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LETTERE DA COPENAGHEN – IV L’ALTA BORGHESIA E MIRABELLE

By 9 Ottobre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

*Riporto di seguito gli scritti della mia protagonista.
L’autore Dunklenacht.

Africa Coloniale Tedesca, 19 Ottobre 1917.

L’alta borghesia mi aveva generata, accompagnata, cullata. Dal mio piccolo sogno d’Africa, socchiudevo gli occhi e vedevo Parigi, i suoi quartieri magici, scintillanti, alto-borghesi, le finestre illuminate dei palazzi brillavano come stelle, nella notte e le sue nebbie. Un uomo con un cappello a cilindro baciava una ragazza, che piangeva teneramente, sulla sua spalla. Erano lacrime d’amore. I cavalli trottavano lungo i boulevard.
Oh, Parigi, Parigi! Parigi! Parigi, vi avevo trascorso tanta parte della mia prima giovinezza! Ricordo che il mio papà era facoltoso, portava i guanti bianchi e il frac blu di Prussia, aveva il bastone con il pomolo d’avorio e la bombetta, come si usava tra i borghesi, in Inghilterra. Aveva allungato dei folti baffi e due lunghi favoriti, sul suo volto. Mi coccolava sempre. Poi, egli scomparve, come una nuvola bianca nei cieli dell’immenso.
Il porto di Amburgo mi aveva sempre affascinata. Era diventato pieno di rimorchiatori, di chiatte, di battelli a vapore, che spargevano il loro fumo grigio tutt’intorno. Io passeggiavo, sognavo, con le palpebre socchiuse e le ciglia bagnate di tenerezza, a volte protendevo le braccia davanti a me, come per abbracciare il nulla, o forse, il silenzio. Mi incamminavo tutta sola lungo i moli, sulle darsene, ricoperte di nebbie. Allora, amare era come vivere e morire in una Venezia del Nord. I colombi volavano sui suoi canali freddi, dove si specchiavano le fabbriche e i palazzi fatiscenti, dove abitavano le fate. Mentre ascoltavo il suono vago delle sirene e le voci dei marinai, mi dicevo che avevo bisogno di quelle parole meravigliose, desideravo ascoltarle dentro il mio cuore. E mi pareva di sentirmi dire:
– Ti amo, ti amo, ti amo’
Era una voce favolosa, che mi mormorava tenerezze senza fine.
Arrivavo fino all’estremità del porto, il vento del mare mi abbracciava forte, mi consolava delle delusioni d’amore e della morte. I lampioni brillavano, il faro era la stella di ogni approdo, tutt’intorno non c’era altro, se non le navi e il mondo. Vedevo dei rimorchiatori, dei pescherecci’
Allora, sussurravo addio, senza saperne il perché.
Illusioni, illusioni, illusioni d’amore, illusioni dorate, illusioni fatte di corse appassionate nella pioggia, alla ricerca di lui, o di lei, illusioni di baci, illusioni di corpi aggrovigliati, dolcemente illuminati dalle fiamme di un camino acceso, illusioni di giovinezze perdute e ritrovate, illusioni consumate nella luce delle lanterne, illusioni di stelle.
Io passeggiavo tra le ombre e le luci rossastre di un mattino africano, in un’estate senza fine in cui la felicità esiste e non muore mai, ero borghese tra i borghesi e m’appressavo alla stazione, destata soltanto dal fischio remoto di una locomotiva. Fu ad un tratto che vidi scendere da uno di quei vagoni un giovane negretto, abbigliato con una sorta di tunica marrone. Gli corsi incontro e lo abbracciai, lo baciai sulla bocca, gli dissi che desideravo ardentemente fare l’amore con lui. Poi, un treno passò ed egli svanì. Non seppi mai se avevo sognato, in quei dorati istanti.
Era un piacere ricordare il proprio primo coito. Io avevo provato un desiderio immenso, prima di sperimentarlo. Sentirsi deflorare e spaccare a un tempo ti fa diventar donna. Poi, comincia il bello. Non avevo voluto farmi pagare, perché sarebbe stato poco romantico. Ah, ma che scosse, che fremiti, mentre un obelisco di carne e di sangue ti scorre per la prima volta nell’intimo, ghermisce e profana con amorosa crudeltà le parti villose della tua vagina, ricca di piccole protuberanze carnose, simili a proboscide d’elefante, che torturano e accarezzano il glande! Il piacere &egrave tanto grande, che si grida, i piedi all’insù, il corpo nudo, bagnato di sudore.
Mentre pensavo, mi dissi che avevo bisogno di bere. Vidi una fontana di marmo bianco, ornata con due sculture di marmo, che raffiguravano due anfore. Io desideravo soltanto dissetarmi alle fonti dell’amore, mentre il mio volto di bambola brillava della luce del mattino africano. E tutti mi chiamavano Mirabelle, Mirabelle’

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