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Gli uomini di Alma – Capitolo 16

By 9 Novembre 2020One Comment
Caro Diario,
dormii pesantemente, né alcun sogno mi fece più compagnia, finché non iniziai ad avvertire un suono indistinto, lontano, ripetuto a intervalli regolari. Non mi rendevo conto di cosa fosse, né mi interessava saperlo, ma, lentamente, mi sembrò sempre più vicino. Stavo riacquistando la coscienza. Una voce dolce sembrava sospingermi come una vela spiegata al vento di una leggera brezza. Mi sollecitava piano. Finché non la riconobbi.
 
“Amoreee…, dolcezza mia…, Tesorooo…. Svegliati, coccolina… è tardi, sai?” – Teo mi blandiva, inducendomi a destarmi. Mi girai dall’altro lato, abbracciando il cuscino, decisa a non farmi strappare da quel qualcosa di bello che stavo gustando. “Lasciami stare un altro po’… Ho sonnooo…!” – biascicai lentamente, affastellando le parole senza controllo, così come mi uscivano.
“Tesorooo…, è tardi… devi tornare a casa…!” – aveva ripreso la litania; s’era zittita in una pausa che aveva rigettato la mia barchetta in alto mare, regalandomi la sensazione di essere cullata dallo sciabordio delle onde sulla chiglia.
 
“Amoree…! Sono due ore che ti chiamooo…!” – le ultime parole attirarono la mia attenzione. 
“Che ore sono…?” – farfugliai, alzando il capo, vincendo la forza di attrazione del cuscino, neanche fosse un magnete per un materiale ferroso. Ciondolai la testa per un po’, vagando a destra e sinistra. Quindi aprii un occhio per richiuderlo subito, irritata dalla luce dell’abat-jour che mi accecò con una lama sfolgorante che andò ad infiggersi nel cervello. Protestai, lamentandomi. Abbassai di colpo la testa, per poi rialzarla. Non doveva essere tanto forte come era sembrata in un primo momento perché guardai nella direzione del lume da dove proveniva la voce che mi stava accarezzando con tanta calma. Riconobbi Teo.
 
“Tesoro, – chiesi – che succede? Perché mi svegli? È ancora notte!” – riferendomi all’oscurità esterna che trapelava dalle tende, in buona parte scostate, che si aprivano sul lago, nero come la pece. Il profilo scuro delle colline intorno era incastonato dai lumi delle abitazioni che si affacciavano sul lago, ballandomi intorno come per svegliarmi. “Amoree…, sono dodici ore che stai dormendo…!” – dolcemente mi spiegò, fornendomi le coordinate temporali.
 
“Che fa! – borbottai – Si sta tanto bene qui a casa…, al calduccio!” – e feci ricadere il capo in cerca del cuscino, quasi per riprendere a dormire.
“Guarda che a casa tua ci arriveremo fra un paio d’ore se tutto va bene…!” – ora aveva completato l’informativa con le coordinate di luogo. Saltai a sedere sul letto, lo fissai stupita, poi strofinai gli occhi ripetutamente, esclamando: “Oh, nooo…!” – mi sentivo stordita, sperduta, chissà perché, in affanno.
 
“Su, va’ in bagno, mentre ti preparo un caffè. – mi sollecitò Teo – Gli asciugamani puliti sono sul divanetto.”
“Ok, va bene, va bene!” – e spinsi le mani in avanti, quasi a tenerlo a bada perché non insistesse. In un attimo mi aveva ricordato che non dovevo essere molto presentabile, ecco perché mi mostrai un po’ irritata.
“Vado in cucina.” – m’informò,mentre mi schioccava un bacio sulle labbra, quasi a scusarsi di quel che aveva detto – Sei magnifica!”  – aggiunse, uscendo dalla stanza.
 
Restai seduta sul letto, imbronciata, a considerare le mie condizioni. Sentii un odore sgradevole. Annusai sotto l’ascella. Uno schifo! Mi guardai sulle mammelle e sul grembo. Oh, no; com’ero ridotta! Tutta impiastricciata. Ero un crostaceo! Corsi in bagno non sopportando più oltre il mio stato, aprii l’acqua calda della doccia e mi ci buttai sotto. I vapori mi avvolsero, tant’è che dovetti stemperarla. Passai quasi dieci minuti sotto il getto aperto al massimo. Finalmente mi decisi a usare  il mio detergente liquido preferito che Teo mi aveva, premurosamente, fatto trovare. Dopo un’oretta fra creme e profumi e phone mi decisi ad abbandonare la camera da bagno.
 
Sullo sgabello accanto al mobile toilette era disposta la  lingerie della mia marca preferita ancora sigillata nel cellophane. Magnifico Teo, meglio di un maggiordomo! Da parte mia aveva meritato tutto quel ben di Dio che gli avevo dispensato la sera precedente e quella mattina. Ero soddisfatta e non avevo scrupoli di sorta. Indossai l’intimo e m’infilai la vestaglia che faceva bella mostra, annodato in un angolo del letto. Stavo per uscire, quando Teo mi aprì la porta. 
 
“Stavo venendo a vedere se eri pronta per il caffè.” – mi sorrise, affettuoso. “Oh, Teo! Sei stato splendido in tutto.” – non potetti esimermi da ammetterlo, mentre gli regalavo un lungo profondo, coinvolgente bacio. E me lo sarei riportato a letto se lui non mi avesse interrotto, ricordandomi che non mettevo cibo in corpo da dodici ore e forse più. “Avrai fame. – mi disse – Prendi il caffè e andiamo al ristorante qui vicino.”. Per la prima volta provai il cosiddetto buco nello stomaco. Mi meravigliai di non averlo avvertito prima. Mi misi a braccetto e risposi: “Certo, caro.” – guidata da lui verso il salvifico caffè.
 
Al ristorante Al lago potetti rifarmi delle quindici ore di forzato digiuno con «lamelles de boucles marinées au citron vertOreille d’éléphant avec pommes frites, roquette et tomates cerises; et pour finir: Vermicelles de châtaignes avec meringues et glace à la crème». Il tutto condito con Chardonnay Margaret River. Non volli niente altro. 
 
Il vestito da sera che mi aveva donato Teo era molto bello: una camicetta morbidissima a maniche lunghe a fiori blu in seta Givenchy con abbottonatura frontale e chiusura al collo con ampio fiocco; gonna a matita in crêpe stretch di seta blu, design drappé firmato Roland Mouret e un cappottino, nuance classica, di lana firmato Chloé, stile marinaro, lungo al ginocchio; più accessori vari fra scarpe Aquazzurra, mezzo stivaletto in velluto con applicazioni a ricamo a contrasto, e ammennicoli che, per quanto non preziosi, erano di una classe superiore, tipo il braccialetto Mulberry in pelle con chiusura a girello e dettagli colore oro.
 
Ero orgogliosa di prendere il suo braccio per entrare in sala da pranzo e ancora più quando uscimmo dopo aver riso ed esserci divertiti per tutta la cena con frivoli discorsi. Ma la serata volse, comunque, al termine e si rischiava di fare le ore piccole, quando decidemmo che era tempo di rincasare. Era quasi mezzanotte, ma Teo ci tenne a tranquillizzarmi: “Non preoccuparti in mezzora siamo a casa tua.” – sostenne e ci credetti. Con la macchina che aveva dato prova di sé non c’era da dubitarne.
 
Infatti, ci cullò per tutto il percorso, mentre il mustang divorava con noncuranza curve e diritture. Scorrendo con i suoi fari al led i guardrail come fossero giaculatorie, ci trovammo davanti a casa mia in un batter d’occhio. Era l’una e un quarto. “Bene, Tesoro, ti ringrazio di tutto…” – e mi accingevo a salutarlo con un bacio, quando lui scivolò accanto a me, scavalcando il piccolo ingombro del cambio e mi cinse la vita, catapultandosi sulla mia bocca che, perplessa, si apriva accogliendo il suo suggerimento.
 
“Amore! Mi sciupi il vestito…” – lo redarguii dolcemente. Gli lasciai spazio per sdraiarsi sul sedile che lui, prontamente reclinò indietro, unendolo al divanetto retrostante e mi accoccolai nel vano delle gambe del passeggero, accoccolandomi nel vano anteriore sotto il cruscotto. Ero in posizione strategica per governare il puledro. Gli sfilai lentamente la cintura, mentre tiravo giù la cerniera dei pantaloni. Il suo flessibile premeva contro le mutande. Gliele allargai dalla vita, tirandole giù di colpo. Balzò fuori, furente, ondeggiando da un alto all’altro. “Da paura…!” – esclamai, fingendo meraviglia.
 
Teo gongolò, contento che la sua arma, nonostante l’uso accelerato delle ore precedenti, fosse ancora in ottime condizioni. Ormai lo conoscevo bene e sapevo che la sua resistenza era infinita. Gli bastava poco, solo un’ora, per riprendersi. Ecco perché mi piaceva. Poi, le dimensioni del suo «articolo» erano considerevoli e mi soddisfacevano a pieno, sempre! Non mi andava di pomiciare, né di sentirmi nuovamente sporca, allora, giacché pretendeva una prestazione, pensai di fargli cosa gradita senza impegnarmi eccessivamente.
 
Gli scuoiai pantaloni e mutande di dosso fino alle caviglie, mentre lui si tirava su con le spalle verso il divanetto posteriore, così da consentirmi maggior agio. Piazzata al centro delle sue cosce impugnai con leggerezza quel gioiello di pistola calibro 9 parabellum. Maneggevole e letale quell’arma. Iniziai ad assaggiare la canna che mi guardava dall’unico occhio dilatato. Girai ripetutamente il cratere centrale con la punta della lingua che procedette a battere sapientemente il prepuzio con libidinosa insistenza.
 
Teo si torceva, godendo. Cercava di trattenere l’eiaculazione. Soffiai delicatamente sulla cervice di quella bestia che si agitava nella mia mano, fino a ridurlo alla ragione. Teo sfiatò, controllandosi. Pericolo passato! Ripresi allora il trattamento. Imboccai il tubero, gonfio di sostanze umorali, e gli impressi il moto continuo alternato, prima lentamente e poi in maniera accelerata, per tornare ad ammirarlo fuori dalla bocca per farlo sfreddare.
 
Ammiravo la struttura tubolare su cui si disegnavano le fibre innervate e la vena crurale sul lato che sporgeva verso di me. Stringevo il bulbo alla base dell’asta e contavo le pulsazioni in crescendo che pompavano sangue nel perfetto sistema idraulico. Lui godeva ad ogni stretta che aumentava l’afflusso fin quando non fosse stata rilasciata l’asta. Sfiatava, cercando un equilibrio, impossibile da trovare in quella continua sollecitazione eretistica.
 
Continuavo a leccarglielo per tutta la sua lunghezza, dalla punta del glande alla base dell’asta. Lo guardavo soffrire,  mentre si dimenava, costretto a restare nei limiti del sedile. Non è che rimanessi indifferente, perché anch’io comincia a colare nelle mutandine, ma non potevo fare altro che andare avanti in quella posizione, anche se avrei voluto ben altro. Troppo angusto lo spazio, anche se agevole per l’operazione che stavo portando a termine.
 
“Fallo uscire, fallo uscire, fallo uscire…Ah,ah,ah,ah…!” mi pregò e io lo accontentai.  
Nina Dorotea

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