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La Caduta, Atto Ottavo. Delle conseguenze dell’elezione di Amsio Calus e di ciò che accadde.

By 28 Gennaio 2021No Comments

L’intero Impero fu costretto a fare i conti con la morte di Septimo Nero. Nessuno poté dirsi indifferente o non affetto dalla suddetta dipartita. Vi fu chi guardò ad essa con favore, come le Vestali della Dea Madre, convinto che gli Dei avrebbero nuovamente guardato all’Impero con benevolenza ora che il blasfemo che aveva osato dissacrare una loro sacerdotessa era morto.
Ma così non fu.
Amsio Calus, fermamente convinto di dover prendere il potere in mano, contattò mediante vari mezzi ogni singola Legione fedele a Septimo. Di esse, moltissime scelsero di rinnovare i propri giuramenti di fedeltà al Trono, ora in mano al neoeletto Imperator. Le eccezioni furono, la Legio Draconis Crethease, il cui Legato preferì giurare fedeltà a Nimandeo Feral e affrontò tra i monti della Maxedonica le forze lealiste venendo infine distrutta, la Legio Britanica Magna, di Cuthbert Caio Maximo, il quale iniziò lo scisma delle Isole Britaniche e la Legio Subrenia, che preferì seguire il proprio Legato, Melena Fealia durante un colpo di stato all’interno della provincia delle Insulae Cilicee interne. L’attacco scatenò la reazione di Aneristo, governatore della provincia che neutralizzò l’invasore, prendendo prigioniera Melena e, dopo averla seviziata grandmente, fece uccidere lei e i cinquecento prigionieri affogandoli in mare.
Tutto ciò accadde in un giorno circa.

Amsio Calus passò quel giorno a distribuire cariche. Ai suoi compagni di congiura furono garantiti titoli e vitalizi, il vecchio Vonabrius ebbe il suo momento di gloria presso il Senato quando fu eletto Moderator Maximus, titolo che permetteva di interdire il diritto di parola o persino di presenza ai membri del Senato che risultavano sgraditi al consesso, o all’Imperator.
Runa ricevette il titolo di Cronarca, e si applicò per legittimare al meglio l’elezione di Calus per i posteri sin da allora.
Antus Vasio divenne Comes Imperatoris et Magister Militum, assurgendo così alla carica che fu di Serena Prima sotto Septimo Nero. Vannio Sartonio, ex pari grado di Calus, preferì defezionare e offrì i propri servigi a Lina Dosmedea, governatrice di Eprius e oltremodo colpita dalla morte di Septimo che non esitò a denunciare come risultato di una congiura. Il giorno stesso dell’insediamento di Calus, ella e le sue legioni dichiararono l’Eprius indipendente da Roma.

Al termine della sequela di onoreficenze, Amsio si recò nelle sale di palazzo, sino all’ala in cui risiedevano le cortigiane dell’Imperator.
Questa era un ala del palazzo magnifica, con camere e persino delle therame integrate, un luogo di relax. Le cortigiane erano quasi tutte di nobile schiatta ed era loro concessa assoluta libertà di movimento. Le ancelle portavano loro tutto ciò che esse abbisognavano, e si prestavano ben volentieri ai loro giochi, fossero essi innocenti o maliziosi. In realtà, il numero di cortigiane era assai diminuito nel tempo. Dall’epoca di Anthesio Lysander, che ne ordinò la creazione, quell’ala del palazzo aveva ospitato fino a ben cinquanta favolose dame tra le più belle che l’Impero avesse mai procreato. Intrighi e complotti si erano però presto avvicendati tra le camere lussuose del palazzo. La favorita di Lysander fu uccisa da un’altra invidiosa cortigiana, Mirela Sirica e Sonia Hestea tramarono per eliminare Lymanio Pieveo.
Non sorprese quindi che, con il regno di Anatlia Pivea, quell’ala del palazzo fu chiusa e le cortigiane licenziate, o uccise quando troppo scomode.
Simone Nero ristabilì l’usanza ma diminuì il numero delle cortigiane, limitandole a una decina, che fossero però qualitativamente capaci e stupende tanto da stupire l’uomo che le avrebbe potute dir sue. Inoltre stabilì che una di esse (all’oscuro delle altre) gli riferisse tutto ciò che esse andavano dicendo e complottando. La misura ebbe i suoi frutti e quando Domiziana Seconda Medlia ebbe l’idea di uccidere il suo primogenito, venne ripagata con la moneta dei traditori.
Fu spogliata del proprio rango e costratta a divenire meretrice di strada. Morì in età ancora giovane, a causa di malattie e del disprezzo dei più.
Antonio Nero visitò spesso le artiste dell’eros, ma saggiamente non ne aumentò il numero.
Septimo Nero invece schivò le cortigiane, preferendone una sola, assurdamente proprio colei che si sarebbe vendicata dei suoi crimini contro la sua famiglia.
Ma Amsio Calus, giunto che fu alla fiabesca ala del palazzo, non vide invero traccia di Delsia Armisa Peona. La giovane pareva essersi volatilizzata.
Chiese dunque a una giovane dalla carnagione scura, magra e bellissima, i capelli neri e argentei superbamente acconciati. Era avvolta in una veste di seta ma dal design evidentemente non romano, né licaneo. Ella aveva evidenti origini straniere.
-Chi sei, o stupenda signora?-, chiese Amsio.
-Io sono Tributia Erima, ma presso la mia gente sono nota come Efia. Fui ceduta da mio padre per suggellare un patto di non aggressione con l’Impero di Roma.-, rispose lei, la voce roca e sensuale.
-E come finisti nei quartieri del piacere?-, domandò Amsio.
-Septimo Nero, che fu Imperator, richiese che io vi fossi destinata.-, disse lei. Non abbassò lo sguardo, ma Amsio si domandò in quanti avessero avuto modo di godere delle grazie una femmina sì superba. Era costume ed uso dell’Imperator garantire a un suo favorito l’accesso a quell’ala del palazzo. Ma che lui avesse avuto modo di sapere, mai Septimo fece tale grazia ad alcuno.
-Invero, io cerco per ragioni di stato Delsia. Sai per caso ove essa si trovi?-, chiese.
La bella nera arricciò il naso in un espressione di disprezzo.
-No. In verità é da quando il fu Septimo venne a mancare che ella é scomparsa. Mi meraviglio di ciò. Ella era la sua protetta, colei che egli preferiva di tutte noi, la sola che avesse avuto realmente modo di esser da lui posseduta, e di fatto anche quella che tutti noi ritenevamo essere i suoi occhi e le sue orecchie tra noi.-, fu la risposta.
Ciò preoccupò Amsio, ma non più di tanto. Dopo quanto aveva fatto, dopo aver ucciso l’Imperator, era evidente che Delsia Peona avesse deciso di scomparire, forse andando a farsi monaca o Vestale, per placare l’ira degli Dei e mitigare il castigo proprio di coloro che trasgrediscono con sifatta proditoria azione il Mandato del Cielo.
“Ma oramai, chi può invero dirsi ancora ligio a tal dovere?!”, si chiese.
-Mio signore, siete certo di non voler godere della compagnia mia o di quella di altre dame?-, domandò Tributia. Amsio si riscosse dai suoi pensieri. In fin dei conti, avrebbe potuto far cercare Delsia. Ma per ora, dare adito a pettegolezzi sarebbe stato stupido e lui doveva esser ben attento.
La verità trafigge più di una lama. E l’aver svelato la verità dietro alle ingiustizie subite da Delsia era stato il chiodo finale nella bara di Septimo Nero. Ma se ciò fosse venuto alla luce…
Vonabrius aveva abilmente persuaso il Senato, Runa si sarebbe occupata di seppellire la verità sotto una coltre di falsità e menzogne. Amsio Calus avrebbe fondato la sua dinastia. E avrebbe regnato, eternamente, sull’Impero.
E perché ciò accadesse era vitale che ora lui si comportasse come se Delsia fosse stata solo e unicamente uno strumento di piacer suo. Nessuno sapeva che la cortigiana aveva sferrato i colpi mortali e presto, avrebbe dovuto metterla a tacere, in modo che non rappresentasse più un pericolo. Ma sino ad allora…
-Sarebbe un privilegio, per me, poter conoscere meglio sifatta beltà!-, esclamò l’Imperator, -A patto che tu accetti che io ti chiami con il tuo vero nome, Efia.-. Ella annuì lieta. Lo accompagnò sino alle proprie stanze. Ogni cortigiana aveva un’alloggio degno di una regina, con acqua corrente, bagno personale e ben tre serve atte a soddisfare ogni loro esigenza.
Quello di Efia non faceva eccezione, sebbene la giovane l0 avesse modificato per suo gusto.
Appena entrato, Amsio notò la pelle di leone di Sudnea distesa a terra. Vi erano statue tribali in legno scuro, alcuni libri in pergamena, un arazzo che pareva chiaramente di stampo straniero adornava un intera parete, e in un angolo l’altare votivo in legno di palissandro, dedicato a un pantheon di divinità dalle fattezze antropomorfe o totalmente umane.
-Toht, il Dio della Conoscenza.-, disse Efia, notando l’interesse dell’Imperator.
-Lo veneri.-, disse Amsio. Lei annuì.
-Toht sa tutto. Vede ogni cosa. Ed egli é depositario dell’umana e divina sapienza.-, disse.
-È il vostro solo dio?-, chiese Amsio. La nera scosse il bel capo.
-Ve ne sono altri. Ishis, ad esempio. La moglie del custode dei morti, dea della vita.-, disse.
-Essa é simile alla Dea Madre del Kelreas.-, notò l’Imperator. Efia inclinò il capo, dubbiosa.
-Non conosco i culti del Kelreas. Mai ebbi modo di conoscerli, ma presumo che ciò possa esser vero. Ma il Dio degli Dei é Nut-Ra. Egli é congiunto eternamente con sua moglie Geb-Rea.-, disse.
La statua della coppia divina era raffigurata avvinghiata, in un apparente amplesso.
-Essi sono cielo e terra. E in essi é il divino.-, disse Efia, -Ma dubito tu voglia continuare a discorrere degli Dei della mia terra.-. Lui le sorrise, notando il di lei sguardo luminoso.
-No, infatti. Ma dimmi, ti prego, alcuno ti ha onorata della sua compagnia?-, chiese.
-Invero no. Septimo era invaghito di Delsia, ed ella ora é scomparsa senza lasciar traccia.-, rispose la giovane nera, non senza una punta di gelosia, mentre accarezzava piano la guancia di Amsio. L’Imperator si accorse di essere eccitato da tale sottile erotismo. Entrambi sapevano come sarebbe finita, ma era l’intermezzo a deliziarli entrambi. Efia sorrise quando sentì le dita dell’Imperator sulla sua gamba lente salire.
Si voltò, il viso a poca, pochissima distanza da quello dell’uomo. Erano in piedi in mezzo alla stanza, il letto era a poca distanza, un letto regale, sublime giaciglio di amanti.
-Volete del vino, mio signore?-, chiese lei. Lui annuì. Rifiutare sarebbe stato vagamente scortese, sebbene comprensibile. Efia pigiò un tasto. Pochi istanti dopo giunse una serva.
-Mi avete chiamata?-, chiese, gli occhi bassi e il piglio di chi non usa far domande.
-Porta ti prego un calice di vino a me e al mio signore, che oggi mi ha onorata facendomi visita.-, rispose Efia. Il tono era vagamente altezzoso, ma non arrogante. Amsio la guardò.
Era una principessa, ma tutto il lei lasciava trasparire una vita tutt’altro che trascorsa nella bambagia. La domanda gli sorse.
-Mia diletta compagna, dimmi se puoi, cosa facevi al paese che fu tuo? Quali i tuoi obblighi?-, chiese. Lei sorrise, ma c’era tristezza nel sorriso.
-Fui a lungo preparata, come figli e figlie del padre mio re. Tutti dovevamo saperci battere, esser forti, conoscere i numeri e i nomi degli Dei. Era nostro dovere esser umili e ligi al dovere.-, disse.
-E immagino che questo esser qui, a languire, ti faccia sentire a disagio…-, disse Amsio.
-Non particolarmente, ma potendo tornare a cacciare tra le steppe della mia patria, ne sarei lieta.-, disse, -Io e la mia gente siamo predatori, ma sapevamo che Roma ci avrebbe sterminati se solo l’avesse voluto. Così suggellammo il patto. E io sono parte del patto. È giusto così.-.
Nonostante quelle parole, Amsio notò che la giovane aveva abbassato appena la sguardo.
Fece per parlare, ma giunse il vino. Presero i calici e brinadrono, bevendo lentamente.
Calus osservò nuovo quella giovane. Era bella e parlava la lingua di Roma perfettamente e senza accento. Era molto che era tra loro? Forse. Sicuramente avrebbe potuto chiedere, ma perché mai?
Posarono i calici sul mobiletto accanto al letto, che faceva anche da guardaroba.
Poi Amsio la baciò. La giovane lo abbracciò con il trasporto di una giovane sposa, ricambiando il bacio con la perizia di un amante navigata. Si avvinsero in un abbraccio, mentre le mani esploravano i corpi a dispetto degli abiti. Sapientemente, la giovane sciolse il nodo della toga all’Imperator che intanto disfò il complicato nodo che, una volta sciolto, fece sì che il vestito cadesse lungo il corpo della giovane come fosse stato d’acqua. Nuda, la bellezza d’ebano era folgorante: il corpo era privo di grasso in eccesso e non era anoressico, contrariamente ai peggiori timori dell’Imperator. Il seno puntuto si ergeva, sostanzioso ed evidentemente pronto a essere onorato e il sesso, annidato tra le cosce, già pareva aprirsi al tocco grezzo ma non sgradito delle dita dell’uomo. Depilata e profumata, Efia pareva un’apparizione. Amsio si accorse appena della mano di lei sul suo sesso. Prese a masturbarlo piano, sapientemente. L’uomo ricambiò sfiorando i seni, i capezzoli, la schiena di lei, le natiche insolenti e sode, il sesso che s’illanguidiva al richiamo dell’amplesso.
Desiderio. Puro e semplice. Non rimase altro nella mente di Amsio Calus, Imperator in Roma.
Quando lei lo giudicò eretto e pronto e dopo essersi inginocchiata e aver lieta succhiato il membro dell’uomo a capo dell’Impero, si portò verso il letto, lasciando che lui ve la spingesse, dove atterrò con un gridolino. L’Imperator si piazzò tra le cosce brune, sfiorando il sesso di lei ormai aperto e voglioso. Leccò quel fiore roseo e scuro, assaporando gli esotici succhi del piacere di quella predatrice che, a dispetto di tutto, l’aveva già praticamente fatto suo.
Affondò in lei, ritrovandosi immerso in un vaso di miele rovente. Efia salutò l’invasione con un gemito compiacente. Avvinghiò le gambe ai fianchi dell’Imperator, per spingerlo a entrare di più, ad affondare ancora e a restarle dentro, a soddisfare una brama troppo a lungo ignorata o mai realmente appagata.
Calus sospirò. La ragazza era fuoco puro. Si agitava sotto di lui, baciava, rispondeva con ardore ai suoi assalti. Sentì che non sarebbe durato a lungo. Il pensiero che quell’idiota di Septimo Nero avesse scientemente ignorato una simile goduria lo fece sorridere.
Continuò a pompare, affondando nella nera con voluttà, stringendo i seni senza pietà. Lei mormorò qualcosa in una lingua ignota. Poi semplicemente, Amsio sentì la vulva di lei stringersi, e rilassarsi. Aveva goduto. Ma non pareva appagata.
Ben lieto di elargirle ulteriore godimento, l’Imperator uscì da lei e leccò la vulva, sentendo il suo sapore e quello della nera unirsi in qualcosa di nuovo e sublime. Poi, invogliato da Efia, tornò dentro, possedendola ancora nella stessa posa. Quando sentì sopraggiungere il piacere riuscì a sfilarsi e venne copiosamente sul ventre, il sesso e il petto della giovane nera. Rimase ammaliato a osservare il contrasto tra i due colori. Il bianco del suo seme e il marrone della pelle di lei.
Il contrasto più bello. Sorrise.

Chi invece non sorrideva era Serena Prima. Conscia della situazione aveva radunato le truppe.
Non si curò di nascondere le prove dell’ira di Aristarda Nera.
-Uomini! Tutti voi siete eroi!-, esclamò alle sue forze, -Eroi di cui l’Impero ha bisogno. Eroi che Septimo Nero, nostro Imperator, fu lieto di chiamare suoi. Egli me lo disse.-.
Silenzio, la piana antistante il campo era gremita di legionari, centurioni, personale addetto ai mezzi e ufficiali in attesa.
-Ma Septimo é morto. Ucciso in una congiura di palazzo. In vile sprezzo dell’inviolabilità dell’Imperator, egli é morto ucciso da Amsio Calus e altri che ora non conosco.-, disse.
In realtà ella li conosceva bene, aveva persino autorizzato la mossa dei congiurati, sobbillandoli personalmente con il suo piano e poi mostrandosi loro alleata.
Ma le alleanze erano mutevoli, una verità che troppi ancora dovevano riconoscere.
-Non é forse vero? Non avete forse voi sparso il vostro sangue e versato quello del nemico a Brixiate? Non foste fose vuoi, mia indomita legione, miei fedeli camerati durante l’attacco dei barbari alle frontiere? Non versai io con voi il mio sangue?-, domandò Serena.
-Lo facesti, nostra signora!-, esclamò qualcuno. Lei annuì.
-Lo feci. Lo riferei! Sicuramente lo rifarò, mille e mille volte se servisse.-, disse. A quelle parole vi fu un boato di applausi. Scrosciarono per un minuto buono.
-Ho avuto un colloquio con Aristarda Nera, per persuaderla ad unire le forze, vendicare Septimo Nero, suo fratello, vilmente ucciso da Calus e dai suoi seguaci.-, disse, -Ma la mia proposta, lo vedete da voi, ha ricevuto questa risposta. Una risposta che Aristarda Nera ha giudicato appropriata. Sicuramente ella avrà a che pentirsi di tale scelta. Ma non sta a noi, invero, vendicarci. Non lo faremo!-, esclamò. A quelle parole vi fu clamore.
-Perchè?-, chiese qualcuno, -Aristarda é allo stremo. Necessitiamo solo di un ultima spinta!-, urlò un altro, -Non daremo alla dinastia Nera un altro giorno!-, esclamò un altro.
-Ascoltatemi!-, decuplicata dai vox amplificator, la voce di Serena tacitò tutti.
-Noi siamo in questo momento dei paria. Io so che Calus non nutre per me alcuna simpatia. Quel porco vuole tenersi l’Impero. Vuole affossare il nostro valore. E se Aristarda Nera non intende far nulla al riguardo, se per lei patteggiare con quel verme é possibile, allora io mi rifiuto di riconoscerle il dirtto al trono.-, disse.
Silenzio. Ancora. In realtà Serena sapeva che Aristarda avrebbe provato a negoziare, ma di fatto già immaginava l’esito. Amsio Calus non avrebbe ceduto l’Impero tanto facilmente.
-Che sia Aristarda allora a lottare contro Calus. Noi ripiegheremo. Ho già persuaso il Legato Cuthbert a darci asilo. In cambio condividerò con lui alcune informazioni. Egli ci traghetterà sino ai territori controllati da Nimandeo Feral.-, disse.
-Perché non tu signora? Perché non puoi esser tu a regnare?-, chiese qualcuno.
-Perché non é il mio destino.-, rispose lei, -E perché Feral mi conosce bene. Sa che non saprei reggere l’Impero. Ma lui é, per caso o per virtù, l’unico pretendente degno del Trono. E lo appoggeremo.-, decretò, -Noi torneremo. Faremo ritorno per rettificare il torto fattoci!-.
Vi fu silenzio, poi lento, lentissimo, incominciò l’applauso.

Così fu che Serena Prima, prima che Amsio potesse arrestarla, volò con le proprie forze presso le Isole Britaniche e poi, per barbari territori, giunse sino alle città di Cilicia Philadelphia.

La sera, Aristarda Nera inviò una lettera il cui testo recitava:

Ad Amsio Calus, Imperator in Roma. Salve.
Io, Aristarda Nera, sorella di Septimo Nero, ti saluto e mi felicito per la nomina ricevuta.
Porto però un avvertimento, e una proposta.
L’Impero langue nella morsa della guerra civile ormai da troppo. La Battaglia di Brixiate é stata uno spreco di forze e un immensa dimostrazione di abilità bellica che avrebbe potuto ben meglio srvire il nostro Impero. Tuttavia, Brixiate é stata la mia disfatta, seppur non totale, ed ha arrecato ulteriori lutti alla nostra gente, siano essi fedeli a me o al Trono in Roma.
In Numisia, qualcosa é accaduto e un’arma che mai sarebbe dovuta esistere ha annichilito le forze qui presenti. Il Senato ha dichiarato la provincia Perditas.

Le Insulae Britaniche, così lontane, e la Giudecca si sono scisse dall’Impero, e si vocifera che anche la Berenzia stia considerando la secessione. So che le isole non sono che poche province isolate ma tali scismi mostrano come l’Impero dei nostri avi stia cadendo a pezzi, fagocitato dall’idiozia e dall’arroganza dei più, tutto questo a massimo danno del volgo. Senza l’Impero e la civiltà, che ne sarà del mondo? Che ne sarà del genere umano?
E qui, la mia proposta.
Io sono Aristarda Nera, figlia di Antonio Nero, legittima Imperatrix per decreto del Mandato del Cielo, e sono stata privata del Trono solo in virtù della scelta nient’affatto lucida del mio defunto padre. Di fatto, con la morte di Septimo, il Trono é stato affidato a te.
Ma entrambi sappiamo la verità. La conosciamo bene.
Tu non sei un regnante, Amsio. Vorresti esserlo. Ma non lo sei. Sei un arrivista. E se questo ti dovesse insultare, sarebbe solo perché in queste parole c’é verità. Assoluta.
Ma io so, e so bene, che al momento, tu sei il male minore.
L’Impero é pieno di condottieri e governatori ribelli. Signori della guerra privi di qualsivoglia rispetto per il Senato o per il popolo. E io so che tu saresti comunque migliore dei più di loro.
Quindi ecco la mia proposta, la sola che avrai da me.
Ti offro il mio supporto, in cambio del Trono. Ovviamente ti tratterò da mio secondo, con gli onori di rango e ricchezze più che sufficienti a non farti rimpiangere il potere perso.
Hai due giorni per decidere, poi considererò la proposta rifiutata.
Saluti.
Aristarda Nera 

Ma, dopo aver spedito la lettera, le giunse la notizia, da Madridia.
Alexander Varus era scomparso. E all’interno della sua stanza era stato trovato un corpo.
Di qualcuno che Aristarda Nera era sicura essere morto, da molto.
Volò verso Madridia il giorno stesso. Raggiunse la capitale dell’Hiberia in pochissimo tempo.
E appena arrivata sulla scena trovò la guardia a piantonare la zona.
-Una pattuglia é stata ritrovata senza vita. Tutti morti, ferite da coltello. E ora…-, la guardia, un uomo muscoloso dalla pelle scura, -Questo.-.
Aristarda si sporse oltre la porta, guardando dentro la stanza. Sangue. Ce n’era un sacco.
Un coltello bizzarro giaceva in un angolo. Una lama lunga, simile alle armi da corpo a corpo di Licanes. E c’erano delle impronte di sangue, che si perdevano appena giungevano dinnanzi alla finestra. La via di fuga del superstite del… cosa?
Duello? Aggressione? Assassinio? Incontro? O della semplice follia?
Per un istante, Aristarda Nera si concesse una preghiera alla Dea Madre e al Dio dei Morti.
Poi osò guardare il viso dell’uomo. E lo riconobbe.
Socrax, il suo antico precettore, avvolto in incongrue vesti da guerriero. Aveva ferite da taglio lungo mani, braccia e due ampi squarci sul torso avvolto da quelle vesti fuori luogo.
Insensato. Tutto insensato. Si rifiutava di crederci, ma neppure lei poteva sovvertire la realtà. Considerò la situazione.
-Vera?-, chiese lei.
-Mia signora?-, domandò la guardia.
-Raduna una squadra. Cerca il colpevole di questo scempio. Se é Alexander, portamelo vivo.-.
-Non credo sia lui, signora, ma provvedo.-, disse lei.
Aristarda annuì. Tornò verso il proprio trasporto. Doveva muoversi.
Doveva continuare a muoversi per evitare di farsi domande alle quali non voleva avere risposta.
Nella notte, lontano, un uccello solitario s’involò.

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