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Erotici Racconti

Irene goodnight,..I’ll get u in my dreams…

By 31 Agosto 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Angelo

Angelo è nella penombra dello studio.
La luce, un cerchio solo, parte dalla piccola lampada da tavolo e si riflette, ovale a circondare gialla d’uovo chiaro il portatile e parte dello scrittoio.
Il cavo lo collega come un embrione alla rete.
Irene è fuori, con amiche in centro per le spese.
..esco con loro, qualche compera, forse il cine, se sei stanco non aspettarmi, cena pure’
La sera, un pomeriggio senza sole che allunga e divide in due emisferi la giornata, l’alba e la sera infatti, è appena cominciata.
Angelo legge e scrive . Posta e curiosità.
Scrive ad amici lontani .E poi apre la mail che aveva conservata per ultima cosa in un piccolo rito quotidiano.
La mail è quotidiana.
Da circa sette mesi.
La mail che l’avvicina da oltre mezzo anno giorno dopo giorno con la mente a quella vecchia cascina e l’allontana da Irene.
Sale con quella lettera ogni giorno a cavallo delle parole e a volte anche sulla moto se la stagione è buona. Se no ci arriva in auto, alla cascina, ovvio, ma ci arriva.
La cascina è a poche decine di chilometri dalla città.
Nella cascina lo aspetta Anna, la sua allieva.
O meglio Anna che era la sua allieva.
Che guardava il professore in quelle lezioni sempre dal primo banco.
Che rideva con i compagni di corso alla fine delle ore. Con denti bianchi e riso di cristallo.
Anna con le gonne corte che sbucavano sotto il banco ad emisfero. Gambe mai ferme di ragazza curiosa.
E sguardi sempre pronti a farsi sorprendere curiosi e poi scostarsi con noncuranza simulata.
Da sette mesi Anna ruba i pomeriggi, alcuni, ed anche qualche sera ad Angelo, per meglio dire.. a Irene, e da quattro non è nemmeno più la sua studentessa nell’aula ad emisfero, sempre quel posto, al centro, solo spostato di quattro passi a sinistra.
Angelo legge la mail di Anna e la sorseggia.
Anna scrive anche bene, e suscita istantanee la voglia e le emozioni. Angelo si compiace ogni volta, alla lettura che gli accende i pensieri, delle lezioni che ha impartito alla ragazza.
L’ha cresciuta sulle righe e dentro il letto.
Anna scrive molto, ogni giorno, Angelo molto meno.
Lo schermo sembra giallo nella luce. E dà calore e riflesso luminescente anch’esso nella stanza sotto quel cono che taglia la penombra alle parole di Anna.
Angelo spegne il computer dopo la lettura, infila scarpe di para e giacca lunga e pesante, verde oliva ed esce.
Mezz’ora dopo è nel letto di Anna alla cascina.
Anna che sa di fumo di camino.
Che ha la metà degli anni suoi, anzi un po’ meno.
E cavalca con incoscienza il professore.
Indosso ha una maglietta stretta, incollata ai seni, che sembra verniciata, e sotto la sua inforcatura umana.

Portici del centro cittadino

Irene è sotto i portici, vicino alla piazza del Comune.
Sola, e guarda le vetrine.
Si ferma in libreria, la Feltrinelli del centro, la sua sosta sicura quando n on ha meta dove andare e non vuole far ritorno troppo presto a casa.
Il commesso la saluta. La conosce da sempre.
Irene come sta suo marito? Sono arrivati alcuni dei libri che il professore aveva ordinato.. li ritira lei o passa lui domani?
Irene fa preparare i libri e sceglie anche per sé qualcosa.
Volete i titoli?
Non sono riuscito a sbirciarli tutti, non mi volevo nemmeno far notare mentre occhieggiavo, ero all’altro lato del bancone.
Due di Fisher per il marito certo, li ho riconosciuti, li ho letti anch’io e un’antologia di racconti lei, di autori vari. I nuovi gialli italiani credo, quelli meno gialli e più rossi e nuovi.
Loriano Machiavelli, Massimo Carlotto, Fois,’quelli.
Cristina usa la libreria come rifugio.
Quando ha lo stomaco strozzato.
Spesso.
Sa di Angelo e dell’allieva, non come si chiama credo ma sa che c’e’ “qualcuna”, che la qualcuna è proprio quella, e che con la qualcuna che c’è’ Angelo è ancora quello.
Quello di tanti anni prima, e che è uscito da tempo con la testa dalla loro casa.
Che è gentile sempre comunque nelle assenze.
Spesso fisiche e reali’ancor più spesso di pensiero. Che non dissimula nemmeno la sua relazione, nata come si accende la paglia troppo secca a volte sotto il sole.
Irene compra allora altri libri.
Irene è sola negli acquisti, la compagnia di amiche millantata all’uscita di casa era solo schermo alla solitudine, e fuga, e poca voglia di mostrare troppo evidenti segni di sconfitta.
Esce dalla libreria chiudendo la strisciata della carta e lo scontrino lungo nel portafogli nero, poi vede un negozio a fianco ed entra.
Compra magliette carine e biancheria e si compiace anche un attimo allo specchio del suo corpo e della guaina che lo fascia.
La commessa è gentile con lei, risparmia i complimenti un po’ ruffiani e anonimi, di routine e di mestiere, ma nello sguardo che la scorre alla tenda accostata del camerino ha consenso e un bel sorriso, per la donna compiuta che ora sta di là del bancone e che sta uscendo.
Esce comunque con lo stato d’animo stesso di prima.
E la ricerca di un itinerario qualsivoglia che allunghi un po’ il cammino.
Coi sacchetti,.. come pesano i libri e com’è leggero l’altro, entra nel bar Roma e si siede al tavolino.
Ordina qualcosa che la aiuti ad allungare la sosta lì e a rinviare i passi verso casa.
Attende il cappuccino col cacao e mentre attende apre i pacchetti e fa l’inventario delle cose.
Magliette e intimo seducente, nuove malizie per donne non più nuove, inutili tra l’altro a risvegliare la passione, lei ne è certa, frustrazione già vissuta e più volte rinnovata, e i libri, che le sono buon ritiro e sanno cancellare molti pensieri se si aggrottano e stanno per pioverle dentro all’improvviso e allora lei nelle parole si tuffa a capofitto e ne fa mattoni e muro intorno. E protezione.
Irene siede con l’occhio che balla dai risguardi di copertina, brevi biografie e riassunti, ai tavoli vicini.
Al tavolo d’angolo tre ragazzi. Sembrano studenti.
Uno sembra più vecchio degli altri ma forse solo appare tale.
Hanno giubbotti neri di pelle che marcano le spalle ampie. Li tengono serrati anche se sono seduti.
Le voci sono spesso alte e parlano senza pudore né preoccupazione di chi sente, delle cose loro.
Voci arroganti di ragazzi un po’ cresciuti.
Ridono con incoscienza dopo qualche battuta detta a voce molto più bassa, un po’ confidenziale, chissà cosa si detti.., o dopo qualche occhiata in giro nemmeno poi dissimulata e sguardi d’intesa a volte anche volgari.
Cristina sorride dei discorsi un po’ arruffati e carichi del tavolo a fianco e, mentre sorride, quello dei tre ragazzi in cuoio nero, che a lei sembra il maggiore, coglie lo sguardo di Irene. Lo incrocia e si sofferma dentro i suoi occhi.
Non risponde al sorriso occasione della donna che incrocia per caso’alza solo la voce ancora un poco, il tono solo un poco più spavaldo.
Ma lo sguardo resta in direzione della donna. Non lo distoglie né lo abbassa.
Irene abbassa gli occhi sul libro e fortunatamente il cameriere arriva a tagliare quel contatto e si fa schermo agli occhi. All’uscita Irene troverà, in seguito, il ragazzo ad aprirle la porta, gesto senza parola di accompagnamento, mentre gli altri restano seduti e lui l’aiuta anche con l’ombrello.
Senza parlare uscirà a fianco di Irene, nella stessa direzione, e porgerà sempre in silenzio con gesto, che non è offerta ma solo azione diretta, la mano ad aiutare coi sacchetti.

La Cascina

Anna ha ravvivato appena il fuoco.
La cascina ha solo due stanze riscaldate. La cucina, grande, di quando la cascina aveva molte voci che si rincorrevano nella giornata, ma questo era tanti anni prima, quando vivevano ancora i nonni di Anna ed anche una bisnonna sempre muta e silenziosa.
La cucina col camino largo, quelli con la panchetta a sinistra e a destra sotto la cappa e una lastra di ghisa antica sul fondo, grande pesante e spessa, con scene di campagna immaginarie, una bella contadina coi seni gonfi di ghisa e due cani a rincorrersi e alberi e le colline ondute in fondo.
L’altra stanza riscaldata è la stanza di Anna, Una stufa vecchia che se ti siedi sul letto cuoci col viso se la guardi mentre geli sulla schiena, se non sono almeno alcune ore che è partita e ha reso calda la camera per bene riflettendo il calore di rimbalzo alle pareti e al cielo.
Anna sente il rumore dell’auto sulla ghiaia.
Sa senza guardare chi è in arrivo.
Angelo la raggiunge alle spalle, le circonda con le braccia che serra a traverso sul seno.
Bacia il collo di Anna che capelli corti e il collo sempre nudo.
Anna si scioglie al bacio e a quella stretta.
Anna che è piccina abbracciata in quel modo, che corre per le scale come un cervo.
E lui il cacciatore che sale a passo forte scandito ad ogni passo.
Anna sfila di scatto la maglia di lana, i pantaloni e le mutande e si gira, già nuda, al suo ingresso.
Resta come spesso succede solo la piccola malizia di quella maglia sottile e stretta che la fascia al seno e mostra i capezzoli in rilievo, malizia che a lui piace troppo per non farne un loro rito e una provocazione ripetuta all’infinito.
Cambia a volte solo la foggia ed il colore di quelle magliette che lei indossa sempre, e tutte sempre troppo strette a dare enfasi alla forma di un seno che scappa verso l’alto con le punte dure.
Angelo la spinge senza peraltro una parola con ferma dolcezza sul letto, con le spalle sulla coperta a scacchi, e comincia, in piedi, dalla cintura, a togliersi i vestiti.
Anna non parla e sembra una bambina, piccola sul letto coi capelli corti.
Solo gli occhi hanno una luce viva e guizzante e tradiscono la donna.
Gli occhi che fissava in quelli di Angelo quella mattina dopo quel corso, quelli che lo guardavano mentre lei gli chiedeva’uno strappo in auto,.. piove troppo e l’autobus non passa da tempo’se non la devio troppo dalla sua strada, professore’
Angelo è nudo, e teso anche, davanti al letto, Anna, con la maglietta che sembra un mantice all’avvio e si gonfia e accelera vistosa il suo moto di pompa d’aria e di pensiero teso.
Anna e il pelo nero e riccio e folto come un cespuglio spinoso e selvaggio aggrovigliato sulla duna della spiaggia, al vento, si schiude e attende, allieva, il professore che la soffochi d’amore.
Anna non è però tra i due proprio la studentessa.
Insegna e molto. Al suo professore.
Anna ritrova sugli scaffali della vita del professore i libri da lui ormai dimenticati e glieli rinnova.
Sono libri e al tempo stesso riti.
Li spolvera per lui, glieli riaccende e li rinnova. Da nuova vita ai suoi pensieri, alle parole ed al suo sesso.
Anna insegna con frenesia a lui la passione che lui aveva smesso, come i libri già letti, appoggiati sul dorso e non di costa sullo scaffale.
Anna spolvera la testa al suo maestro e si fa maestra nel rinnovare il suo cuore e risvegliargli ogni desiderio e ogni fantasia che era rimasto da tempo accantonato. Già letto e appoggiato di piatto sullo scaffale. Accanto ai libri vecchi.
Letti ma mai buttati.
Anna che Angelo sa uscire anche poi spesso con altri.
A cui non chiede mai una spiegazione anche quando soffoca la piccola gelosia, ma per cui sempre ha tensione e quella strana ansia, eccitazione e gelosia che non confessa.
Che a volte ha odore di altri tra i capelli e nemmeno tenta di celare quei segni e quegli odori.
Lui allora si infiamma e la inforca in piedi contro il muro.
Nessuno dei due parla, solo il respiro si fa sincrono e affannato e sempre più scomposto.
Angelo la schiaccia come se volesse attraversarne il corpo e fondersi nel suo.
Anna si morde il labbro a sangue a volte, poco dopo l’inizio dell’assalto e lui ha una scossa violenta nelle reni e tutto si ferma, immobile all’apparenza.
Solo il respiro continua a fare da tamburo e ritma il piacere.

Cena

La cena avviene in silenzio o comunque con parole lievi e come sempre distaccate.
Non sempre ma da tempo.
Lui torna a casa convinto nemmeno di cenare. A quell’ora’
Si incrociano sul pianerottolo davanti a casa. Irene coi suoi pacchetti esce dall’ascensore.
Lui dalle scale.
Un bacio rituale.
Poi a casa la scoperta di due stomaci vuoti e qualcosa che in frigo era avanzato.
Mangiano seduti davanti al Tg di mezza serata.
Che con notizie sempre uguali in sere speso uguali evita di dover dire a volte parole anch’esse sempre uguali.
Irene apre poi i sacchetti, porge ad Angelo i suoi libri e incassa il suo ringraziamento.
Angelo va in studio e legge.
Irene a letto gira tre pagine del libro che non riesce a progredire nel suo interesse da giorni ormai, avanza la lettura di massimo due pagine ogni sera, e spegne la luce dal suo lato.
Sul fianco ad occhi aperti e pensieri a caso nella testa si addormenta.
La troverà così, che dorme di lato sul fianco, con le ginocchia quasi alte al petto Angelo un paio d’ore dopo.
Angelo piegherà con qualche cura imparata negli anni e nelle sue lamentele continuate i vestiti sulla sedia, poi cercando di non urtarla e disturbarle il sonno, che sa essere fragile e precario da sempre, si infilerà nel letto, all’altro lato, lei sul fianco destro, rannicchiata, lui sul sinistro con un braccio sotto il cuscino.
Spenta la luce, dorme.
La sveglia li troverà ancora così al mattino al suo suono.
Prima della giornata nuova.
Che come molte altre loro giornate,ormai, di nuovo ha solo la data.

Una serata

La stanza è sempre quella.
La luce e il suo cono giallastro pure.
L’uomo lo stesso.
Cerca di scrivere qualcosa, è il suo mestiere, ma da tempo le parole sono poche e sembrano soffrire troppo prima di trovare una qualsiasi forma sullo schermo.
Irene da alcuni giorni è sempre più spesso impegnata e discreta.
Evita i momenti troppo lunghi di silenzio a casa.
Angelo rinuncia allora alla scrittura e cambia schermata, avvia la connessione.
Dopo i brusii di rito del modem e l’altalena di toni di chiamata e di risposta avvia la sua ricerca.
Schiaccia la barra per caso.
L’indirizzo, il quarto della lista verticale senza un vero motivo attira il puntatore.
Sarà perché sembra non avere alcun senso logico probabilmente, credo.
Che lui scelga proprio quello e lo avvii.
La cache accelera il caricamento dell’immagine e dei testi.

Martedi 21 ottobre.

L’ho rivisto.
Ancora.
Oggi, pomeriggio.
Non avevamo un appuntamento ma sapevo che l’avrei incontrato. Che mi aspettava allo stesso bar di quella prima sera.
Non parla mai.
Mi bacia gentilmente al mio arrivo.
Con calma, assaporando gli sguardi incuriositi di che vede una donna matura baciata da un ragazzo, … ostenta. L’unica gentilezza che conosce. E che mi riconosce.
Nel vicolo dietro il teatro, tra il bar e casa sua mi ha schiacciata poi contro un manifesto. A gambe larghe, allargate bruscamente dal suo ginocchio senza una parola.
La gamba mi pressava e mi scioglieva.
Mi ha schiacciato la bocca con la sua , tenuta con i polsi a lato dei miei fianchi, stretti nelle sue mani e bloccati contro il muro.
Mi ha tolto il respiro soffocandomi la bocca con la sua e uccisa col ginocchio. Fermo, solo quelle due pressioni parallele a farmi sua.
Mi ha strappato l’urlo. In fretta, piegata sulla sua gamba piegata che spingeva fino a far male.
Poi a casa, mi ha offerto un te caldo alla frutta.
Parole anche li poche e sul divano, lui seduto e io con la testa sulle sue gambe, nemmeno un bacio. Qualche carezza e basta.
Qualche percorso con le dita attraverso le onde dei miei capelli. Solo quello.
Lui è rimasto là, io sono tornata a casa. Mi cambio adesso di abito e anche sotto.

Il viso di Angelo è fuori dal cono della luce. Per cui non si vede la sua espressione, se espressione c’è da vedere.
Sullo schermo la pagina col testo.
Segna nei suoi segnalibri l’indirizzo del blog e chiude la sessione.
Mezz’ora dopo è già sul letto di Anna alla cascina e fuma guardando il fumo salire quasi denso come se fosse alito nell’aria troppo fredda della stanza.
E’ arrivato la lei e senza nemmeno salutare e nemmeno una parola l’ha trascinata sulle scale.
L’hanno fatto vestiti sul letto, in fretta e con violenza nuova.
Anna adesso guarda e esplora con lo sguardo,sdraiata, una macchia sul soffitto che sembra Africa e non umido di sottotetto.
Lui seduto con le gambe a penzoloni dal letto, a lato, fuma.
Lei pensa, nemmeno pensa credo, ma l’idea le ondeggia da sola nel pensiero, e lei non la trattiene, ad un piacere troppo forte appena avuto, che aveva però un cattivo sapore e poco amore.

Una seconda serata

….Irene Goodnight……Stop your ramblin’
Stop your gamblin’
Stop stayin’ out late, late at night………
Il disco gira.
La sala è sempre quella con la televisione che risparmia le parole ed offre nascondigli.
La cena passata via veloce e tarda.
La tele è spenta e i due leggono qualcosa.
Il disco gira, gira, gira.
Poi, quando il silenzio è troppo lungo e la lontananza dei corpi si fa abisso sul divano, Irene annuncia la sua uscita.
Non sono chieste né date spiegazioni.
Irene esce mentre finisce la canzone.
Irene good night ‘finisce Van the Man di cantare e Irene esce.
Angelo attende la chiusura della porta e va, simulando a sé stesso indifferenza, verso lo studio.
Accende macchina e connessione e clicca il link del blog.
Ci sono pagine nuove

7 novembre

Oggi mi è passato a prendere a casa.
Poi è salito.
Si impossessa di me e della mia casa sempre più spesso.
A volte non vuole nemmeno il mio sesso.
Solo farsi servire qualcosa seduto sul divano.
A. era via per i suoi giochi campestri, come li chiamo io, sempre più spesso si assenta per mezze giornate intere.
E lui allora arriva, come faccia a sapere che puo’ venire non lo so, ma arriva e fa il padrone per le stanze.
Come se possedere la sua casa fosse pisciarne i confini e marcare il territorio col suo odore, dopo aver marcato con quello la sua donna.
Ma niente sesso, oggi, forse perché io lo volevo anche troppo e lui ne sentiva l’odore della voglia denso e spesso nel fumo del caffè fresco.

11 novembre

Ancora a casa.
Dice che debbo lasciare A. e che lui ci verrebbe. In questa casa, anche adesso.
Parla come un bambino viziato e ha mani da assassino mentre mi parla e mi tocca.
Parla degli amici con le mani nel mio sesso. Parla di motori e di auto e di gare nella notte e di cose loro che io non conosco come se le dovessi conoscere per forza, mentre mi fruga e allarga le sue dita ad allargarmi.
Ad allagarmi fino a macchiare la pelle del divano.
Oggi mi ha lasciata insoddisfatta e sfatta su quel divano ancora.
Ma ogni volta che lo vedo entrare in casa, ogni volta, prima ancora delle sue poche parole, sotto la gonna sono nuda e pronta alle sue dita.
E al resto, ma quello solo e quando è nei suoi capricci.

13 novembre

A. è a Genova per lavoro per tre giorni.
Lui che lo sa non si è fatto vivo per tutto il primo giorno.
L’ha fatto apposta, credo.
Io non l’ho chiamato. Lui non vuole. Mi prenderebbe a schiaffi come ha già fatto altre volte se io lo facessi. Non sono uscita di casa fino al pomeriggio di oggi.
Lui è arrivato senza preavviso alcuno, come sempre, come se la casa e il suo contenuto fossero suoi di diritto.
Mi ha sdraiata a viso in basso sul divano, il culo alzato sul bracciolo, la mano sua sinistra a serrarmi i polsi alla schiena.
Le dita della destra a strapparmi urla. Sono venuta con scosse ripetute e l’apnea dei pensieri appena alle dita ha sostituito il cazzo.
Non ha mai parole gentili, nemmeno in quel momento o dopo oggi ne ha avute.
Parla solo delle sue cose, quando parla….no.. non è villano con me. La parola non è quella. Credo.
Ma sa esattamente dove e quando.
E come.
E per quanto io resisto. E altro non gli frega.
E sa negarmi l’arrivo dopo la volata, rinviarlo magari in punta di dita, poi farmi precipitare d’ansia e scagliarmi al cielo in un istante.
Non credo voglia altro che il possesso.
Della casa lui dice e di una donna un po’ più vecchia, credo, donna di un altro, ad aggiungere del pepe ancora, se serviva, alla forza del suo sesso.
Non so se domani verrà ancora.
Io in ogni caso non usciro’ di casa.
In casa ho quello che mi serve.

14 novembre

Sono venuti in due.
Lui e il suo amico in officina.
Uno dei tre di quella prima serata a quel tavolino.
Mi ha chiesto di guardarmi.
Che voleva vedermi.
Non mi ha chiesto di farlo né di fare niente.
Come un bambino ha solo detto i suoi di desideri.
Dei miei nemmeno ha messo in dubbio l’esigenza come un bambino viziato quando sceglie i giochi.
La sua lettera di Natale allora si è sfilata la gonna e le mutande e si è lasciata possedere.
Aperta come un libro sul divano nero.
Da un uomo giovane di cui non sapeva il nome, che le ha strappato il fiato e rott
o il pensiero, mentre lui sulla poltrona un po’ guardava e un po’ sfogliava una rivista. Ho avuto un piacere forte e veloce, denso come crema di vaniglia sciolta nella coppetta del mio gelato, tra le cosce, sul divano.
Guardando lui anche quando lui non guardava.
Sperando che guardasse.
L’altro pompava tra le cosce senza esitazioni.
Poi lui nella mia bocca e l’altro a lavarsi in bagno.
Non un bacio.
Solo il suo sapore alla fine in bocca a ricordarmi lui, dopo la loro uscita dalla casa.
A. è rincasato dopo due ore.
Solo il tempo di cambiarmi e riassettare i cuscini della poltrona e del divano.
Sono andata a letto dicendogli di avere già cenato.
Mi bruciava un poco, sotto.
Mi ha raggiunto a letto dopo circa un’ora.
Ho finto di dormire.

Angelo spegne il computer e va a dormire.
Irene tornerà poi a casa molto tardi quella notte.
Angelo va a letto e pensa alla sua donna.
Senza accorgersi nemmeno di farlo, come faceva prima.

Annina

Anna. Annina. Capelli corti e nuca offerta ai baci.
Seno giovane con le punte alzate nella sfida allo sguardo.
Maglietta stretta che sembra una pittura sulla pelle chiara, sotto un viso sempre abbronzato dalla vita all’aria aperta e braccia che hanno l’odore ed il colore della campagna d’estate, anche d’inverno.
Annina che d’estate sa di erba tagliata da due giorni, di latte non scremato e d’inverno profuma di fuliggine fresca della stufa persino tra le labbra del suo sesso.
Annina che di chi le insegna si innamora.
Che non chiede amori eterni ma vive alla giornata.
Sperando che le capiti davvero, prima o poi, nella vita, una di quelle giornate che iniziano al mattino allo sciogliersi della brina e della nebbia e durino una vita intera prima del tramonto più spettacolare.
Quei tramonti in technicolor della mente che hanno solo i vecchi film americani. A volte, alla chiusura.
Che quando esce la parola fine e sfuma tutto all’orizzonte vorresti ancora titoli di coda in sovrimpressione, e dopo altri e altri ancora, prima che la luce del cinema si accenda e sciamino le voci e le persone all’uscita.
Altri titoli di coda per allungare e fare eterna l’emozione della caduta trionfale del sole sconfitto e consumato nel rossore.
Annina che non chiede ma che da, felice come una gattina quando da vita alla pallina di carta sul tappeto e l’anima con le sue corse.
Anna non ha mai chiesto nulla al professore.
Anna sapeva già cosa sarebbe successo nel suo film, fino dalla prima lezione.
Dal primo giorno nell’aula ad emiciclo.
E se le gonne si sono anche accorciate e le gambe non sapevano stare ferme mai sotto il bancone era quella la sua danza. Danza d’amore.
La danza del suo corteggiamento e del suo amore.
Il suo calore.
Anna civetta.
Anna che ha l’ingenuità della gonna a piegoline che balla sul suo culo se cammina.
Che non si trucca per dare luce agli occhi quando guarda.
Che ha gambe nervose quasi di ragazzo e seno scolpito e pennellato sempre, a righe o in tinta unita, e con quello sfida ogni sguardo.
Annina che gioca con Angelo e capovolge i ruoli.
Che si accontenta delle visite fugaci e le spreme con gola e avidità ,come scrocchia le caramelle che non riesce mai solo a succhiare e rompe con piacere invece sempre sotto i denti.
Che gli sconvolge il sesso come non gli succedeva da troppo e gli ridona ardore.
Che non gli ricorda Irene in nulla se non nella gioia e nella risata.
Di Irene ha solo gli anni ed il sapore che Irene aveva nei giorni più felici.
Tanti anni prima.
Anna che gli ridà vita dopo mezz’ora ,e si reinfila da sola, a stringere con la carezza umida, il suo cazzo.
Che si fa guanto mieloso ed aderisce e cola. E poi lo strozza nell’orgasmo.
Ama il suo guizzo, la sua contrazione ripetuta, il suo serrare gli occhi e la bocca che si schiude come se il piacere avesse un vento e dalle labbra non chiuse lui gli lasciasse sfogo, fessura per volare.
Anna che chiede solo poche ore. Che si è innamorata dell’uomo per le sue mani malinconiche nei gesti.
Quasi fossero sempre stanche e troppo vissute.
E la dolcezza con cui le muove quando parla o fa qualcosa,che esce dritta dal suo cuore.
O almeno così sembra’
Anna non è felice.
I gesti non li conosce adesso.
Non li conosce né li riconosce.
Quel sesso non la incanta. La ferisce. Non ne ama il sapore e le viene sempre più spesso, dopo, voglia di lavare bocca e sesso, appena lui esce per tornare in città, a casa.
I gesti non li conosce adesso e quelli nuovi che scopre non hanno un buon gusto al suo palato, certo.
Non sono più quelli i gesti.. adesso.
Non la pazienza dell’uomo che trova un senso ed un piacere nello spiegare, spiegare cose che adesso lei conosce e forse conosce anche meglio.
Ma che ascolterebbe come sempre con stupore ad occhi aperti e sguardo sorridente e ingenuità maliziosa, come per gioco a rinnovare un gioco.
La pazienza non c’è più e la spinta che si rompe sul suo corpo non è l’onda della piena che inonda e infertilisce ma ansia e impuntarsi di persona, ritmo dei nervi e non muscolo che pulsa. E la testa la si sente altrove.
Anna non conosce e non ama quel modo nuovo e quella spinta tra i suoi reni. Né gli occhi aperti e fissi che Angelo ha adesso, nel suo piacere.
Anna sa che lui è altrove. E che forse da quell’altrove non si era mai nemmeno mosso fino in fondo.
Che non è più il suo professore. Lo sente e lo realizza in poche settimane.
Anna ha accettato il lavoro e il trasferimento che aveva accantonato. Cambia città e chiude la cascina.
Anna non avrà più, credo, per i futuri amanti, in futuro, odore di fieno di due giorni e latte fresco nei capelli nè fuliggine dolciastra chiusa nel suo sesso.
Anna chiude la porta della casa di campagna e lascia lì anche i suoi libri.
Compresi quelli letti solo per compiacere e a volte comunque per piacere anche suo vero.
Anna ha imparato, lascia i libri e chiude col passato.
Su un tramonto così, in un film, la scritta fine sarebbe grigia nell’incendio del sole che si smorza e appiattisce sullo schermo, da cerchio oro quasi pulsante ad alone sbavato dal pennello, allungato all’orizzonte a sfumare nel cenere e nel neroazzurro delle notti senza luna e senza stelle.

24 novembre

Lui diventa sempre più scostante. E io invece ne ho bisogno, crescente.
Mi scuote solo se mi tocca.
Rompo gli argini ad ogni sua attenzione.
Gli ho chiesto di lasciare i nostri giochi perché io sto sempre più male.
Mi ha lasciata sola, alzandosi di scatto, nel bar, dove torniamo spesso.
Dove parla con altri e magari mentre parla mi posa la mano sulla coscia, e basta che stringa un po’ sotto le dita il muscolo a metà della lunghezza della gamba per farmi scivolare liquida sulla sedia.
Dove mi tiene magari un’ora intera in quella tensione stupida, e poi si alza e se ne va con gli altri.
Oppure mi stuzzica col piede sotto il tavolo.
Sposta secco la mia scarpa a lato, la risposta ancora, come a cercare un’ accomodamento a lui più gradito, e intanto parla di motori o altre cose.
Poi sfrega il collo del suo piede, e spinge, e appoggia al collo del mio là sotto.
E io spingo quasi la gamba a cercare di allungare quel contatto.. che salga oltre il piede su per la gamba e poi la coscia’ mi tendo verso quella gamba e non la raggiungo,… mi fa persino male il fianco tanto spingo.
A casa il gioco suo è sempre quello.
Comunque noi si giochi è gioco dove ribadisce il suo controllo.
Sui miei liquidi e sul ritmo con cui pulso respirando.
Siano le dita la bocca il sesso è lui che accelera e dirige e frena e nega e poi decide. Se decide.
Nega con gioco di bambino cattivo a volte.
A volte nemmeno poi si cede e si concede e assapora la disparità del mio piacere e della mia resa con il suo diniego e la sua forza.
Mi blocca sul letto e sul divano. Mi impedisce con le sue richieste il movimento.
Ferma, stai ferma!.. allarga di più le cosce e le braccia.. ora tu non mi tocchi e non ti tocchi .. se no vado’sai che vado’ti leghero’ per farti stare ferma…
E io allargata a croce, che aspetto solo che mi liberi e mi sciolga …. dalla voglia che mi lega.

30 novembre
Oggi mi ha legato i polsi con la corda di un pacchetto.
Non l’aveva mai fatto.
Non ha nemmeno chiesto se poteva farlo.
Mi aveva accarezzata come la testa del suo cane tra le gambe, sul divano davanti ai suoi amici.
Offerto lo spettacolo? Contento?
Gli avrei chiesto, dopo, ma non ho chiesto nulla.
Perché sarebbe andato, uscito …. e io ne avevo voglia.
Allora quando ha preso lo spago della scatola che era rimasta sul tavolino a fronte del divano e i miei polsi portandoli uno dopo l’altro dietro la schiena io non ho parlato.
Il primo polso dietro la schiena, lui ha preso l’altro e io non ho riportato davanti l’altro. l’ho lasciato li..ad aspettare l’appoggio dell’altro e l’abbraccio forte della corda.
Ha stretto anche forte e la corda piatta del pacchetto, plastica in fondo, ha fatto anche male.
Non ho protestato né espresso in alcun modo quel piccolo dolore.
Nemmeno ho chiuso gli occhi.
Mi ha aiutata ad alzarmi dal divano, lui.
Poi ero in piedi, mi ha slacciato la lampo della gonna che è caduta alle caviglie, a cerchio intorno a me, come se fossi il centro di un bersaglio.
Le mutandine abbassate anch’esse alle caviglie come seconda corda ad impedirmi il movimento e rendere precario l’equilibrio.
Non ha chiesto nulla, ma io non ho alzato i tacchi delle scarpe a liberarmi dall’impiccio.
Ha infilato, lui seduto sul divano la mano tra le gambe.
E’ salito lento dalle caviglie percorrendo il collo del piede,… poi il polpaccio e la gamba.
La sosta interminabile sopra il ginocchio che quasi mi cedeva per la tensione e per l’attesa.
Il mio sesso era il bersaglio.
Al centro della gambe che non potevo disserrare, bloccate dall’elastico delle mutande alla caviglia. Al centro della gonna, stesa a cerchio, a terra, intorno alla mia sosta.
La mano è salita lenta sulla coscia.
Un secolo di tremiti alla schiena e gli occhi miei serrati e chiusi fino a dolermi.
Poi ha stretto in pugno il pelo come il collo di un gatto e io ho piegato un poco le ginocchia.
Ha mollato la presa e gli sono venuta sulle dita.
Ferme.
Piantate dentro.
Che lui nemmeno muoveva e io, flessa al ginocchio, a scendere loro incontro, ho avvolto e fatto salire dentro a scuotermi la vita. Spingendo in giù col corpo e dondolandomici intorno.
Era la prima volta che mi ha legata, oggi.
Poi, quando mi ha slegata, si è accorto dei segni rossi ai polsi e di come quasi mi fossi tagliata.
Mi ha baciato i polsi, un gesto inconsueto.
Mi ha chiesto di comprare un foulard di seta nera per domani. A sostituire la corda.
Di farglielo trovare sopra il letto.. steso.
Pronto…..solo cosi mi scoperà domani.

Finisce anche il disco.
…..Irene goodnight (Irene)
Irene goodnight
Goodnight Irene, goodnight Irene
I’ll get you in my dream

I love Irene and I swear I do (yes)
Love ‘er, love ‘er, love ‘er, love ‘er, love ‘er
Love ‘er, love ‘er, love ‘er, love ‘er
Still the sea runs dry
And if Irene ever turns her back on me
I’m gonna take morphine and die

Finisce anche il disco.
Angelo resta fermo alla fine dell’ultima parola.
Fermo nel silenzio della stanza.
Come se fosse la fine della via, un muro solamente di fronte e nemmeno più i rumori della gente intorno.
Guarda lo schermo fisso.
E’ rosso in viso e sa di avere sotto un’erezione che non si aspettava.
Negli occhi ha Irene legata per i polsi come un fermo immagine mentale e una strana rabbia dentro.
Che non è rabbia nemmeno. E nemmeno gelosia.
O forse.
Sarebbe andato di corsa solo una settimana prima da Anna a cancellare tutto.
L’avrebbe usata ancora come ormai usava fare. Solo per cancellare.
Irene nel fermo immagine è bella come mai era stata.

Una serata normale

Angelo rincasa da una giornata passata fuori città.
Irene è fuori.
Accende il monitor.. ormai è la prima cosa che fa ogni sera al rientro o appena Irene esce.
Anche di giorno.
A volte la sollecita addirittura ad uscire. La guarda uscire e guarda il suo passo verso la porta il corpo e anche il vestito. Accompagna con gli occhi, non se ne accorge nemmeno, credo, la figura.
E appena la porta è chiusa lui si chiude in studio,.. la luce gialla accesa e schiaccia il tasto e l’accensione.
Apre il diario online.

10 dicembre

Sono andata in centro ieri e l’ho comprato.
La commessa ha voluto lo provassi sulla schiena e al collo.
Io l’ho accontentata.
Sorridevo ai complimenti che ha fatto.
Diceva che mi stava bene.
Non immaginava certo.. quanto!
Me ne ha proposti diversi.. differenti, di seta tutti, differenti per larghezza e lunghezza, ordito e colori.
Le ho chiesto di mostrarmene di lunghi, quelli che si girano almeno due volte al collo.
Ma non larghi,,, un foulard che sembri una sciarpa’
..ne ha di questo tipo?
Alla fine ho scelto, e non era quello che lei consigliava. Ma lei cosa ne sapeva dei foulard e del mio amore?
Due blu’.uno solo più chiaro, un poco.
Glieli faro’ trovare sul cuscino.
Perché mi leghi e mi bendi.
E poi mi scopi.
Arriverò già nuda sotto, come vuole.
Perché appena lui mi alzerà la gonna mi troverà già pronta . E voglio che lui vedendomi cosi, pronta al consumo, si ecciti all’istante solo a quella vista, e subito, e mi leghi e mi bendi in fretta e mi prenda.
Senza preamboli strani, senza aspettare o controllare la mia eccitazione.
Voglio che mi scopra già pronta. Che entri con stupore.
Che salga in fretta.
Che le braccia legate mi impediscano ogni carezza’siano schiacciate alla mia schiena sotto il suo peso e i suoi movimenti.
Non avere paura di schiacciarmi.. schiacciami ti prego.
Voglio essere vestita e nuda in un sol tempo. Sentire le mani che non vedo tendermi la gonna e sollevarla.
Ho camminato ancora un’ora per il centro, felice ed eccitata.
Dondolando nel passo avanti e indietro il sacchetto leggero con le sete.
I foulard li troverà pronti.
Per quando arrivo.
Perché son pronta anch’io.

Angelo rinnova alla fine delle parole scritte il suo arresto di pensiero.
La stessa strana agitazione dentro che da tempo prova.
Quella mista di tanti sentimenti e tante emozioni in conflitto tra loro.
Angelo ho il cuore e gli occhi gonfi.
Lo schermo è fermo, a fine corsa, ai piedi del video l’ultima parola e il punto che la chiude.

…..Io.

E Angelo col turbine e la confusione.
Spegne il computer passa in sala.
Sarebbe ora di cena.. ma di fame’zero.
Lo stomaco è come chiuso a pugno.
Si versa da bere qualcosa ma non va oltre il primo sorso.
Spegne la luce della stanza , prende la prima rivista che trova e si avvia verso la stanza.
Accesa la luce vede il pacchetto sul letto.
E sui cuscini, stese parallele due strisce blu.
Una più scura, l’altra appena un poco più chiara.
Lei entra alle sue spalle, non aveva sentito né la chiave né i passi, Angelo.
Lei sorride di un sorriso strano.
Toglie l’impermeabile lasciandolo cadere e con le mani afferra l’orlo della gonna.
La solleva decisa ma lenta al tempo stesso.
Sotto la gonna è nuda.
E si offre allo sguardo’
Irene sorride ad Angelo con la gonna sollevata al petto e il pube riccioluto offerto.
Poi si gira.. incrocia i polsi dietro la schiena.
E aspetta.

Le ipotesi di Angelo

Intanto.. punto primo’la storia è finita.
Se continuasse ancora sarebbe un’altra storia.
Di qyesta seconda storia, quella che aggiunge e che prosegue e che sviluppa io so ben poco.
Per cui’. vedremo’
Angelo questa storia, sua e di Irene e di Annina, me l’ha raccontata un anno fa.
Abbiamo avuto sempre molta confidenza, Angelo ed io, sino da ragazzi, ai tempi del collegio.
Della lunghe partite a pallone, non riuscivamo mai a trovare abbastanza interisti a fare una squadra nostra , e dei nostri primi turbamenti per le insegnanti e le ragazze della scuola femminile.
E allora, adesso che vivo anche lontano e non frequento più la loro casa, e siccome della loro lunga stanchezza avevo anche avuto sincero dispiacere, me ne ha raccontato lui, come facevamo allora di tutte le nostre storie, emozioni, turbamenti e conquiste, fossero vere o anche soltanto sognate.
Come se fossimo ancora in quel collegio e in quegli anni, mi ha raccontato.
Mi ha raccontato con stupito orgoglio di Irene, la sua donna, di come abbia saputo ritrovare e rinnovare tutto.
Riarredare con un gioco e tanta pazienza e tanta voglia e tanta fantasia la loro vita.
Angelo ha sempre detto che lei aveva la fantasia che gli necessitava e spesso gli mancava.
E in abbondanza, per entrambi, per cui mentre mi raccontava del piccolo inganno di Irene per riallineare le loro passioni sorrideva quasi con orgoglio della donna che si inventò un giovane amante ed un amore estremo per amore suo.
Mi ha raccontato dei suoi turbamenti crescenti alla lettura del blog e delle emozioni che lei gli aveva fatto riscoprire con la sua invenzione.
Delle loro cene adesso. E di una nuova fantasia ed armonia.
Mi ha invitato anche ad andare a trovarli, appena posso. Ma non credo potrò presto. Lui ci ha messo un anno a prendere un volo e venire a trovarmi, ma lui aveva anche la scusa del lavoro, io non ce l’ho nemmeno, quella comoda motivazione.
Mi resta solo la piccola soddisfazione di sapere felice un amico che mi è caro, e la sua donna.
Il tutto grazie ad una fantasia di una donna tradita e battagliera e fantasiosa e a due foulard di seta.
Lunghi e stretti.
Lui la storia la riassume così, con la frase che ho appena scritto e voi avete letto.

Se Angelo però avesse avuto meno fretta e meno eccitazione quella sera.. oltre ai due foulards stesi sul letto, avrebbe poi guardato il sacchetto.
Nel sacchetto.
E avrebbe visto lo scontrino.
La ricevuta dell’acquisto di quattro foulards, non due, dimenticata da Irene nella fretta, nel sacchetto.
Quattro foulards ‘ per un totale di 160 euro.

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Titoli di coda

Ebbene sì.. era un film questo.
Si echeggiava che lo fosse, spero.
Volevo si sentisse.
Film, perché l’idea originale è nata una sera all’uscita della proiezione di un film che a me non è piaciuto.
Per come nasceva la storia, come correva la storia, come si concludeva e come secondo me avrebbe invece dovuto.
E dalla voglia, partendo dalla trama di incrociati tradimenti in una coppia un po’ usurata, prendendo quel normale scenario assai comune, che era lo sfondo della pellicola appena vista, a mo’ di spunto, di inventarmi io una storia che a me piacesse veramente.
Allora, del film c’è solo un embrione, all’inizio, l’ho riscritto poi completamente.
Dell’originale spunto non c’è più nulla.
Nemmeno la colonna sonora.
O i titoli di coda.

Colonna sonora allora.
Io vi consiglio’perché l’ho ascoltata ore, mentre scrivevo, portando all’esasperazione un borgo intero, la canzone che da anche il titolo al filmetto.
 Good Night Irene
scritta da Huddie Ledbetter e John Lomax
e performata (neo-anglicismo?) da Van Morrison, Lonnie Donegan e Chris Barber dal vivo a Belfast

Poi:
 sempre di Van’Moondance in versione originale (lui è quello che l’ha scritta) e Dweller on the threeshould

 per le scene di Irene ed il suo amante(immaginario?)’Werewolf of London di Warren Zevon (tradotta fa Lupi Mannari di Londra, possibile titolo di altra novelletta)

 per Angelo e Anna e il loro sesso, in cambiamento’se volete suggerite voi nel mio blog, o in una mail, o solo pensandolo se volete’ok??? Un film interattivo.

Adesso che il sole è finalmente tramontato sullo schermo del mio laptop,.. a me piacerebbe il sonoro del finale di Ombre Rosse.. sulla fine degli ultimi titoli di coda.
Gli elettricisti, i fonici, i tecnici tutti?
Immaginateli elencati e ringraziati, tutti, insieme al catering, gli stuntmen (che non servivano), e il tecnico di ripresa e gli altri.
Prima che vi alziate e usciate per una pizza tardiva dopo la proiezione, l’ultimo ringraziamento.
Quello che si dimentica, spesso’
Grazie agli spettatori, paganti o meno, per la pazienza di essere arrivati sino al copyright che chiude il tutto, insieme alla marca della pellicola utilizzata, mentre le luci della sala sono già accese tutte.
Grazie.

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