Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti EroticiSensazioni

LETTERE DA COPENAGHEN – XXII MIRABELLE E LE NEBBIE DI AMBURGO

By 17 Novembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 20 dicembre 1917.

Mentre stavo sull’amaca, accoccolata accanto al mio Friedrich, una miriade d’illusioni mi affollava la mente. Erano illusioni che più non ricordavo e assomigliavano a mille bollicine d’arcobaleno, che vagavano nell’aria ed avevano i colori dell’immenso.
Era inverno, sì, era inverno e avevo freddo. Tutta avvolta nel mio mantello lasciavo che il vento mi accarezzasse i lunghi capelli, mentre socchiudevo le mie labbra, incapace di regalare ancora qualcuno dei miei baci.
Grosse lacrime mi scendevano sulle guance, erano d’argento, mi accarezzavo da sola mentre come un fantasma erravo lungo una banchina del porto, poi, salivo misteriosamente su una chiatta, che mi avrebbe traghettata sull’altra sponda o forse, nel regno dei morti.
Tentavo invano di corteggiare un marinaio.
Navigavo sopra le onde, i tetti erano bianchi di neve e io piangevo, malinconica, per il dolore dell’addio. Avevo visto morire il mio caro papà, non l’avrei mai più incontrato, né abbracciato, a questo mondo, perché egli mi aveva lasciata per sempre, rapito da un male più forte di ogni cosa.
Io tremavo, ero tutta un brivido, le case e i tetti lontani, il grande silo e le gru tremavano con me, dentro di me, nelle mie pupille umide di malinconia, erano spettri, spettri del silenzio.
Una musica triste mi girava intorno, era fatta del rumore vago delle barche, delle navi, delle voci dei gabbiani, dei marinai ubriachi, del vento, che soffiava piano piano, dalle coste della Scandinavia.
– Portami sull’altra sponda ‘ dissi al traghettatore, accarezzandolo. ‘ Portami lontano, o morirò di malinconia.
Il mio caro papà era morto.
Ecco, la chiatta si ancorò sull’altra sponda, vidi il vecchio fissare l’ormeggio, prima di andarmene, volli concedergli un mio sguardo appassionato, poi, via, mentre il sole d’inverno tramontava, moriva dolcemente, sui tetti del magazzino vecchio, fatto di legno.
Mi appoggiai al parapetto. Ero sola e il cuore mi batteva forte in seno. Ero sola, sì, sotto quelle nuvole fredde e turchine, baciate dal fuoco, che passavano, volavano sopra le onde, gli edifici nuovi e quelli vetusti, le navi, che salpavano per l’immenso. Dove? Verso Dove? Non lo sapevo.
– Oh, perché, perché la fine, la morte, il silenzio, il tempo? Perché? Perché? ‘ mormoravo.
E la mia voce sembrava quella di una morta.
Forse, lo ero e ciò che restava di me era soltanto uno spirito ardente, che vagabondava da un capo all’altro del porto di Amburgo.
Ad un tratto, mi parve di discernere qualcosa di molto brutto, una cosa nera, sì, una cosa nera, che sghignazzava, teneva una ramazza in spalla, aveva le mani rugose, le dita dai lunghi artigli, portava un pugnale insanguinato appeso al fianco. Non sapevo chi fosse, non lo sapevo, no, no, no.
– Ti prenderò, sì, ti prenderò e ti porterò via con me, fra i ghiacci della morte! ‘ mi parve di udire.
Fuggii.
Corsi verso la taverna del porto, che doveva essere piena di gente, ma mi sbagliavo, perché a quell’ora era chiusa e non una luce trapelava dalle sue imposte. Poi, mi smarrii.
Non sapevo più dove fossi, dove andassi. C’erano due baracche di legno, che assomigliavano a due depositi, la neve ricopriva il suolo e i tetti, soltanto le mie orme la segnavano.
– Papà non esiste, non esiste più. E io sento che morirò, nella tristezza di queste nebbie, nel brivido di quest’inverno! ‘ sussurrai.
Ad un tratto, mi sentii abbracciare forte, da uno sconosciuto. Non ebbi paura, perché’ Oh!
– Friedrich, sei tu? ‘ dissi.
Due mani mi si appoggiavano dolcemente sugli occhi, che rimasero socchiusi.
– Sei tu, sì, ti ho riconosciuto ‘ ripresi, languidamente. ‘ Tu solo puoi consolarmi di quell’addio!
L’addio aveva i suoi sguardi, il suo volto affettuoso, le sue premure amorose.
Ci stringemmo forte, davanti ai giganti del porto, che erano le macchine tristi, le navi smarrite che navigavano tra le brume, le case fatiscenti dei marinai.
– Lascia che pianga sulla tua spalla! ‘ sussurrai.
– Sì, Mirabelle ‘ mi rispose. ‘ Piangi forte, se vuoi, per tutta la notte’
– E’ finito un sogno. Una persona che amavo mi ha lasciata, per sempre’ E’ papà! E’ papà, sì!
– Dov’&egrave andato? Dove? Dimmi, dove?
– Nessuno lo sa, nessun mortale. E io non ho altri che te, con cui vivere e soffrire!
Gli battevo dolcemente i pugni sul petto.
Poi, i due amanti si baciarono sulla bocca, più e più volte, più e più volte, nel grigiore del porto di Amburgo, nel dolore dell’addio e nel freddo abbraccio dell’inverno.
– Papà &egrave morto, papà &egrave morto’
La mia voce sembrava una melodia di violini, accompagnata dai versi cupi degli albatri. I due amanti stavano in piedi accanto alla staccionata, come addormentati l’uno tra le braccia dell’altra. Poi, il rumore di una sirena lontana li riscosse.
Il pianto mi bagnava le labbra, mentre non mi stancavo di baciare, di toccare quelle di Friedrich.
Poi, ci parve di udire il suono di una tromba, no, era un segnale, che annunziava la fine di un giorno di lavoro per molti operai della vicina fabbrica. Non sapevo se vi costruissero battelli, o attrezzature da pesca, non sapevo.
Per un istante, ebbi la sensazione di veder passare sull’acqua gli spiriti dei morti; tra essi, c’era anche quello del mio papà. Partivano per un lungo viaggio, nell’inverno, nell’inverno, sulla sponda c’erano la darsena grande e l’opificio, la neve ricopriva le bitte. Poi, mi abbandonai all’amore, all’affetto del mio amante, certa di avere avuto una visione.
Era così toccante vedere una giovane donna che teneva il volto appoggiato sul petto del suo amico del cuore, che la stringeva come se fosse stata la sua adorata sorella, baciandole i lunghi capelli, pettinati dal vento! La teneva per mano, così come si può tenere per mano la propria figlia, eppure era quasi la sua sposina segreta, legata a lui dal destino, da un affetto maritale e da un onore matrimoniale che in qualunque momento entrambi avrebbero potuto spezzare.
– Grazie, per aver consolato l’inconsolabile! ‘ gli mormorai, accostando le mie rosse labbra ad uno dei suoi orecchi.
Il freddo faceva arrossire forte le guance di Mirabelle, in quel tardo pomeriggio d’inverno, ad Amburgo. Un peschereccio rientrava dal largo, proprio in quel momento.
Mentre mi stropicciavo gli occhi, sdraiata sulla mia amaca, mi ripetevo di aver sognato, immaginato la morte di una persona che amavo. Poi, bevvi il succo di un ananas, dal mio calice dorato.

Leave a Reply