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La notte della Luminara

By 15 Agosto 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

16 giugno.
A Pisa &egrave la cosiddetta Luminara, la festa della città, in cui si celebra San Ranieri con musica, bancarelle e una folla oceanica che si riversa sui Lungarni ad ammirare lo spettacolo di fuochi artificiali.
Io e Cristina stiamo insieme da poco ma la nostra intesa &egrave perfetta. Ci siamo ritrovati studenti in questa piccola città, lei matricola ventenne che da anni sognava di potervi abitare, io che ci sono finito quasi per caso per completare i miei studi.
Già prima di uscire di casa avevamo dato sfogo alla costante voglia che abbiamo l’uno dell’altra nel bagno, mentre ci preparavamo, battezzando lavatrice e lavandino per finire sbattendo in piedi sulla porta; era la prima volta che ci spostavamo dal letto. Ma non eravamo pienamente soddisfatti: lei era venuta solo una volta, io no, quando abbiamo deciso di interrompere per non perdere quello che comunque é un evento che vogliamo vivere insieme. Così l’aspetto in camera, mentre si prepara. Mi si presenta al massimo del suo splendore. Ha messo il suo vestito migliore, uno lungo celeste con strascico dietro, lasciando la falcata scoperta. Rossetto rosso fuoco e ombretto azzurro. Le ho sempre detto di preferire la ragazza acqua e sapone (come lei &egrave solitamente) alla strafiga, ma mi lascia senza fiato. I suoi capelli biondi ondulati cadono perfetti sulle sue spalle. Le dico, quasi scherzando quando si appresta a infilare le mutandine: “No dai, quelle non metterle”. Mi guarda seria: “Va bene. Se vuoi, non le indosso”. Non sono sicuro di aver capito bene. Penso ai possibili inconvenienti che una situazione simile potrebbe comportare, poi decido: “Ok. Non le mettere”.
Usciamo di casa così. Raggiungiamo alcuni amici e arriviamo al Lungarno. La folla &egrave incredibile, quasi non si riesce a camminare. Ci ritagliamo il nostro spazio e assistiamo allo spettacolo pirotecnico con me che l’abbraccio da dietro. Ogni tanto, la mia mano scende e si infila là dove sarebbe passibile di una multa per atti osceni in luogo pubblico, mentre l’altra stringe il suo seno morbido. Nella calca, difficilmente qualcuno ci nota. Il suo sesso &egrave un lago e le mie dita si divertono a sguazzarci. Ci godiamo così i fuochi e non solo quelli. Quando finiscono, giriamo un po’ per le vie della città, ma entrambi proviamo un fastidio forte alle parti basse: il sintomo del nostro amore scientemente interrotto prima di uscire. Salutiamo gli altri e ci fiondiamo a casa.
Corriamo in camera e la faccio distendere sul letto. Io levo pantaloni e mutande, tenendo addosso la camicia grigio scuro che le piace tanto. Non le levo il vestito: mi limito ad alzarlo. &egrave veramente eccitatissima: sulle cosce c’&egrave il segno del suo liquido colato. Ci penso io a pulirle con la mia lingua, che dopo essere passata da una gamba all’altra arriva alla sua figa, prima superficialmente, poi sempre più in profondità fino ad essere completamente in lei. Raramente &egrave stata così saporita e per me non esiste bevanda migliore. Dopo pochi secondi, &egrave già venuta sulla mia faccia, e io mi distendo su di lei. Le sue grandi labbra sono così umide e morbide che il mio pene può entrare senza bisogno di essere indirizzato dalle mani. Sono dentro di lei e comincio ad andare avanti e indietro, mentre le mordo il seno, le lecco un orecchio, la bacio (come mi piace che lecchi la mia lingua che sa di lei!) fino a farla venire per la seconda volta. Ancora avanti e indietro, cambiando inclinazione, velocità, ritmo. Levo la camicia perché il calore dei nostri corpi &egrave insopportabile e il mio sudore cola dai capelli sulla sua faccia. Viene una altra volta e cambiamo posizione, rotolando nel letto perch&egrave non sia fuori di lei neanche per un secondo. Adesso sono sotto di lei e la penetro completamente fino in fondo, fino a toccare le sue pareti, fino quasi a farmi male. I nostri peli (tanti i miei, pochi i suoi) sono uniti in un’unica foresta umida lì sotto. La voglio vedere nuda adesso, completamente, nuda come madre natura l’ha fatta: sfila il vestito e leva gli orecchini. Siamo indifesi, incastrati l’uno nel piacere dell’altra. Mi siedo e lei mi avvolge nelle sue gambe. In questo momento siamo davvero una cosa sola, proiettando l’abat-jour un’unica, indistinta ombra. Viene ancora, e ancora e ancora. In questo momento il piacere per lei &egrave massimo e non c’&egrave pensiero al mondo che mi dia più felicità.
Mi fermo. La alzo leggermente, estraggo il mio pene duro e lo infilo nel suo sedere. Questo mi piace tantissimo perché &egrave una cosa che ha fatto fare solo a me: dice che io, a differenza che in passato, non le faccio male. &egrave talmente fradicio che entra facilissimamente, e lei neanche deve raccomandarsi di fare piano. Su e giù, di nuovo, questa volta in un modo meno convenzionale che non tutti gli uomini possono provare con la mia frequenza. Le dico di mettersi a quattro zampe. Lei obbedisce senza fiatare. Siamo talmente in sintonia che non c’&egrave bisogno di dirsi nulla. Lo infilo nuovamente nel suo sedere e dalla mia visuale alta, privilegiata la guardo dimenarsi, urlare il mio nome, il respiro spezzato e il suo bellissimo seno che penzola. Ora &egrave veramente mia, esclusivamente mia, come non lo &egrave mai stata di nessun altro. Io che prima di lei non avevo avuto nessun’altra donna, e il pensiero che lei invece sia stata posseduta da altri alle volte mi fa impazzire. Ma di nessuno &egrave mai stata in questo modo. La stringo per i fianchi al punto da farle venire i lividi, la mia mano destra scorre e graffia lasciandole tre o quattro sottili linee rosse che dalla spalla arrivano fino al gluteo. La mordo sulla spalla sinistra, così forte che penso di starle staccando la carne, ma lei urla, gode, e allora le lascio un’altra impronta dei miei denti sulla schiena e poi ancora sul fianco destro. Viene per l’ennesima volta e crolla pancia a terra. Io continuo, avanti e indietro, e se fa attrito basta infilarlo un attimo nella sua vagina per ricoprirlo di nuovo del miglior lubrificante che ci sia. Le blocco i polsi, anche volendo non potrebbe scappare da nessuna parte, &egrave sempre più mia.
Quando sento che il mio seme comincia ad accumularsi, la giro sulla schiena e la prendo di nuovo nella più classica delle posizioni. Il pensiero che anche io stia per venire la eccita ulteriormente e raggiungiamo l’orgasmo insieme, ma io sono uscito e con un movimento rapidissimo sono arrivato su, alla sua bocca e già mi sta bevendo, assaporando, gustando; anche se qualche goccia si &egrave persa per strada ed &egrave finita sulla sua pancia, sul suo seno, sulle guance. La ripulisco leccandola io stesso, e ci baciamo appassionatamente, le nostre lingue si intrecciano e ci scambiamo tutti i sapori che abbiamo assaggiato nella serata. Stanchi, ma felici, ci sdraiamo sotto il lenzuolo. Lei, coricata sul mio fianco sinistro, piega la sua gamba e la poggia sulla mia pancia. In quel gesto c’&egrave tutta la bellezza del mondo.

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