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La fantasia

By 20 Febbraio 2019Aprile 2nd, 20202 Comments

Questa é una fantasia che ho sempre avuto.
Un pensiero che mi sfiora di continuo.
Un desiderio.

Immaginatevi una donna di colore. Indiana o caraibica.
No, non é che non lo sappia dire, é che cambia.
Ecco, ora so già che qualcuno penserà che non sono coerente nelle mie fantasie. Beh, quel qualcuno si sbaglia: la coerenza c’é. Ma non é totale. Non é forse questo il bello della fantasia? il poter stravolgere le logiche del reale?
Dunque, immaginatevi questa giovane. Capelli lunghi, sino a circa mezza schiena, seno piccolo, non eccessivamente grande ma certamente apprezzabile.
Il viso é ben fatto, non grasso o sproporzionato. Importante: gli occhi sono verdi. Le labbra sono fini, graziose ma non troppo grosse, non come certi labbroni che finiscono col rendere ridicoli.
Ok? Fatto? Lo chiedo perché voglio essere certo che capiate dove voglio andare a parare.
Bene, creata quest’anatomia, occupiamoci del dettaglio rilevante. Quello che rende tutto questo insieme tremendamente interessante.
Ora che avete questa immagine, immaginatevi questa ragazza nuda. Completamente.

Dio, solo a pensarci… Ok. Dopo!

Avendo quest’immagine in mente, ora potete figurarvi il resto. Il corpo di questa bellissima femmina coperto di tatuaggi. Non meri ghirigori ma simboli tribali.
E questi tatuaggi dipingono come inchiostro la tela del suo corpo. Immaginatevela ora!
Avvolta da un drappo d’inchiostro che non copre nulla. E questa è la premessa.
Comunque, ora bisogna occuparsi dell’ambiente.

Palme, vegetazione, l’ansa di un fiume contornato da una spiaggia di fine sabbia. Immaginatevi la sabbia bianca, sottile sotto i piedi.
In alto un sole che spacca le pietre, il calore nell’aria.
Il canto di uccelli tropicali nell’aria.
Io cammino lungo la riva assolata. Lascio che i raggi del sole crogiolino il mio corpo in un torpore meraviglioso. La sensazione della sabbia sotto i piedi è paradisiaca e a pochi passi, la giungla, l’ignoto. In bilico tra il conosciuto e quell’ignoto tanto invitante quanto spaventoso, io cammino.

Poi lo sento. Un canto. Lontano ma vicino. Melodioso, armonioso e squisitamente nonché percettibilmente umano. So e sento che è una donna a cantare.
Ascolto quel canto che sembra in sanscrito. È bellissimo.
Decido: voglio trovare quella giovane che canta, Anche solo per potermi complimentare con lei per la sua meravigliosa canzone. Anche solo per quello, comincio a cercarla, ascoltando il canto melodico e stupendo che continua a echeggiare nella giungla. Curioso è il fatto che, esclusi i richiami di uccelli tropicali in lontananza, non ci siano altri animali.
La giungla è stranamente quieta. Silente.
Lentamente mi sembra che il canto sia più vicino, più nitido.
Mi avvicino piano. Lentamente. Quasi timoroso che sentendomi quell’ignota giovane si spaventi e scappi. In verità so perché sono così furtivo. Pur non volendolo ammettere neppure nella serena tranquillità di quella giungla, so con assoluta certezza che la mia speranza è che la mia furtività mi permetta di vederla nuda. Solo al pensiero, all’immaginare ogni possibile donna, il mio membro s’inturgidisce. Io non sono nudo ma improvvisamente bramerei esserlo con lei al mio fianco, su di me, dentro di lei… Ed è in quel momento che sento il canto vicino.
Vicinissimo. Il solo canto mi fa intorbidisce il sangue, volgendomi a pensieri lussuriosi.
Oltrepasso una salita e supero delle felci. Eccola!
Sulla sabbia cristallina del fiume, canta la sua melodia, il sole che illumina il suo corpo bruno, coperto solo da una tunica bianca. Scalza, si erge accanto al fiume.
È bellissima. Mi prendo un istante, uno solo per ammirarla prima di decidere cosa fare…
O meglio, come farlo.
È magra ma non denutrita. Ha un seno piccolo, i capelli neri sono sciolti e arrivano sino a metà schiena. Attraverso la vegetazione la vedo apparire e scomparire dalla mia vista. Non so precisamente che cosa stia facendo ma voglio scoprirlo. Purtroppo, tempo un istante e la giovane sparisce nuovamente dalla mia visuale. Dovrei spostarmi per riuscire a vederla bene.
E così decido di farlo. Che mi costa? Mi sposto cautamente e improvvisamente…
Crack! Il maledetto rametto mi si spezza sotto il piede. Merda, di tutti i posti possibili…
-C’è qualcuno?-, chiede la giovane. Sospiro. Ormai non posso star zitto e rischiare che mi scopra, sarebbe ben peggio.
-Scusa. Colpa mia… sono inciampato su un ramo.-, dico uscendo alla luce del sole, sulla spiaggetta di sabbia bianca. Eccola lì, davanti a me, le mani sui fianchi, la posa inquisitoria…
Sospiro. È bellissima e semplicemente io non so come cavarmi d’impaccio.
-Che ci facevi là dentro?-, chiede. La voce flautata mi suona splendida alle orecchie. Sorrido.
-Ecco… io ti ho sentita cantare e ti cercavo… pensavo di doverti fare i miei complimenti per tanta abilità canora.-, dico infine, optando per la verità. Lei sorride.
-Ok.-, dice lei, -Accetto i tuoi complimenti. Ma suppongo tu sia stato lì a lungo…-, dice. Annuisco. È vero. Il tempo è trascorso in fretta e senza pietà.
-Abbastanza… Sei bellissima.-, dico, -Neppure la più fulgida delle stelle ha la tua beltà.-.
Lei sorrise, i denti bianchi che spiccano brillanti sul viso bruno e i capelli neri.
-Non sarà l’adulazione a guadagnarti il mio perdono.-, dice. Io sorrido a mia volta.
-Naturalmente no. Non lo penso neppure. Ma forse, del cibo potrebbe?-, chiedo.
Poso a terra un tascapane da cui traggo due focacce. Ne porgo una alla giovane.
-Già meglio.-, ammette lei. Ci sediamo sulla sabbia a mangiare. La focaccia è deliziosa ma non la gusto appieno: sono concentrato su quella giovane, attirato, ammaliato da lei.
Rimango in silenzio un lungo istante. Lei mi sorride. Poi ricordo.
-Se vuoi, ho anche da bere.-, dico. Le passo la bottiglia.
-Non ci ho ancora bevuto. Bevi pure per prima.-, aggiungo. Lei la apre, annusa.
-Non è thé al limone.-, dice. Annuisco. Effettivamente non lo è. È una ricetta particolare.
-No. È un thé alla menta con alcune aggiunte varie.-, spiego. Lei prende un sorso.
-Buono.-, dice. Ne prende un secondo, poi mi passa la bottiglia. Bevo e la ripongo.
Chissà che non venga utile dopo.
-Beh, mi spiace non essermi presentato. Alexander.-, dico. Lei sorride e mi stringe la mano. La sua è calda e trasmette un brivido elettrico al mio membro decisamente attento.
-Chiamami Sita.-, dice. Io la guardo. Sita, la sposa di Rama, l’avatara di Vishnu protagonista del Ramayana. Annuisco e sorrido decidendo di non pensarci.
-Dunque, cosa facevi qui?-, chiedo. Sita sorride guardandosi attorno.
-È così bello qui… può un animo sensibile non apprezzare il panorama? La tranquillità e la bellezza di luoghi così?-, chiede. Io sorrido. Ha ragione e questo mi ricorda perché sono qui.
-Cosa porta invece te, in questo posto magnifico e sereno?-, chiede. Il mio sorriso scompare.
-La ricerca di serenità. Di armonia. Di oblio.-, sussurro. Non so perché io glielo stia dicendo.
So solo che voglio essere sincero. Che qualcosa mi spinge a parlare. Sita mi guarda con curiosità. Quando parla, le sue parole mi colpiscono.
-Tutto ciò lo puoi trovare anche altrove. Perché qui? Io sento che tu soffri.-, dice. Annuisco.
Inutile negare l’innegabile.
-Avevo una compagna, Maghera. Se n’è andata.-, dico. Sita ascolta, senza interrompere.
-E la vita senza di lei ti pare insensata?-, chiede.
-Non lo è forse mai? Per anni ho cercato, sperato, pregato che qualcosa scuotesse l’eterno scorrere del tempo. Ma nulla è accaduto. L’universo ruota immobile sul suo asse.-, ora la mia tristezza affiora. L’incomprensione del mio tempo, l’eterna lotta per tenere la testa fuori dall’acqua, l’indifferenza apparente del mondo che mi circonda.
L’eterna e inutile ricerca di un essenziale che pare eternamente inafferrabile!
Improvvisamente, Sita ride. Il suo riso cristallino mi spiazza, mi lascia interdetto.
-Hai davvero una bassa opinione di te e della vita se permetti a questo di buttarti giù.-, dice.
Il mio stupore diviene rabbia. Scuoto il capo.
-Che diritto hai di dirmi ciò?-, chiedo.
-Il diritto di chi sa che sei migliore di così, Alexander. O devo chiamarti con altri nomi?-.
-Che vuoi dire?-, lo stupore quasi mi mozza il fiato. Come può conoscermi tanto bene?
-Hai tanti nomi. Sei molte cose. Ma dentro di te senti ancora quel dolore sordo, quella mancanza. A mancarti non è una compagna, non uno scopo. È qualcos’altro. Qualcosa che devi trovare dentro di te.-, dice la giovane. Io ascolto, improvvisamente conscio che le sue parole sono veritiere.
-È dentro di te che devi trovare quel qualcosa. Quella forza che cerchi è già qui.-, dice battendomi il petto con due dita. Il contatto con le sue dita mi eccita oltremisura.
Pur essendosene probabilmente accorta, Sita resta impassibile, il bel viso striato dai tatuaggi sulle gote. Sono simboli interessanti, quelli sulle gote. Due ruote del Dharma…
Simboli buddhisti e lei ha un nome indù tipico della mitologia. C’è un sacco di roba che non quadra. Non capisco… Non capisco troppe cose e improvvisamente rinuncio a capire.
-Pensi sempre che ti manchi qualcosa quando forse tutto ciò che ti serve è già dentro di te…-, sussurra lei, -Non hai considerato questa opzione?-.
Tante volte. Ma è un opzione fuggevole, troppo teorica per divenire sostegno dell’esistenza.
-Si tratta solo di avere fede. Una cosa che non mi riesce.-, rispondo.
-Avere fede? O credere che ciò che cerchi sia più vicino di quanto tu creda? Di quanto forse ti piaccia pensare…-, il tono delle nostre voci si è abbassato notevolmente.
Non so cosa rispondere. È come se le domande che mi porto dentro da anni si fossero materializzate sotto forma di quella giovane.
-Perché secondo te, è più facile avere un obiettivo irraggiungibile e lottare per ottenerlo che raggiungere obiettivi più semplici. L’irraggiungibile ti sprona, no? Ti motiva ad agire. L’obiettivo semplice ti appare indegno per la sua stessa semplicità.-, dice Sita.
Io la fisso, sbalordito. Infine la domanda si manifesta.
-Chi sei, veramente?-, chiedo. Lei sorride, non il sorriso furbo che troppo spesso ho visto sul viso di falsi amori ma un sorriso vero, lieto.
-Io sono la verità.-, sussurra, -E questo tuo pellegrinaggio ti ha condotto alle risposte che volevi.-. Siamo vicinissimi. Il suo profumo mi avvolge. La desidero. E so che lei lo sa.
-Quindi è questo ciò che aspettavo? La verità?-, chiedo. Lei mi sorride di nuovo.
-La verità… è una cosa viva. Solo gli stupidi la reputano sempre uguale. La verità va vissuta.-.
-Ma la verità sei tu…-, sussurro io. Un suo braccio scatta verso di me. È anch’esso coperto di tatuaggi. Una corrente d’inchiostro, simboli, linee e scritte. Mi accarezza il viso.
-Hai percorso il viaggio. Hai corteggiato l’Oscurità e la Luce. Ma sei rimasto ciò che eri.-, dice,
-Nonostante tutte le difficoltà, i dubbi e quant’altro, sei rimasto fedele a ciò che hai scelto.-.
-Era scritto che rimanessi fedele all’incubo che avevo scelto.-, sussurro io. Sita sorride.
-Citare Joseph Conrad non ti serve. Ciò che ti serve è un’ultima spinta.-, ribatte.
-Verso cosa?-, chiedo io. Lei sorride.
-Verso te stesso. Cerchi sempre negli altri qualcosa che devi trovare dentro di te.-, dice.
-Io sono un solitario. Tendo a considerarmi diverso dalla massa ma alla fine so di avere i loro stessi problemi.-, ribatto. La giovane sorride.
-E per questo fai la vita che fai?-, chiede. Io sorrido a mia volta.
-Forse. Non lo so.-, dico.
-Lo sai. Ma ti fa male ammettere che la tua ricerca è inutile: sei in un periodo di transizione e stai iniziando a crescere davvero, a crescere in un senso spirituale. Restare addormentato sarebbe più facile ma ti dovrai svegliare.-, dice.
-Non dovevi mica darmi una spinta?-, chiedo. Sita mi sorride. Si avvicina e mi bacia.
È il bacio più bello che mi sia mai stato dato. Dolce ma feroce, lentissimo ma rapido. La sua lingua mi sfiora appena le labbra. La abbraccio. Quel bacio contiene tutto il mio presente.
Quando ci stacchiamo ho un’erezione quasi dolorosa.
Siamo vicinissimi. I nostri respiri si mescolano. Ci guardiamo senza parlare.
-Era questo?-, chiedo. Lei scuote il capo.
-Questo era solo l’inizio.-, dice. Si volta e prende a correre verso la giungla.
La inseguo ma dopo pochi istanti scompare alla mia vista come per magia.

Sparita. Così, improvvisamente. Muovo un paio di passi incerti nella giungla.
-Vieni.-, la voce è lontana e distante ma è indiscutibilmente quella di Sita.
Seguo la voce. E me lo trovo davanti. Il mio funerale. Parenti in lacrime, amici rattristati, un cielo nuvolo e la giungla lascia il passo all’asfalto di un cimitero. È la scena della mia morte.
-Questo è ciò che aspetta ogni uomo.-, dice Sita.
-È questo che accadrà?-, chiedo.
-Non importa se è così che andrà o no. Accetta che la tua esistenza è temporanea. In troppi vivono pensando di poter vivere in eterno.-.
Annuisco. Ha ragione. E devo distaccarmi da quest’idea della vita eterna se voglio superare questa prova cui vengo sottoposto.
-Lo capisco.-, dico.
-Accettalo. Capirlo non basta. Fai tua questa verità. Poiché alla fine è tutto ciò che hai ora.-.
Mi sforzai di identificarmi col corpo morto, sdraiato nella cassa di mogano.
Quello ero io, e io ero quello. Non c’è differenza tra me e lui.
Se non una: in me batte ancora la vita, per quanto temporanea. Ma anch’essa svanirà.
-Bene.-, dice Sita. La visione si dissolve. Sono di nuovo tra gli alberi tropicali. Avanzo.
Oltre, la giungla diviene più fitta. Passare in mezzo alla vegetazione si fa difficoltoso.
Ci metto un po’. Poi me lo trovo davanti. Rimango bloccato per un lungo istante, basito e scioccato davanti a quella visione che mi coglie come un pugno. Ho davanti me stesso.
Esattamente uguale a me. Salvo per lo sguardo. È privo di forza. Debole.
E soprattutto è pieno d’odio. In pugno, l’altro me ha un coltello. Stringo i pugni sentendo nel destro l’impugnatura di un coltello che scopro essere perfettamente uguale a quello del mio doppelgänger. Mi metto in posizione di guardia.
-Uccidilo. O lui ucciderà te.-, dice la voce di Sita. Neanche il tempo di finire che l’altro mi attacca. È rapido. Bravo almeno quanto me. Contrattacco sferrandogli un paio di colpi ma mi costringe in difesa. A schivare o parare i suoi colpi. È bravo, e sembra instancabile. Non mi lascia occasione di colpirlo. Schivo un fendente in extremis sentendo il tessuto della canotta che indosso venire dilaniato. Non sono ferito e colpisco rapidamente. Sferro un calcio al ginocchio mentre colpisco, fendendo l’aria. L’altro me schiva. E il coltello gli si conficca nel fianco. Passa un istante, poi il mio doppio diviene fumo scuro e svanisce.
-Capisci?-, chiede Sita. Improvvisamente comprendo. Il coltello che ho in mano evapora.
-Sì. Era me. La parte di me che deve sparire. L’odio, la paura, la rabbia e il dolore.-, dico.
-Continua. È quasi finita.-, dice la voce della giovane.

La giungla si fa sempre più fitta. È difficile camminare e inizio a temere i serpenti o i furtivi predatori di quel lussureggiante inferno verde. Ma le mie paure rimangono confinate nella mente, non prendono corpo per assalirmi. Fa caldo. Mi tolgo la maglietta strappata e lacera.
A torso nudo, il caldo si sente meno. Proseguo. Improvvisamente mi si apre davanti.
La spiaggetta e il fiume di prima. Non sono cambiati. Ho fatto un giro in tondo.
E neanche io capisco perché. I miei sandali affondano nella sabbia. Sita non c’é.
Fregato. Ecco come mi sento. Non riesco a capire. Cado in ginocchio.
-Beh, che sorpresa…-, sussurro. Non sono neanche deluso, solo amareggiato, stanco.
-E il meglio deve ancora venire.-, mi risponde una voce. Alzo il capo. Sita mi guarda. È seduta nella posizione del loto poco distante da me. Non l’ho vista, eppure avrei dovuto… O no?
-Come hai fatto?-, chiedo. Lei mi sorride.
-Fai troppe domande.-, dice. Annuisco. È una critica veritiera, che non posso negare.
-È solo che…-, inizio. Lei mi sorride.
-Sei solo. Vorresti che il mondo si rendesse conto che ci sei ma il primo a non dover dubitare di te stesso sei proprio tu. Lascia che il mondo sia ciò che deve essere e diventa ciò che devi diventare.-, dice Sita. Le rivolgo uno sguardo interrogativo.
-E cosa dovrei diventare?-, chiedo.
-Questo dipende solo da te.-, sorride lei. Poi mi bacia, abbracciandomi. È un bacio lungo. Sensuale. La sua lingua gioca con la mia. La voglio ma per la prima volta, non so se realmente sia una buona idea. Poi lei si stacca e sorride.
-Vieni.-, dice prendendomi per mano. Sorride come una ragazzina. Mi guida verso il fiume. Non è profondo e neppure impetuoso come temevo. Giungiamo sull’altra sponda.
Ed è qui che lei mi bacia di nuovo. Ancora una volta è il genere di bacio che si darebbe a un marito, a un amato, all’amante di una notte. Forse alla fine è questo che siamo.
Amanti, due sconosciuti che si trovano per il tempo di un sogno. Ma alla fine importa davvero?
No. Tutto quel che c’è è l’adesso. La vita non si misura in anni ma in azioni. E io intendo agire.
La mia mano corre lungo la sua schiena. Sita geme appena mentre le bacio il collo. Lentamente. Abbiamo tempo, no? Lei mi accarezza la schiena, il viso. Il bacio ritorna ad essere un bocca a bocca. Sita morde appena le mie labbra. Sono duro come acciaio.
La voglio. La bramo. E anche lei sembra volermi. Mi accarezza il petto.
-I tuoi occhi sono aperti. Lo è anche il tuo cuore?-, chiede. Annuisco. La giovane sorride.
-Allora dimentica il futuro e vivi ciò che è adesso.-, sussurra. Mi bacia il collo mentre io bacio il suo. Le mie mani le accarezzano le natiche sode, le sue invece mi accarezzano il petto e scendono, lentamente. Gemiti, di entrambi, preludio al piacere.
Una mia mano scende lungo la sua natica sino a sostare quasi tra le sue cosce. Sita apre appena le gambe, un invito esplicito. Sfioro le sue mutande con un dito. Sento il calore del suo sesso sotto. E lei sente il calore del mio sotto la sua mano.
-Dovremmo trovarci una stanza…-, sussurro io. Ho l’assurdo timore che qualcuno possa vederci in qualche modo anche se l’eventualità è quanto mai remota. Sita sorride.
-Quale soffitto migliore del cielo? Quale letto migliore della sabbia bianca di questo fiume?-.
La sua frase si conclude in un bacio. Mi desidera ardentemente. E questo mi fa gettare al vento le cautele. Non vale la pena stare a preoccuparmi. Sarà quel che sarà.
Cerco la sua pelle sotto le vesti. Seguo le linee tatuate, i caratteri, le meravigliose scritte incise nella sua carne come lei segue le figure dipinte sul mio corpo. Siamo simili.
Il bacio continua. È difficile seguire geometrie e figure a occhi chiusi, ma entrambi stiamo seguendo disegni che solo noi possiamo vedere. Le mie mani raggiungo il suo seno, vezzeggiano quel petto meraviglioso. Le sue unghie graffiano in modo sottile il mio petto.
Dolore e piacere in un singolo istante.
-Perché?-, chiedo improvvisamente.
-La verità è dolore e conforto a un tempo.-, risponde Sita.
Ha ragione. Il tempo mi ha mostrato la saggezza in quelle parole. Annuisco con un sorriso.
Le mie mani sollevano la veste. Sotto non c’è nulla. Letteralmente.
La giovane che dice di essere la verità è nuda davanti a me. Vederla così è come un pugno allo stomaco. Lei sorride. Mi slaccia i calzoni. Li abbassa. È in ginocchio davanti a me.
Prende il mio membro e comincia a baciarlo. Il bacio diventa una fellatio in piena regola.
Sento la sua bocca caldissima, la lingua diabolica toccare i punti più sensibili. La mano della giovane aiuta e ostacola il piacere al giusto ritmo ma trovo comunque la volontà di parlare.
-Sita… Io…-, sussulto. Non so se resisterò a lungo. Sono preda di un’eccitazione come poche.
-Capisco.-, dice lei. Lascia il mio membro e si rialza. Il mio pene è a contatto con il suo pube.
Rimaniamo immobili per un secondo poi è lei a sorridere.
-Vorresti abbeverarti alla mia fonte?-, chiede. Io annuisco. Lei spinge appena sulla mia spalla.
Cado in ginocchio. Si siede sulle mie spalle. Ha la vulva a livello della mia bocca. Rosata dentro e scura fuori, rorida di umori. La desideravo da tanto. Inizio a onorarla senza indugio.
-Oh, sì… Così… lecca… bevi…-, la vulva di lei mi si appiccica alla bocca. Sto letteralmente facendo un bocca a bocca con la sua vagina. È bellissimo. Ed è magnifico pensare che una simile esperienza sia toccata proprio a me. Mi ci prodigo. Lecco. Perdo il clito e lo riprendo un paio di volte. Sento lei dare come dei piccoli colpi di reni. Come se la mia lingua fosse un pene e lei volesse impalarvisi. Sita emette un gemito modulato e prolungato e uno spruzzo di liquido fuoriesce dalla sua vulva innaffiandomi il viso. Sorride, come mortificata.
-Di solito non mi succede…-, ammette. Io sorrido.
-La fonte della verità.-, dico. Lei sorride. Mi bacia. Mi lecca il viso bagnato del suo piacere.
-Ora prendimi. Fai tua la Verità.-, sussurra. Si stende sulla sabbia, toccandosi appena.
Mi piazzo tra le sue gambe. Godo del momento e poi entro in lei.
Gemiti di entrambi. Versi animaleschi mentre stabiliamo il ritmo. Lei sorride quando le lecco i seni. Passerei la giornata tra le sue braccia a mappare il corpo di quella dea.
Improvvisamente rotoliamo sulla sabbia. S’impala su di me. Diamo entrambi grandi colpi di reni, come a voler mostrare che ci siamo, che vogliamo morire l’uno nell’altra.
Quando infine esco da lei lo faccio per cambiare posizione. Mi guarda. Le sorrido.
-Sai di cosa ho voglia.-, dico. Lei annuisce. Si piazza a carponi e si allarga le natiche con le mani.
L’idea di sodomizzarla mi tenta ma non è quello il mio obiettivo. Le entro dentro da dietro.
Il resto è una cavalcata furiosa, una possessione al massimo grado d’erotismo che culmina in uno schizzo ardente dentro le viscere della giovane. Stesi sulla riva del fiume, io ancora dentro di lei, contempliamo l’avvenire. Poi lei mi sorride. So che non la rivedrò e so che mi va bene così.
Certi sogni sono destinati a restare tali. Le accarezzo i capelli mentre lei mi graffia il petto.
Infine mi estrae il membro dalla sua vulva e lo ripulisce oralmente ad arte prima di alzarsi e andarsene, sparendo com’è arrivata. Fantasia irrealizzabile ma stupenda.

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