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LETTERE DA COPENAGHEN – L LE PICCOLE BARCHE DEL PORTO

By 17 Dicembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 23 gennaio 1918.

Allorché ci si appressa alla parola fine, tristemente, ogni sorriso tende a svanire e persino le labbra di una donna si accendono di malinconia e diventano incapaci di baciare o di sorridere.
Eppure, questa non vuole essere una fine triste, bensì lieta ed aperta alla speranza, ai sogni di felicità, al destino di un mondo che non finisce mai.
E pensare, oh, e pensare che Amburgo e il suo porto fuggivano, svanivano, languivano all’ombra dei nostri abbracci! Io e Friedrich eravamo sempre amanti e non facevamo altro che corteggiarci e rincorrerci, per poi fermarci ad ascoltare i racconti dei marinai e dei passanti attempati.
– Ci separeremo, un giorno, non &egrave vero? ‘ gli chiesi una volta al porto, stringendolo forte tra le mie braccia, come se avessi temuto che volesse sfuggirmi. ‘ Non ti lascerò andare via da me! Oh, dimmi che non &egrave così! Dimmelo! Dimmelo! Dimmelo!
– E anche se fosse? ‘ mormorò lui, prendendomi il volto tra le mani, quasi avesse voluto baciarmi.
– Se fosse così, non varrebbe la pena di vivere o di esistere! Non varrebbe la pena di respirare o di lasciare che i nostri cuori palpitino nel petto!
– E invece palpiteranno, palpiteranno, i pensieri correranno, fuggiranno, come le nuvole del porto, che salgono dal mare, accompagnano le navi, ti lasciano sognare, sono tanto care!
– Ma pensa! Come vivrei, come vivresti senza il nostro legame immenso? Senza di te al mio fianco, preferirei farmi rapire dalle correnti gelide del Mare del Nord e morire, una volta per tutte! Sì, preferirei vendermi ai Mercanti di Ragazzi, quei mostri che abitano le leggende popolari, rapiscono la gente e la mandano a morte su bastimenti che naufragano nei mari più freddi della terra!
– Le ferite guariscono, Mirabelle. La mia &egrave guarita da tempo, ormai. Anche quelle del destino potrebbero rimarginarsi, grazie al passare degli anni.
– Queste sono parole ingiuste nei confronti del nostro amore’ Parole che tu non pensi, dettate dalle foschie e dalle nebbie della sorte. Vieni tra le mie braccia, moriamo insieme nell’immagine di Amburgo che si estende davanti ai nostri sguardi! Moriamo, dormiamo, sogniamo, svaniamo, cessiamo di esistere nella sofferenza e accendiamoci di nuova vita!
Eravamo vicini ai binari, un treno a vapore passava dinanzi a noi e spandeva tutt’intorno la sua nuvola malinconica, confondeva la sua immagine con quella dell’immensità, poi, quel fischio lontano e più niente.
La bionda del velocipede e il barbone si separarono, perché lei ebbe l’idea di giocargli un brutto scherzo. Dovete sapere, infatti, che gli fece uno sgambetto e, non contenta di questo, gli tirò la barba fino a fargli male. Volle divertirsi con lui come ci si può divertire con un orsacchiotto.
Il barbone continuò a vivere la vita di un tempo, con i suoi compagni del porto.
Io e la bionda del velocipede diventammo amiche e prendemmo l’abitudine di abbracciarci forte, come se fossimo state due sorelle. Lei era una ragazza dal cuore buono, in fondo, malgrado il suo velocipede nero come la pece, i suoi innumerevoli vizi e la sua inclinazione a vivere una vita di piacere, che io non biasimavo.
Friedrich mi sarebbe stato ancora accanto, me l’aveva promesso ardentemente, sotto la luce delle stelle dell’inverno. E pareva che danzassimo, l’uno tra le braccia dell’altra, senza fine.
I miei occhi vedevano, ammiravano il futuro, avvolto in dolci nuvole di vaghezza. C’erano due rimorchiatori, che trascinavano un bastimento fumante, per aver fuso i suoi motori, era l’ora del tramonto, un velivolo grigio passava nel cielo e s’accingeva ad atterrare, mille piccole luci si accendevano sulle torri e i tetti più alti del porto, s’udivano le sirene delle fabbriche, io c’ero ancora, avevo con me la mia eterna giovinezza, i miei sogni ed un immenso affetto mi circondava incantevolmente. I gabbiani nuotavano vicino ad uno dei moli e il pensiero, il mistero volteggiavano sulle onde lievi di quelle acque d’opale, che brillavano d’aurora.
Le piccole barche del porto andavano su e giù, su e giù, senza sosta, sui flutti di perla. Era una poesia di meraviglie.

FINE

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