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LETTERE DA COPENAGHEN – XIII ERA L’ORA DELL’ADDIO

By 25 Ottobre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

*Riporto di seguito lo scritto della protagonista.
L’autore Dunklenacht.

Africa Coloniale Tedesca, 3 dicembre 1917.

Era l’ora dell’addio, in cui il sole tingeva con i suoi raggi di rame le cupole d’oro, che lunghe decadi di clima africano avevano offuscato, come con un bacio. Il giorno era stato caldo, non so quanti Fahrenheit.
Io e il mio amato, banchiere dell’alta borghesia giunto in quella recondita e paradisiaca regione dell’Africa soltanto per veder brillare la luce dei miei occhi, ci trovavamo sulla sommità di un colle ammantato di fiori bianchi, no, scarlatti, in sella ai nostri cavalli. Eravamo l’uno al fianco dell’altra. Poi, quasi all’improvviso, vedemmo venire a noi le mandrie e gli armenti di pecore bianche, guidate dai negretti dai volti bruciati dal sole, che facevano fischiare nell’aria i loro frustini di legno. C’erano anche delle capre e i cani da gregge correvano a destra e a manca, ansando e abbaiando onde tenere riunite tutte quelle bestie.
Si vedevano di lontano i tetti delle fattorie, le ampie verande dai colonnati sontuosi, degni dell’antica Grecia, le staccionate di legno, non lungi dal villaggio.
Il mio uomo si voltò verso di me, proprio nell’istante in cui l’ultimo raggio dell’occaso faceva brillare la mia bocca rossa e i miei denti bianchissimi, prima che mi posassi un dito sulle labbra, come per regalare un bacio.
– Dove vanno? ‘ mi chiese lui, stringendo dolcemente la mia mano.
– Al kraal, prima che faccia buio ‘ risposi, appassionatamente.
– Che cos’&egrave l’amore, per te?
Scoppiai a ridere, poi dissi:
– Guarda, guarda in quella direzione!
E puntai il dito verso Ovest, mentre giravo il mio cavallo onde passare al fianco del mio tesoro e regalargli, mentre era distratto, un bacio sulla bocca.
Ai piedi della collina c’era il cartello di legno, dove si leggevano il nome del villaggio e l’altitudine, espressa in metri sul livello del mare.
Era un luogo chiamato paradiso.
– La felicità &egrave infinita, la felicità dura per sempre, la felicità &egrave donna e fa sognare con i suoi baci ardenti ‘ dissi.
Portavo indosso un lungo manto turchino col cappuccio ed egli dovette trovarmi tanto bella e innamorata, perché quasi svenne per il desiderio. Scendemmo da cavallo e lo abbracciai, poi lui si sdraiò sull’erba verde di quel colle, io mi misi sopra per giocare, gli strinsi le mani e ruzzolammo.
– Ti ho preso! ‘ dicevo, scherzando.
– Ti ho presa! ‘ rispondeva lui.
Alla fine ci fermammo e la languida Mirabelle disse, come baciando:
– Permettimi di dirti quanto ti amo, come la luna nel cielo stellato.
Gli occhi colmi di sogni, ci addormentammo, l’uno tra le braccia dell’altra. E pensare che avevo desiderato il mare, avevo desiderato di baciare!
I treni passavano, in quella regione amena dell’Africa, uno dopo l’altro, come viandanti del paradiso, i lampioni a gas illuminavano i paraggi della stazione e l’orologio bianco, che segnava le ore.
Avevamo visitato il mercato degli asinelli, sì, degli asinelli. C’erano tanti negri ed erano tanto, tanto belli. Io ne scelsi uno, da coccolare ed accarezzare, era un così bell’animale!
– Donamelo per un po’, anzi, donamelo per sempre ‘ chiesi al mio amato, tutta contenta.
I tamburi rullavano e c’era grande festa tutt’intorno. Io mi ripetevo che poche cose vi sono al mondo, dolci come i baci sulle labbra di una giovane donna. Forse, quelli di un’altra donna. Io non so, davvero io non so quanto amassi la mano affettuosa che tanto sovente accarezzava la mia chioma.
Il sentimento del tempo che fuggiva rapiva i miei pensieri e faceva battere forte il cuore che avevo in seno. Il piacere, il piacere e il desiderio mi travolsero. Amavo addormentarmi tra le braccia del mio amante. Passavo le notti stellate cantando i Lieder della mia terra, quelli che un tempo quasi si improvvisavano, accompagnati da un violino o da un pianoforte, nei caff&egrave, nei salotti dell’alta borghesia cittadina, cui anch’io appartenevo. E commuovevo le stelle, sì, solo le più belle.
Di ritorno, di ritorno &egrave il soldato dalla guerra
e la sua bella
corre a riabbracciarlo.
Poi riscopro allegramente il passo
dell’innamorata nel bosco,
dove spunta l’agrifoglio e s’ode il canto sonoro
dell’upupa e degli uccelli del rovo.
Sempre caro e ameno trovo
quell’antro misterioso
dove l’acqua pura sgorga ancor:
&egrave la fonte dell’amor,
della giovinezza che non muore mai,
anche tu, presto, l’avrai.

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