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Giulia e Francesco – Capitolo 1 – La nascita della fantasia

“Syntax error”… ancora.
Lo fissava come si guarda una sentenza, con la stessa stanchezza di chi ha smesso da tempo di credere in quello che fa.
Francesco odiava quel lavoro. Aveva scelto ingegneria non per passione, ma per fame di riscatto. Informatica, tra tutte, solo perché prometteva soldi, sicurezza. Il resto lo aveva fatto la sua ambizione, che lo aveva trascinato dentro un mondo fatto di numeri, schermi e solitudine.
Era seduto alla scrivania, in pigiama e vestaglia, lo sguardo perso tra le righe di codice che si moltiplicavano davanti ai suoi occhi, sfocate, ostili. La finestra era aperta, e la primavera gli correva addosso come una carezza: tiepida, profumata, sensuale.
Quel tepore gli leniva i nervi, ma risvegliava qualcos’altro, qualcosa di più profondo. Lo aveva sempre avvertito, quel fremito: l’inizio della stagione delle gambe nude, delle gonne che accarezzano le cosce come mani invisibili.
Il desiderio che torna a pulsare, come linfa sotto pelle.
Da giorni un pensiero lo tormentava. Viscido, persistente. Non lo aveva cercato, gli era capitato quasi per sbaglio, in una mattina lenta, soffocata dalla noia e da un lavoro che rimandava da settimane.
Vagava online senza meta, affamato di qualcosa che lo scuotesse. Finché non inciampò in una discussione su un forum. Un titolo tra tanti:
“Cuckold – Quando lui vuole essere tradito.”
Sorrise.
“Ma guarda questi poveri cristi…”, pensò, cliccando per puro divertimento. Poi iniziò a leggere e lesse, lesse tutto.
Fu come aprire una porta, iniziò a guardare video, uno dopo l’altro. All’inizio con distacco, quasi con disprezzo, ma qualcosa, sotto la pelle, cominciava a bruciare. L’eccitazione si insinuava dove prima c’era solo giudizio.
Lentamente, senza nemmeno accorgersene, la fantasia prese forma.
Voleva essere uno di loro. Voleva essere quel tipo d’uomo.
Cornuto, sì. Ma consapevole.
Sottomesso, umiliato e perennemente eccitato.
La discesa nella tana del bianconiglio era cominciata.
Ogni giorno scendeva un passo più giù: letture, video, racconti, confessioni. Più si spingeva oltre, più sentiva che quello non era solo un capriccio. Era un richiamo.
Una verità che aveva sempre ignorato, e che ora batteva alle tempie come un tamburo.
Francesco cominciò a desiderare le corna. Non per vendetta, né per perversione.
Era qualcosa di più viscerale. Più puro.
Un bisogno di lasciarsi andare.
Di cedere il controllo.
E di vedere la donna che amava libera.
Libera di provare piacere, di godere il più possibile.
Libera di essere scopata da un altro.

La fantasia lo travolse come una marea lenta, calda, inesorabile.
Giulia.
La sua Giulia.
Bella da togliere il fiato, con quella grazia naturale che le scivolava addosso come un abito invisibile. Sempre elegante, composta, con quel modo di muoversi che sembrava danzare anche quando camminava.
E ora la immaginava così: nuda, disinibita, offerta a un altro uomo.
Qualcuno di più dominante. Più audace. Più… dotato.
La vedeva gemere sotto di lui, le gambe tremanti, i capelli incollati al viso dal sudore, le dita aggrappate alle lenzuola come se stesse precipitando in un abisso di piacere.
E lui… lì.
A guardare.
Impotente.
Con il cazzo in mano e la gola secca, come se stesse trattenendo un urlo che non aveva mai avuto il coraggio di liberare.
Nei giorni successivi, ogni masturbazione aveva il volto di lei. Ogni video porno diventava una visione ossessiva, una scena riscritta dalla sua mente.
Giulia che si apriva a un altro.
Giulia che veniva presa, usata. Giulia che godeva come mai con lui.
E lui che godeva attraverso di lei. Più di lei.
Voleva dirglielo. Confessarle tutto. Ma la paura gli serrava la gola: e se non lo capisse? Se pensasse che non l’amava più? Che desiderava qualcun’altra? Che fosse una perversione, una deviazione, un modo per fuggire?
No.
Era l’opposto.
Era proprio perché la amava così visceralmente che quella fantasia aveva preso forma.
Perché la desiderava felice, libera, appagata.
Voleva che sapesse quanto la venerava, quanto il suo piacere fosse diventato l’epicentro del suo.
Non dominare, ma arrendersi.
Non possedere, ma offrire.
E godere nel vederla impazzire di piacere tra le braccia di un altro, come una dea che si concede all’estasi.
I giorni passavano lenti, dilatati.
Francesco non riusciva a trovare il coraggio. Ogni volta che pensava di parlarne con Giulia, qualcosa dentro di lui lo faceva desistere.
Troppo rischioso. Troppo…vero.
Poi, una mattina qualunque, mentre camminava assorto verso l’ufficio con la mente annebbiata di desideri taciuti, sentì una voce alle sue spalle.
“Francesco? Ma sei tu? È una vita che non ci si vede.”
Daniele.
Un vecchio amico dell’università, o forse sarebbe meglio dire: una vecchia spina nel fianco.
Il classico tipo che si fa notare ovunque vada. Alto, fisicato, abbronzato tutto l’anno, con quel sorriso sicuro che sa di conquista e vanità. Sempre un passo avanti, sempre con una donna diversa al fianco. Il tipo d’uomo che non chiede: prende. Anche quelle impegnate. Soprattutto quelle impegnate. Era noto infatti che si fosse fatto più di una ragazza fuori sede mentre il fidanzato ignaro dormiva sonni tranquilli nella sua città.
Francesco si voltò e lo trovò lì davanti, rilassato, sfrontato, col solito sguardo sornione.
“Ehi, Dani… che sorpresa. Ti credevo ancora a Londra.”
“Ci sono stato, sì. Ma tra il clima di merda e le inglesi… lasciamo perdere. Là non sanno cosa sia una donna vera.”
Rise di gusto, come se avesse appena pronunciato una battuta geniale, e anche se Francesco non la trovava affatto divertente, abbozzò un mezzo sorriso.
Per abitudine. Per invidia.
Daniele lo scrutò per un attimo, poi aggiunse:
“Ma tu invece? Stai ancora con quella gran figa di Giulia?”
Lo disse ridendo, ma con quel tono ambiguo, insinuante.
Francesco fece finta di niente. Sorrise con educata indifferenza, e lasciò correre.
Si scambiarono un paio di battute, i numeri di telefono, e la promessa vaga di un aperitivo, una cena, qualcosa di leggero.
Mentre Daniele si allontanava, con la solita camminata da predatore in vacanza, a Francesco si accese qualcosa nella mente.
Un’idea subdola.
Oscena.
Eccitante.
Daniele.
Il prototipo perfetto.
L’uomo giusto per mettere alla prova la sua gelosia.
Per giocare con il fuoco senza sporcarsi le mani.
L’uomo che lui stesso avrebbe voluto vedere provarci con Giulia, sfrontato, affamato. 
L’uomo adatto a far cadere Giulia…

Nei giorni seguenti si accordarono per una pizza, il sabato sera.
Giulia aveva accolto con entusiasmo l’idea di uscire con un vecchio amico di Francesco. Non ne aveva conosciuti molti negli anni, e ogni volto del passato di lui le sembrava un piccolo frammento del puzzle che lo componeva. Conoscere chi aveva fatto parte della sua vita, anche solo di sfuggita, le dava quasi l’impressione di poterne condividere un pezzo in più.
Con Daniele, poi, c’era una vaga familiarità. Si erano incrociati in qualche corso all’università, giravano negli stessi ambienti, e sebbene non si fossero mai parlati davvero, lei ricordava bene il tipo.
Un belloccio. Di quelli che fanno voltare la testa.
Alcune amiche le avevano raccontato — con toni tra il divertito e l’invidioso — delle sue doti fuori dal comune. Ma a lei, all’epoca, non interessava.
Era concentrata sullo studio. E poi, poco prima della laurea, era arrivato Francesco. Il grande amore. L’unico amore. E tutto il resto era diventato rumore di fondo.
Quella sera, Giulia era splendida.
Un vestitino nero aderente, scollato sulla schiena e morbido sul davanti, che lasciava appena intuire le forme del suo corpo, senza svelare troppo.
Tacchi alti, gambe fasciate da collant color carne, glutei esaltati dalla linea del vestito.
Capelli sciolti, onde morbide sulle spalle. Orecchini di perla, una sottile collana d’argento a seguire il profilo dello scollo.
Unghie laccate di un rosso scuro, profumo floreale — rosa e gelsomino — che la precedeva come un invito sussurrato.
Francesco la osservava mentre si preparava, e ogni gesto di lei lo incantava.
“Giulié… sei semplicemente splendida. Speriamo ci siano bravi cardiologi al ristorante, perché qualcuno rischia l’infarto.”
Giulia sorrise compiaciuta.
Amava sentirsi bella per lui. Amava farlo impazzire.
E, con un pizzico di innocente malizia, le piaceva anche attirare sguardi. Era un divertimento frivolo, ma appagante.
Del resto, chi non ama piacere?
Quando arrivarono al ristorante, Daniele era già lì ad aspettarli.
Camicia bianca sbottonata sul collo, appena abbastanza da mostrare l’inizio di un petto scolpito. Pelle abbronzata, capelli pettinati con cura, sorriso da smargiasso.
Era uno di quei tipi che si fanno notare senza fare nulla.
Il corrispettivo maschile di Giulia: magnetico, sicuro, inevitabile.
Appena vide Giulia, Daniele non perse tempo.
Si avvicinò con un entusiasmo fin troppo spontaneo, e nel baciarla sulla guancia, le posò la mano sulla parte bassa della schiena.
Troppo bassa.
Un gesto che si poteva facilmente liquidare come una distrazione, ma che lasciava un’impressione chiara.
Giulia se ne accorse.
Un piccolo irrigidimento, impercettibile.
Poi un sorriso educato, come se nulla fosse.
Era una bella serata, dopotutto.
E a volte, si sbagliano le misure.
Entrarono nel locale accompagnati dal suono sommesso delle stoviglie e dal brusio delle conversazioni. L’atmosfera era calda, intima. Luci basse, tavoli ravvicinati. Daniele si fece largo con sicurezza, quasi prendendo l’iniziativa come se fosse lui a guidare la serata.
“Ho prenotato un tavolo vicino alla vetrata. Vista sul nulla, ma fa figo dirlo.”
Disse con un sorriso sfrontato, allungando il braccio per indicare la direzione, mentre Giulia e Francesco lo seguivano.
Si sedettero. Giulia al centro, tra i due uomini.
Daniele si lanciò subito in quello che sapeva fare meglio: il piacione.
“Giulia, lo sai che sei migliorata come il vino buono? Eri bella anche all’università, eh… ma adesso sei proprio da capogiro. Francesco, come fai a lasciarla uscire così? Sei un incosciente.”
Rise, versandole il vino, lo sguardo fisso su di lei, leggermente troppo intenso per essere solo un complimento innocente.
Giulia sollevò il bicchiere e sorrise, un po’ tesa.
“Beh, direi che si vede che non hai perso la tua fama da seduttore seriale…”
Poi si voltò un attimo verso Francesco, cercando una conferma silenziosa, quasi a dirgli lo vedi, vero, che è fuori luogo?
Francesco si limitò a sorridere, placido.
“Diciamo che ho molta fiducia nei gusti… e nei nervi saldi di mia moglie.”
La frase galleggiò tra l’autoironia e la frecciatina, ma bastò a far brillare per un istante gli occhi di Daniele.
Giulia incrociò le gambe sotto il tavolo, un gesto elegante, ma impercettibilmente difensivo. Si sistemò una ciocca dietro l’orecchio, un modo per riprendere il controllo, o forse solo per guadagnare un secondo di tregua.
Daniele, però, non mollava.
“Ti ricordi quando abbiamo fatto quel seminario insieme? Tu eri sempre perfetta, io sempre impreparato. Però mi mettevo sempre accanto a te. Potevo copiare… o almeno guardarti le gambe.”
Rise di nuovo. Un altro sguardo malizioso.
Giulia lasciò sfuggire un mezzo sorriso, incerta.
Non le piaceva il tono, non del tutto almeno. C’era qualcosa di infantile e provocatorio in Daniele, come se stesse cercando di farla reagire, di metterla a disagio per puro gusto.
Ma, allo stesso tempo… era lusingata.
Non succedeva spesso che un uomo si prendesse la briga di provarci così sfacciatamente. Era evidente. Era troppo. Ma anche… galvanizzante.
Così decise di abbozzare. Per Francesco. Per la serata.
E forse anche per sé.
Francesco, dall’altra parte del tavolo, sembrava tranquillo, ma dentro era un groviglio di emozioni.
Il fastidio, quella punta di rabbia sottile verso Daniele, verso il suo modo di parlare, quel tono da padrone del mondo… tutto ciò lo faceva fremere.
E sotto quel fastidio, qualcosa di ancora più torbido: l’eccitazione.

Sapeva che Daniele ci stava provando — con sua moglie, lì, davanti a lui — convinto di farla franca, e l’idea che quel coglione non sapesse che in fondo… era esattamente quello che lui voleva, lo mandava in visibilio.
Ogni battuta di Daniele era ambrosia, e Francesco, dentro, godeva a ogni morso.
Si concesse un altro sorso di vino e sorrise.
“Occhio però, Dani. Giulia sembra gentile… ma ha una memoria di ferro. Potresti ritrovarti citato in un prossimo processo per molestie accademiche.”
Risero tutti e tre. Giulia lo guardò grata per averla alleggerita. Daniele colse la stoccata, ma non si scompose.
La serata proseguì tra piatti condivisi, calici pieni, e battute sempre più sottili.
Daniele continuava a flirtare, ma con il guanto del sarcasmo.
Giulia, sempre più abile a giocare a quel gioco di innocente seduzione.
E Francesco, spettatore e regista insieme, si godeva ogni istante.
Terminata la cena, si salutarono con gesti che, sebbene sobri in apparenza, tradivano l’alchimia latente accumulata durante la serata. Daniele e Francesco si strinsero la mano, sorrisi distesi e un ultimo scambio di battute. A Giulia, invece, Daniele riservò un bacio sulla guancia che sfiorò pericolosamente l’angolo delle labbra, accompagnato da un mezzo abbraccio, le mani più basse del necessario. Un attimo appena, ma Francesco non se lo perse. Lui vedeva tutto. E lo amava.
Quel piccolo sconfinamento non fece scattare campanelli d’allarme per nessuno dei due, ma nel cervello di Francesco si incise come una fotografia erotica in alta definizione.
Durante il tragitto verso casa, il silenzio durò appena il tempo necessario per far sedimentare la serata.
“Simpatico, Daniele…” disse Giulia con un tono sfumato, come se stesse ancora assaporando il retrogusto di quelle ore. “Mi ricordavo i racconti delle mie amiche ai tempi dell’università… dicevano che faceva sempre il piacione… e che era sempre vestito bene.”
Quella pausa, quell’“e”, Francesco la sentì scivolare come un gancio tra le righe.
Sapeva cosa c’era dietro quei racconti: Daniele aveva la reputazione di essere un seduttore implacabile, e sapeva anche — ne era quasi certo — che alcune delle amiche di Giulia ci erano finite a letto. Ma fece finta di niente.
“È simpatico, sì. Ogni tanto un po’ cazzone, ma innocuo,” rispose Francesco, con una calma studiata.
Non voleva insospettirla, anzi: voleva che si fidasse. Che si rilassasse.
Daniele? Solo un pagliaccio in cerca di attenzioni. Niente di più.
Eppure, nel profondo, Francesco sapeva bene che Daniele, se solo avesse potuto, l’avrebbe presa lì. Su quel tavolo da ristorante. Davanti a tutti.
Appena rientrati in casa, la tensione rimasta sospesa tra i loro corpi si sciolse in un’esplosione. Francesco la prese tra le braccia e iniziò a baciarla con foga. Le mani scivolavano rapide sul suo corpo, affamate, decise. Giulia si lasciò fare, sorpresa da quell’iniziativa così inusuale. Francesco, di solito, non era così.
Ma quella sera no. Quella sera era un animale.
Mentre si muovevano verso la camera da letto, lui le sfilò il vestito con una precisione febbrile, fino a lasciarla in un intimo nero che sembrava disegnato per quel momento. Scalza, con i capelli sciolti e lo sguardo acceso, Giulia era una visione.
Francesco la spinse sul letto e la penetrò con decisione, senza preamboli.
Scivolò dentro di lei con facilità, e la sensazione lo travolse.
Anche lei era eccitata.
La scoperta lo mandò fuori di testa.
Forse anche Giulia si era lasciata sfiorare da qualcosa, quella sera. Forse, in qualche angolo remoto del suo pensiero, Daniele c’era entrato davvero.
Il pensiero si fece ossessione. E con ogni spinta, Francesco affondava più forte. Lei si contorceva sotto di lui, le unghie gli segnavano la schiena, e i suoi gemiti diventavano più intensi, più sporchi.
“Sì… così… non fermarti… Dio… che bello…”
A quelle parole, Francesco perse ogni freno. La fantasia lo travolse.
Nella sua testa, Daniele era lì. Nudo. Dietro di lei.
E lui? Lui stava solo guardando.
Il confine tra eccitazione e gelosia si frantumò.
“Sì… scopami… fammi godere…”
Non ce la fece più. Venne dentro di lei, con un rantolo di piacere crudo e improvviso, quasi violento. E subito dopo, un lampo di frustrazione. Troppo veloce. Troppo intenso.
Lei si lasciò cadere, ancora ansimante, e lo baciò sulla spalla.
“Sei stato fantastico… e se sei venuto così in fretta, per me è solo un complimento. Stasera ti ho visto… diverso. Carico.”
Poi, con un sorrisetto divertito, aggiunse:
“Non è che ti sei eccitato vedendo Daniele che ci provava?”
Lo disse con leggerezza, ma c’era una nota di malizia nella sua voce.
Francesco rise.
Una risata breve. Ambigua. E lasciò cadere la battuta, cambiando discorso.
Più tardi, nel letto, con Giulia che dormiva accanto a lui, Francesco fissava il soffitto.
Il corpo ancora in fiamme.
Il pigiama teso da un’erezione che non passava.
Le immagini continuavano a danzargli nella mente: Daniele, la sua Giulia, corpi intrecciati in scene che non erano mai accadute… eppure sembravano vere. Troppo vere.
Ormai non si trattava più solo di un gioco.
Era diventata un’ossessione.
E lui non vedeva l’ora di spingersi ancora un passo più in là. Sul bordo del burrone.
E guardare giù.
Da quel giorno cominciarono a frequentarsi con regolarità. Cene, aperitivi, serate al cinema, inviti a casa. Un piccolo rituale settimanale che, con il tempo, divenne abitudine. L’alchimia tra i tre cresceva in modo naturale, fluido, quasi inevitabile.
Giulia si era lasciata andare. Sempre più spesso rispondeva con leggerezza alle battute di Daniele, ai suoi complimenti sfacciati, agli sguardi un po’ troppo lunghi. Ormai lo conosceva, lo aveva inquadrato: era fatto così. Giocava. E aveva ragione Francesco — in fondo era innocuo. Solo un po’ teatrale, un po’ vanitoso. Ma fondamentalmente buono.
Un amico, niente di più.
Così almeno si raccontava.
Francesco, intanto, si godeva ogni secondo di quella messa in scena. Ogni parola, ogni sguardo, ogni gesto — tutto si incastrava alla perfezione nel piano che aveva in mente.
Per renderlo ancora più efficace, cominciò a prepararsi anche fisicamente.
Allenava il corpo… alla resa.
Durante i rapporti con Giulia cercava deliberatamente di venire il più in fretta possibile, lasciandola spesso sospesa, in quel limbo sottile tra piacere e frustrazione.
Voleva abituarla a un’insoddisfazione strisciante. Voleva che cominciasse a desiderare qualcosa — o qualcuno — di diverso. Di più maschio. Più audace. Più dominante.
Daniele, magari.
Nel frattempo, la primavera aveva lasciato spazio all’estate, e con il caldo arrivava anche il profumo delle vacanze.
Avevano affittato una casa a Tenerife: una villetta vicino al mare, terrazza vista tramonto, piscina privata. Un piccolo sogno.

Fu Francesco a proporlo “Invitiamo anche Daniele,” aveva detto con nonchalance, come se fosse l’idea più naturale del mondo.
Giulia, inizialmente, storpiò il naso.
Lei si era immaginata un’estate lenta, fatta di silenzi complici e pigrizia condivisa. Una vacanza solo loro due, senza dover far compagnia a nessuno.
Temeva che la presenza di Daniele avrebbe cambiato il ritmo, aggiungendo energia dove voleva quiete.
Ma poi ci ripensò.
Le dispiaceva lasciarlo da solo, sapeva che in città d’estate si sarebbe annoiato, e in fondo — pensò — uno come lui non avrebbe certo passato le giornate attaccato a loro. Sarebbe stato in giro a rimorchiare turiste o a mostrarsi in costume sul lungomare.
“E poi Daniele è Daniele,” si disse. “Si fa voler bene.”
Così la decisione fu presa. Le valigie erano da preparare, gli ultimi giorni di lavoro da sopportare.
E poi, finalmente, l’isola.
Il sole, il mare.

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