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Erotici Racconti

La Donna delle Tre di Notte

By 2 Novembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Esiste un confine poco netto.
E’ il confine tra il sogno vissuto e la realtà sognata.
(Faber03)

Prologo

La storia che inizio a scrivere per voi adesso è la storia che mi è stata raccontata.
In sogno da un amico.
Che ha occhi azzurri quasi grigi come i miei adesso.
E le mie stesse emozioni spesso.
Lo trovo a volte in me quando mi rifletto in uno specchio.

Ok. Ora, comincio.
Comincio per davvero.

L’uomo che, per chi lo conosce, ha un nome, qui posso dirvi solo quello, è a casa.
La casa abituale.
Delle realtà quotidiana, rifugio costruito nel tempo a proteggere e coltivare attimi di vita e di famiglia.
La casa si snoda in poche stanze, in fondo, appena appena sufficiente per le persone che ci vivono da tempo.
Affaccia su un fiume di persone in compenso. Spesso l’uomo, si mette a guardarle scorrere sotto le finestre del soggiorno.
Segue quel fiume e quell’onda che fluisce, si incrocia, si frange e poi si ricompone.
Quell’onda ogni volta suona una musica diversa, groviglio di voci e di rumori.
Ha volti diversi.
In questa stagione Marco, l’uomo, guardando fuori, poi si bea di mille donne in fiore.
Ama le donne Marco, anche quelle che a volte solo sfiora nell’incrocio dello sguardo e di un passo affrettato sulla strada del lavoro.
A volte si sorprende anche a seguire un corpo sconosciuto con lo sguardo in quegli incontri che nella sua vita sono solo fotogrammi, ma non è sguardo.. diciamo strano.. solo una carezza del pensiero, un desiderio che svanisce appena si è solo abbozzato e si rinnova poi un secondo dopo, solo, su altri occhi, altre curve, altri pensieri letti in fondo nella fase dell’incrocio.
Marco da lì guarda il fiume e le donne di giornata.
Che sciamano rincorrendo i loro piccoli quotidiani amori, parlando a volte con loro, gestendo anche nel camminare la loro seduzione. Piccola seduzione quotidiana di passi, scostamenti, muovere di testa e spettinare e pettinare, risate o movimenti impercettibili del viso.
Questa è la stanza. La stanza coi balconi, le finestree, i due divani. Azzurri, uno riservato a Marco per tacito contratto.
Angolo di lettura, chiacchiere, televisione sprofondata nei cuscini, abbracci, pensieri.
Poi due camere da letto, un corridoio, un bagno, armadi a muro, una cabina chiusa piena di oggetti accumulati e celati alla vista di chi cerca ordine e ragione.
Tutto qui, e sotto il fiume ininterrotto di vite estranee e rumorose.
Capita da tempo all’uomo, Marco, di tirare particolarmente tardi la sera, anzi la notte.
Rinvia il sonno, computer, un libro, la televisione, quei canali così strani e folli che il satellite porta in casa, finestre anche quelle su altri fiumi indistinguibili di parole e flutti di persone.
A volte Marco addiritttura si rialza dal letto, la lascia mentre dorme accanto e si ritra nella stanza dei divani.
Da tempo Marco, che, al piano basso a cui la casa è situata, un po’ ha sempre avuto il timore di un ladro od un intruso nella notte, da un po’ Marco, dicevamo, quando la sera è parecchio avanzata, si alza e lascia socchiusa la persiana e la finestra del balcone, a cogliere così anche gli ultimi rumori sciamare piano piano, eco di sottofondo ai suoi pensieri.
Il balcone da sulla via di fianco.
Meno frequentata.
Marco lascia socchiuso, torna al divano, ormai è notte inoltrata e attende.
Il sonno.
Il suo appuntamento e quel risveglio strano.
Il sonno.
E la donna delle tre di notte.

La prima notte nemmeno pensava che esistesse.
Il sonno era sopravvenuto, inaspettato, sfumare di cervello impercettibile e poi l’onda lunga del respiro lento e regolare…
Sdraiato sul divano Marco aveva ceduto davanti a un film che aveva atteso sino a tardi.
La finestra era rimasta aperta per errore.
Poi la mano.
A carezzargli il viso e poi a posarsi sulla bocca ad impedire ogni suono di paura o di stupore.
La mano della donna.
L’orologio alto sul muro.
L’ora.
Le tre esatte.
Della donna Marco coglie per prima cosa.. dopo il calore della mano posata con dolcezza e con fermezza sulla sua bocca a fermare ogni suono di allarme o di stupore, al tempo stesso, gli occhi.
Azzurri come i suoi, più azzurri forse dei suoi che sono diventati agli grigi un poco come quelli del narratore, sorridenti a dire.. non parlare, non chiedere, non temere.
Marco soffoca la domanda.
La donna fa scivolare allora a terra l’abito, una tunica quasi, pochi bottoni a nascondere e poi disvelare, che indossa.
Resta nuda, in piedi, lì a fianco del divano.
Sorride a Marco che non osa nemmeno chiedere chi e perché e nemmeno come.
La donna sfila a Marco i pantaloncini che indossa, nella fuga da giacche cravatte e orpelli maleolenti di lavoro, lo lascia in maglietta e comincia a carezzarlo con la mano.
Non sembra quasi che nel gesto vi sia intenzione.
Nessuna intenzione o fretta di eccitare.
L’eccitazione nasce quasi da sola, come se fosse la cosa unica spontanea e naturale, da sempre lì, in attesa di essere evocata.
Carezza e mentre carezza e fa indurire, sorride come a dire ..aspetta’
Marco vorrebbe chiedere, reagire, capire il gesto e la persona, la donna di Marco dorme in fondo al corridoio ormai da ore.
E se si sveglia?
Marco tace e si perde in quella mano che ora serra anche i suoi pensieri.
La donna tiene Marco ora serrato stretto e caldo nella mano.
Sale a cavallo dell’uomo sul divano, butta indietro i capelli nel farlo.
Marco realizza solo ora appieno del desiderio suo che si è fatto teso e di quanto la donna, il suo sorriso e il suo corpo siano belli.
Marco trattiene il fiato.
La donna serra la mano sul sesso di Marco e si solleva a cavalcioni.
Lo appoggia sulle labbra tra le cosce, lo guida solo un secondo ancora con la mano.
Toglie la mano, appena sente la punta socchiuderla all’inizio, tra le cosce, e scivola su Marco. Si ferma, seduta sulla sua cavalcatura umana, ancorata alla sella che ne ha fatto, dal suo cazzo.
Prende nelle sue le mani di Marco e se le porta al seno.
Marco sente la carne calda sotto il palmo, quasi è bloccato in quel momento, i suoi nervi sono tutti là sotto, in quell’abbraccio fondo e totale, in quel calore, umido avvolgente elettrico, e non osa serrare.
La donna allora china il corpo in avanti. Il viso scivola così, calando sul suo viso, come prima il sesso sul sesso.
La bocca chiude il ponte quando trova la bocca.
La lingua chiude il circuito elettrico tra loro.
Due corpi che si fanno ponte.
Corto circuito dei nervi e della tensione.
Le bocche della donna.
Entrambe a chiudere il contatto.
In mezzo, tra i sessi incatenati e le bocche che si esplorano e si incollano, i corpi.
Le mani.
La pelle.
Nella calata del viso e dei capelli sul viso di Marco, i capelli scesi in avanti di lei a fare tenda, sono profumati e morbidi sul viso di Marco, sfiorano solleticano carezzano e si posano piano.
Scesi a fare tenda e offuscare la luce lattiginosa del televisore, acceso nella stanza, e poi, la spinta delle reni.
La donna che calando spinge indietro il bacino.
Marco le sale dentro ancora, almeno così sente lì, anche se più di così salire non sarebbe mai potuto, già affondato.
Mentre lei spinge, sale, anche se era impossibile davvero che ci fosse ancora salita in quella posizione, sale con tutto il corpo quasi o almeno così sente.
Il pube incollato al pube,
La prima spinta indietro della donna con le reni e col bacino, il ventre suo che nel farlo si posa su quello di Marco, poi un’altra, e un’altra ancora.
Il ritmo che si fa accelerato.
Trova le pause e rimanda.
Tortura nell’attesa e bea nella piena sensazione quando è fermo.
Poi riparte.
Ancora e ancora, a scrivere una canzone.
Fino a che i due corpi più non sono ponte ma pelle accalorata che si tocca, adesione millimetrica di corpi, e, unico movimento, adesso, dopo le contrazioni, poco più in alto dei loro ventri bagnati e del liquido sulla pelle che si fa freddo in fretta, il contrastare del ritmo del respiro. Dopo.
Respiro di polmoni che si sente anche nel ventre. A spegnersi, rallentare scemare.
Un tramonto insomma, in fondo.
Marco non sa come lei si entrata né chi fosse.
Né come poi e quando lei sia uscita dalla stanza.
Marco si era ancora addormentato, dopo.
Si sveglierà più tardi.
Alle cinque passate.
I boxer a terra. Il sesso sciolto posato a riposare sulla pancia, scivolato nel sonno un poco a lato.
Si sposterà in camera da letto, dimenticando la finestra socchiusa.

Questo la prima notte.
E poi le altre.
Un appuntamento.
Nato così, e senza che nemmeno Marco ci sperasse in fondo, all’inizio, l’appuntamento rinnovato.
Il rinvio programmato, questa volta, del sonno, la sera, sdraiato mollemente sul divano.
La finestra lasciata coscientemente aperta.
E la domanda.
Le domande anzi.
Chi, perché, alle tre stanotte, ancora?
L’attesa. A volte Marco fatica anche a prendere sonno nell’attesa.
L’una.
Le due.
Poi arriva il sonno, telecomandato delle voglie.
La differenza, già dalla seconda notte, tre giorni dopo.
Il cazzo di Marco già eccitato, che attende insieme a Marco.
Lei arriva ancora, silenziosa, come volasse quasi sul pavimento vecchio, di solito scricchiola sempre, anche al solo passo leggero di un bambino’
Scivola sul tappeto, a centro stanza, senza nemmeno spettinarne il vello.
Trova Marco che attende, dorme Marco, ma nel sonno è già pronto all’appuntamento.
La donna lo trova già duro e lo stringe sorridendo soddisfatta nella mano per svegliarlo.
Ancora, nessuna domanda e nessuna parola.
A non risvegliare, col rumore della curiosità e del sorriso ritrovato, chi dorme due porte dopo, in fondo, là, al corridoio.
La donna è nuda.
Ma quando si è spogliata ?.. si domanda Marco’.
Sul divano azzurro, lo stesso, la donna circonda col suo corpo il viso di Marco, affondando le ginocchia sul cuscino.
Il culo della donna offerto agli occhi e il sesso sotto.
Marco sente i capelli di lei carezzargli le cosce, il bacino, il ventre.
Poi affonda liquido nella sua bocca.
La donna abbassa le reni e Marco ora la bacia.
Schiude le labbra con le labbra e poi la lingua un po’ timida e poi sicura, carezza piatto con la lingua a farle cedere e gonfiare e offrire l’apertura.
Percorre il taglio con la lingua e poi l’affonda. La fa sesso tendendola mentre la esplora dentro.
Esce.
Carezza.
Torna.
Nega e rinnova.
Sfiora un pulsante che trova in fretta, ci gioca, si bea della sua piccola tortura.
Rifiuta di seguire il ritmo della bocca di lei.
Non vuole che lei sappia quando e come e esattamente dove’
Spezza il suo ritmo. Lo fa diverso apposta.
Là, ai piedi del divano, dove le gambe di Marco, divaricate, posano una a terra e l’altra alla spalliera, lei gioca con le mani e con la bocca.
Marco non sente a momenti quasi nè labbra nè lingua.
Solo un mare che tocca e che lo tocca.
Un mare un po’ più denso e caldo e fasciante e avvogente, tattile quasi, dell’acqua che conosce. Acqua di bocca, calda, che allontana e fa desiderare il contatto un po’ più stretto e forte.
Poi le labbra si serrano e la lingua si fa cucchiaio. Stringe il corpo e l’asta.
Accoglie e si fa conca.
Risale diventando più dura nel piccolo sforzo della risalita lungo l’asta.
Allora Marco schiaccia più forte il viso e allarga con quello, il viso a schiantarsi sulle labbra, a chiudergli quasi il ritmo del respiro, apnea di un bacio che si schiaccia e si schiude negandogli quasi lo spazio e l’agio.
La lingua sotto, piatta, a spingere e farsi conca anch’essa come quella di lei, come se raccogliesse con un bicchiere l’acqua alla fontana, quando il getto è radente e appoggi il bicchiere al muro, a cercare la goccia lunga e continua, che vi fluisce strisciando, radente, dove è verde di muschio e di alga dolce il muro della fonte.
Marco al risveglio, dopo, ‘ la donna se ne sarà già andata quando Marco si sveglia, ‘ ricorda ancora nitidi e caldi al pensiero, piccola nostalgia di un momento, quei movimenti delle anche sotto le sue mani e sotto la sua lingua, quasi a dirgli.. fermati per favore.. e contemporaneamente,.. ancora’
E la stretta di lei, a rendere pariglia in quei momenti di fiato sospeso, a spremere con la mano e con la bocca, fino a non sentire più tra le labbra nemmeno l’ultimo di quei sussulti.

La storia è andata avanti per settimane e settimane.
Mai una parola o una domanda. Mai.
Il divano azzurro.
Le tre di notte.
L’appuntamento senza le parole.
Il sonno, il risveglio, il sonno ancora. E poi.
E poi i passi di Marco in corridoio, verso il letto e la sveglia a meno di tre ore.
Marco, in queste settimane, di lei ormai sa tutto.
Quello che forse c’era da sapere.
Il viso, il seno, gli occhi, il sesso, i ritmi e i tempi.
La sente arrivare, sera dopo sera, prima che arrivi, anche se già dorme.
Lei lo trova lì.
Notte dopo notte.
Su quel divano azzurro’attende.
Pronto per lei e per il nuovo incontro.
Il loro incontro.
Di lei Marco, oltre a questo, non sa niente.
Chi, dove, perché, nemmeno il nome in fondo, né da dove, veramente’
Domande che nemmeno ha mai osato farle.

Fino a una notte strana.
La notte che Marco dimenticò la finestra chiusa.
Sono le piccole cose a cambiare le cose nella vita, sempre.
Mai quelle grandi.
Basta, alle volte, tra le persone una parola di troppo, oppure, per sottrazione e non per addizione, una di meno.
La matematica della relazione, fatta di tanti piccoli zero e non di cifre tanto lunghe da essere illeggibili alla fine.
Non discorsi, assolutamente,’ parole. Singole, uniche, isolate a volte.
Oppure un gesto.
Fatto o non fatto.
O la scelta dei tempi e dei momenti.
Le piccole cose che fanno le differenze e che nel farsi differenze diventano grandi e pesanti.
Difficili a rimuovere se non ne hai la forza, dopo.
Nella vita, nell’incontro di parole e di volti, nel sesso e nell’amore.
Una finestra chiusa per sbaglio.
Basta e avanza.
Per paura di un temporale che minacciava.
Oppure perché, quella notte lì, solo quella, c’era vento, in una città che spesso affoga nell’afa e non conosce movimento d’aria nella notte, mai, ma quella notte il vento c’era e la persiana sbatteva.
La notte, quella.
Alle tre Marco sul divano azzurro si sveglia, da solo.
Andrà poi a letto, in fondo al corridoio, in quella stanza, circa un’ora dopo.
Per una finestra chiusa e un temporale di inizio estate che dopo aver girato, nero della prima calura a sfiorare i tetti e le antenne, gonfio di minaccia non mantenuta, è andato a piangere poi altrove.
Su altre case e altra gente. A fare sbattere altre persiane e finestre dimenticate aperte.
La notte, quella, allora.
E quella dopo. Quella dopo ancora.
Da settimane la donna delle tre non entra nella notte dalla finestra socchiusa.
Marco prova a dormire, ripete i gesti.
Come se fosse un rito. Vorrebbe ritrovarla, in quel rito. Con quel rito.
La finestra è sempre aperta adesso. Che poi ,è anche estate ormai, e non c’e’ più nemmeno il rischio che venga chiusa neanche più di giorno, anche per sbaglio, da altri.
E’ il lato in ombra della casa.
Quello che offre un po’ di fresco e di ristoro.
Quello da cui entra un po’ d’aria.
Di aria a rinfrescare le giornate più afose.
Di aria e di profumo di donna alle tre di notte.
Il lato della casa da cui entrano i sogni.
I sogni. A fare battere il cuore.

Postfazione

Questa è la storia di Marco e della donna delle tre di notte, così come Marco me l’ha raccontata.
Non mi ha narrato’ tutte tutte le notti.
Né io gli ho chiesto altro. Nemmeno di quelle in cui, a volte, quasi quasi, gli sembra che lei torni ancora.
Lui credo non sappia davvero, di queste ultime notti, così, se sia sogno o realtà quello che sente arrivare.
Ma questo non me l’ha davvero raccontato, l’ho letto solo nel fondo grigio dei suoi occhi.
A me, della storia di Marco e della donna delle tre di notte, è piaciuta soprattutto una cosa.
Che in fin dei conti, eccitazione, sesso, corpi e baci, mettiamoci pure tutto, ma l’eco che ne resta è quello di una fiaba.
Una bella fiaba, per me, che ho provato a raccontarla.
La fiaba dell’uomo che sogna e della donna delle tre di notte.
In fin dei conti in ogni fiaba si incontrano due sogni e due sognatori almeno.
Anche in quelle scritte e sentite da bambini.. il sogno e il sognatore, chi scrive.. il sogno e il sognatore,.. tu che ti ci sei perso dentro tante volte.
Come le storie vere tra le persone, che sono sogni, sognati insieme, in fondo. E quindi fiabe. Le fiabe da bambino le senti e le riascolti.
Qualcuno giorni fa ne enumerava alcune. Quelle che non scorda nemmeno adesso.
Era quasi una gara, anzi, tra persone
‘io ricordo questa..io ‘ questa’.
Chi su libro, su disco, su nastro, o dalla voce di persone che magari ora sono lontane davvero, nel tempo e nel ricordo.
Le fiabe, loro, te le porti dentro, sempre. Da sempre.
Nessuno le ha dimenticate.
Nemmeno Marco.

Ma finisce proprio così? Davvero?..

Se chi legge ha una smorfia strana adesso, io, che della fiaba sono qui il testimone, aggiungo un’idea.
So che Marco, che della donna delle tre di notte ha scolpito in mente ancora adesso tutto, la cerca per le strade.
Nella città, un volto, un suono di respiro, il movimento dei passi che conosce.
Nella fiaba, appena letta, questo non c’era scritto.
Sarà, penso, spero, argomento buono per raccontarne un’altra.
Perché all’uscita di una metropolitana, un giorno che magari Marco nemmeno in quel momento ci pensa, la donna delle tre di notte se la troverà davanti.
Scommettiamo?
Saranno magari le tre del pomeriggio’ ma che c’entra questo?
Nelle fiabe, anche se per adulti, con dentro corpi e sesso e voglie e carne che si fa calda, tutto è lecito e concesso.
Sono concessi draghi, lupi parlanti, pantere, orchi e fattucchiere e cavalieri erranti,.. peggio che nella vita in fondo, o come nella vita, direi, soltanto, meglio e senza alcun compromesso.
E’ concesso tutto, se sai sognare e far sognare.
Anche il lieto fine.
Io tifo per Marco, gli voglio bene da sempre (avrò tra l’altro, se Marco quel giorno non sbaglia la strada e non ha lo sguardo perso altrove, oltre ad un sorriso’ anche una nuova fiaba da narrare’)

faber, l’amico fragile

Dedicato.
Come sempre, dedicato.
Alle donne che sono state anche per poche volte nella loro vita le donne delle tre di notte.
Alla finestra in ogni casa dove resta, per scelta sempre, socchiusa.
Agli specchi, al sesso, all’amore, alla vita.

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