egrave esperta, nessuno va tralasciato, tutti vanno illusi, bella come la dea che dev’essere gira il torso in una danza di capelli corvini e puntando il dito verso un altro avventore promette un ‘i will be your Desdemona!’, e chi avendola non impazzirebbe di gelosia…

Scivola come un gatto seguendo la musica, il locale &egrave il palcoscenico, il mondo intero forse, ammesso che qualcuno di noi riesca ancora a pensare a cosa ci sia là fuori.
La mia mente non registra, la vedo solo ancheggiare verso di me, me!
Mentre automaticamente mi porto da bere alle labbra riarse ma vorrei bere lei, divina, che si ferma con una mano sull’anca e sorridendo ironicamente canta un ‘Take your time’ [prenditi il tuo tempo!] che però sortisce l’effetto di farmi ingurgitare l’alcool molto velocemente e rimanere lì a fissarla, mentre mi poggia un dito sul petto meno generoso del suo e si accomoda in grembo a me, finendo di cantare.

‘You make me feel.. aha!’ esclama in un piccolo colpo di bacino
‘You make me feel… woo,woo baby!’ scuote la testa selvaggiamente, e puntando quelle sconvolgenti su di me, finisce il suo amplesso musicale
‘You make me feel… aha, mmm… You make me feel…Loved.’ chiosa, crollando su di me come stremata.

La musica cessa di colpo, ma nessuno si rende conto di nulla, deve prima sciogliersi l’incantesimo di quell’attimo, di quella singola canzone in cui ci siamo potuti illudere che una divinità simile ci amasse.
E io non sono in grado di reagire, immobilizzata sotto quel corpo caldo e lievemente sudato che profuma in maniera incantevole, che posso avere tutto per me solo per un istante, prima che lei rialzi la testa sorridendo e chiunque cominci a spellarsi le mani per lei, chiedendo altro, chiedendo ancora quell’attimo di magia che lei nega con ferma dolcezza, mentre la cameriera biondina finge di passare per caso con un vassoio vuoto in cui cadono abbondanti mance, la vuota speranza che il denaro possa prolungare la presenza tra di noi di una dea, che salutando cortese fa un piccolo inchino e sparisce.

L’insistenza del pubblico si limita al gruppetto di ragazzi ubriachi che chiedono a gran voce, domandano persino se ci sia la possibilità di un privé con lei, e mi concentro sul detestare la loro grezza visione delle cose annichilendo un altro cocktail, concentrandomi sulla musica e non sul fatto che mi stia ubriacando da sola, di umore peggiore di prima, forse, perché per qualche minuto tutto era diventato splendido.
Non serve molto che io rimanga da sola nel locale, &egrave tardi, i ragazzi vanno a fare gli imbecilli da un’altra parte, le coppie di una certa età filano senza fiatare, rimangono gli affezionati, quelli che come in un bar qualsiasi passeranno la notte al tavolo a chiaccherare tra di loro, fino a che non vedranno mettere le sedie sui tavoli.

………………

E’ mentre osservo le sfumature di colori del mio bicchiere, prossima a raggiungere una grande illuminazione, che sento ancora la voce che sta facendo sesso con la mia mente da ore.
Ma stavolta &egrave davvero qui.
‘Scusami…’
Alzo lo sguardo e non riesco a rispondere, la dea sta davanti a me, splendida come prima e forse ancora di più, ora che indossa un normalissimo maglioncino scollato e dei jeans
‘… Hai visto una borsa nera? Quando sono arrivata devo averla lasciata qui’

Mi sforzo immensamente di risponderle nella sua lingua e di guardare dove sia la borsa, mi alzo traballante e la aiuto a cercarla, &egrave uno sforzo immenso, penso solo alle sue labbra e a non vomitarle addosso.
La trova, scivolata sotto la panca e il tavolo, e crollo al mio posto, osservandola sospirare di sollievo e sedersi di fronte a me.
Ha raccolto i capelli corti in una piccola coda, deve aver fatto una doccia, e trovo quei piccoli ciuffi lisci sulla fronte, lasciati liberi, fuggiti all’elastico, di una sensualità immensa, orecchini a cerchio tintinnano mentre si muove controllando chissà cosa nella borsa e io spero che non trovi nulla, non voglio che passi questo momento.

Le labbra carnose si increspano in un sorriso soddisfatto ‘meno male, c’&egrave tutto…’
‘… Non sarei rimasta qui se Le avessi rubato qualcosa…’
rispondo terrorizzata, mentre si gira sorridendo e quegli occhi colpiscono ancora il cuore come una coltellata.
‘Non mi dare del lei, mi fai sentire vecchia!’ mi scuso, colpa della lingua, non la parlo molto bene, le… Ti do del tu, vuoi…
‘… vuoi qualcosa da bere?’ mi esce dalle labbra quasi involontario, facendole scuotere la testa gentilmente.

‘Grazie mille, no’.
E’ ovvio che non può accettare da bere, quante persone le offriranno qualcosa ogni sera con ogni scopo possibile, &egrave una professionista, sorride ancora e fa per alzarsi, &egrave finita.

‘… Io… Tu… La… La fai sempre quella cosa di chiudere fuori il mondo per chi sta qui?’ le chiedo con un tono di disperazione nella voce, facendola fermare.

‘…Cosa?’ risponde un poco corrucciata, pensandomi pazza.
Provo a spiegarle, la magia che c’era in quel momento, il suo eccitare chiunque in quella stanza senza neanche spogliarsi, la sensualità quasi alcoolica, calda e infiammante da whisky doppio, che ti faceva dimenticare tutto quello che sta fuori, in quel caso una brutta città grigia e umida, ed era bellissimo.
Sorride.
‘Non ti permetto di dire che la mia città sia brutta… E un whisky semplice andrà benissimo.’

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