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Erotici Racconti

La Signora Maria

By 2 Agosto 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

La Signora Maria la conoscete.
La conoscete sicuramente tutti.
La Signora Maria è un ‘astrazione.
Un’immagine e un simbolo.
Di marketing e di mercati.
La Signora Maria è la donna, normale, quella che ha tutto nella media.
Quella che ha consumi ragionevoli e ragionati per disponibilità economiche da ben amministrare.
Se guardate nel vostro condominio, al mercato o nel negozio che frequentate abitualmente, sicuramente direte: io la conosco, la incontro sempre! E’ lei!
No, mi sbaglio è anche quell’altra donna là in fondo!
E così via’.
Perché le Signore Marie sono tante, tantissime.
Consumano, scelgono, decidono le fortune dei prodotti e della loro vita quotidiana.
E, nell’astrazione e nella convenzione, finiscono per avere tutte lo stesso volto che adesso so anche voi riconoscete.
E’ il milite ignoto del mercato.
Di ogni mercato e merce.
Ma so anche che provate a darle un volto, probabilmente non ci riuscite.
E’ milite ignoto non per niente!
La cosa buffa che sto per raccontare è la storia della Signora Maria.
Una delle tante.
Quella che viveva in una portineria.

La portineria è sita in un palazzo.
Il palazzo è vecchio, di ringhiera e ha conosciuto non anni solo ma, forse, addirittura, un secolo migliore ed è sito in un quartiere strano.
Il quartiere ha storia antica e tutta sua all’interno della città, come se fosse storia di paese, avulso quasi dalla vita circostante delle vie che lo cingono da sempre, ed è sito, stranamente, proprio in centro.
Quel centro chiuso tra vie ricche di cliniche ed ospedali, che affianca i nuovi ricchi, all’epoca dei fatti e della vita di Maria, ai disperati, e che ha sito proprio nel cuore di Milano.
Dove sia Milano,.. non occorre.. tutti sanno.

La signora Maria, allora.
Questa, in particolare.
Maria anche dalla nascita al piccolo paese e quindi il signora è minuscolo in quanto donna reale, è una donna di bellezza mai sfiorita.
Maria da giovane, sin quasi da bambina, ha molti amanti, all’epoca tra l’altro non si definivano così, i termini erano sfuocati e più guardinghi per tratteggiare i corpi quasi occasionali di una donna che amava sempre e troppo e troppi.
Comunque se nessuno quelli li definiva amanti, già all’epoca aveva la parola più vecchia sussurrata alle spalle quando passava, quella che non passa mai di moda per definire quelle donne un po’ più ardite o forse solamente meno imbavagliate.
Maria la piccola puttana’
Nella parola emblematica, sussurrata o scambiata nella via alle sue spalle, prima nel paese natale poi nella città dove Maria si è trasferita, se pronunciata dagli uomini spesso c’era l’eco di curiosità e di desiderio, o forse nostalgia. Se erano le donne a parlarle dietro, riprovazione ed anche invidia molte volte.
Maria ha corpo di gazzella, da ragazza.
Alta non poi così tanto da definirla alta, ma fianchi curvi a far scoppiare quasi la gonna, la vita serrata sempre quasi a soffocare, enfatizzata nella sua esilità da fasce strette o da cinture assai serrate a stringere e fare clessidra della sua figura.
Seno da donna di campagna, cresciuta a cibi sani, donna allattata a lungo da bambina e pronta già a regalare latte sin dalla pubertà col seno più maturo dei suoi anni.
Il seno di Maria è la parte del suo corpo che ricordano tutti, assieme agli occhi scuri, castani, che all’ombra però sembrano quasi neri.
Occhi sfrontati anche quando Maria piange.
E Maria peraltro ha pianto spesso nella vita senza mai dilavare nel pianto fino in fondo il nero dei suoi occhi.
Anzi, la vita li ha resi anche più scuri, con la pupilla di carbone sempre un po’ troppo larga ed inquietante.
Alcuni di lei ricordano anche il pelo forte, riccio, scuro come i capelli.
Foresta da tagliare colla falce per farsi strada e penetrare un taglio luccicante e ben nascosto. Ma questo ‘mica tutti lo possono sapere o ricordare.
Maria rimane incinta a sedici anni, proprio nell’anno che giungerà in città.
L’uomo, chi fosse stato, Maria credo lo sapesse, la figlia che ne nacque invece no.
Maria bambina cresce la bambina ospite di parenti.
A diciottanni trova lavoro ed una portineria.
Ed anche casa per la famiglia poco numerosa, lei e Regina, nei locali annessi.
La casa è quella che trovate su, all’inizio.
Quella di ringhiera, al centro di Milano, un quartiere che è quasi chiuso ai lati, sembra abbia vita di paese – peraltro ce l’ha ancora e anche adesso – , e se sali, alto sopra i tetti, vedi il Duomo e la Madonnina assai vicini.
Maria nella portineria continua la sua vita.
Le case del palazzo sono molte, alcune piccolissime anche, quasi tutte senza servizi.
Ci vivono famiglie giunte alla stazione con un carico di valige che è tutto quello che hanno e chiamano casa quei bagali scarsi, e vecchi personaggi della storia del quartiere nella stanza accanto.
Poi operai con pochi mezzi, persino un immigrato arrivato con tantissimo anticipo sul flusso che arriverà copioso, inarrestabile ed inarrestato tanti anni dopo anche in quel quartiere. Uno nero in un paese di bianchi con la pelle però di tanti toni e sfumature.
Maria è guardata e corteggiata.
Maria si sceglie amanti per una sera, una settimana, o un mese.
Maria si vende anche.
Accetta piccoli regali dai suoi “fidanzati” e, quando la paga di custodia e pulizia del palazzo non è sufficiente e magari Regina ha bisogno di un vestito’la cartella nuova o cose per la scuola, ..ecco Maria chiede un regalo, a volte soldi.
A Maria quel baratto per regali o moneta non dispiace, non pesa.
Amerebbe lo stesso, tanto, tanti e allora semplicemente pensa.. cosa c’è di male?
Maria è sfortunata nell’amore.
Di Maria che non si lega, che si concede ad altri facilmente tutti si stufano presto.
Alcuni sono gelosi e violenti.
Maria ha abitudine e rancore per quelle mani che la percuotono a volte, per le parole che la insultano.
Gli schiaffi, i pugni, gli spintoni, i lividi sul corpo parlano di possesso e di reclamo di diritti. Diritti che Maria non concede facilmente.
Avrebbe concesso al paese quei diritti a lui che poi è scappato senza dire dove lasciandole l’ingombro di crescere più in fretta.
Maria l’amava e avrebbe, forse, probabilmente, magari anche,’amato solo lui. Almeno per un poco.
Maria non si lascia mettere in bottiglia, non si fa possedere veramente da nessuno.
Diciamo che se qualcuno, a letto con Maria, possiede, quella è proprio sempre e solo Maria.
Maria che colleziona amanti, scelti per la bellezza a volte e a volte solo perché sono generosi. Maria la scopi facilmente.
A volte rovesciata nella portineria con la guardiola chiusa.
A volte nel solaio con la scusa di una perdita del tetto che rovina i bauli o un topo che, forse, davvero, almeno mi sembrava.. c’era, prima.
Maria la porti a casa nelle notti se vivi solo, quando i vicini dormono e non vedono il movimento.
Puoi portarla al cinema in periferia e smaneggiare e farti smaneggiare e magari finire al ritorno l’opera contro un portone chiuso se trovi la via giusta buia abbastanza e così poco trafficata da permettere una scopata veloce e rabbiosa in piedi a sbattere sul legno chiuso per la notte.
Cogli anni il rito di Maria diventa più regolare e più prudente. Direi quasi normale.
Niente più cinema bui o portoni o cose strane.
Maria allaccia anche relazioni.
Quasi fidanzamenti.
Ma ogni volta o l’operaio scappa di notte dalla casa dopo qualche settimana di amore rubato, lasciando mesi e mesi di affitti non pagati, si trasferisce chissà dove e nessuno poi ne sa più niente oppure poi si sposa con un’altra oppure è capitato anche fosse anziano più di lei e che morisse.
Regina ha diciottanni ed è bella come la mamma.
Regina male accetta a quell’età le cose che intravvede.
Maria che l’ama e ha l’età più da sorella che da madre, si porta in casa, l’appartamento collegato alla portineria, l’amante suo di allora.
Uno dei suoi migliori amanti nella vita.
Aldo prende Maria con furia e non è mai stanco.
A volte prenderebbe anche Regina, la guarda spesso con occhi assai eloquenti. Ma non osa.
Maria lo ucciderebbe se lui osasse.
Regina poi per Aldo prova tra l’altro solo ribrezzo e repulsione.
Per le mani sempre sui seni di Maria, in ogni istante e le parole volgari dette di notte troppo ad alta voce dentro il letto’
Succhiami, voglio venirti in bocca, troia’chiedimi il cazzo, dimmi che vuoi essere scopata,..urla.. Maria spesso di fatti urla.
A volte di piacere.
Quando ad esempio Aldo la apre con violenza, Maria è ancora secca tra le cosce ma al treno che le sale dentro lacrima subito e lo bagna.
Maria spesso di fatti urla.
Anche di dolore e di paura.
Aldo beve sempre di più, ha perso anche il lavoro, è un peso.
Maria ricomincia i suoi mestieri antichi e i piccoli baratti d’amore allora.
Un po’ per delusione ma anche e soprattutto per necessità di mese.
Aldo lo sa, gli è comodo così, nemmeno parla con lei degli altri.
Maria arrotonda.
Aldo la picchia quando beve.
La insulta.
Ubriaco le rovescia addosso fiumi di parole sconnesse come la gelosia.
Picchia la puttana che lo mantiene e vorrebbe scoparla anche mentre la picchia, ma non ci riesce quasi mai in quella condizione.
E allora non la scopa e picchia. Sempre più forte.
Regina l’anno stesso lascia Maria, Aldo e la casa e la portineria.
Storie di paese nel cuore della città.
Anni dell’eroina.
Anche qui a Milano.
Regina vive in periferia con un uomo anche un po’ strano.
Preferisce comprare un quartino di pace da spartire con lui che vivere nel mattatoio della portineria.
Non torna da Maria nemmeno quando Aldo, una notte qualsiasi, parte senza salutare.
Maria il giorno dopo ha un livido nuovo sullo zigomo e Aldo non farà più ritorno.
Di Aldo in quel formicaio nessuno in fondo sente la mancanza.
In quella casa è già successo.
Che per affitti non pagato, convivenze finite male, trasferimenti improvvisi e immotivati, forse anche storie di piccola malavita, anzi senz’altro, gente se andasse nella notte.
Senza essere salutata o salutare.
E che nessuno dopo due giorni ne sentisse nemmeno la mancanza.
A volte non se ne ricordassero nemmeno il nome o il volto.
Maria riprende poco dopo la sua collezione.
Non ha più gli anni della ragazza che ingolosiva tutti con uno sguardo nero e il seno affannato troppo compresso sotto una camicia.
Maria rimane bella.
Lo dico perché tra i baratti di Maria, in quei giorni, ci sono stato anch’io, giuro’ era bella molto bella.
La prima volta, l’unica volta con Maria, fu al mio arrivo da ragazzo cresciuto in fretta, in quella casa.
Con pochi soldi in tasca, senza nemmeno un gabinetto tutto mio, venti anni alle spalle in meno di Maria, nel locale ereditato per il basso affitto nell’uso da uno di quelli che andavano via senza salutare e che forse avevano più debiti alle spalle che capelli sulla testa.
Non ci fu premeditazione quella volta con Maria.
Non sapevo nemmeno dei suoi usi, dei suoi costumi, di quei suoi baratti.
Maria mi accompagna sulle scale, quattro piani in salita senza un ascensore.
Apre la porta, mi da le chiavi, mostra.
La stanza e il seno che ansima e si solleva e si gonfia per l’affanno delle scale salite in troppa fretta.
Io non guardo la stanza che è piccola con brutti oggetti lasciati indietro da qualcuno e un letto di ferro con un vecchio materasso.
Non guardo la stanza, guardo il seno di Maria.
Maria sorride alla mia bocca socchiusa per lo stupore ammirato e, anche, credo, non serrata comunque anche per le scale’troppe..
Maria carezza lo studente fuori corso dai capelli troppo lunghi e gli occhi puliti e azzurri. La carezza più strana della mia vita quella.
La carezza della mamma, della sorella, dell’amante al tempo stesso.
Maria mi colleziona.
Arretra verso il letto sporco, si siede.
Mi porta verso il letto mentre guardandomi in viso con un sorriso quieto arretra, tenendomi per mano come se fosse mamma, sorridendo come una sorella un po’ più grande allo stupore mio di ragazzo.
Seduta sull’orlo del letto mi sbottona direttamente i jeans come un’amante consumata.
Maria mi prende in bocca e pompa lenta il calore e il sangue.
Coltiva con le labbra la crescita dell’uomo, lo innaffia di saliva, lo riscalda, da sostegno stringendolo come si fa con la pianta nuova appena interrata, e con il palo a permetterne l’impianto ed il vigore, lo stringe nelle labbra, fa tutore col palato, e tira a se come a gonfiare un palloncino all’interno della bocca.
Poi si rovescia indietro e solleva la gonna fino al seno.
Allarga le gambe all’orlo del letto, i piedi sono a terra.
Maria non ha mutanda, solo un cespuglio folto impenetrabile, nero.
Lo studente è in ginocchio e si fa gatto.
Scosta contropelo il cespuglio che nasconde.
Inclina il pelo come l’erba alta di campo al passaggio il cacciatore.
Scopre il taglio e nascosto nella piega il bottone ambrato e si fa gatto.
Scosta il pelo con le dita, spacca il bosco nero con la mano e lecca come lecca il gatto.
Il gatto non ha labbra per leccare e bere.
Muove la lingua frenetica, accarezza il latte della ciotola, ruvido e piatto.
Beve così il gatto.
E lo studente fuori corso carezza con la lingua sua di gatto, la punta quasi dura, il piatto un po’ rugoso e caldo, schiaccia, carezza e preme.
Piccolo cazzo di donna tra le cosce di Maria.
Lecca e succhia, quel bottone salato, preme di lingua, frena.
Appoggia il piatto duro del dente, attento che non sia il taglio ma la corona a schiacciare – e che non graffi – e soffocare la piccola erezione di Maria.
Poi lo studente si alza, abbandona l’altare profano e quell’inchino di golosa commozione e soffoca Maria con il suo peso.
Così Maria mi colleziona da studente. Il baratto in quell’occasione fu credo la mia giovinezza, il mio stupore e il mio silenzio nell’amore, forse solo la lingua del gatto. Io soldi non ne avevo per pagare.
Anzi no, quella che fu l’unica volta mia con Maria, un piccolo baratto ci fu.
Ora ricordo bene, adesso.
‘lasciami quel piccolo anello d’argento che porti al dito, fammi un regalo. Sfilai l’anello, era di pochissimo valore monetario – e ancor meno affettivo – e glielo regalai.
Lo mise in tasca, si ricompose un po’ i capelli, lisciò la gonna sulle gambe un poco, la stirò col palmo, riabbottonò la camicetta e se ne torno’ in portineria con il mio anello, ricordo dello studente aggiunto ai suoi amanti, alla sua collezione di persone e al suo consumo di occasioni.
Questo accadeva venti anni fa all’incirca.
Sono rimasto in quella casa sita in quella via sita in quel quartiere sito in questa città altri dieci anni almeno.
Ora vivo sempre vicino a quei luoghi ma vivo certo meglio e in quella via passo solo quasi ogni giorno tornando dal lavoro, in auto, quando la circonvallazione dell’epoca spagnola ha il cuore rallentato e cerco strade un po’ più riservate e sgombre.
In quei dieci anni ho conosciuto meglio e osservato spesso Maria.
Ha continuato la sua vita fatti di uomini scelti per voglia e a volte, sempre più spesso, col passare del tempo, per bisogno o capriccio di regalo o di moneta.
La sua seconda attività, oltre la portineria, un po’ più redditizia anche, credo, parecchio, la sua collezione di storie e di persone, di soldi e di regali a poco prezzo.
Persone che ancora in quegli anni hanno fatto sesso con lei, alcune anche l’amore, alcune l’hanno picchiata come la picchiava Aldo, altre senz’altro guardata come la guardò un pomeriggio di vent’anni prima uno studente.
Tre convivenze un po’ meno brevi del consueto, nella sua età più matura, persone poi scappate magari di notte e senza un saluto a nessuno, da quel porto di mare per disperati che era quella casa.
E che lo è ancora, anche se adesso l’hanno un po’ ristrutturata e verniciata a nuovo e non sfigura nella via.
E’ cambiata anche la custode assieme al colore di intonaci e finestre.
Maria è morta l’anno scorso dopo pochi mesi di malattia.
Ha lasciato la portineria che era ancora troppo bella davvero, col seno ancora più superbo, la vita stretta e un culo che rapiva gli sguardi nella strada.
L’occhio sempre più fondo e scuro nello sguardo, anche se circondato da qualche ruga piccina di troppo, forse, adesso e i capelli neri di tintura.
Regina ,che non aveva mai spostato la residenza da quella portineria negli anni, è tornata nella via. Regina che adesso ha quasi quarant’anni.
Fianchi larghi e culo sodo, stretto e sagomato ad arte dentro i jeans di velluto o di tessuto sbiadito, vita strozzata dalla cintura alta con un falco ad ali spalancate sulla borchia grossa metallica che serra la vita e il fiato.
Camicie chiare, sempre un po’ troppo sbottonate sul seno grande e sempre un po’ ansimante nel lavoro quotidiano.
Regina che continua il lavoro della mamma con la stessa ostinazione. Le scale da pulire ad ogni settimana, la posta nelle caselle, i sacchi neri da chiudere alla sera.
E il sesso regalato o barattato nelle stanze, nel gabbiotto all’ingresso, magari nel solaio, ..perché, venga a vedere, Regina, per favore, credo ci sia un’infiltrazione dal tetto,’mi sembrava, dio!, di avere visto un topo dietro quel baule’
Regina che continua gli usi e costumi in mezzo a cui è cresciuta.
Regina che continua.
Che perpetua, che rinnova.
Nel retro della portineria, su un scaffale nella nicchia del muro, in fondo, dietro una tendina, Regina ha trovato anche la collezione di Maria.
Tre barattoli della Bormioli col tappo giallo oro, colmi di anellini, anelli e bracciali e gemelli anche da polsino, colmi i barattoli e chiusi,’tutta roba di poco valore, in ogni caso, adatta a quella casa e alle sue generazioni.
Baratti solamente.
Un quarto barattolo poi, stretto il coperchio da non poterlo aprire.
Nel barattolo c’e’ dell’ alcool vecchio rossiccio e dentro, se le conti, sette dita.
Sette dita di uomo, anulari tutte.
Alcune con le fede ed altre senza. C’è il dito di Aldo giallo ancora di nicotina con l’unghia corta e scura adesso, cotto nella conserva, e anche quello di altri che sono partiti nella notte, senza salutare.
Forse perché avevano troppi arretrati di affitto da pagare o troppi debiti coi negozianti della via’
Forse perché erano coinvolti nelle storia di piccola malavita del quartiere’
Forse perché picchiavano troppo o non sapevano mantenere promesse ed illusioni.
E Maria troppo rancore per non sapere anche castigare.

L’epilogo è breve, ed è solo supposizione.
Che Regina abbia continuato anche lei la collezione.
Di sicuro i barattoli della Bormioli ci sono ancora e mai la polizia o i giornali hanno parlato di Maria e della sua collezione.
Dei souvenir degli amori fugaci e dei ricordi tranciati ai traditori. Veri o supposti tali.
Dove siano adesso i traditori io non ho idea.
Forse quando la casa sarà davvero restaurata veramente, magari anche rifatta e lo scavo sarà fondo sotto le cantine chiuse ormai da anni , qualcuno stupirà nel trovare quello che resta di quei vecchi amanti.
Ma questa è solo una mia supposizione.
Quella più facile, a pensarci.
Di tutta questa storia so davvero poco.
Qualcosa dalle chiacchiere di paese, qualcosa da Maria, qualcosa da Regina con cui ho diviso anni prima passioni sotto vena.
Qualcosa che mi immagino anche soltanto oltre quello, il poco, che so.
Io so che la fortuna mia quel pomeriggio sono stati gli occhi puliti e azzurri, il viso da studente carico di sogni. L’amore fatto con trasporto e gioia vera e senza nessuna premeditazione o piccola meschinità, aliena per altro a quella mia età di allora.
La lingua del gatto che culla e che carezza un po’ rugosa.
E la fortuna mia è stato quell’anellino di poco valore.
Era il ricordo di un’altra storia ed un altro piccolo amore mio finito male da ragazzo.
Mi è costato poco barattarlo in cambio di un’ora di passione.
Piccolo prezzo a posteriori scambiato con tutto quel sapore.
Piccolo prezzo.
In cambio della vita e delle dita, poi’..

Omaggio

L’omaggio è a quella casa, sita ancora in quella via, e alla via sita in quel quartiere, che sorge ancora nel centro di Milano.
Agli anni miei di allora e al rito dei racconti, delle malignità, le piccole invidie e lo stupore che accompagnano la vita del paese.
Anche quando il paese è solamente un quartiere nel centro vecchio di una città moderna e sempre in corsa.

Omaggio alle Signore Marie.
La città è anche, per ironia della sorte quella delle Tre.. di Marie, non una solamente!
Le Signore Marie che sono la donna in generale, ma come il marketing dimentica spesso di insegnare, oltre a comprare e consumare, vivono vite ognuna diversa dalle altre.
Di quelle vite sono ancora ghiotto come quando ero solo lo studente.

Questo è il terzo episodio della trilogia degli “amori malati”.
L’ordine di lettura, se non quello di scrittura, perché così non è stato, è questo.
Il Colloquio, Succhiotto (titolo provvisorio), La Signora Maria.
La trilogia si chiude col passo di chi scrive.
Pezzo staccato a salutare: ‘ Io Scrivo.
Questa era l’intenzione originaria venti giorni fa.
Magari cambio idea.
Mi resta la speranza di avervi divertito almeno un poco.
Io, a scrivere, comunque mi sono divertito.
Tanto.
Troppo.

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