Non riusciva ancora a crederci.
Si era allontanata dall’ombrellone con la scusa di andare a prendere un caffè al bar lì vicino, con il costume zuppo di salsedine e i lunghi capelli bagnati e appiccicati alla schiena, come se fossero una seconda pelle, portandosi il telo con sé.
“Mi serve per asciugarmi meglio mentre vado”, si era giustificata senza che ce ne fosse bisogno; in realtà quell’asciugamano era una componente fondamentale per l’effetto sorpresa che voleva regalare a suo padre e allo zio.
— E che effetto sorpresa! — aveva mormorato tra sé separandosi da loro, con il batticuore che incalzava e la frenesia che le agitava il basso ventre; mentre Paolo, l’unico a conoscenza di quel piano talmente folle quanto eccitante, la osservava ridendo di nascosto, pronto a godersi ciò che doveva accadere.
Alice si avvicinò al bar e ci ripensò: forse un caffè le avrebbe fornito un po’ di coraggio, dandole persino la possibilità di usare il bagno. Lo bevve in un solo fiato e, dopo aver domandato il permesso per infilarsi in quella toilette striminzita, che a quanto a pulizia lasciava sicuramente a desiderare, cominciò a percepire l’euforia per quanto doveva fare. Non si era mai considerata una ragazza particolarmente audace, anzi, se qualcuno le avesse chiesto di scegliere una parola per definire la sua adolescenza, avrebbe sicuramente propeso per “timidezza”.
Tuttavia, durante il suo anno di matricola presso la facoltà di lettere di Milano (anno che era ormai agli sgoccioli, con all’attivo ben pochi esami superati), aveva avuto modo di sperimentare certi suoi desideri che, fino ad allora, aveva imprigionato in un forziere tenuto nascosto nella sua mente. L’alcool, compagno immancabile di numerose serate con gli amici, l’aveva aiutata a scoperchiare quello scrigno e lei si era accorta che ciò che c’era dentro le piaceva parecchio.
Appese il telo al piccolo appendiabiti avvitato alla porta di legno e, guardandosi allo specchio, si liberò del costume. Il primo ad abbandonare il suo corpo fu il reggiseno. Il seno prosperoso (no, non così prosperoso!), data l’improvvisa assenza di qualsiasi sostegno, si sottomise per un singolo momento alla forza di gravità, poi tornò fiero al suo posto. Si osservò i capezzoli e li stuzzicò per un paio di secondi, giusto per accendersi un po’. Chiuse gli occhi, si leccò pollice e indice e strinse delicatamente, prima uno e poi l’altro, pizzicandoli e massaggiandoli per qualche secondo, finché non si ritenne soddisfatta.
Sfilò gli slip restando totalmente nuda (eccezion fatta per i sandali, che mai e poi mai si sarebbe tolta lì dentro), e compì una mezza torsione del busto, come se volesse assicurarsi che il suo culo fosse ancora lì. Accertatasi che ogni parte del corpo fosse perfettamente al suo posto, e contenta di quel filo di abbronzatura che aveva a malapena soppiantato la tonalità pallida del suo incarnato, si coprì con il telo e, costume alla mano, uscì dal bar percependo il cuore accelerare ulteriormente i suoi battiti. La sfacciataggine dei suoi vent’anni, si disse, l’avrebbe di certo aiutata in questa perversione.
Si avvicinò al suo ombrellone, dove il padre e lo zio stavano vivacemente discutendo di qualcosa che poteva benissimo essere il calcio, i motori o il tempo, e si piantò un paio di metri dietro di loro. Paolo, che era semi-disteso in posizione leggermente defilata dietro i due uomini, la squadrò, chiedendole silenziosamente se fosse nuda.
Lo sguardo loquace di Alice assentì. La ragazza lasciò cadere il costume sulla spiaggia bollente, rimosse i sandali e si concesse qualche altro secondo per godere appieno dell’ebrezza e dell’eccitazione del momento, catturando qualche granello di sabbia tra le sottili dita dei piedi, fissandone lo smalto nero che mostrava i primi segni di cedimento.
Ancora non riusciva a capacitarsi di ciò che stava per fare. Che le era saltato in mente? Mettersi in quella posizione così esposta, poi! Era stato Paolo a spingerla a farlo? No, ne era consapevole. Se non avesse voluto, si sarebbe rifiutata fin dall’inizio. Annegò sensi di colpa e moralità varie, che avevano fatto capolino solo per puro spirito di comparsa, in un angolino insonorizzato del suo essere.
Era giusto ciò che stava facendo? Forse no.
Voleva comunque farlo? Decisamente sì.
Afferrò tutto il coraggio che riuscì a racimolare. Circumnavigò l’ombrellone e catturò l’attenzione dello zio e del padre che, seduti su basse sedie di legno, smisero istantaneamente di parlare. Torreggiando dall’alto del suo metro e settantadue di altezza, Alice si decorò con un finto sorriso innocente.
— Volete vedere una cosa?
— Che cosa? — rispose Marcello, il padre.
— Me!
In quel preciso istante, Alice lasciò cadere il telo e si mostrò loro completamente nuda.
***
Parecchi giorni prima.
Suo cugino Paolo fu il primo che vide all’uscita dal terminal Arrivi. Alto quanto lei ma dotato di una discreta muscolatura, che faceva apparire Alice ancor più snella di quanto non fosse già, indossava una camicia bianca che metteva in risalto la sua carnagione olivastra e i corti capelli neri. Sotto, un paio di pantaloncini color cachi di dubbio gusto completavano il suo outfit. Anche se i due dimostravano praticamente la stessa età, lui era più grande di lei di quasi cinque anni.
— Finalmente! Non sei contenta di essere qui? — le domandò sfoggiando il suo miglior sorriso dopo averla raggiunta e abbracciandola subito dopo.
— Tantissimo, mi mancava il paese. Qui è tutto così… colorato e vivace!
Alice schioccò un bacio sulla guancia del cugino; la barba nera le irritò un po’ le labbra carnose. Gliela lisciò con il retro della mano, suggerendogli di radersi.
— Sei venuto da sol…
Non fece in tempo a concludere la domanda che qualcuno le picchiettò sulla spalla. Si voltò di scatto e vide un sessantenne allampanato, completamente calvo e dallo sguardo allegro. S’involò su di lui e strinse il padre di Paolo, suo zio Gustavo, in un caloroso abbraccio, premendogli involontariamente il seno contro il petto e facendolo quasi cadere per lo slancio. Baciò anche lui sulla guancia. L’uomo, terminati i saluti e un po’ rosso in viso, si chinò per afferrare le valigie della ragazza e tutti e tre si avviarono verso l’auto.
— E la zia come sta? Non è venuta?
— No, lo sai com’è, — rispose Gustavo, — soffre il caldo. Ti aspetta a casa, ti ha preparato le cotolette. Non sei contenta?
— Certo che sono contenta. Con quarantacinque gradi all’ombra, chi non si mangerebbe una bella cotoletta fritta?
— Prima però ti fai una doccia, puzzi più di una capra! — la canzonò il cugino. Per tutta risposta, si beccò un cazzotto sulla spalla. — Sei manesca! Tuo padre quando scende?
— Fra qualche giorno, ora non mi ricordo la data precisa. Era impegnato con delle riunioni importanti, ma a Milano faceva troppo caldo per restare. Ho finito gli esami della sessione estiva e ho trovato un’offerta all’ultimo minuto. Ho avuto un culo assurdo!
Ogni estate, sin da quando si erano trasferiti a Milano cinque anni prima, Alice e Marcello trascorrevano la quasi totalità delle vacanze estive dai parenti, in un piccolo paesino nel litorale pugliese. Alice cercava sempre di partire prima del padre, che era primo cugino del papà di Paolo, dando modo al genitore di godersi, almeno per qualche giorno, un po’ di libertà e privacy.
La moglie di Marcello, che lei faticava a chiamare madre, li aveva abbandonati quando era molto piccola per fuggire da qualche parte con un algerino conosciuto durante una sfortunata vacanza all’estero. Non aveva mai più dato sue notizie e a lei stava bene così. Lui non si era mai risposato, ma Alice sospettava che, di tanto in tanto, frequentasse qualche sua collega o un’amica. Un motivo in più per lasciargli la casa libera per un po’, si era sempre detta. Anche lui, in fin dei conti, era un essere umano e aveva bisogno della sua intimità e dei suoi spazi.
Arrivarono a casa mezz’ora dopo. La ragazza si fece una doccia veloce e poi, durante il pranzo, fu sommersa da mille domande, che spaziavano dall’università alla vita nella grande città, per finire con la presenza o meno di un fidanzato (o di una fidanzata, zio Gustavo ci teneva a mostrarsi al passo con i tempi).
— L’università va bene, — mentì, — Milano è caotica e si va sempre di fretta. Ho frequentato un ragazzo per un po’, ma ci siamo lasciati. Poi all’università ho conosciuto una ragazza e siamo uscite insieme per qualche mese (il sorriso si accese sulle labbra di zio Gustavo che, in qualche modo, ci aveva visto giusto), ma ora sono single. Non ho testa per le relazioni. E voi? Cosa mi raccontate?
Il pranzo terminò un’ora dopo. Paolo accompagnò Alice a fare una passeggiata in centro, a incontrare vecchi amici e conoscerne di nuovi durante un aperitivo, per concludere poi in bellezza rivivendo i ricordi di quand’erano più piccoli, camminando lungo le viuzze della città. Rientrarono all’incirca poco prima della mezzanotte e si diressero verso la camera di Paolo.
— Non abbiamo ancora finito di sistemare la stanza degli ospiti, di solito la usiamo come “magazzino” per tutto ciò che dovremmo buttare ma che alla fine conserviamo… ma tanto lì ci dormirà tuo padre, quindi c’è tempo. Noi due staremo in camera mia.
— Come quando eravamo piccoli? Mi costringerai a dormire su quella brandina scassata? — gli domandò Alice, sussurrandogli nell’orecchio per non svegliare gli zii, facendogli sentire il suo alito caldo sul padiglione.
— Se mi dai mille euro, ti cedo volentieri il mio letto.
— Certo che sei proprio un galantuomo; la tua fidanzata non te l’ha mai detto?
Paolo la fissò per un paio di secondi.
— Punto primo: non siamo fidanzati, usciamo semplicemente insieme; e poi lei non mi piglia certo per il culo come fai tu. Sono un galantuomo, romantico al punto giusto. Con te non serve esserlo, — aggiunse. Per tutta risposta, ricevette un secondo cazzotto sulla stessa spalla di quella mattina.
— E’ bella? Me la presenti? — gli domandò Alice.
— Come no, così puoi sedurla? Tanto lo so che vorresti scoparla!
— Ma se non l’ho mai vista! — s’imbronciò, fingendosi offesa per l’insinuazione, — Hai molta fiducia nelle mie capacità di seduzione eh? Ma almeno le piacciono le donne?
Le punte delle orecchie di Paolo si arrossarono leggermente quando le rivelò che, da ubriaca, la sua ragazza gli aveva confidato una leggera curiosità per il suo stesso sesso. Alice rise e si sfregò le mani, imitando il signor Burns dei Simpson.
— Prendi questa cosa con le pinze, come ti ho detto era ubriaca! Ciò che si dice da ubriachi non conta, — chiarì Paolo.
— Come no, da ubriaca ho detto le peggiori verità!
Alla fine, lui le cedette il suo letto e si accontentò della brandina, da perfetto gentiluomo quale affermava di essere. Alice andò in bagno a sistemarsi e struccarsi e tornò in camera qualche minuto dopo, con indosso solamente gli slip e una magliettina corta che aderiva appieno al suo seno e le lasciava scoperto l’ombelico. La semioscurità della stanza, comunque, le permise di celare bene le sue forme.
Paolo si era già coricato e, se non fosse stato per un messaggio ricevuto su un gruppo Whatsapp, si sarebbe addormentato di lì a pochi secondi.
— E’ quel cretino di Tancredi.
— Fa’ spazio, fammi vedere!
Alice si gettò sulla brandina e lo scostò con uno spintone, nonostante lui fosse ben più massiccio di lei. Si adattarono al meglio nel poco spazio che avevano a disposizione; la coscia destra di lei, morbida e affusolata, era appiccicata alla sinistra di lui.
Osservarono il botta e risposta dei loro amici sul gruppo Whatsapp, ridendo delle reazioni di alcuni. Venti minuti dopo, stremata dal caldo e abbattuta per l’assenza di un condizionatore, con la fronte, la schiena e la coscia madide di sudore, gli chiese di essere aggiunta al gruppo per poter leggere i messaggi al fresco dell’altro letto, a poco più di un comodino di distanza. Coricarsi su un materasso fresco le parve un sogno. Commentarono un altro paio di messaggi del loro amico Tancredi.
— Si vede proprio che si sta riducendo a uno zerbino per quella lì! — commentò caustica Alice.
— Ma no, è solo una tua impressione, — puntualizzò Paolo.
— Facciamo una scommessa? Se risponde palesemente come uno zerbino alla proposta che gli ha fatto, mi fai vedere una foto sexy della tua smuacky smuacky.
— La mia smuacky smuacky ha un nome, si chiama Rossella. E se invece non lo fa? Mi fai vedere una foto sexy della tua ex?
— Andata!
Si strinsero la mano, consolidando la scommessa. Neanche un paio di minuti più tardi, la risposta di Tancredi consegnò la vittoria ad Alice. Paolo, solo in parte contrariato dalla sconfitta, cercò la foto sexy più casta tra quelle che la sua smuacky smuacky gli aveva inviato e diede lo smartphone alla cugina.
— Bella, non quanto me, ma molto carina! Peccato che non abbia tette!
— Ha parlato miss Universo, — sentenziò, — non tutte hanno la fortuna di avere un bel paio di tette e un bel nasino all’insù come te, nobildonna dell’800.
Per tutta risposta, Alice gli gettò il cuscino addosso e si premurò di farselo restituire, constatando come, in effetti, le sue forme fossero di gran lunga più sinuose di quelle della ragazza affacciata al display. Si posizionò semiseduta sul letto e accavallò una gamba sull’altra.
— Piuttosto, sai che ti sta bene questo nuovo colore?
— Davvero? Gracias! Mi ero stancata del mio solito biondo e ho deciso di schiarirli e farli color platino, — gli spiegò.
— Senti, platinata… facciamo un’altra scommessa? Aumentiamo la posta?
— Sono tutta orecchi!
— Voglio dare un’ulteriore chance al povero Tancredi. Zerbino sì: mi fai vedere una tua tetta, tu che te ne vanti tanto. Zerbino no: ti mostro una foto di Rossella in topless. Ci stai?
— Col cazzo!
— Quanto sei noiosa. Va bene, mi fai vedere meglio il tuo piede. Uno a caso. Al posto della tetta. Mi sembra un accordo equo e solidale, — ridacchiò, — anche se il vantaggio ce l’hai solo tu.
Lei si guardò il piede a mezz’aria, agitando le dita.
— Sei uno di quelli fissati con i piedi della gente? Che ci trovi di particolarmente bello? — gli domandò.
— Solo curiosità!
Alice rifletté sulla scommessa. C’era un’alta possibilità, per non dire l’assoluta certezza, che Paolo stesse portando acqua al suo mulino; tuttavia quel gioco la intrigava e decise di accettare. Tancredi, pochi minuti dopo, fece gioire Paolo.
Alice finse riluttanza per un po’, ma alla fine gli permise di avvicinarsi al suo piede, rimanendo con le gambe accavallate com’era prima, illuminata appena dalla luce dello schermo. Il ragazzo si sedette in fondo al letto e, afferrando per la caviglia sottile la gamba posta a mezz’aria, le squadrò la pianta del piede come solo uno studioso della natura di fronte a un esemplare interessante di fauna locale può fare.
— Certo che hai proprio un piedone. Che numero porti?
Gli rivelò di calzare il 39, il 40 con certe scarpe, senza staccare lo sguardo dallo smartphone, fingendo disinteresse ma avvertendo qualche farfalla stuzzicarle lo stomaco. Paolo approfittò di quella che lui intese come distrazione e, avvicinando lentamente il viso al piede, tirò fuori la punta della lingua e, molto velocemente, le leccò la pelle, dalla pianta fino all’incavo sotto le dita.
Alice si lamentò, tra il serio e il divertito, di come quelli non fossero i patti. Lo ricacciò sulla brandina, rimproverandolo per la sfacciataggine dell’aver leccato il piede alla sua “povera e indifesa” cugina, di come adesso doveva disinfettarselo con il fuoco e altre cazzate varie, tra le quali vi era inclusa anche l’amputazione della lingua del suddetto parente. Dopo qualche altra risata e poche ulteriori chiacchiere, i ragazzi si addormentarono.
Un’oretta dopo Alice fu svegliata da un rumore veloce e ritmico. Capì al volo cosa stava succedendo: Paolo si stava masturbando. Fu sul punto di dirgli qualcosa, di rimproverarlo, probabilmente, ma alla fine restò zitta l’istante in cui capì che la cosa non la stava infastidendo, tutt’altro.
Si domandò se il cugino si stesse toccando pensando a poco prima, a quando le aveva leccato il piede. Provò a immaginare scenari erotici al limite della moralità e si scoprì meravigliata di come quei pensieri la stessero svegliando dentro. Attese in silenzio per un po’, avvertendo irrequietezza nel basso ventre.
Fantasticò di essere totalmente nuda davanti a Paolo, di abbassargli i boxer e scoprirgli il cazzo, di mettergli in mostra la cappella; di chinarsi su quella proboscide e, dopo averla leccata e baciata a dovere, di farlo distendere sul letto e regalargli una sega con il piede. Avrebbe sicuramente gradito, pensò. Forse, avrebbe gradito anche lei. L’onanismo del ragazzo terminò qualche secondo dopo. Alice attese pochi minuti ancora, per assicurarsi una discreta probabilità di non essere disturbata e di non farsi scoprire. Tirò su il lenzuolo.
Con un colpo di reni sfilò gli slip e li portò a metà coscia. Si leccò l’indice e il medio, ma capì in quello stesso istante che quel gesto era stato completamente inutile. Gli slip erano fradici e lo stesso si poteva dire di lei.
Assistere alla masturbazione del cugino l’aveva accalorata sul serio in quel modo? Si domandò se fosse stato l’atto in sé a eccitarla, oppure l’elevata probabilità di essere stata lei stessa l’oggetto del suo piacere; poco le importava comunque trovare una risposta. L’ardore l’aveva galvanizzata, l’unica cosa che voleva fare era darsi piacere. Sentiva il corpo accaldato, elettrizzato e fremente.
Trascinò le dita affusolate e umide di saliva lungo il collo sudato e le infilò poi sotto la maglietta, con l’intento di svegliare i capezzoli che, inutile a dirlo, erano già gonfi di passione. Si mordicchiò le labbra e le inumidì con la lingua. Chiuse gli occhi. Con la destra proseguì lungo l’addome e con la sinistra si prodigò per stuzzicare prima un capezzolo e poi l’altro, gesto che le appesantì la respirazione. Non perse molto tempo attorno all’ombelico, non aveva voglia di ritardare troppo l’inevitabile. Continuò ancora, in direzione della parte tenera del suo inguine. Sfiorò con i polpastrelli la leggera peluria color nocciola tra le cosce e, quando ne fu pienamente convinta, premette con decisione sulla clitoride.
Un fulmine scaricò elettricità pura nel suo corpo, ne fu pervasa: da capo a piedi fu scossa da un tremito improvviso che si tradusse in una serie di piccoli spasmi e movimenti incontrollati del suo corpo. Non riusciva a credere a quanta voglia di toccarsi aveva accumulato, a quanto piacere represso stesse nascondendo. Afferrò la punta del lenzuolo e se la infilò in bocca per evitare di urlare e svegliare Paolo. Con tutto il piacere che stava provando, non era sicura di riuscire a fermarlo, né tantomeno di volerlo fermare, nel caso in cui lui avesse voluto infrangere il più classico dei tabù.
Con le dita che fremevano di tensione sessuale continuò imperterrita a massaggiarsi la clitoride, a non darle tregua, a premere e spostare; destra, sinistra, destra, sinistra; su e giù; una pressione, un’altra ancora, e di nuovo tutto da capo in successione, mentre l’altra mano cercava di stare al passo poco più sopra, stringendo dolcemente il capezzolo fortunato, il più sensibile dei due, accarezzandone la punta e torcendolo delicatamente nei momenti di maggior furore.
Aveva atteso abbastanza, il momento era arrivato. Il medio impetuoso accarezzò le labbra circolarmente un paio di volte e poi vi s’infilò dentro con una pressione decisa, penetrando nella fica. Trovò un ambiente confortevole, caldo, umido, stretto. Alice arricciò le dita dei piedi, si morse le labbra attraverso il lenzuolo e, ripiegando il medio a uncino, iniziò ad accarezzare le parti più sensibili del suo corpo. Mentre il pollice premeva all’esterno, il medio sfregava all’interno.
Stare sdraiata non era più possibile. Un colpo di reni, poi un altro e un terzo subito dopo continuarono a scaraventarla verso l’alto, vittima della frenesia della masturbazione. Con gran fatica resistette e trattenne un urlo nel petto; stava per sgorgarle fuori come un geyser a piena potenza, straripando dal basso ventre fino alla gola. Serrò i muscoli addominali man mano che la velocità dei movimenti delle dita andava crescendo. Ormai aveva abbandonato qualsiasi delicatezza e precisione. Annaspava, vittima del parossismo della lussuria, e più premeva e grattava, più veloce voleva farlo. Due dita, poi tre, iniziarono a muoversi dall’esterno all’interno della sua fica e poi a ritroso, compiendo il percorso inverso, causando un debole quanto piacevole sciacquettio che, pensò, rischiava di svegliare Paolo. I polpastrelli martellavano la carne, mai sazi, avidi del succo che stava sgorgando dal suo interno.
Un’ultima spinta, un’ulteriore fiammata e l’orgasmo le sfondò i sensi. Si portò una mano alla bocca, poiché temeva che il lenzuolo non fosse sufficiente a fermare quello slancio. Tremò, per qualche secondo, fino a quando l’ardore dell’orgasmo non mutò in odore di sesso e, liberandosi nell’aria, la sfiancò, permettendole di rilassare i muscoli e adagiarsi meglio al materasso. Era sfinita. Si portò le dita fradice del suo liquido direttamente alle labbra: voleva gustarsi.
Una parte di lei sperava che Paolo non l’avesse sentita, l’altra metà se lo augurava. Si girò di lato, riportando gli slip al loro posto. Osservò la sagoma del cugino: era fermo su un fianco, il suo corpo si muoveva lentamente nel respiro quieto del sonno. Forse era stata fortunata. Sentì una piccola nota di dispiacere, poi rifletté su ciò che era accaduto.
Quel gioco che aveva fatto con Paolo, il gioco delle scommesse, era quella la causa della sua eccitazione, ne era più che convinta: era stata la scintilla che l’aveva accesa, che l’aveva fatta ardere come un falò in spiaggia durante la notte di ferragosto. Si asciugò la fronte imperlata di sudore con il dorso della mano, domandandosi quali fossero le potenzialità di quel gioco perverso e quanta voglia avesse di replicarlo. Quasi non si meravigliò della risposta: era ansiosa di scoprire fin dove poteva spingersi. Questo, però, avrebbe cercato di capirlo l’indomani. Adesso, non ancora pienamente appagata, voleva solamente un secondo round.
Rimosse completamente la maglietta e le mutandine poggiandole accanto a lei e, sotto il lenzuolo, quasi scevra da qualsiasi preoccupazione di essere udita, si masturbò un’altra volta e raggiunse l’orgasmo neanche due minuti dopo.
Ciao William. Grazie per i complimenti, sempre graditi. Certo che prosegue, i capitoli sono già tutti caricati e in attesa…
Bel racconto, complimenti. Aspetto i prossimi capitoli, perché prosegue, vero?
Sono assolutamente d'accordo: sarebbe bello poter avere uno spazio per disquisire di questi aspetti senza necessariamente scriverli qui. Un sistema…
Grazie di nuovo per l'apprezzamento! Non manca molto per la conclusione (con un capitolo pubblicato alla settimana, manca esattamente un…
Sì, diciamo che c'è stata una piacevole conclusione della vicenda, Onestamente attendo con immenso piacere il proseguire di questa tua…