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Era normale quell’intimità tra di noi… Per abitudine le porte interne di casa non erano mai chiuse a chiave, non ce n’era mai stato bisogno e non se ne era mai visto il senso; per cui se stavo leggendo nuda sul letto e mia sorella Irene entrava per qualsiasi motivo la seccatura era solo il non riuscire a finire il paragrafo e lei non si sognava certo di uscire, se lei era in doccia ed io dovevo fare pipì il bagno era uno spazio condiviso. La nudità era comune, normale, in qualche modo asessuata nel senso che era sensuale ma non sessuale. Era successo, certo, che entrando in camera sua a volte notassi che le sue labbra, i petali del suo fiore, fossero più gonfie e bagnate di quanto ci si potrebbe aspettare se una sta solo lavorando al computer, ma quale 25enne non si tocca e non si regala orgasmi che in quel momento nessun altro potrebbe darle? E lei non notava del resto i miei dildo ancora lucidi per terra accanto al letto? Non sono queste le cose che ci scandalizzavano né ci provocavano fremiti lì in basso, eventualmente ci potevamo scambiare un sorriso complice di chi sa e trova dolce quel profumo di sesso nell’aria. Come pure, mai parsimoniose nelle effusioni, era normale abbracciarci vestite o meno che fossimo, o un bacio a fior di labbra o lo sfiorare un seno parlando senza altre intenzioni, solo a stabilire un contatto rassicurante di cui avevamo continuo bisogno. Per cui era normale che io fossi lì, in bagno con lei, mentre lei faceva pipì ed io, seduta sul bidet accanto, piangevo le ultime lacrime tra i singhiozzi per la mia ennesima effimera storia andata male e lei mi ascoltasse anche più del dovuto. Era bellissima Irene, quel giorno, anche più del solito, i suoi lunghi capelli biondo scuro illuminati dalla luce dell’esterno e la pelle chiara, pulita, le davano un che di etereo, di ultraterreno, e quando parlava pendevo dalle sue labbra. Uno strappo di carta, si asciuga e lo getta nel water; si alza, si volta e me la trovo davanti. La abbraccio, lei in piedi, il mio viso sotto il suo ombelico, le mie braccia le avvolgono le natiche. La bacio, le bacio la pancia piatta come altre volte giocando, ma la lentezza delle labbra dicono chiaramente ad entrambe che stavolta non è un gioco. Le stringo i glutei pieni, la trattengo sotto le mie labbra, un mio dito arriva alla labbra del suo fiore e le trova pronte ad accoglierlo.
“Mia…”, sussurra senza troppa convinzione, come potesse, come volesse fermare quel momento. Non le rispondo; la allontano premendo col viso di quel poco che mi serve per scivolare dal bidet, scendere con la lingua e trovare il suo clitoride, le sue labbra ed il mio dito bagnato tra esse, continuo a tenere il suo culo rotondo tra le mani e lei, lei con le sue mi tira a sé, mi preme ai suoi profumi ed al suo piacere come avesse paura che io potessi distrarmi, come potessi volere andarmene. La bacio, la lecco, la succhio come vorrei lei facesse con me, mentre il mio dito la tocca piano, dentro, e sento che lo stringe ed i brividi che dal suo calore gocciolante corrono lungo la sua schiena. E viene, Ire, con un mio dito dentro lei, la mia lingua sul suo clitoride e le sue mani tra i miei capelli, ed adoro il suo sapore ed il suo tenue e dolce profumo di donna; mi si siede in braccio come fossi io a dover consolare lei, ora, e ci baciamo lì, sotto una cascata di luce che ci bagna la pelle ed ora sa di noi…

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