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LETTERE DA COPENAGHEN – XIX L’ORCO E MIRABELLE

By 9 Novembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 16 dicembre 1917.

Se il mio non &egrave un lapsus, ricordo di aver conosciuto il mio amato sui banchi di scuola. Erano banchi di legno, ottocenteschi, sui quali si vergava la carta con inchiostro turchino, contenuto nei grandi calamai che i bidelli riempivano con solerzia ogni mattino. Le penne d’oca erano fatte per scrivere messaggi d’amore e di lusinghe, per i bigliettini dolci, pieni di profferte di felicità e di desideri impossibili.
A volte, durante le lunghe ricreazioni primaverili, i maschi inseguivano le femmine. Mi sembra ancora di vederli, laggiù, nel cortile, con indosso le loro divise blu dai fiocchi bianchi e dai bottoni dorati. Si abbracciavano e ruzzolavano sull’erba verde, in mezzo ai papaveri scarlatti.
Il mio amore era figlio di papà e durante gli anni dell’università aveva condotto una vita di follie e sregolatezza, prima di diventare un grande e facoltoso banchiere. In quegli anni di giovinezza ruggente, infatti, egli soleva trascorrere le sue nottate nei caff&egrave, tirava oppio di prima qualità, viveva di sogni e del piacere carnale che gli davano le più belle ragazze della Sorbona. Erano giovani donne dalle labbra carnose, che si concedevano facilmente dopo una serata di chiacchiere e di conversazioni languide, tenute mano nella mano alla luce fioca delle lampade di qualche bistrot, di qualche locale notturno in cui si giocava a trente et quarante su un tavolo verde, un violinista orbo strimpellava un valzer in un angolo e qualche prostituta di lusso, truccata e vestita di pizzo, faceva l’occhiolino al suo cliente.
Il mio tesoro amava Baudelaire e i Fiori del Male. Eppure, aveva un carattere così tenero e affettuoso’ Ricordo che, dopo avermi conosciuta ed essersi innamorato di me, quel giorno, vicino a Notre-Dame, mi aveva fatta salire in groppa al suo cavallo, al suo fianco, per condurmi sino alle cascate della Senna, dove l’acqua turchina gorgogliava forte, sulle rocce.
Suo padre aveva voluto che fosse banchiere, come lui. Dopo la laurea, quando il mio tesoro portava ancora la corona d’alloro sul capo, gli aveva fatto indossare il frac e i guanti bianchi, gli aveva messo il bastone col pomolo d’avorio in mano e in testa il cappello a cilindro.
La bontà, la generosità e il coraggio del mio eroe si manifestarono in tutto il loro ardore un brutto giorno, allorché mi salvò da un incidente nel quale altrimenti sarei rimasta uccisa.
Tutto accadde nei pressi di Amburgo.
Galoppavo nel bosco, era d’autunno, presso il capanno della Strega Nera, che il popolo vedeva tutti i sabati, a mezzanotte, davanti al fuoco, i lunghi capelli scarlatti appassionatamente sciolti, sotto il cappellaccio a cono, color della pece. Era giovinetta e recitava le sue formule magiche alla luce delle fiamme’ In un solo istante, il mio cavallo si fermò, si imbizzarrì, si inalberò. Forse, fu per opera degli spiriti maligni, sobillati da quella creatura del bosco. Pareva che i faggi parlassero. Nella corteccia di uno di essi era inciso il nome della maliziosa ammaliatrice che aveva giocato col mio destino. Fui disarcionata e giacqui immobile sul prato, accanto ai rovi irti di spine, dove era morto un pettirosso.
All’improvviso, ecco sbucare dalla macchia il mostro, l’Orco, famelico, gigantesco. Aveva la forma di uomo, i capelli lunghi, ritti, la bocca spalancata, dalla quale pendeva la lingua lunghissima, biforcuta, il naso enorme, le guance infossate, ricoperte di rughe e cicatrici, al pari della fronte enorme. I suoi abiti erano sudici e fatti a brandelli, era irsuto quanto una bestia e aveva la coda. Correva verso di me per mangiarmi, mi tendeva le mani grandi, dai lunghi artigli’ Poi, ecco uscire dalle fronde il mio amore perduto, il fucile imbracciato, prese la mira, per poi sparare all’Orco, prima che mi divorasse.
Bum!
Il volgo diceva che fosse un barbone fuggito di casa, avvezzo a vivere nel bosco e divenuto carnivoro e antropofago. Per altri, era una bestia, nata dall’accoppiamento tra uomo e animale.
– Mi hai salvato la vita ‘ dissi poi al mio amato, stringendogli la mano affettuosamente. ‘ Ti ricompenserò, donandoti ogni giorno una stilla del mio perpetuo affetto.
E così feci.
I miei occhi sognavano, si rallegravano delle visioni delle nostre passeggiate ad Amburgo, sotto i faggi, presso gli stagni in cui nuotavano i cigni, i cespugli ove cinguettavano i fringuelli armoniosi, canori, ecco, giocavamo a rincorrerci, a chiamarci per nome, a sognare, ad amare. Poi, quel bacio, davanti al Palazzo Municipale dalle guglie scarlatte, che una leggenda medievale diceva fosse stato costruito senza finestre sulla piazza, perché gli abitanti pensavano di potervi portare il sole chiuso dentro i sacchi.

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