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LETTERE DA COPENAGHEN – XLVIII LA BIONDA DEL VELOCIPEDE

By 15 Dicembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 21 gennaio 1918.

Una volta, vidi una ragazza avvenente, che andava su di un velocipede nero per le vie di Amburgo. Accadde in un quartiere che assomigliava a quelli di Amsterdam e quella graziosa fanciulla cresciuta sembrava davvero un’olandese. Indossava un lungo cappotto nero che, spalancato dal vento, mostrava la sua gonna aderente, corta, che consentiva di ammirare le sue gambe scoperte, lunghe, tornite, i suoi calcagni rotondi, i suoi piedi grandi, racchiusi da un paio di scarpette decolleté nere, col tacco a spillo. La bella aveva i capelli lunghi, biondi, che volavano nel vento; di tanto in tanto, passando, salutava un amico suonando il campanello. L’unica cosa che c’era di cupo, in lei, era il colore dei vestiti, che erano neri come la pece e davano l’impressione che fosse vestita a lutto. Forse, lo era veramente. Eppure, tutti coloro che la guardavano provavano piacere, piacere e ancora piacere, persino le donne, che correvano a toccarsi nell’ombra, sotto la gonna, onde confondere gli affanni della vita con le gioie furtive della carne.
L’avvenente ragazza del velocipede svanì così, sotto i faggi e le betulle di non so quale viale di Amburgo e pensare’ Oh, e pensare che io avevo cercato di chiamarla, a gran voce, di rincorrerla, di chiederle come si chiamava, di corteggiarla! Provavo il desiderio di diventare il suo amore, la sua amica del cuore, per sempre, ma il destino non me lo permetteva.
Il popolo diceva che la ragazza del velocipede, tutta vestita di nero, fosse viziata, corrotta e profumata. La vedevate ubriacarsi nei locali dei bassifondi, pieni di birra e di gentaglia che imprecava e bestemmiava, la vedevate consumare accoppiamenti sessuali bollenti con chissà chi, tenendo in mano un pugno di biglietti di banca e lasciandosi sfuggire dalla bocca contorta in una smorfia dei versi animaleschi, bestiali. La vedevate fumare il sigaro, con un’espressione viziosa e aggraziata a un tempo. Allora, dalle sue labbra ricoperte di rossetto fino all’eccesso uscivano delle nuvole rotonde, che assomigliavano ad alcune lettere dell’alfabeto o a dei cerchi grigi, che poi si dissolvevano nell’etere freddo, come degli incantesimi di vizio. Diceva che non le importava niente della morte e che accettava di vivere soltanto per spassarsela, senza pensare ad altro. Aveva perduto i genitori dieci anni prima, era rimasta orfana, sì. Andava in giro di notte, sollevando la gonna e mostrando a tutti le sue favolose gambe. Il pensiero di suicidarsi l’aveva sfiorata più volte, certamente avrebbe preferito addormentarsi tranquilla, alla fine della sua vita, piuttosto che spegnersi al termine di un’agonia estenuante. Ma non voleva affatto uccidersi, preferiva godersi l’esistenza. Era bella, più bella di quanto possiate immaginare, sapete? Aveva ereditato il velocipede nero più della pece dal nonno, deceduto anni prima in un incidente, nell’opificio vecchio. Lo usava per andare in giro, durante le sue scorribande, diurne e notturne.
Io avrei voluto tentare di parlarle, corteggiarla, baciarla sulla bocca, chiamarla per nome, coccolarla tra le mie braccia, parlarle d’amore e di piacere, per ore, forse per giorni. Ma i miei desideri rimasero vani!
Il popolo raccontava che la bionda del velocipede, dai neri manti, aveva abbandonato la strada del Bene per imboccare quella del Male. Ma erano soltanto dicerie, voci senza senso, che volavano nel vento, poiché io sapevo quanto ella sapesse amare, anche se non la conoscevo. Infatti, avevo sentito parlare di lei dai barboni dei porto, i quali sapevano quanto potesse essere buona più di un angelo, in quanto li aveva aiutati più e più volte, nella tristezza e nel grigiore in cui vivevano.
Ricordo che una volta la ragazza del velocipede si era recata al porto e tutti l’avevano vista baciare sulla bocca e sulle guance due o tre barboni. Poi, ella aveva appoggiato il suo veicolo ad una ringhiera di ferro, vicino alla capitaneria, per lasciarsi abbracciare dai suoi amici, che l’avevano sollevata in aria e portata in trionfo lungo uno dei moli. Tutto questo, per aver regalato loro un pezzo di pane.
La bionda del velocipede era un fantasma del vizio e del piacere. Lo sapevano tutti, anche i marinai, perché una volta si era messa a seno nudo e con la vulva scoperta davanti a uno di loro, per poi scappare via.
Una giorno, lungo una via di Amburgo, era caduta, ma non s’era fatta niente. I maldicenti dissero che s’era salvata grazie a qualche oscuro maleficio.
– Friedrich, adottiamo quella ragazza – gli dissi un pomeriggio, mentre correvamo insieme, appassionatamente e mano nella mano, lungo un viale che costeggiava l’Elba.
Si discerneva una statua grande e grigia, che, a poca distanza da noi, rapiva gli sguardi.
– Adottiamo la bionda del velocipede, sarà la nostra figlioccia ‘ gli sussurrai in un orecchio. ‘ Avanti, dimmi di sì, sarà il nostro bambolotto!
– Hai sempre voglia di scherzare, Mirabelle ‘ mi rispose lui, dandomi un buffetto sulla guancia. ‘ Quell’essere non ha nulla a che vedere con il nostro eterno e immenso affetto, credimi.
– E’ vero, hai ragione ‘ gli mormorai amorevolmente, abbandonando la mia testa sul suo petto. ‘ Guarda, Amburgo e il suo fiume stanno davanti ai nostri occhi, s’illuminano per noi, per i nostri sguardi, i nostri sogni’ Sono tanto, tanto belli’ Lungo le magiche acque, passano le barche, ho tanto desiderato questo istante!
– Mirabelle, non dimenticare le tue illusioni! Non dimenticarle mai’
– Ah, le mie illusioni! Amiche dei miei baci’ Guardami: ho messo del rossetto e della cipria per te, mi sono pettinata per te, sembro una giovinetta, alla sua prima esperienza amorosa, al suo primo incontro d’amore! Sospiro per te, sorrido per te, sono felice per te, soltanto perché ti ho al mio fianco!
– Che fai? Giochi con il mio cappello?
– Sì, gioco con te, che sei tutto quello che posseggo a questo mondo! Gioco con i tuoi sogni, con i tuoi baci, di cui vorrei saziarmi! Lascia che tenga tra le mie mani il tuo berretto rotondo con la visiera. Lo farò girare come una trottola!
E ridevo, ridevo, ridevo, facendo a girotondo intorno al mio amato, corteggiandolo, baciandolo sulle guance, accarezzandogli la barba leggera, di due giorni, mentre un lampo di sole brillava sui nostri volti radiosi.
– Anche stavolta mi congederò da te con uno dei miei soliti baci ‘ gli promisi, saltellando. ‘ No, aspetta’ Chiamami per nome, mille volte’ Mi piace quando pronunci il mio nome! Fallo ancora! Chiamami Mirabelle!
Ridevamo forte, allegramente, davanti al fiume di Amburgo e alle sue sponde.

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