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La Caduta. Oltre il Confine: Rivelazioni e passione.

By 1 Marzo 2022No Comments

Fu dopo che l’alba ci vide intenti a cercare di riposare, mentre un vento favorevole ci permetteva di avanzare piano lungo la rotta, che Vera Nemlia ruppe il silenzio posatosi.
-Non dormi, vero?-, chiese. Io, occhi socchiusi ma incapace di prendere sonno scossi il capo. Aprii gli occhi. Lei osservava la rotta e il mare, davanti e dietro di noi.
-Temi che ci raggiunga?-, chiesi. Lei annuì.
-Non riuscirebbe. Non senza qualche intercessione divina.-, risposi io. Ma la mia voce mostrava la mia incertezza. Già più volte quella donna mi aveva raggiunto…
-Non capisci: lei vuole la Lama. Non si fermerà finché non la otterrà, o finché non morirà.-, la voce di Vera ospitava una pallida eco del timore. Io scossi il capo, incredulo.
Le domande mi si affollavano nel cervello, insieme ai ricordi, e alla paura.
-Hai detto che è una demone… Sicura che si possa uccidere?-, chiesi.
-No.-, ammise Vera. Mi accorsi che pareva… spaventata? A un livello primordiale, era terrorizzata da quell’essere che avevamo solo intravisto.
-Chi è?-, la domanda mi sorse spontanea. Lei mi guardò, poi abbassò lo sguardo.
-Non mi crederesti se ti dicessi la verità.-, disse. Io mi alzai, avvicinandomi, incurante del dondolio della nave e del fatto che la giovane fosse molto più addestrata di me.
-Tu dimmela.-, dissi. Lei mi fissò.
-No. Non sei pronto. Non…-, io le presi i polsi, stanco.
-Neanche per Socrax ero pronto, ma mi affidò l’Abraxes. Non ero pronto per nessuno, neppure per me stesso. Ma ciò non toglie…-, spalancai le braccia, ricadendo accanto a lei,
-Che ora sono qui.-, dissi.
-Non mi crederesti, te l’ho detto. Dea, l’intera…-, si fermò. Io le presi un polso.
-Vera, sei stata mandata da Aristarda ma ora capisci che la situazione è cambiata. Quella donna ci da la caccia, e non si fermerà. Ci troverà e ci ucciderà. Io lo so e tu lo sai. Quindi, se vogliamo sopravvivere, devo sapere.-, dissi, -Ti prego.-, aggiunsi.
Un sospiro che parve varcare i secoli, poi Vera mi guardò, il viso mostrava… pietà?
Mi abbracciò, stretto. Sussurrò appena alcune parole che non capii, non subito.
Poi capii. “Mi dispiace”, questo stava dicendo. Cercava di dar conforto a un uomo costretto a confrontarsi con un fardello immensamente più grande di lui. Si staccò da me.
-E sia.-, disse soltanto. Incominciò a parlare, ogni tanto dando piccole correzioni alla vela e ai remi.

-Dimentica ciò che sai sulla fondazione di Roma. Dimentica la storia di Janus e Layla, poiché essa non fu tutta la verità.-, iniziò lei. Io annuii.
-Dopo l’accordo, Janus e Layla divennero de facto marito e moglie. Maghera accettò la cosa, ma ci fu un imprevisto. Uno che gettò le fondamenta per nuovi incubi.-, pausa.
-Maghera ebbe una figlia, Layla non la ebbe. Janus tentò, ritentò e ritentò ancora, ma la verità venne palese alla coppia, come confermò Asclepia, somma Apotecaria. I Cimanei, quasi tutti, erano divenuti insteriliti, a causa dell’elisir che li rese tali.-.
-Mi stai dicendo che…-, iniziai io. Vera alzò una mano, imponendomi il silenzio.
-Maghera battezzò sua figlia Shyra. Janus sapeva bene di amare Layla, ma in lui covava ancora il sentimento per quell’amazzone guerriera. La passione non conosce confini di alcun tipo. Non so se Layla li scoprì mai, non ci sovvenne tale risposta, ma sicuro è che Janus infine dichiarò Shyra sua erede, con il nome di Lyca. Per Layla, fu un affronto imperdonabile, una totale ingiustizia, la ferita più profonda. Il tradimento inaridì il suo cuore in polvere di sale, da cui mai più sarebbe potuta nascer vita alcuna.-, disse Vera.
Io rimasi basito. Totalmente spiazzato da quelle rivelazioni.
-Layla attaccò Janus. Uccise due Justicarii, Svetonio e Pluvio, poi attaccò l’Imperator e la sua amante.-. Strabuzzai gli occhi al pensiero.
-Maghera fu uccisa?-, chiesi, incapace di trattenere il quesito.
-No. Si batté, ma la sua perizia era inferiore a quella della sua nemesi. Janus cercò di fermare il duello e fu trapassato dalle lame furenti di Layla.-, rispose Vera, -Maghera fuggì in Kelreas, dove provvide a unificare le due stirpi. La morte di Janus, o forse il rischio di essere scoperta, causò la fuga di Layla. La guerriera abbandonò il morente e si rifugiò altrove, a tessere piani. Noi, i Justicarii e i saggi del Senato, insieme ad Asclepia, capimmo che non vi sarebbe stata possibilità di unione, né di alcun Impero se la verità sulla morte di Janus fosse trapelata, così alterammo tale verità, dicendo che egli era stato chiamato al cielo dagli Dei. Ovviamente la verità era diversa. Purtroppo, Layla trovò chi era disposta a supportarla e fondò la Stirpe. I figli e le figlie ripudiate. Amanti respinte da Janus, uomini e donne figli non voluti. La Stirpe nacque così. E non ci volle molto perché entrasse in conflitto con i Justicarii. La nostra influenza sul Trono andò affievolendosi e rinforzandosi. Lo scontro continuò, e continua tutt’ora. Non è ancora concluso.-.
Io annuii. Cercai tra le razioni bordo, magre. La nave non era pronta a partire, palese.
Trovai una borraccia, passandola a Vera. Lei bevve. Io pure.
-Ma questo… non mi verrai a dire che…-, iniziai io. La guerriera annuì.
-Sì, Alexander. Non ti sbagli. Te l’avevo detto che non sarebbe stato facile crederci.-, disse.
-Layla…-, sussurrai io, -Dopo così tanto tempo?-.
-Sì. Non so esattamente come abbia fatto a vivere tanto a lungo, forse un risultato dell’assunzione di elisir, o magari è veramente divenuta un essere sovrannaturale.-, Vera guardò verso le coste che avevamo abbandonato, -So solo che lei è la stessa donna che, sotto le mura di Licanes portò morte e sfida, la stessa amata da Janus. Una figura che si muove attraverso la storia con colpi di lama mortiferi e sprezzo dei mortali che abbatte.-.
-Ma perché? Cioè, cosa vuole?-, chiesi io. In realtà avevo delle idee…
-La Lama. L’Impero. Vendetta. Tutto questo e molto altro.-, disse Vera mestamente, confermando alcune mie idee.
-È terribile…-, mormorai io. Come poteva un odio simile conoscere sconfitta?
-Lo è. Infinito è l’elenco delle sue vittime, e molte di esse furono guerrieri e guerriere di grande valore.-, disse Vera.
-Quindi è vero? È la stessa Layla che uccise Uthak-Athis, Sacerdote-Re di Utha, guadagnando le laudi di Licanes prima che la guerra scoppiasse tra Licanei e Cimanei?-, chiesi, ancora incredulo. Vera annuì.
-Sul mio onore e sulla mia vita, Alexander, ti giuro che è lei.-, disse, fissandomi negli occhi con i suoi occhi .

Passai minuti lunghi come eoni mentre il senso profondo di quella verità affondava in me.
Era impossibile, ma perché Vera avrebbe dovuto mentirmi? Non ne aveva motivo alcuno.
Ma quella risposta apriva mille altre domande, spalancava baratri di dubbio.
Insieme a quei baratri però c’era qualcosa. Una consapevolezza differente, un sentimento che non aveva nulla a che vedere con la Prima Lama, o con l’essere che ci braccava.
-Vera… Tu potresti riprenderti la Lama, anche ora. Perché non lo fai?-, chiesi.
-Alexander… Io non te la sottrarrò. Lo dovresti aver capito, ormai.-, disse lei.
-E se te la offrissi?-, chiesi. Ero stanco, così stanco da desiderare solo che finisse, anche dopo quelle rivelazioni. Lei osservò l’arma appoggiata sui palmi delle mie mani.
Con lentezza straziante, strinse le sue mani attorno alle mie, chiudendo le mie dita sulla reliquia maledetta.
-Questo fardello è il tuo, Alexander. Io non posso portarlo per te. Lo capisci?-, chiese.
-Io… No. Non capisco. Non capisco più nulla. Gli Dei e i loro trastulli, la lotta dei Justicarii contro la Stirpe…-, scossi il capo, guardandola.
-È morta gente per questo pezzo di metallo maledetto. E altra ne morirà.-, la mia voce era rotta dal pianto che sentivo vicino. Vera mi osservava e basta. La bionda attendeva.
-Quanti altri morti? Quanti altri per vedere la fine?-, chiesi. Silenzio, ancora.
-Perché dev’essere così?-, chiesi. Lei mi osservava, le sue mani ancora strette alle mie.
-Perché così è, Alexander. Non esiste che sia in altro modo.-, rispose Vera Nemlia, -Puoi maledire gli Dei tutti se vuoi, ma non cambierà ciò che è ora.-.
-Non ha senso! Perché affidarla a me? Perché non a te, o a qualche altro guerriero?-, chiesi.
-Perché tu non sei come noi. Non ancora.-, disse Vera prendendomi per le spalle.
-Socrax ha visto qualcosa in te. Un anelito di purezza, di giustizia, di verità. Il bene, forse, quello così facile a smarrirsi, il rispetto per la vita. L’anelito a essere migliore di tanti.-, disse. Mi piantò gli occhi addosso, e io guardai senza timore.
-E mi stai dicendo che nessuno di voi sarebbe stato altrettanto puro?-, chiesi.
-I Justicarii sono sempre nati dal desiderio di combattere il male, siamo guerrieri come altri, ma le nostre lame servono un diverso fine.-, spiegò la giovane, -Noi siamo questo: lame al servizio della giustizia. Quando il male avanza tuttavia, anche la giustizia si piega.-.
-Cosa stai cercando di dire?-, chiesi.
-Vi furono a suo tempo uomini e donne che riuscirono a piegarci ai loro fini, a ingannarci.-, raccontò Vera, -Tu non subirai simili malie. Per questo Socrax ti ha dato l’Abraxes, la Prima Lama, perché tu fossi in grado di forgiare il futuro. Sia come sia, tu ora hai il fato di Roma, e di tutto il mondo, nel tuo pugno. Altri avrebbero già usato un simile potere, senza ritegno. Ma tu no. Lo rifuggi, lo custodisci ma senza cader preda del suo fascino. E anche solo questo ti rende diverso. I Justicarii l’avrebbero usato per favorire un candidato o l’altro, la Stirpe avrebbe fatto lo stesso. Tu no.-.
-Non sono un eroe…-, risposi. Staccai le mani dalla lama, lasciando che cadesse.
-No. Ed è per questo che sei migliore di molti di noi.-, ammise Vera. Colsi qualcosa nel suo sguardo. Ammirazione? Affetto?
-Non mi sento migliore…-, ammisi. Mi accorsi che eravamo vicini, che sorrideva. Mi accorsi del mio cuore che batteva, del suo tocco, così delicato ma sicuramente capace di ferire se solo avesse voluto. Mi accorsi del desiderio che, malgrado la recente morte di Fatma, sentivo. Mi vergognai di considerare Vera Nemlia una bellissima donna, oltre che l’unica alleata che avevo in quel viaggio solitario.
-Dove siamo diretti?-, chiesi, cercando di sfuggire a quei pensieri.
-Isole Gerniae. Sono abitate da piccoli villaggi di pescatori. Ci riforniremo e faremo rotta verso la nostra destinazione. Il luogo dove tutto questo può finire.-, rispose Vera.
-E i tuoi ordini?-, chiesi con stupore. Lei sorrise.
-I miei ordini sono cambiati.-, rispose. Annuii mentre vedevo le isole stagliarsi in lontananza dinnanzi a noi.

Approdammo sulle rive della Gernia Minore, l’isola più piccola. Trovammo cibo e acqua.
Ligi alle leggi dell’ospitalità, gli abitanti ci concessero un’abitazione. Potemmo finalmente riposare. Il giorno successivo ripensai a tutto. A ogni cosa. Era accaduto tutto così…
Così repentinamente. Avevo odiato Vera, ma avevo odiato soprattutto me stesso.
Per la mia debolezza, per non aver mai preso in mano il mio destino e soprattutto, per non aver saputo capire… Osservai la Prima Lama.
-Io sono il tuo custode.-, dissi piano. La Lama, pezzo di metallo freddo immobile, attendeva. Pareva attendere un’altra mia parola. Una mia comprensione.
O una mia decisione.
-Io sono il tuo guardiano.-, dissi. Niente. Ma era tutto lì. Custode? Guardiano? Ero questo?
-Io sono…-, cominciai. Mi fermai. No. Non era su di me che doveva cadere l’attenzione.
Studiai la lama, il suo profilo brutalmente efficiente, il suo tagliente affilato, la sua forma aggressiva. Un idea mi balenò alla mente. Una comprensione che sfavillò un istante, prima di sparire di nuovo. La appoggiai. Sentii la porta aprirsi. Era sera, avevo già cenato…
Chi poteva essere? Mi voltai.
Vera Nemlia entrò, il viso sorridente nelle vesti che una delle donne del villaggio le aveva donato. Mi guardò. Io la guardai. Desiderio, di nuovo. Prese a scorrere nelle mie vene, a dettare il ritmo. Ma non era giusto, Fatma era morta da poco e…
E io ero vivo. Non era forse giusto che io gioissi di quella vita? La domanda mi fece pensare. Era così? Il lutto era solo ipocrisia a lungo termine, un modo per autoconvincersi di aver onorato i morti prima di continuare a vivere?
-A che pensi?-, chiese Vera. Io scossi il capo.
-Niente di che… Che ci fai qua?-, chiesi.
-Oh, nulla di che.-, rispose lei. Si avvicinò di un passo. Calcolai la distanza.
Avrebbe potuto colpirmi, o abbracciarmi, da quella distanza. Arretrai di un passo.
-Non mi dire che hai paura…-, fece lei con un sorriso che ne fece risaltare i denti bianchi.
-No… è che…-, iniziai. Lei annuì.
-Fammi indovinare: una donna? Morta a Fez?-, chiese. Scossi il capo, -In mare?-, chiese.
Annuii. Vera sospirò.
-Credimi, avrei voluto che le cose fossero andate in modo diverso.-, disse.
-Lo avrei voluto anche io, ma tanto varrebbe volere la luna, no?-, chiesi.
-Sì. Ma soffrire è umano. Come è umano riprendere a vivere.-, rispose lei.
-Mi sembra… un tradimento.-, ammisi. Sputai le ultime parole con rabbia.
Vera annuì. Rispettò. Si sedette sul letto.
-Vedi, presso le genti di Licanes il lutto è un dovere morale. In Kelreas la vediamo diversamente. Le Amazzoni non comprendono perché dovremmo smettere di vivere, siccome coloro che ci hanno lasciato non lo vorrebbero.-, spiegò.
-Tu sei del Kelreas?-, chiesi. Non ne aveva i tratti. Lei indovinò i miei pensieri.
-La mia famiglia comprendeva numerose Amazzoni. Mia madre fu l’ultima di loro. Mi allevò come una guerriera.-, disse. Io annuii.
-Ho sempre saputo che le amazzoni sono più…-, cercai una parola che non fosse offensiva.
-Libertine?-, indovinò Vera. Io sospirai, con un sorriso.
-Stavo per dire “passionali”, ma vedo che non vuoi andare per il sottile.-, dissi.
-No. Preferisco evitare l’ipocrisia. Non serve a nessuno. Soprattutto, non serve a te.-, disse lei. Io annuii, incerto su cosa dire o cosa fare. Nella mie mente si battevano due forze nemiche: la volontà di seguire i miei desideri e la consapevolezza della ragione.
-Non fraintendermi… Mi piaci…-, iniziai io, incerto ma deciso a parlare, -Ma…-.
-Ma non sai se io ti voglia, vero?-, chiese Vera. Gli occhi verdi sfavillarono. Avevo la bocca secca, e sentivo il cuore battere come una grancassa. -Sì.-, ammisi.
-Voi uomini non siete proprio svegli, da questo lato.-, celiò la giovane con un sorriso.
Io annuii. Stavo ancora cercando di capire come rispondere, quando si avvicinò e mi baciò.
Fu un bacio lento, sensuale. Mi scosse sin nel profondo. A tentoni, capii che mi piaceva. Che non volevo che finisse, che non volevo che smettesse, e che non volevo vivere nel dolore. Afferrai Vera Nemlia, lasciando che la mia e la sua lingua s’intrecciassero, cercassero, trovassero e perdessero. Il cuore batteva forte. Sentii i suoi muscoli.
“A letto non sarà certo un agnellino…”, pensai. Lei sorrise quando si staccò.
Eravamo ancora abbracciati, avvinti, sospesi in un tempo nostro soltanto.
-Ho risposto alla tua domanda?-, chiese Vera. Il suo desiderio era intuibile dallo sguardo.
-Sì…-, sussurrai, -Ora lascia che mi faccia perdonare.-.
La baciai, con altrettanta passione. Ci perdemmo e cercammo di nuovo, le mani che si insinuavano tra le vesti, a sciogliere, scoprire, trovare, carezzare e tastare.
La veste di Vera cadde al suolo. Non aprii gli occhi. Non ancora.
Sentii le sue mani sul petto, poi sulla schiena, poi a togliermi le vesti. Il mio membro libero svettò in alto, fiero e turgido. Incontrò il pube di lei, depilato. Lei sorrise.
-Possa la Dea Madre benedire il nostro incontro.-, disse.
-Possa la Dea Madre benedire il nostro incontro.-, risposi.
La guardai. Era bella. I muscoli non la rendevano brutta, né pregiudicavano il suo fascino. Il viso dagli occhi verdi e i capelli biondi era bellissimo e i seni, sebbene piccoli, donavano ulteriore femminilità a un corpo che pareva tanto adatto alla battaglia quanto al talamo.
Ci baciammo di nuovo. Fui trascinato fuori da me stesso, scaraventato in un universo di sensazioni e carezze, di brame ed emozioni a fior di pelle. Brividi scorsero sulla mia pelle mentre Vera carezzava punti sensibili e sentii fremiti sulla sua mentre baciavo collo e petto. I seni in particolare la portarono a scuotersi come in preda a un primo orgasmo.
-Sì…-, mormorò lei. Mi premette la testa contro i seni. Cercò il mio sesso con l’altra mano.
Trovatolo, prese a manipolarmi piano. Sorrisi. Ero carico, mi sentivo pronto.
-Continua…-, mormorò lei quando, sdraiati sul letto, immersi il capo tra le sue cosce.
La sua vulva era lì, già rorida e pronta. La onorai piano, con lingua e dita, gustando il suo piacere dolce.
Vera gemeva forte, stringeva il mio membro con perizia e senza permettermi di venire.
Non che fosse mia intenzione, intendevo poterla soddisfare pienamente. Leccai la sua intimità gustandone gli umori e accarezzai il bocciolo scuro dello sfintere.
-Piano…-, sussurrò lei mentre carezzavo l’ano della donna, la mia lingua persa tra le pieghe del suo più caldo e sensibile antro. Annuii. Sentii qualcosa avvolgermi il membro, un torrido piacere che mi spinse a inarcarmi, affondando la mia virilità in quella che capii essere la bocca di Vera. La bionda emise versi inarticolati. Io continuai a leccare.
La sentii stringermi il capo tra le cosce quando un ennesimo scuotimento la travolse.
Avrebbe potuto uccidermi, ma il pensiero era lontanissimo da me. Il mio desiderio era montante, la volevo e la volevo ora. –Ti voglio…-, mormorai. Lei si tolse il mio sesso dalla bocca e cambiò posizione, lasciandomi a giacere e impalandosi su di me.
-Oh! Sì! Sì!!!-, esclamò lei. Ansimava, respirando a bocca aperta, il viso trasfigurato da un piacere selvaggio. Lo stesso piacere che doveva essere visibile sul mio viso. Strinsi i suoi seni, manipolando piano i capezzoli. Vera s’irrigidì prima di accelerare il ritmo della cavalcata, l’improvviso orgasmo che la scosse e strinse il mio sesso con i muscoli più segreti, gli occhi semichiusi nel piacere. Era troppo. Rischiavo di perdere il controllo…
-Vera… io.-, iniziai.
-Godi! Godi con me!-, mi ringhiò mentre continuava a cavalcarmi. Si abbassò a baciarmi.
Sentii un bruciore sul petto. Mi stava graffiando? Quell’atto mi scatenò qualcosa dentro.
-Non ancora.-, sibilai con un ghigno. La disarcionai. Lei spalancò le gambe, accogliendomi.
Una resa dichiarata. Affondai nel suo sesso con vigore. La sentii avvinghiarmi con braccia e gambe, come a volermi impedire di fuggire. Infine le godetti dentro, con un grido cui lei fece eco col suo. Sentivo un bruciore alla schiena, ma nel marasma di sensazioni mi fu impossibile riuscire a definire qualcosa.
Fu minuti dopo, quando giacemmo vicini, i respiri lenti, i cuori ancora battenti nel languore dopo l’orgasmo e i visi lieti, a dirci frasi che non avevano senso, che capii.
Le unghie di Vera mi avevano graffiato la schiena, con foga. Sorrisi alla sua espressione.
-Ferite di guerra.-, dissi. Sorrise. Sentii il sonno prendermi. Crollai, accanto a lei.

La visione mi giunse rapida. Un sogno febbrile.
Quando mi svegliai, con Vera Nemlia al mio fianco, capii.
-Vera…-, sussurrai, -Vera, svegliati.-, dissi scuotendola. Lei spalancò gli occhi.
-Dobbiamo andare.-, dissi, -Ho… ho capito ora.-, non sapevo come spiegare.
Lei, appoggiata su un fianco, mi osservava, confusa.
-Ho capito cosa devo fare. E come.-, dissi, -Ma dobbiamo andare. Ora.-.
-Va bene…-, sussurrò lei, improvvisamente conscia che ero serio. Mi baciò, di nuovo.
Io assaporai il momento, ma non tanto da perdere la lucidità.
Ora sapevo. Avevo visto. Avevo capito la mia strada. Ma avrebbe richiesto altro.
Ripartimmo il giorno stesso, verso un altro luogo, già noto.
Lasciammo agli abitanti la nostra barca, prendendo una delle loro zattere.
Generosi, ci offrirono cibo e acqua per il viaggio.
Io guardai verso l’orizzonte. Avevo finalmente capito. C’era voluto molto, ma c’ero arrivato.
Non sarei fuggito dal mio destino. Non aveva senso farlo.
Potevo solo accettarlo. Ma non incondizionatamente.

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